Sfida: 500 prompt
Prompt: 207. Nelle mani di un bambino
Fandom: Shingeki no Kyojin
Personaggi: Jean Kirschtein, Marco Bodt, OC
Pair: Marco/Jean
Numero capitoli: 9/500
Generi: slice of life, sentimentale, introspettivo
Avvertimenti: shonen ai
Rating: giallo (per le parolacce di Jean)
Numero parole: 2646
A Freckles.
L'inizio di ottobre era sempre un bel periodo. Di giorno faceva ancora abbastanza caldo ed era piacevole sentire sulla propria pelle le carezze del sole e del vento. Questo era il motivo per cui Marco andava sempre al lavoro usando i mezzi pubblici. La fermata della metropolitana era solo a pochi minuti a piedi da casa sua, e poteva godersi una bella passeggiata prima di rinchiudersi alla base militare per buona parte della giornata.
Adorava passeggiare e molto spesso quando lui e suo marito avevano la giornata libera, la passavano al parco, a poltrire sul prato, oppure nel giardino di casa. Stavano già progettando una grigliata con i loro amici per il weekend, tempo permettendo. E la serata l'avrebbero conclusa sicuramente bevendo in soggiorno, visto quando scendeva la temperatura di notte.
Quasi si stava pentendo di non aver messo una maglia in più o un giubbotto più pesante. Era appena sceso dal vagone della metro e aveva tirato in su la zip del giubbotto, chiudendolo fino al naso. Forse ora stava esagerando nel cercare di imitare un eschimese appena uscito per andare a caccia, ma mentre se ne stava seduto all'interno del mezzo, tutto tranquillo e circondato di calore, aveva iniziato ad assopirsi. Alzarsi e uscire dove l'aria era di qualche grado troppo bassa per i suoi gusti, non era proprio tra le cose che preferiva appena sveglio.
Aveva subito dopo controllato il cellulare. Nessuna chiamata o messaggio da parte Jean, ma era quasi normale visto che quella mattina avevano litigato. Suo marito era fin troppo arrabbiato. Lo aveva anche minacciato di chiedere il divorzio, anche se erano sposati da appena due anni.
O forse erano proprio i pochi anni di matrimonio ad averlo reso così isterico.
Marco Bodt-Kirschtein sarebbe partito per il Medio Oriente, per una missione di sei mesi.
Jean Bodt-Kirschtein lo odiava per questo motivo e non mancava mai di rinfacciarglielo da quando gli aveva dato la notizia. Era stato contrario quando Marco si era iscritto all'Accademia Militare. Era stato ancora più contrario quando aveva deciso di continuare a lavorare per l'esercito. E ora era a dir poco furioso.
Si sarebbe fatto perdonare in qualche modo. Alla fine ci riusciva ogni volta, anche se questa volta avrebbe dovuto davvero ricorrere a tutte le proprie armi migliori. E non era neppure sicuro del successo di propri tentativi.
Distrattamente aveva passato una mano tra i capelli, mentre un sospiro sfuggiva dalle sue labbra. E solo allora si era accorto con la coda dell'occhio di qualcosa che si era mosso in un angolo, vicino alle scale.
Stoffa. Sembrava un fagotto, visto dalla sua posizione. Cautamente si era avvicinato perché solo pochi mesi prima aveva trovato un cagnolino in simili condizioni e non volevo spaventarlo e farlo scappare.
Solo avvicinandosi si era reso conto che quello non era un cucciolo di animale.
***
Jean aveva finito di lavare i piatti e aveva quasi rotto un bicchiere stringendolo troppo tra le mani. Era furioso perché Marco era uscito mentre lui ancora gli urlava contro e non era ancora rientrato. Aveva più volte controllato l'ora, e i minuti sembravano incollati. Ogni volta che alzava lo sguardo verso l'orologio della cucina era passata al massimo una manciata di minuti.
Era arrabbiato e preoccupato. Preoccupato perché Marco non era mai in ritardo e se per caso lo era lo avvertiva sempre. Arrabbiato perché se stava tardando perché era uscito a bere con Reiner, allora lo avrebbe lasciato dormire in giardino.
Si era avvicinato al tavolo della cucina doveva aveva lasciato il cellulare, ma questo non aveva alcuna notifica da parte di Marco, su nessuna delle applicazioni che usavano abitualmente.
Velocemente aveva selezionato il numero del marito e iniziava seriamente a preoccuparsi quando era partita la segreteria telefonica. Aveva riprovato subito a telefonare e al terzo squillo temeva di sentire entro pochi attimi la voce metallica della segreteria.
“Jean,” la voce di suo marito era bassa, ma sembrava emozionata. Non capiva che tipo di emozione fosse perché era troppo preoccupato, ma aveva capito che qualcosa era successo. “Non spaventarti. Ok? Sono in ospedale,” aveva fatto una brevissima pausa durante la quale Jean era morto almeno una dozzina di volte. “Ero alla stazione della metro, no? Stavo per tornare a casa e ho trovato...”
“...un altro cane solo che stavolta ti ha morso?” Aveva portato una mano sugli occhi. Se era davvero quello il motivo, avrebbe chiesto il divorzio il giorno seguente. Lui era a casa a preoccuparsi, mentre Marco giocava con i cani.
“No, non è un cane... Puoi venire a prendermi così ti racconto tutto?”
***
Non sapeva sinceramente cosa aspettarsi. Era arrivato velocemente all'ospedale di Trost, parcheggiando la macchina in modo tale che si sarebbe ritrovato sul parabrezza almeno mezza dozzina di contravvenzioni, ed era corso all'interno del pronto soccorso. Marco gli aveva detto che lo avrebbe aspettato lì.
E lì lo aveva trovato.
In compagnia di due agenti della polizia.
Iniziava ora ad essere sempre più convinto della possibile sbronza di Marco assieme a Reiner. E visto che suo marito sembrava a posto probabilmente quello ricoverato era stato Reiner.
“Jean!” Marco gli aveva sorriso - uno dei suoi enormi sorrisi che erano capaci di sciogliere anche un ghiacciaio artico - e aveva alzato la mano, sventolandola.
Il biondo si era avvicinato lentamente. Non sembrava ubriaco. Sembrava solo molto felice, entusiasta, emozionato. L'esatto contrario di come era quella mattina quando era uscito di casa. Quella mattina erano stati entrambi fin troppo arrabbiati, frustrati e demoralizzati.
Mentre ora Marco sembrava felice nemmeno avesse vinto alla lotteria.
Il moro aveva scambiato un veloce saluto con i due agenti che si erano poi allontanati e gli era andato incontro. Jean si era fermato, cercando di interpretare le espressioni del marito, ma fallendo miseramente.
“Mi spieghi cos'è successo?”
“Uscendo dalla metro ho trovato una bambina.”
A quella frase Jean aveva spalancato gli occhi, e non se n'era quasi neppure accorto. Il sorriso improvvisamente triste sul viso di Marco lo aveva colpito molto. Il sorriso che gli aveva visto stampato in faccia appena era entrato era probabilmente di sollievo. Probabilmente la bambina che aveva portato in ospedale stava bene.
Solo che ricordare dove l'aveva trovata lo aveva reso triste. Perché Marco era così. Era triste per tutti gli animali randagi che vedeva per strada, figuriamo ci se non lo sarebbe stato per una bambina.
“I dottori hanno detto che sta bene e che l'ho trovata giusto in tempo.” Il moro aveva passato una mano sulla nuca, come faceva spesso quando era nervoso o preoccupato. E Jean aveva capito subito che quella storia non sarebbe finita lì.
***
Nei giorni che seguirono, Marco era andato in ospedale ogni giorno. Jean non ne era stato molto entusiasta, ma non poteva di certo impedirglielo. Conosceva Marco fin troppo bene, e sapeva benissimo quanto l'uomo fosse preoccupato. Soprattutto sapendo che quella bambina non aveva nessuno al mondo che potesse occuparsi di lei.
Aveva solo paura che si affezionasse troppo a quella creaturina e poi ne soffrisse una volta che non avrebbe più potuto rivederla.
Era solo che l'aveva salvata. Sapeva bene che ora Marco si sentiva in qualche modo responsabile per lei. Lo era stato con tutti i randagi che aveva portato a casa sin dall'infanzia. Perché Marco era così. Si preoccupava genuinamente di tutto e di tutti, e in qualche modo lo invidiava. Lui non aveva tutti questi buoni sentimenti dentro di sé. Gli unici buoni sentimenti che aveva verso il genere umano erano rivolti a Marco, alle loro famiglie, e a poche altre persone.
Marco invece, Marco rimediava alla sua mancanza di empatia verso il prossimo. E del resto lo amava anche per questo.
***
Jean Bodt-Kirschtein doveva immaginare che prima o poi la sua vita sarebbe arrivata ad un punto di non ritorno. In quell'istante avrebbe potuto decidere se divorziare sul serio o rimanere accanto all'uomo che amava da così tanti anni.
Marco Bodt-Kirschtein sapeva che certe sue azioni portavano all'esasperazione il marito. Sapeva bene che Jean aveva l'abitudine di scoppiare ancora prima di accendere il cervello, ma di certo lui non gli stava rendendo la vita semplice.
Quella mattina erano andati insieme al tribunale dei minori. Marco avrebbe dovuto testimoniare sulle circostanze in cui aveva trovato Sophie - nome che Marco le aveva dato durante le sue interminabili visite prima all'ospedale e poi all'orfanotrofio. Gli assistenti sociali che si occupavano della piccola avevano salutato il moro calorosamente.
Del resto, aveva pensato Jean, un uomo simile ti ispira fin troppa fiducia. Sempre ed in qualsiasi circostanza. Il suo sorriso, le sue espressioni, il modo cortese in cui si rivolgeva sempre a chiunque. Poteva immaginarselo mentre andava a far visita a Sophie, mentre la teneva in braccio e sicuramente le parlava. Lui non lo aveva mai accompagnato. Perché non voleva farsi illusioni e finire poi col cuore spezzato quando qualcuno avrebbe infine adottato la piccola.
Marco questo probabilmente non lo aveva ancora realizzato, o forse era solo una buona scusa per non pensare ai loro problemi e alla sua partenza.
“Signor Bodt, mi permetta di farle una domanda.” Il giudice li aveva sorpresi tutti, alla fine della deposizione di Marco. Questi era già pronto a tornarsene accanto a Jean e tornare a casa. “Mi hanno riferito che lei in questi mesi è passato quasi quotidianamente a trovare Sophie. Mi hanno anche riferito che il nome l'ha scelto lei.” L'uomo gli aveva sorriso. “Signor Bodt, ha mai pensato di adottare questa bambina?”
La risposta che aveva dato Marco non aveva stupito in alcun modo Jean. Era una cosa che il biondo aveva immaginato due mesi prima, quando lo aveva visto in ospedale.
“Si, vostro onore. Ci ho pensato molte volte, ma so che non è una cosa così facile.”
“La faremo diventare una cosa facile.”
***
Il biondo era entrato in casa urlando e sbattendo la porta. Marco stava ancora percorrendo il vialetto. Sospirava e guardava il cielo, fermo, in contemplazione e probabilmente sperando in un aiuto divino.
Dicembre era appena iniziato. Presto avrebbe anche iniziato a nevicare, e Natale era alle porte. Stava cercando di pensare alle cose belle successe e dovevano ancora succedere per trovare la forza di entrare in casa e affrontare Jean.
Questa volta non sarebbe stato semplice. Era stata buttata troppa carne sul fuoco e non vedeva in quell'istante una soluzione.
Si era quasi trascinato fino alla porta d'ingresso. Sentiva il turpiloquio di Jean distintamente. Aveva abbassato la maniglia ed era entrato in casa. I passi di Jean rimbombavano sopra la sua testa, e aveva così deciso di raggiungerlo al piano di sopra, abbandonando cappotto e scarpe davanti alla porta.
Salendo le scale stava pensando agli ultimi anni. Alla loro prima convivenza. Al matrimonio. Ai loro lavori. Alle loro famiglie. Quelle erano state le cose che sempre gli avevano dato la forza per andare avanti, per fare le sue scelte. Sapeva che loro lo avrebbero sempre appoggiato.
Solo che questa volta forse aveva fatto un passo troppo lungo e ora ne avrebbe pagato le conseguenze.
Era fermo davanti alla porta della loro camera da letto e osservava Jean che buttava i propri vestiti in una valigia aperta sul letto. Non aveva ancora tolto il giaccone e le scarpe.
“Jean...”
“Jean sto cazzo, Marco. Vaffanculo.”
Il biondo si era voltato verso di lui e lo aveva guardato come se avesse potuto ucciderlo con lo sguardo.
“Cosa avrei potuto fare?”
“Parlarne con me, per esempio! Quello sarebbe stato un ottimo fottuto inizio!” Jean continuava a urlare, guardando il marito ancora fermo sulla porta. “Prima decidi di andare a farti ammazzare e quasi non mi dici nulla! Ora vuoi adottare una bambina e lo fai senza chiedermi un parere! Cazzo mi hai sposato a fare se poi decidi tutto da solo?” Con un gesto secco aveva chiuso il borsone e se lo era caricato in spalla.
“Jean, ti prego.” Finalmente si era mosso dalla porta, fermandosi a qualche passo dal marito.
Jean lo aveva guardato negli occhi. Era arrabbiato, questo Marco lo poteva notare da un paio di chilometri di distanza. Ma era anche ferito.
“No, Marco. Tu parti a marzo, e io non so neppure come e se tornerai a casa. E sai benissimo che non voglio che tu parta. Non puoi decidere di adottare una bambina e lasciarmi da solo. Non puoi neppure decidere di adottarla senza chiedermi cosa ne penso! Non abbiamo mai parlato seriamente della possibilità di essere genitori. E io non voglio essere genitore. Troppe responsabilità che non mi voglio assumere, e mi bastano i ragazzini che ho a scuola per farmi passare qualsiasi voglia di avere figli miei!”
Marco aveva sospirato, passandosi una mano sulla nuca. Sapeva che Jean aveva ragione. Se ne rendeva perfettamente conto. Sapeva anche di essere stato fin troppo egoista negli ultimi mesi.
Ma c'era qualcosa che gli diceva che le sue scelte erano state giuste. Avventate sicuramente, ma giuste.
“Jean, ho salvato quella bambina che aveva solo poche ore. E' come se qualcuno l'avesse messa sul mio cammino e non ho potuto fare finta di nulla.” Marco lo guarda e cercava di sorridergli. “Sono spaventato da morire, quindi ti posso capire.”
“Non puoi capire! A marzo te ne vai a fanculo! E se tutto va bene starai via sei mesi!” Jean aveva alzato di nuovo la voce, ma aveva lasciato cadere il borsone a terra. “Sto cercando di accettare questo e tu mi vuoi anche far fare il genitore! A me? Che se non ci fossi tu al mio fianco, solo Dio sa dove sarei ora!”
Questa volta Marco aveva sorriso dolcemente e lo aveva abbracciato, ben conscio di rischiare di venire calciato o preso a pugni. Era solo riuscito a stringerlo a sé e Jean era rimasto immobile.
“Sapevo che sarebbe finita così. Hai passato troppo tempo con lei e sapevo che avresti finito per affezionarti.”
“Non è solo questo. Quando l'ho sentita piangere e l'ho presa in braccio, lei era così piccola e fragile che ho solo pensato a volerla proteggere. Se non fossi passato in quel momento, forse non ce l'avrebbe fatta. Ma lei ha pianto proprio mentre ero li. Quando solo io potevo sentirla. Dimmi se questo non è un segno?”
“E' un segno che voglio il divorzio, e mi tengo la casa. E anche il cane e i gatti. E voglio anche la Playstation. Tu puoi tenerti i sex toys. Ti serviranno ovunque tu venga spedito.”
Marco aveva ridacchiato, stringendo il marito di più a sé.
“Ti amo, Jean.”
“Io voglio solo sgozzarti in questo istante. Non immagini neppure quanto.”
***
Quello non erano le prima feste natalizie che passavano insieme.
Non sarebbero state neppure le ultime.
La casa era addobbata dal tetto fino al marciapiede e sembrava uscita da una cartolina di auguri.
Marco - perché era lui il maniaco del Natale - girava per casa con orrendi maglioni natalizi e Jean era il Grinch della situazione - anche se finiva trascinato nello spirito natalizio del marito.
Solo che quello era il primo Natale che avrebbero passato in tre, pensò il biondo mentre entrava nella cameretta di Sophie.
Marco era seduto nella poltrona e teneva la bimba in braccio. Aveva addobbato anche la sua cameretta. Lucine colorate sui muri. Decorazioni in ogni angolo della stanza. Una renna di peluche nella culla.
La stringeva a sé con delicatezza, cullandola lentamente per farla addormentare. Solo che la bambina non aveva alcuna intenzione di chiudere gli occhi.
Sophie - la loro bambina - guardava Marco senza neppure battere le palpebre. E Marco la guardava con adorazione.
Jean poteva già immaginarlo tra una quindicina di anni, tutto preoccupato per i ragazzi che sicuramente le avrebbero girato attorno. O forse era lui quello che sarebbe stato più geloso.
“Marco, quel maglione è orrendo. Per forza che non riesce a prendere sonno.”
Il moro aveva ridacchiato, senza neppure guardarlo.
“Sembra che papà voglia fare il Grinch anche oggi, eh, principessa?”
Jean aveva alzato gli occhi al cielo, avvicinandosi alla propria famiglia. Aveva ignorato le proteste di Marco e aveva preso Sophie in braccio. Non era ancora abituato ad averla in casa. C'erano ancora molte cose a cui doveva abituarsi.
Ma vedere quei occhi che lo osservavano, quelle manine che si allungavano verso di lui, sentire la sua voce. Quelle erano piccole cose a cui si era abituato, e di cui già non poteva fare a meno.