So I refuse to waste one more second without you [Original]

Dec 09, 2011 23:12


Scritta per il CTTIPF di maridichallenge e la prima settimana del Porn Friday indetto da kinkmemeita. C=

Su tremila e passa parole scoperanno tipo... trecento se va bene?XD traduzione: una quantità di pare mentali assurde e senza senso Non so quanto possa essere considerata erotica, in effetti. .O. Oh, io e le p0rn!fic non andiamo molto d'accordo, che volete farci.
I due gemelli presenti in questa storia sono gli stessi già protagonisti di "Primavera non bussa, lei entra sicura" e "Pillole di Quotidianità". <3
Non betata.
Il titolo è un verso della splendida "As long as you're there".
Immagino che tutti conosciate Per Elisa di Beethoven, giusto? Giusto?

Lucie rotea gli occhi, accavallando le gambe sotto al banco, e si lascia andare stancamente contro lo schienale della sedia. La matita con cui stava giocherellando distrattamente le scivola dalle dita e cade sul quaderno aperto; la ragazza la guarda rotolare lungo la pagina leggermente inclinata e fermarsi contro l’astuccio.
Sbuffa infastidita, digrignando i denti. Appoggia un gomito sul banco ed utilizza la mano per sorreggersi la testa, per poi tornare a posare gli occhi sul professore.
Ancora non ci crede di essersi davvero lasciata fregare così dai suoi genitori. Senza che lei se ne rendesse conto, papà Haya è riuscito a convincerla che anche suo fratello era interessato a quel corso di canto e che era semplicemente ancora indeciso tra quello ed il corso di pianoforte. Le ha suggerito di iscriversi prima lei, che tanto Edward l’avrebbe seguita dopo pochi giorni, e lei ci è cascata in pieno, come una poppante.
È stata ingenua e stupida; e si odia, per questo. Avrebbe dovuto immaginarlo che non era altro che un’altra delle mille scuse che papà Haya si inventa ogni giorno per cercare di tenerla lontana dal suo Ed, specie tenendo conto del fatto che conosce suo fratello praticamente da quando sono nati e non solo Edward non ha mai dimostrato particolare interesse nei confronti del canto ma è anche piuttosto stonato.
Soffoca un ringhio mordendosi l’interno della guancia e stringe il pugno con rabbia.
Stupida, stupida, stupida!
Odia papà Haya quando fa così, odia la voce irritante di quell’inutile professore che continua a spiegare, odia dover stare tanto lontana da suo fratello, anche se è solo per poche ore alla settimana, come le ripete sempre papà ‘muii per calmarla. Non sapere che cosa sta facendo Edward in quel momento, non poterlo guardare, toccare, abbracciare, la innervosisce e - sul serio! - non capisce come facciano tutti a non capirlo.
Suo fratello è suo, che diamine, se così non fosse non si direbbe “suo fratello”, no? E’ normale che voglia stargli sempre vicino.
Molte delle persone che conosce non sono d’accordo con lei, per quanto riguarda questa convinzione, ma lei, d’altro canto, non si è mai fatta alcun tipo di problema nell’ignorare tutto ciò che non le piace - o nel cercare di eliminarlo, in alcuni casi.
Il professore cammina lentamente avanti e indietro davanti alla cattedra, continuando intanto ad esporre alla classe qual è il metodo di respirazione più corretto quando si canta, e Lucie ne segue i movimenti senza quasi battere le palpebre.
È giovane, sicuramente un neo-diplomato, visto con quanta gentilezza tratta i suoi stupendi.
Avrà all’incirca una trentina d’anni, anno più, anno meno, occhi scuri dal taglio vagamente orientale e riccioli biondi che gli incorniciano il viso sempre abbronzato. Non è niente di speciale, un uomo come tanti, ma dall’aspetto tutto sommato gradevole.
Lucie ha la certezza matematica che tutte le ragazze iscritte a quel corso - più, sospetta, anche qualche ragazzo - abbiano una cotta per lui, mente lei non ne può soffrire nemmeno la vista.
In particolare la sua bocca, la fa innervosire. Quelle labbra sempre tirare in un sorriso gentile, dall’aspetto invitante, fatte per essere riempite di morsi e baci, così simili a quelle di suo fratello, la fanno imbestialire.
Solo Edward dovrebbe poter vantare labbra tanto belle, non certo anche un insulso insegnante di canto. È una cosa che proprio non concepisce, è ingiusto.
Sbuffa senza preoccuparsi troppo di non fare rumore, scambiando le gambe sotto il banco, che a causa di quel movimento, traballa appena. La matita che fino a poco prima era finita chissà come in bilico sul bordo, cade nel vuoto e Lucie, ancora una volta, la segue con lo sguardo rotolare sul pavimento, fino ai piedi del professore.
L’uomo interrompe la spiegazione per chinarsi a raccoglierla e restituirla alla legittima proprietaria. La appoggia tra le pagine del quaderno aperto sui cui Lucie ha pasticciato un insieme di frasi ripetute - mio fratello è mio, mio fratello è mio - e cuoricini, invece di prendere appunti, ma che non vede alcun motivo di nascondere.
- La sua matita, - dice il professore, accennando il solito sorriso gentile.
Lucie sente la ragazza seduta dietro di lei emettere un basso sospiro innamorato che le fa, letteralmente, salire un conato di vomito quasi fino in gola.
Ricambia il sorriso con il più dolce che riesce a fingere, inclinando di poco la testa di lato.
- La ringrazio. Scusi se l’ho disturbata, mi è scivolata dalle mani mentre prendevo appunti.
La bugia è palese e facilmente smascherabile visto che Lucie non si è nemmeno presa la briga di provare a nascondere i suoi scarabocchi con una mano, ma a lei non importa ed il professore sembra non farci caso. Si allontana con un ultimo sorriso e riprende a spiegare, appoggiandosi alla cattedra.
Lo odia, Cristo se lo odia!
È anche per colpa della sua schifosa ed innata gentilezza se lei è ancora seduta dietro a quel banco, costretta a patire la mancanza di suo fratello sei ore alla settimana.
Le ha provate tutte, tutte!, pur di farsi sbattere fuori e costringere i suoi genitori ad iscriverla all’altro corso; anche fingere che il canto le fa schifo - perché sì, almeno su quello papà Haya ci ha preso, lei ama cantare, ma ama molto di più suo fratello - e sia stonata come una campana, ma non ha funzionato. Potrebbe rompere il naso del professore con un pugno, quello funzionerebbe di sicuro, ma ha promesso ad Ed che non avrebbe più alzato le mani su nessuno, quando si sono iscritti in quella scuola, e non può rompere una promessa fatta a suo fratello.
Per la frustrazione si morde a sangue l’interno della guancia. È così concentrata sui propri pensieri che non sente la campanella che segnala l’inizio dell’intervallo suonare, ne il casino prodotto da una trentina di alunni che si alzano in contemporanea e cominciano ad accalcarsi nel corridoio.
Rimane a fissare senza vederlo il banco vuoto davanti a sé, finché una mano grande e calda, più grande di quanto lo sarebbe quella di un suo coetaneo, le si posa delicata sulla spalla e la riporta bruscamente alla realtà.
- Signorina Hakuzake, si sente bene?
Lucie solleva gli occhi d’istinto, per un riflesso condizionato, e si ritrova suo malgrado a specchiarsi in due pozzi senza fondo, dolci, neri quanto i capelli di suo fratello.
- La campanella è suonata, può andare, - sta dicendo l’uomo, sempre gentile, sempre sorridente, ma Lucie non lo ascolta nemmeno.
Mentre osserva le labbra del professore arricciarsi nel pronunciare le parole, mentre immagina quelle di suo fratello chiudersi su un lembo di pelle del suo collo e farle un succhiotto, pensa che non è vero che le ha provate proprio tutte e che se c’è una cosa che ha imparato è che, a parte rare eccezioni, i maschi si piegano come burro davanti ad una cosa soltanto, ed è quella che si porta tra le gambe da quando è nata.
Le basta anche solo darsi un’occhiata intorno per vedere come ragionano i suoi coetanei; quanto può essere diverso un professore di una manciata d’anni più grande?
Scuote la testa.
- Mi scusi, mi ero incantata. Lo sa che ha degli occhi proprio strani?
Sorride e comincia a ritirare con cura i libri nella propria borsa, facendo attenzione a calibrare bene i movimenti per impiegarci il tempo sufficiente perché il corridoio di quel piano si svuoti del tutto.
Sente il professore accennare una risata e tornare alla cattedra, dietro cui intuisce si sia seduto dallo stridere delle gambe della sedia sul pavimento.
- I miei occhi? - sorride l’uomo, sinceramente divertito.
- Sì, i suoi occhi, - conferma Lucie, alzandosi.
Si infila la tracolla in spalla e si avvicina alla cattedra.
- Hanno un colore strano, indefinito, non riesco a capire dove posso averlo già visto.
L’uomo, questa volta, ride sul serio ed apre il registro senza alzare lo sguardo, non accorgendosi così che la ragazza ha nuovamente appoggiato in terra la borsa.
Scrive qualcosa a fondo pagine e Lucie appoggia le braccia incrociate sulla cattedra per chinarsi leggermente in avanti e spiare.
- Sono comunissimi occhi neri, niente di speciale, - continua il professore. Lucie avverte una scarica di rabbia irrigidirle tutto il corpo ed annebbiarle per una manciata d’istanti la vista.
Non è semplice nero, quel colore; è nero come la notte, con le stesse sfumature che assumono i riccioli di suo fratello quando lo bacia e se li fa scorrere pigramente tra le dita. Come osa quell’essere insulso definirlo niente di speciale?
Si morde con forza il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, per evitare di cedere alla rabbia e mandare tutto a monte, piantandolo lì.
Respira a fondo, senza fare rumore, e si lecca la ferita per cercare di fermare l’emorragia.
- Oh, si è fatta male?
L’uomo traffica qualche secondo con la valigetta marrone in cui tiene i libri e le fotocopie che utilizza durante le poche lezioni dell’unico corso che ha, poi tende alla studentessa un pacchetto di fazzoletti di carta.
Lucie ne estrae uno e si tampona il piccolo taglio finché non lo sente più sanguinare, poi si allontana per buttare nel cestino il fazzoletto usato.
- Professore, avrei bisogno di chiederle una cosa molto importante.
Si volta nella sua direzione, convinta di vederlo sollevare gli occhi dal registro solo perché incuriosito dalle sue parole, ma lo sorprende, invece, a fissarla già, come se non l’avesse mai persa di vista per tutto il tempo.
Rimane ferma vicino al cestino e china la testa, come se non trovasse le parole o il coraggio per pronunciarle.
- Voglio cambiare corso. Con tutto il rispetto per lei, credo che questo non sia adatto a me: non mi piace cantare e non sono nemmeno brava. Mi piacerebbe tanto imparare a suonare il pianoforte, invece, l’ho sempre adorato, fin da quando ero piccola. Sarebbe possibile lasciare questo corso ed iscriversi a quello di pianoforte?
Sì, è possibilissimo, e lo sa bene. Uno dei punti a favore che ha spinto suo fratello a scegliere quest’istituto piuttosto che l’altro, decisamente più vicino a casa e quindi più comodo da raggiungere, è stata proprio la possibilità che forniva la scuola di cambiare un numero determinato di corsi anche ad anno già inoltrato, senza alcun tipo di problemi ad eccezione di quello di doversi mettere più o meno da soli al pari con il programma del nuovo corso a cui si sceglieva di iscriversi.
È fattibile, quindi, ma non per lei. Papà Haya è stato molto chiaro, questa volta, quando l’aveva ormai già incastrata: non ha nessuna intenzione di iscriverla al corso di pianoforte - l’unico che non può condividere con suo fratello perché le ore si sovrappongono a quello di canto e questo suo padre lo sapeva bene - ne, tanto meno, di annullare l’iscrizione a quello di canto, a meno che l’insegnante che lo tiene non gli fornisca una valida motivazione per farlo.
Per questo è dall’inizio dell’anno che si comporta come se non le piacesse, nella speranza che il professore si stufi di dover sopportare un’alunna a cui palesemente non importa niente essere lì.
Lo guarda e attende paziente che ceda e sorrida gentile come fa sempre, ma l’uomo la sorprende ed invece che sorridere lo vede sospirare e chiudere gli occhi per una manciata di secondi, come se fosse improvvisamente stanco di continuare a litigare con una bambina troppo testarda e capricciosa per ascoltarlo.
- Lucie… posso chiamarti Lucie?
Non capendo dove voglia andare a parare, Lucie si limita ad annuire, reprimendo ad unghiate l’istinto d’inarcare un sopracciglio.
- Lucie, la settimana scorsa mi è capitato d’incrociare per caso i tuoi genitori qui a scuola e, dato che avevamo entrambi un po’ di tempo libero, abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere. Ho scoperto non solo che, oltre a non essere stonata, hai una bellissima voce, ma anche che, secondo quanto dicono i tuoi genitori, tu adori cantare. Mi hanno raccontato che lo fai sempre, da quando sei bambina, che spesso passi i pomeriggi a cantare per tuo fratello Edward; quindi… perché?
Lucie sgrana gli occhi, piantandosi le unghie nei palmi.
Sentire il nome di suo fratello pronunciato da quell’essere immondo le ha fatto esplodere nel petto una rabbia così cieca che, per un attimo, è stata davvero sul punto di lanciarsi su di lui e staccargli il naso a morsi.
Come osa? Come osa?!
- Non mi piace cantare, - insiste dopo essersi presa qualche secondo per calmarsi.
Sa benissimo che il professore non le sta credendo, e non solo perché le sue parole sono in totale contrasto con ciò che gli hanno riferito i suoi genitori.
Gli occhi di quell’uomo sono davvero strani. Sembrano essere incapaci di mentire, e Lucie vede tutta la preoccupazione dell’insegnante riflessa nel nero cupo dell’iride.
Non la capisce, ma vorrebbe esserne in grado, per poterla aiutare, e questo fatto lo rattrista, per un motivo che lei ancora non è riuscita ad afferrare - perché mai dovrebbe volerla aiutare? Non si conoscono e, in ogni caso, lei non ha nessun tipo di problema.
Si fissano in silenzio per una manciata di secondi, poi l’uomo si arrende e sospira; Lucie reclina il capo di lato, incuriosita dalla sua reazione.
- Io le piaccio, professore? - chiede, sinceramente interessata - ed anche un po’ stranita, deve ammetterlo.
Non ha bisogno di attendere che parli; il breve spasmo che coglie la mano dell’uomo è sufficiente a tradirlo e a fornire a Lucie la risposta che sperava.
Deglutisce e si decide a tornare finalmente verso di lui, reprimendo a forza la risata isterica che sente premerle in gola.
Circuisce lentamente la cattedra, facendo scorrere intanto la punta dell’indice sul bordo, per poi accomodarcisi sopra una volta essere tornata nuovamente al fianco dell’insegnante.
- Io le piaccio, professore, - ripete, e questa volta non è una domanda.
Sorride.
- Per l’amor del cielo, Lucie, sei una ragazzina! - sbotta l’uomo, e, sul serio, Lucie ci potrebbe anche cascare se non si fosse accorta del breve tremito che ha scosso la sue dita quando si è seduta a pochi centimetri dalla sua mano.
Gli sfiora il dorso di quella stessa mano con i polpastrelli e, ad ulteriore conferma della sua convinzione, il professore alza gli occhi e la guarda con un misto d’incredulità e rimprovero, ma non si scosta.
Lucie ghigna, continuando intanto ad accarezzargli la mano, ed accavalla le gambe. A causa di quel movimento, la gonna a pieghe della divisa si solleva, scivolando sulla coscia, e, per un istante, lo sguardo dell’insegnante viene calamitato da quel particolare.
- Le propongo un accordo, allora, - inizia Lucie, leccandosi le labbra.
Spinge il registro di lato, che scivola sulla superficie liscia fino a cadere sul pavimento, e si sposta sulla cattedra fino ad essere seduta esattamente di fronte a lui, aprendo le gambe ed appoggiano i piedi sui braccioli della sedia. L’uomo deglutisce, ma la sua innata gentilezza non basta più a mascherare il desiderio che quei suoi dannati pozzi scuri non sono in grado di nascondere e Lucie quasi scoppia a ridere.
Si fa scivolare la sua cravatta tra le dita, poi la stringe e con uno strattone se lo tira addosso.
- Lei convince mio padre ad iscrivermi al corso di pianoforte, - ansima direttamente nella sua bocca, - ed io, in cambio, faccio sesso con lei; che ne dice?
Il professore respira pesantemente e mugugna qualcosa d’indefinito. Probabilmente è convinto di avere a che fare con una psicopatica ninfomane, ma questo a Lucie non importa; è disposta a tutto per il suo obbiettivo, e quando sente le mani dell’uomo accarezzarle le gambe fin sotto la gonna, sa di averlo raggiunto.
Sorride contro la pelle della sua guancia, mentre lui le stringe le cosce e si china a succhiarle il collo.
Le carezze del professore sono gentili e, tutto sommato, delicate, ma a Lucie non piacciono.
Le sue mani sono calde, ma troppo grandi, per i suoi gusti; non le sfiorano la pelle come se fosse vetro, non tremano d’imbarazzo ancora dopo anni, come quelle di suo fratello, e la consapevolezza che sta per fare sesso con una persona che non è Ed la coglie così all’improvviso da procurarle un conato di vomito che a stento riesce a trattenere.
Serra la presa sulla cravatta e chiude gli occhi, gettandosi letteralmente a divorare le labbra dell’uomo. Immagina il sorriso dolce di suo fratello, mentre il professore le stringe i fianchi e lei lo bacia come se non avesse mai desiderato altro nella vita.
- Mi tocchi, - ansima, mordendogli il labbro inferiore.
Cerca di sostituire le sue carezze gentili ma decise, con quelle decisamente più impacciate di suo fratello, mentre le loro lingue si intrecciano e gli fa scorrere la mano libera tra i capelli. Sono lisci, per niente morbidi, e cerca per istinto gli accenni di riccioli che è abituata sentire solleticarle il palmo della mano.
- Mi tocchi.
- Lucie, - ansima il professore, tentando, con scarso successo, di frenarla e smettere di baciarla.
Lancia un’occhiata all’orologio che ticchetta allacciato al suo polso sinistro.
- Mancano cinque minuti alla fine dell’intervallo, Lucie, non c’è tempo.
Lucie sbuffa e gli sale a cavalcioni in braccio, spingendolo con tutto il proprio peso a tornare ad appoggiare la schiena contro lo schienale della sedia.
- Non mi interessa, - mugugna infastidita contro le sue labbra, un attimo prima di tornare a mordergliele.
- Lucie, - tenta nuovamente l’uomo, questa volta decisamente più preoccupato. La ragazza reprime un ringhio e si scosta dal professore il tanto sufficiente da potersi specchiare nei suoi occhi.
Con la mano che non tiene ancora stretta in pugno la sua cravatta si cala le mutandine fino alle ginocchia, poi gli afferra un polso e si porta la sua mano tra le gambe.
- Allora mi scopi con le dita; è anche questo sesso, no?
Si sforza di sorridere e si lecca le labbra. Gli slaccia i pantaloni e stringe le dita sul suo sesso eccitato, tornando subito dopo a baciarlo e succhiargli le labbra.
Ignora tutto: l’odio, la rabbia, il disgusto, e comincia a masturbarlo, fingendo intanto che le dita che sente muoversi esperte dentro di lei siano quelle di qualcun altro.
Non le importa che se qualche studente troppo diligente decidesse di rientrare in classe in quel momento accadrebbe il finimondo ne, tanto meno, che quell’idiota del suo professore sta buttando letteralmente nel cesso la possibilità di costruirsi una carriera correndo quel rischio per un motivo che a lei sfugge.
Lo masturba e si perde nel ricordo di parole dolci sussurrate con voce tremante al suo orecchio. Apre di più le gambe, lo bacia come se non ci fosse un domani ed immagina un viso identico al suo, solo un po’ più maschile, illuminarsi in un sorriso.
Quando non riesce più a fare nemmeno quello e la visione si incrina sotto il peso dell’orgasmo che sente premere per esplodere, stringe ancora di più la cravatta dell’uomo e gli morde il mento.
- Si ricordi che ha promesso, - lo supplica, un attimo prima di venire soffocando un grido contro la sua spalla ed accasciarsi, esausta, contro di lui.

***

Edward termina di suonare al pianoforte il pezzo assegnatogli dalla professoressa come esercizio e Lucie batte le mani, entusiasta.
- Sei bravissimo!
Ed arrossisce, ma sorride.
- Ancora devi spiegarmi come hai fatto a costringere il tuo insegnante di canto a farti cambiare corso, - sospira, cambiando, intanto, lo spartito e preparandosi ad eseguire l’ultimo brano prima che papà Haya chiami tutti quanti per la cena. - Mi avevi promesso che non avresti più picchiato nessuno, - la ammonisce.
- Ma non ho davvero picchiato nessuno! - ribatte Lucie, gonfiando le guance. - È solo che mi annoiava, ed il professore si deve essere finalmente accorto che non sono poi così portata come credeva all’inizio. Dovresti esserne felice, no, adesso saremo sempre insieme anche a scuola.
Edward sospira, e smette di sfogliare lo spartito quando trova il brano che gli interessa: Per Elisa, di Beethoven.
- Continuo a non capire; mi canti sempre un sacco di canzoni praticamente da che ho ricordo, come faceva ad annoiarti? E poi sei così brava!
Lucie scrolla le spalle.
- Evidentemente non sono tutta questa bravura che credi.
Sorride e gli bacia una guancia.
- Su, fammi sentire quanto sei bravo tu, piuttosto.
Si sistema meglio sullo sgabello, al suo fianco, ed in silenzio, lo ascolta e lo guarda suonare.
La casa, per qualche minuto, torna a riempirsi solo della delicata e splendida melodia prodotta dalle dita di Ed che volano sui tasti, poi termina anche quel brano e Lucie sorride ancora di più quando suo fratello si volta nella sua direzione.
Si china a leccargli la guancia e gli bacia con delicatezza il mento.
- Ti amo tanto,- sospira contro la sua pelle.
Sente Edward sorridere ed accarezzarle il braccio con il pollice.
- Lo so.
Lucie sorride e lo ama ancora di più.
- Lucie, Edward, la cena è pronta, - li richiama Kamuii dall’altra stanza.
La ragazza ride e salta in piedi.
- Arriviamo! - urla di rimando.
Aspetta che Ed richiuda la copertura in legno del pianoforte sui tasti e ritiri con la sua solita attenzione gli spartiti nell’apposita cartelletta, prima di afferrargli una mano e trascinarlo di corsa fino in cucina, ridendo felice.

warning: twincest, fandom: original, one shot, warning: het, challenge: p0rn friday, rating: nc-17

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