Titolo: At sixes and sevens
Capitolo: Quattro di diciotto: Capitolo 3: Spiegazioni, sensi di colpa e complotti.
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Capitolo 3: Spiegazioni, sensi di colpa e complotti
“Potete lasciarmi in pace?” urlò. “Ho detto che non voglio parlarne.”
Si pentì subito di aver alzato la voce, ma a volte i suoi amici proprio non gli lasciavano scelta. Si stavano rivelando così insistenti, dopo l’episodio della festa, che Harry cominciò a desiderare di emigrare in Antartide in mezzo ai pinguini. Almeno loro non lo avrebbero fatto sentire in colpa ogni minuto della propria vita.
Hermione era passata in mattinata ed era stata la prima ad affrontare Il Discorso.
“Harry, che diavolo è successo ieri sera?” aveva esordito. E lui non aveva potuto replicare altro che uno sciocco: “Mi ha fatto arrabbiare”.
Poi era stata la volta di Theodore, che si era affacciato al camino verso l’ora di pranzo per scusarsi del comportamento del proprio coinquilino. Harry aveva ripetuto che non c’era bisogno che si scusasse nessuno, tanto meno chi non c’entrava nulla. Era pienamente cosciente di aver cominciato lui la “rissa” - come tutti amavano chiamarla -, quindi non era pienamente giusto che se la prendessero unicamente con Malfoy. Ovvio che avesse anche lui le sue colpe, ma, come al solito, Harry Potter patteggiava per la piena giustizia e la piena equità.
Era quello che aveva riferito a Ron, quando si era casualmente trovato a passare dalle sue parti nel pomeriggio. Solo che, in questo modo, si era ritrovato addosso un’occhiata accusatrice pari a poche. Era raro, davvero raro, che Ron gli si rivolgesse a quel modo e questo non fece altro che alimentare il suo senso di colpa, oltre che farlo sentire uno stupido bambino capriccioso.
Insomma, la giornata di Harry era stata davvero terribile, ma non era finita là.
Infatti, proprio quando era pronto per godersi una sostanziosa cenetta in santa pace - da solo, perché della gente ne aveva avuto davvero abbastanza negli ultimi giorni - Sirius e Remus si erano Materializzati nella sua cucina. Inizialmente non si sorprese: i due erano soliti scroccare cene a destra e a manca, e a ragione, date le scarse abilità culinarie di entrambi. Così non poté far altro che sgridarli per essere piombati all’improvviso e anche senza bussare (cosa che, ormai, era solo un’inutile formalità) e apparecchiare per tre.
Solitamente gli piaceva cenare con loro; erano divertenti e gli trasmettevano sempre una certa serenità. Da quando Sirius era tornato, Harry poteva giurare di non aver mai visto Remus smettere di sorridere e questo lo faceva sentire incredibilmente in pace con il mondo. Anche quella sera, infatti, riuscì a dimenticare la festa del giorno precedente e la faccia di Draco Malfoy, mentre li osservava scherzare insieme.
Tuttavia, dato che sembrava che l’intero Mondo Magico si fosse messo d’accordo per prendersela con lui, anche loro due non fecero eccezione.
“Comunque, penso che tu abbia fatto bene a suonargliele a quel Malfoy. Se l’è meritato,” bofonchiò Sirius, con la bocca piena di dolce.
Remus alzò gli occhi al cielo. “No che non ha fatto bene, Sirius. Vuoi insegnare un po’ di buone maniere al tuo figlioccio?”
Questa volta fu Harry ad apparire esasperato. Ci mancava solo che si mettessero a trattarlo come un bambino, nonostante i ventiquattro anni nuovi di zecca.
“Uhm. Possiamo evitare l’argomento?” chiese con una vaga titubanza. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era proprio un battibecco tra quei due sugli eventi della sera precedente.
“Ma, Harry, dillo anche tu a questo lupastro che Malfoy si è meritato quel pugno.”
“No che non se l’è meritato, Sirius! Per quanto Malfoy possa essere stato irritante, Harry non avrebbe dovuto picchiarlo. Non è con la violenza che si risolvono le cose.”
“No, ma ogni tanto la violenza serve a far capire chi comanda!”
“Beh, sei un fallito se pensi di poter comandare solo perché sei più forte.”
“Mi stai dando del fallito?”
“Non ti sto dando niente! Se, ho detto se, ed era un se generale.”
“Non tentare di confondermi, Moony!”
“Non voglio confonderti.”
“Ehm,” Harry si schiarì la voce, nel tentativo di interromperli. Ecco che erano arrivati proprio dove non avrebbe voluto che arrivassero.
“Sì, invece, vuoi confondermi per avere ragione.”
“Non voglio avere ragione!”
“Adesso basta!” sbraitò Harry. “Se siete venuti qui per litigare potete anche andarvene.”
Remus si era voltato guardandolo sconcertato e Sirius aveva spalancato la bocca nel tentativo di dire qualcosa. “Scusaci,” disse immediatamente il licantropo. “È solo che… ci chiedevamo per quale motivo hai reagito così, ieri.”
E, a quel punto, il ragazzo non ci aveva visto più e aveva urlato: “Potete lasciarmi in pace? Ho detto che non voglio parlarne!”
“Ecco, vedi? L’hai fatto arrabbiare,” bisbigliò Sirius in direzione del proprio compagno.
“Io? E tu allora?” si difese Remus.
Harry preferì intervenire nuovamente. “Per favore, non ricominciate,” pregò, passandosi una mano sul viso. I due compresero di dover smettere subito di insistere: questa volta fu Sirius a scusarsi e, in un batter d’occhio, entrambi avevano levato le tende e lo avevano finalmente lasciato solo.
Quando fu di nuovo circondato da silenzio, Harry trasse un sospiro di sollievo. Rapidamente, salì nella propria camera e si preparò per dormire. Non gli importava che fosse presto, voleva solo essere sicuro di evitare qualsiasi altro tipo di visita molesta.
*
La giornata di Draco Malfoy non era certo stata migliore. Non solo la sera precedente aveva dovuto sottoporsi ad un paio di incantesimi per evitare che il labbro si gonfiasse troppo, ma doveva anche sopportare Theodore che lo trattava peggio di straccio sporco. Dire che non gli rivolgeva la parola era veramente poco: lo ignorava completamente, come se nemmeno esistesse, limitandosi di tanto in tanto a scoccargli un’occhiata di pura disapprovazione. Insomma, per essere uno psicomago sensibile all’indole umana, si stava comportando in maniera davvero spregevole. Draco tirò un profondo sospiro di sollievo quando il suo coinquilino uscì per andare da Ginny, quella domenica mattina. Finalmente si sarebbe goduto un po’ di pace e sarebbe stato solo, senza Potteramici intorno.
Gran parte della mattinata la passò a guardarsi allo specchio, esaminando quello stupido labbro rotto e rosso e il livido viola attorno all’occhio sinistro. Cominciò a testare sulla propria faccia il più svariato genere di incantesimi, nella speranza che almeno uno di essi facesse sparire tutti quei segni che Potter gli aveva lasciato addosso. Nessuno funzionò del tutto, ma la cosa peggiore era che non riusciva a togliersi Potter dalla testa: più ci pensava, più la rabbia cresceva e più si guardava allo specchio per limitare i danni; ma più si guardava allo specchio, più si ricordava del ragazzo, della sua faccia da pesce lesso, del modo in cui aveva inveito contro di lui e del maledetto pugno che lo aveva quasi completamente sfigurato. Dannato Potter. Perché diavolo non era morto nella Guerra con l’Oscuro?
Era però vero che, se fosse andata così, probabilmente lui ora starebbe marcendo ad Azkaban insieme a Piton. La testimonianza di Potter, infatti, era stata decisiva per provare che Draco davvero non aveva ucciso Silente. Tuttavia, lui non aveva - e non aveva mai avuto - la minima intenzione di ringraziarlo; era sotto Veritaserum, in fondo, non aveva fatto proprio niente se non limitarsi a dire ciò che poteva, ovvero la verità.
Era anche vero che, parlando del Prescelto, Salvatore del Mondo Magico, eccetera, eccetera, nessuno aveva messo in dubbio la sua parola, temendo che avesse forzato l’effetto della pozione.
Ed era anche vero che, se Potter avesse voluto, si sarebbe liberato fin troppo facilmente della costrizione del Veritaserum e avrebbe potuto farlo condannare al Bacio in un batter d’occhio. Ma, avanti!, Potter era troppo amante della giustizia, non avrebbe mai realizzato una cosa così meschina e subdola - così da… Draco -, nemmeno per vendicarsi del suo peggior nemico.
E Draco, tutto sommato, sapeva bene di essere il peggior nemico di Potter. Chi altro poteva vantarsi di aver fatto andare in escandescenza il Bambino-Che-È-Sopravvissuto così tante volte da non poterle più contare? Nemmeno il Lord Oscuro c’era riuscito.
Per quanto quello stolto Sfregiato cercasse di ignorarlo, Draco sapeva di avere un grande potere su di lui, un potere contro cui non avrebbe potuto fare proprio niente. Ghignò, quando questo pensiero gli attraversò la mente, dimenticandosi per un momento (molto breve) del suo bel viso deformato.
Tuttavia, la gioia durò veramente poco. Esattamente, si infranse nel primo pomeriggio, quando Theo tornò a casa con al seguito, come al solito, la Weasley.
Già dal primo istante in cui la vide, Ginny gli sembrò più furente del solito. Marciò verso di lui come se si fosse improvvisamente trasfigurata in un Troll di Montagna. Marciò verso di lui e fece una cosa che nessuno aveva mai osato fare: lo sgridò. Draco Malfoy non era mai, proprio mai, stato sgridato da nessuno che non fosse suo padre o sua madre e, soprattutto, riteneva che nessuno di talmente inferiore ne avesse davvero il permesso. La Weasley era inferiore, anche molto, ma si era autonomamente dichiarata in grado di sgridarlo. E lo stava facendo egregiamente bene, tanto che Draco non poteva fare altro che guardarla totalmente basito, con la mandibola penzoloni. Tutto ciò, inoltre, stava anche sortendo qualche effetto, perché quando Ginny disse: “Ti sei comportato in modo disgustoso! Hai rovinato la festa di Harry solo per degli stupidi dissapori che avete avuto in passato. Nessuno vi costringe ad andare d’accordo, ma almeno avresti potuto evitare di farlo incazzare proprio il giorno del suo compleanno e alla sua festa”, Draco sentì una leggera punta di senso di colpa stuzzicarlo.
Effettivamente, pensandoci bene, se qualcuno avesse fatto a lui ciò che aveva fatto a Potter, probabilmente non si sarebbe limitato a prenderlo a pugni, ma lo avrebbe direttamente Cruciato.
Tuttavia, decise che non si sarebbe assolutamente scusato con lui, nonostante quello che la Weasley gli stava urlando. Forse avrebbe smesso di comportarsi come un bambino, questo sì. Ma solo perché ne sarebbe andata di mezzo la propria reputazione, non per altro.
Dopotutto, stabilire una tregua poteva anche volgersi a proprio favore, no? Se lui e Potter avessero smesso di azzuffarsi alla prima occasione, probabilmente gli altri avrebbero rinunciato a quella stupida crociata dell’amicizia. Sì, sicuramente sarebbe andata così: doveva solo sforzarsi un po’, resistere per qualche tempo, e poi sarebbe stato finalmente lasciato in pace.
Ma Draco, in realtà, non sapeva che quella crociata era appena cominciata e che nessuno aveva intenzione di arrendersi tanto facilmente.
*
Quella domenica sera, infatti, mentre Harry assisteva al battibecco tra Remus e Sirius, e Draco se ne andava in giro sperando di rimorchiare qualcuno il più facilmente possibile e distrarsi dalla sua vita tanto sfortunata, un gruppo di ex-Grifondoro e di ex-Serpeverde era riunito a casa Weasley-Granger.
Ginny, Theodore, Blaise, Pansy e, ovviamente, Ron e Hermione sedevano comodamente nel salotto di questi ultimi accanto al caminetto accesso e, come spesso accadeva negli ultimi tempi, stavano parlando di Harry e Draco.
“Io proprio non capisco. Abbiamo smesso tutti di essere ostili tra noi, ma loro proprio non ne vogliono sapere,” aveva borbottato Ron, e tutti sapevano che una considerazione del genere da parte sua era da considerarsi come un enorme, gigantesco ed immenso passo avanti.
“È successo qualcosa tra loro che noi non sappiamo?” domandò Pansy dubbiosa.
“Beh… c’è stato l’episodio di Silente. Harry non ha mai perdonato Draco per aver fatto entrare i Mangiamorte ad Hogwarts, né Draco ha dato segno di volerlo, il suo perdono,” spiegò Hermione.
“Ma Draco è stato costretto! Cosa avreste fatto voi se l’Oscuro avesse continuamente minacciato di uccidere vostra madre?” sbottò Theodore, punto sul vivo.
“Oh, lo sappiamo,” replicò rapidamente la donna. “Ma sono loro due che non ne hanno mai parlato. Harry conosce solo quello che ha sentito di straforo al processo.” Si fermò e prese un profondo respiro. “Insomma, quello che voglio dire è che tra quei due ci sono un sacco di questioni irrisolte,” concluse, un cipiglio preoccupato sul volto.
“E finché non le risolveranno continueranno ad azzuffarsi come bambini,” intervenne Pansy, annuendo.
“E finché non staranno da soli abbastanza a lungo e saranno costretti a parlare, non le risolveranno mai,” sospirò Ginny.
“Allora è questa la soluzione, no?” saltò su Blaise, improvvisamente. Tutti lo guardarono con un’espressione interrogativa stampata in faccia. “Basta fare in modo che quei due passino del tempo insieme. Anche se dovremo portarli al S. Mungo, alla fine, almeno qualche parola possiamo sperare che la scambino.”
“Giusto!” esclamò Ron, seguito subito dagli assensi degli altri. Puntò un dito verso Theodore e Ginny e riprese, dando l’impressione di aver avuto un’idea grandiosa, “Voi due la prossima settimana non dovete partire per una vacanza? Portateli con voi e avremo risolto.”
L’espressione di puro orrore che si dipinse sul volto dei due interpellati fece sghignazzare tutti quanti. Fu Theo a rispondere, “Non se ne parla proprio. Non voglio un esaurimento nervoso a quest’età, grazie tante. O venite anche voi o non se ne fa niente.”
“Ehi, è una buona idea,” aggiunse Ginny. “Se ci andiamo tutti insieme, sarà più difficile che ci dicano di no.”
“Buon idea!”
“Allora siamo d’accordo?”
“Sì, decisamente d’accordo.”
“Speriamo che quei due non pongano troppi problemi.”
“Oh, vedrete che sapremo convincerli.”
“Altrimenti si può sempre ricorrere alla Pastoia Totale,” concluse Ron, con un ghigno maligno.
Il silenzio complice e divertito che seguì suggellò il patto.