Titolo: (We are) on the road to nowhere
Fandom: Harry Potter
Beta:
vedova_neraPersonaggi: Harry Potter, George Weasley; nominati Ginny, Ron, i vari Weasley e Angelina Johnson
Pairing: George/Harry; accenni George/Angelina e Harry/Ginny
Rating: Pg15
Conteggio Parole: 3.168 (FDP)
Avvertimenti: Slash, scene di sesso semi-descrittive
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note:
• Scritta per il
Vanda Project e quindi dedicata a
vedova_nera in tutta la sua interezza. \o/
• Ambientata due anni dopo la fine del settimo libro. ♥ (Giusto per precisazione XD Nella mia testa - e in questa fic - l’anno scolastico ’97-’98 ad Hogwarts è stato annullato e poi fatto ripetere, perciò Ginny finisce la scuola due anni dopo. >_<)
• Titolo e sottotitolo da Amie di Damien Rice, trovato grazie a Vany. \o/
(We are) on the road to nowhere
I’m not a miracle
And you’re not a saint
«Avresti potuto chiedere a me una mano.» Stanno assistendo all’ennesima lite di Ron con uno dei ragazzini che, come al solito di domenica, invade i Tiri Vispi, e Harry non può fare a meno di pensare che forse l’amico sarebbe stato meglio con una carriera da Auror tra le mani.
«E rinunciare al suo strabiliante charme con la gente?» gli domanda George, un ghigno storto sul volto. «Sarei andato in rovina!»
Il ragazzo ride, ma non riesce ad evitare alla leggerezza del momento di evaporare dopo appena qualche istante. «Dico davvero,» riprende, voltandosi verso l’altro e guardandolo serio. «Sarei venuto volentieri a lavorare per te.»
«A lavorare con me, semmai,» lo corregge rapidamente il gemello. Poi ricambia lo sguardo e il suo sorriso muta, abbandona lo scherno e si fa affettuoso, quasi sfumato di malinconia. «Non puoi essere serio,» afferma, «tu hai l’intero Mondo Magico di cui occuparti, di certo non ti avrei mai chiesto di abbandonare tutto per questo negozio.»
Torna a prestare attenzione a Ron e al ragazzino e, rapidamente, prima di dare a Harry il tempo di replicare, si sistema il cappello sulla testa e annuncia, in tono leggero: «Scusami, ma devo andare ad evitare una denuncia a mio fratello per uso improprio della magia.»
Non compie nemmeno un passo, però, che la mano del ragazzo si ferma sul suo braccio e lo trattiene, portandolo a girarsi nuovamente. «Lo avrei fatto,» confessa, «per te lo avrei fatto.» La sua voce risuona per un attimo più forte di tutto il brusio provocato dalla folla, più forte della musica, più forte di ogni cosa.
George sorride - di nuovo quell’affetto misto a malinconia - e non risponde. Harry lo lascia andare, guardandolo disperdersi in mezzo alla gente.
*
Tutto era cambiato dopo la guerra, quando la famiglia Weasley si era chiusa in se stessa per superare la morte di Fred, e Harry era diventato l’unica persona con cui George riuscisse a passare del tempo - perché poteva capire, ma non aveva gli occhi di suo fratello, o il suo sorriso, o il suo naso, o i suoi capelli.
Da lì erano cominciate le lunghe chiacchierate nel cortile della Tana, i pomeriggi trascorsi insieme, senza Ron e senza Ginny; la consapevolezza che, se George gli avesse chiesto di abbandonare l’intero Mondo Magico per aiutarlo, lui l’avrebbe fatto senza battere ciglio.
*
Attende che Ron si allontani per prendere da bere, prima di ritirare fuori l’argomento. «Ho pensato a quello che mi hai detto l’altro giorno.»
Ha lo sguardo serio, uno sguardo che Harry ha imparato a conoscere fin troppo bene nell’ultimo anno, ma a cui ancora non si è completamente abituato. Lo fissa in attesa che continui, mentre la radio accesa sul notiziario del giorno rompe il silenzio. Dalla cucina dell’appartamento arrivano rumori di bottiglie sbattute e lui si ritrova a sperare che l’amico impieghi un po’ più tempo del dovuto a tornare.
Prima di parlare, George prende un respiro profondo e non smette di incrociare il suo sguardo nemmeno per un istante. «Non sarebbe stato il caso, lo sai anche tu.»
Ron rientra nel salotto in quel momento e Harry non può fare nulla se non ingoiare la propria replica e ascoltarlo commentare l’ultima notizia appena annunciata alla radio. Sente la presenza del gemello al proprio fianco in modo quasi disturbante, intanto, troppo concreta e allo stesso tempo troppo distante, ed è in momenti casuali, come quando si china in avanti per appoggiare la propria Burrobirra sul tavolino di fronte al divano e le loro ginocchia si sfiorano, che comprende tutte le reali implicazioni della frase che l’altro ha pronunciato poco prima.
Alla fine, quando lo vede alzarsi per andarsene, si sente quasi sollevato. Attende che Ron lo accompagni al camino della cucina, mentre lui rimane al suo posto e dà fondo alla Burrobirra rimasta; la testa appoggiata sulla spalliera del divano, chiude gli occhi, sperando che l’odore di George abbandoni la stanza ugualmente in fretta e che le proprie gambe smettano di tremare quel tanto che basta per permettergli di tornare a casa.
*
I sorrisi di George non finiscono mai. Nemmeno se rivolti a lui, nemmeno se entrambi sanno che sarebbe meglio il contrario.
Harry ci prova ad allentare i loro rapporti, ad incontrarlo meno, ad assecondare quel medesimo desiderio di distanza che l’altro sembra avere, ma la verità è che non vuole, non c’è una briciola di lui che lo voglia: da sempre, gli riesce terribilmente male compiere qualcosa contro la propria volontà.
Così, il fallimento dei propri propositi è nell’aria, momento dopo momento. E quegli stessi sorrisi - quelli che gli rivolge appena mette piede ai Tiri Vispi o gli lancia da un capo all’altro del tavolo mentre cenano alla Tana, quelli da sopra la spalla di Ron, quando lo prendono in giro, quelli più rari per lui, e lui solo, che nessun altro può vedere - non fanno che accelerare il cedimento.
*
«Beh, è solo naturale che tu abbia finalmente trovato qualcuno…» sta dicendo Percy, nel momento in cui, un vassoio di zuccotti di zucca appena presi da Mielandia tra le mani, entra in casa per la solita cena domenicale.
«Ehi, Harry, indovina!» salta su Ron, quasi travolgendo il fratello seduto accanto a lui. Non gli lascia il tempo di dire nulla che subito aggiunge: «George e Angelina Johnson, te la ricordi? Hanno iniziato ad uscire insieme.»
La prima cosa che il ragazzo fa è forzare un sorriso e commentare con un secco: «Grande.» La seconda è rendersi conto che quella notizia, in realtà, non lo rende affatto felice come dovrebbe. Il suo sguardo si sposta su George e sente di non avere alcun controllo sulle emozioni che ne traspaiono.
L’altro incrocia i suoi occhi solo per un breve istante, poi riabbassa i propri e, la voce monocorde, ammonisce il fratello minore. «Piantala, dai, ci siamo visti appena una volta.»
«Certo,» si affretta ad intervenire Percy, ironico, «e se l’accogli con quell’entusiasmo ci tocca tutti sperare che non sia l’ultima.»
Ron e George stesso scoppiano a ridere e Harry si sforza ad unirsi a loro. Tuttavia c’è qualcosa che lo mette completamente a disagio, così, indicando il vassoio che ha in mano e annunciando che lo porterà alla signora Weasley, si defila subito dopo.
*
Esserne a conoscenza e vederlo con i propri occhi sono due cose completamente diverse. La cena che Molly indice per festeggiare i M.A.G.O. di Ginny, e a cui George si presenta con Angelina, è forse la peggiore che abbia mai trascorso alla Tana.
Harry ci prova ad essere cordiale e allegro, ma il suo malumore continua a schizzare fuori senza che possa farne a meno, finendo col cozzare visibilmente contro la felicità e i sorrisi della festeggiata, seduta accanto a lui.
Nel dopocena, riesce a ritagliarsi finalmente un momento da solo sgattaiolando fino ai margini del cortile, respirando l’aria calda di fine agosto e sforzandosi di schiarire i pensieri. I passi alle sue spalle che risuonano all’improvviso lo fanno voltare di scatto, ma la sorpresa di essere stato seguito scema nel momento in cui vede George.
Il ragazzo gli si affianca silenziosamente, appoggiandosi allo steccato. «Credevo che Angelina ti piacesse,» dice a bassa voce. Harry continua a guardare davanti a sé, sforzandosi di distinguere le forme degli alberi nel buio, ma sa perfettamente che l’altro lo sta studiando attentamente, esaminando ogni sua minima variazione di espressione. Cerca di mantenersi il più possibile neutrale, eppure già sente l’aria intorno pizzicare per la sua sola presenza.
«Certo che mi piace,» replica, senza riuscire a modulare il giusto tono di voce. Poi si blocca, prende un respiro profondo e aggiunge: «Non è questo il problema.»
«Harry,» sospira George. Incapace di trattenersi oltre si volta a osservarlo e lo vede passarsi una mano tra i capelli, in un gesto pieno di stanchezza e forse esasperazione, per poi incrociare il suo sguardo. «Allora qual è?» domanda, ma l’ultima parola che pronuncia risuona come un ordine: «Dimmelo.»
Il problema, riflette, è che non è pronto a lasciarlo andare. Non è pronto a farsi da parte, a permettere a qualcun altro di prendere un posto che, negli ultimi due anni, è sempre stato suo; non è pronto a vedere Angelina - o chiunque - al suo fianco, non è pronto a condividerlo, non è pronto a separare nettamente le loro vite. Non è pronto a rinunciare alla possibilità di averlo, in ogni modo possibile.
Eppure esprimere tutto questo non gli viene affatto facile e l’altro se ne accorge. «Dimmelo, Harry,» ripete in un soffio, con una punta di speranza nella voce, e gli sembra che si sia fatto più vicino, così vicino che l’aria gli manca e la voglia di sporgersi in avanti e baciarlo è più forte di ogni altro istinto.
Chiude gli occhi: in qualche modo resiste. Serra le dita attorno allo steccato, quasi nel tentativo di ancorarsi a qualcosa di solido, e mente. «Non esiste alcun problema.»
George annuisce lentamente e, con un mezzo sorriso tirato che sa di delusione, «Come immaginavo,» conclude. Poi gli dà le spalle e torna sui propri passi, allontanandosi da lui senza aggiungere nulla.
*
Cerca davvero di convincersi che sia meglio così, che le loro vite siano già complicate a sufficienza e che non serva aggiungere altri problemi - che Ginny e ciò che possiede possano tornare ad essere abbastanza. Riesce a trattenersi per tre interi giorni e andrebbe tutto bene, porterebbe sicuramente a compimento il suo intento, se il quarto giorno Ron non gli chiedesse di passare ai Tiri Vispi per discutere del regalo di compleanno per Hermione.
Gli basta vedere George - brevemente, mentre è circondato dalla folla di clienti - perché tutto ciò che ha cercato di mettere da parte gli torni alla mente, come se non l’avesse mai lasciato. Accetta la sua indifferenza fingendo di non notarla, comprendendola persino, ma gli manca ugualmente il coraggio di uscire da lì come se nulla fosse, trattenendosi invece fino alla chiusura del negozio.
«Puoi andare, qui finisco io,» annuncia il gemello all’indirizzo di Ron, e Harry sa che quello è il momento che dovrebbe cogliere per andarsene, per non venir meno alla risoluzione presa, eppure perde anche quell’occasione.
Saluta l’amico temporeggiando goffamente e, quando qualche istante più tardi lo vede uscire dalle porte a vetro e sparire, si gira verso George, scrutando il suo viso per un segnale - uno qualsiasi.
L’altro si mostra però impassibile; si muove per il locale come se lui nemmeno ci fosse, continuando a svolgere i propri compiti. Sentendosi osservato si volta, gli sorride con asettica cordialità - la stessa che rivolgerebbe ad un estraneo - e ripete: «Non mi serve aiuto, davvero, puoi andare.»
La freddezza nel suo tono lo colpisce duramente e gli dà la spinta che tanto cercava. Gli si avvicina e gli posa una mano sul braccio, bloccando il suo movimento a metà.
George gli lancia un’occhiata sorpresa, sondando le sue intenzioni. Aspetta che l’altro si muova, che si allontani e riprenda la distanza necessaria a mantenere stabili i loro rapporti. «Harry,» lo avverte in un sussurro, quando questo non succede.
Il ragazzo lo ignora. Si sporge in avanti lentamente, per dargli la possibilità di scostarsi, e poi di stabile non c'è più nulla. Le loro bocche si uniscono e le mani di George si appoggiano sulle spalle di Harry, se lo attirano contro e gli tolgono qualsiasi traccia di timidezza.
Harry si ancora ai suoi vestiti, lo tiene stretto il più possibile, perché adesso che ha avuto finalmente il coraggio di compiere quel passo non vuole assolutamente cancellarlo. Muove le mani sul suo torace, scostando i lembi della giacca, e gli stropiccia la camicia nell’andare ad accarezzargli i fianchi, nel tentativo di imparare le sue forme.
Si separano dopo un’interminabile quantità di tempo, per guardarsi negli occhi. Harry cerca una minima traccia di senso di colpa, di rimorso, qualsiasi cosa che gli permetta di realizzare che ha appena compiuto un errore: ma lo sguardo di George è caldo, giusto, e di tornare indietro non ha assolutamente voglia.
«Vieni,» mormora l’altro e, prendendogli la mano, gli fa strada verso l’appartamento al piano di sopra.
*
«È davvero quello che vuoi?» gli domanda George, la voce che è uno sbuffo di respiro tiepido sul collo di Harry. Non lo guarda in viso e lui immagina di conoscerne il motivo, di essergliene persino un po' grato.
Sente l’ossigeno mancargli - ma è un’assenza che non fa male - e per questo annuisce solo, l’altro è abbastanza vicino da percepire ugualmente il movimento senza vederlo. Ma non gli basta. «Dillo,» gli chiede.
Harry si muove a cercare la sua bocca, lo bacia ancora, si preme ulteriormente contro di lui. «È ciò che voglio,» soffia fuori, quando il bacio termina. Questo, a George, sembra bastare.
*
Rientra a casa che il sole è ancora adagiato sulla linea dell’orizzonte e l’aria fredda della mattina gli ha permesso di schiarirsi le idee, di realizzare che quanto accaduto non è stato un sogno.
Si butta a letto vestito e sgualcito com’è, e per qualche ora il mondo perde di nuovo consistenza. Alle dieci in punto il campanello suona e il volto sorridente di Ginny - che lo abbraccia ed esclama: «Mi sei mancato!» - gli fa pensare che, forse, sarebbe meglio se fosse stato un sogno.
*
Alla Tana, quando fa il suo ingresso, George sta dicendo: «Non so se ci vedremo ancora.» Le espressioni degli altri Weasley sono dispiaciute, forse anche un po’ deluse dalla situazione, ma lui, intuendo il soggetto della conversazione, non riesce ad unirsi a loro.
Il ragazzo gli sorride apertamente, felice come non lo si vedeva da giorni, ma Harry stringe ancora la mano di Ginny e, nonostante ricambi il gesto, non la lascia andare. L’altro se ne accorge, il suo sguardo si adombra un po’, ma si volta subito richiamato dalla voce di Ron.
«Secondo me una come Angelina non la trovi facilmente,» afferma quello, scrollando le spalle. George tiene ancora saldo il suo sorriso e replica, «Forse ho altri progetti in mente, no?»
Poi si rivolge a lui e domanda: «Tu cosa ne pensi? Dovrei seguire questi nuovi progetti e abbandonare tutto il resto, vero?»
Cosa gli altri si aspettano che risponda, Harry lo sa perfettamente: vogliono che li spalleggi, perché il fratello è stato da solo troppo a lungo e ha bisogno di qualcuno in questo preciso momento.
Ciò che George si aspetta che risponda, però, è diametralmente diverso: desidera che si scosti dalla sorella e gli confermi che sì, vale la pena di seguire quei progetti perché lo porteranno - li porteranno - lontano, o almeno da qualche parte.
In piedi nel mezzo della cucina con i loro occhi puntati addosso, tuttavia, non riesce a fare nessuna delle due cose. Si stringe nelle spalle e serra la mano di Ginny un po’ più forte, come se fosse l’unica certezza che ha al momento - lo è - , come uno scoglio a cui si è aggrappato durante una tempesta e che ha paura di lasciar andare nonostante il mare adesso sembri calmo.
«Io… in realtà non lo so,» replica, abbassando lo sguardo. Poi aggiunge, cercando di assumere un tono vago e leggero, «Sapete che non sono il migliore in questo genere di questioni.»
Anche se evita accuratamente di guardarlo, si sente gli occhi del gemello addosso tutto il tempo e può facilmente immaginarne l’espressione. Nello stesso istante in cui smette di parlare vorrebbe chiedergli scusa, vorrebbe portarlo via e baciarlo come ha fatto la notte precedente, ma non può. Così finge che sia tutto normale, che nulla sia andato distrutto.
*
È sera tarda quando George si presenta a casa sua quello stesso giorno. Davanti alla porta di ingresso, Harry non può evitare in alcun modo di osservare il suo viso ed è senza sorpresa che vi legge quelle stesse emozioni che aveva immaginato di trovarvi qualche ora prima.
«Ascolta…» comincia incerto, facendosi da parte per invitarlo ad entrare. L’altro muove un unico passo oltre la soglia e poi, senza dargli modo di aggiungere nulla, lo interrompe: «No, tu ascolti.»
Harry ha appena il tempo di chiudere la porta e prendere un profondo respiro, preparandosi a ciò che verrà, prima che il ragazzo ricominci a parlare. «Quello che abbiamo fatto è stato uno sbaglio e non deve ripetersi mai più,» lo sente affermare, nel tono più sicuro che possiede. «Non sarebbe mai dovuto succedere, siamo stati due sciocchi.»
Brucia dal bisogno di bloccare quel fiume in piena e chiedergli di non continuare, di non lasciar finire tutto così, ma qualcosa nello sguardo di George - la delusione che vi vede - lo porta a rimanere in silenzio.
«Quando hai detto che avresti lasciato tutto per me,» riprende con un sorriso amaro sul viso, «ti ho creduto. Ed è stato quello il mio primo errore.» Harry si ricorda di quella promessa dolorosamente e il desiderio di tornare indietro, di cambiare la situazione - e cambiare se stesso - si fa sempre più forte. «Adesso non posso crederci più, perché ho capito che tu non sai nemmeno cosa vuoi.»
Si ferma e prende un respiro profondo, sfuggendo per un attimo al suo sguardo. Poi gli appoggia una mano sulla guancia, lo accarezza piano in un gesto che sa di profonda tristezza. «Tu vuoi tutto. Una famiglia perfetta, la felicità di mia madre, di Ginny, dei miei fratelli, la mia e la tua. Non vuoi ferire nessuno e vuoi accontentare chiunque. Ma la verità è che non puoi avere tutto, a volte c’è da scegliere.»
Gli occhi di Harry dicono non farlo, non mettere fine a ciò che abbiamo, ma nemmeno lui può trovare la forza di negare quelle affermazioni, di ammettere che, in realtà, non è affatto un vigliacco. Come intendendo perfettamente la sua domanda silenziosa, George continua, scuotendo la testa: «Ho già perso ogni cosa una volta, non posso sopportare che succeda di nuovo.»
La sua mano abbandona la guancia del ragazzo lentamente, per posarsi poi sulla spalla, scivolare lungo il braccio fino al polso in un’altra carezza. «Ci vediamo presto,» conclude allora, e Harry non riesce a sollevare lo sguardo o a dire qualcosa nemmeno adesso, nemmeno nel momento in cui vorrebbe solo afferrarlo e tenerlo con sé. Una parte di lui sa che quella è la cosa giusta da fare, l’unico modo in cui può salvare George da altre ferite che, prima o poi, finirà col provocargli.
Non può avere tutto, si ripete, e quando il rumore della porta che si chiude elimina qualsiasi possibilità, si rende conto di non poter nemmeno avere ciò che vuole.
*
Quando diverse settimane dopo mette di nuovo piede alla Tana - quando le scuse finiscono e la sua assenza inizia a farsi notare e Ginny è piena di domande e Molly gli ha inviato già tre gufi -, vi trova un’atmosfera festosa e leggera.
George e Angelina sono nel cortile, circondati dagli altri parenti, e la sua ragazza lo conduce lì ridendo e quasi correndo, dicendogli che deve assolutamente vedere.
Da vedere c’è l'anello di fidanzamento che Angelina porta all’anulare sinistro e George che sorride, sembra felice e dice a Ron tra le risate: «Che vuoi farci, l’hai detto tu che una così non la trovo facilmente.»
Harry si immobilizza, si sforza di sorridere quando i loro sguardi si incrociano, modula quasi alla perfezione una voce allegra per il suo: «Congratulazioni.» Intanto, stringe più forte la mano di Ginny - che ricambia, forse inconsapevole o forse più consapevole di quanto lui creda - e, ancora, nel mezzo della tempesta si aggrappa a lei.