Slaving Slaver 5/12

Aug 25, 2011 13:05

[ Titolo: Slaving Slaver]
[ Rating: Rosso ]
[ Genere: Introspettivo, Romantico, Triste ]
[ Capitolo 5/12 ]  
[ Note: Lemon, Slash ]
[ Serie: Original ]
[ Link Efp: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=735614&i=1 ]

Non volevo andare da Dravko a dirgli che mi mancava, che lo volevo di nuovo con me, che avevo sbagliato a lasciarlo, che ero stato uno stupido, un idiota, un totale coglione.
No, non glielo volevo dire.
No, non volevo che sapesse quanto ero debole.
Ma…
Ma era pur vero che la sua assenza mi faceva ogni istante più male, eterna fitta al cuore, che sentivo il bisogno di affondare le dita tra i suoi capelli, la lingua tra le sue labbra e di sentire qualcosa di ben più imponente spingersi in me.
Sentivo il bisogno di averlo, di averlo accanto, di averlo vicino.
Di averlo con me.
Non volevo mostrarmi debole, ma, allo stesso tempo, non riuscivo a sopportare l’idea che Dravko mi stesse ancora lontano, magari inseguendo il bel culetto di quel cantante del cazzo.
Se dovevo aprirmi, per riaverlo, se dovevo mostrargli ciò che davvero pensavo e volevo, se dovevo mostrargli le mie debolezze, pur di far sì che tornasse accanto a me… beh, l’avrei fatto.
Gli avrei aperto il mio cuore, gli avrei mostrato quell’ammasso contorto di timori e delusioni che coltivavo nella mia mente, gli avrei offerto il mio vero me.
Gli avrei detto quanto l’amassi.
Gli avrei detto quanto fosse importante.
Gli avrei detto quanto lo volessi accanto a me per tutta la vita.
Gliel’avrei detto, assolutamente.
Ne ero convinto.
Arrivato davanti all’ambasciata, però, la mia convinzione svanì nel nulla.
Dovevo dirglielo?
Dovevo mostrarmi per ciò che ero?
Dovevo farlo?
O era meglio fare finta di niente, tornare indietro ed andarmene?
No…
No, non era meglio, non poteva esserlo.
Non poteva essere meglio perché il non avere Dravko vicino a me mi distruggeva lentamente, pezzo dopo pezzo e io non avrei potuto continuare a lungo in quel modo.
Dovevo umiliarmi? Okay.
Mi sarei umiliato, ma almeno avrei riavuto Dravko.
Mi avvicinai alla guardia alla porta.
“Devo vedere Dravko.”
Nonostante non passassi lì da un anno e mezzo, le guardie erano comunque abituate a vedermi passare, così non fece troppe storie, dopo una breve perquisizione, nel farmi entrare.
Chissà se già faceva lo stesso con Gabriel, chissà se lo faceva entrare con tanta noncuranza, dopo aver solo fatto il gesto di perquisirlo per approfittarne per stringergli il fondoschiena.
Cercai di non pensarci, perché farlo mi faceva soltanto male.
Mi mossi lungo i corridoi, quasi una seconda casa per me, andando direttamente verso la stanza di Dravko che, pur dopo un anno e mezzo, era stampata a fuoco nella mia mente.
Ignorai gli sguardi delle persone che mi incrociavano, colleghi di Dravko che sapevano bene cosa io fossi per lui.
E davanti alla sua porta, ebbi la seconda crisi di panico.
E se fosse stato dentro con qualcuno?
E se fosse stato dentro con Gabriel?
E se ormai non gliene importasse più nulla di me?
Mi dovetti costringere ad aprire la porta e, così, cercando di impedirmi di entrare nel panico, la spalancai senza neanche bussare.
Dravko e i due russi -potenti uomini, li riconoscevo- seduti davanti a lui alla scrivania, si volsero verso di me, sorpresi ed evidentemente infastiditi.
“Natan.” Mi salutò la voce incredibilmente gelida di Dravko.
Non l’avevo mai sentito così, non avevo mai sentito la sua voce modulata da tale tono.
Era sempre stato dolce con me e mi si era sempre rivolto con un tono tenero.
Quanto l’avevo rimproverato per quello?
Quanto avrei voluto dirgli che l’adoravo?
Quanto mi mancava?
“Possiamo tornare insieme.”
La domanda, perché domanda doveva essere, mi uscì piuttosto male.
L’ambasciatore mi rivolse un’occhiata incredula e innervosita.
“Come, scusa?”
L’ira profonda che caricò quelle parole mi fece sinceramente male.
Non volevo litigare, non volevo mi fraintendesse.
Ero lì per fargli scoprire tutto ciò che gli avevo nascosto in quegli anni.
“Possiamo tornare insieme.”
Ma, ancora, quel punto interrogativo non pareva voler uscire dalla mia gola.
Dravko, dal canto suo, sembrava non avere la minima idea di cosa rispondermi, confuso e infastidito dall’eccessivo carattere autoritario che avevo assunto nei suoi confronti.
Potevo solo immaginare come si sentisse.
Che diritto avevo, dopo un anno e mezzo, dopo averlo lasciato perché voleva sposarmi, di andare a dirgli cosa poteva o doveva fare della sua vita amorosa?
“Non voglio che tu te la faccia con altri!”
La frase era quella che doveva essere, eppure, ancora, il tono non aveva nulla a che fare con ciò che davvero volevo dire.
Doveva essere una confessione, un’ammissione, dovevo mostrargli ciò che davvero avevo dentro.
Non imporgli i miei voleri come un padrone stizzito e innervosito dalle continue ribellioni del suo sottoposto.
Dravko non era il mo sottoposto, era l’uomo che amavo!
L’uomo con cui volevo passare la vita.
Le sue parole, però congelarono ogni mio desiderio ed ogni mia speranza.
“Troppo tardi.”
Avrei voluto morire.
Troppo tardi?
Allora ciò che avevo pensato era la realtà?
Allora davvero il mio amore era ormai impegnato con quella sgualdrinella di un cantante?
Come poteva aver preferito lui a me?
La risposta, purtroppo, era chiara nella mia testa.
Lui sapeva farlo sentire apprezzato, probabilmente.
“Tu e Gabriel…?”
Temetti che sentisse la mia voce spezzata, ma, invece, quello che uscì fu un tono freddo e, ancora una volta, autoritario.
Dal suo punto di vista doveva sembrare che gli stessi imponendo di non incontrare quel ragazzo.
E il fastidio per quell’imposizione fu chiaro dal movimento stizzito delle sue labbra.
“Si, Natan. Io e Gabriel.”
Non era possibile, non… non era possibile.
Era troppo tardi.
L’avevo perso.
Avevo perso Dravko, avevo perso il mio uomo, l’amore della mia vita.
Avevo perso tutto.
“Ti prego!”
Quella che, nella mia testa, era una vera e proprio implorazione, fu tramutata attraverso il filtro delle mie corde vocali in un verso di sprezzante sarcasmo.
L’ambasciatore mosse stizzito le spalle e quasi me lo vedetti addosso, a pestarmi a sangue.
“Perché tu lo sappia, sebbene non vedo perché dovrebbe interessarti, Gabriel è un bravo ragazzo, è dolce, è simpatico e, soprattutto, apprezza la mia vicinanza e mi tiene accanto a sé non per farmi un piacere, ma perché sinceramente mi desidera lì.”
Ma le stesse cose erano vere anche per me!
Dannazione, dannazione, dannazione!
Perché non riuscivo a dirglielo?
Perché le mie intenzioni venivano sempre tramutate in qualcosa di diverso dalla mia voce e dal mio tono?
Perché non riuscivo a essere sincero con lui?
“Dravko…”
E ancora!
Ancora quel tono freddo, ancora quel tono infastidito!
Volevo solo dirgli quanto io l’amassi!
Eppure quelle parole sembravano non voler uscire.
Lui attese pure qualche istante, per permettermi di concludere la mia frase, ma poi scosse il capo.
Per lui, ero un caso perso.
In effetti, lo ero davvero.
“Vattene.” Mi disse gelido.
No.
No, cazzo, no, non volevo andarmene!
Non potevo!
“Dravko…”
Ancora mosse le spalle, infastidito.
“Vattene!” La sua voce tuonò nell’ufficio e nelle mie orecchie facendomi tremare.
Dravko era arrabbiato.
Dravko era arrabbiato con me.
E non ero affatto sorpreso, dopo tutto ciò che gli avevo fatto.
Volevo restare, ma non ne avevo la forza, così chinai lo sguardo e mi allontanai.
Il tempo era scaduto.
Dravko non c’era più, per me.
Avevo perso. Miseramente.

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