Titolo: Crush and burn
Autore:
ary_trueBeta: No one, tutti errori miei. ♥♥♥ *piange*
Fandom: RPF - Nazionale Spagnola ♥
Personaggi/Pairing: Sergio Ramos, Fernando Torres (Sernando ♥)
Rating: R
Word Count: 1646 (
fiumidiparole ♥)
Warnings: Slash, angst a fiumi (Che strano.)
Disclaimer: Solo balle.
Note: ... Altro residuato bellico proveniente dalla mia chiavetta. Tirato fuori per l'occasione, dato che
lamechante si lamenta della mia stitichezza verbale. XD ♥
È una roba di una tristezza veramente improbabile.
E comunque, certo che postare del Sernando dopo aver pubblicato questo stesso pomeriggio una traduzione di ESTUVE... X'D *sotterrasi*
Ci sono delle volte in cui ti rendi conto che stai iniziando a dimenticarlo.
Hai sempre avuto paura che succedesse, fin da quando è partito e ti ha lasciato indietro, in un appartamento, una città, troppo grande (troppo vuota) per essere vissuta da solo, ma in fondo in fondo non avevi mai pensato che potesse accadere davvero, non a voi, non a te.
E invece succede.
Capita ogni tanto, quando bevi troppo, le tue labbra che quasi paiono incollate alla bottiglia in un bacio senza fine, e la testa ti pulsa e il cuore scoppia e le vene ti bruciano perché troppoalcooltroppoalcooltroppoalcool; quando ti ritrovi schiacciato tra lenzuola sconosciute, a perderti tra le cosce di una donna che non ti ricorderai mai la mattina dopo e che nonostante questo ti parla all'orecchio in sussurri che paiono quasi innamorati, perché sei il fottuto Sergio Ramos del Real Madrid e tutti vogliono un pezzo di te - non perché sei Sergio di Camas, non perché sei Sergio l'andaluso e Sergio il ragazzo, ma perché sei una camiseta blanca che profuma di soldi e di luci; quando la notte non hai sonno e scendi per strada e vieni travolto da Madrid, dai suoi colori e dai suoi odori e dai suoi visi tutti diversi e tutti uguali, che ti fanno innamorare e ti fanno sentire nelle ossa che quella è casa, l'unica casa che ti può accogliere e accettare per quello che sei, in ogni singola fibra; quando ti alleni fino a sfinirti e l'unica cosa che riesci a vedere è bianco, bianco a perdita d'occhio, bianco nelle maglie e bianco nel cuore e nella testa e nei polmoni (tu sei un po' troppo rosso, per star bene così. Sei troppo rosso per farti bastare solo il bianco).
In tutti questi momenti, ecco che capisci che stai iniziando a dimenticarlo per davvero.
Non è che sia un pensiero razionale o consapevole, il tuo. Non è un pensiero che vai a cercare, su cui ti piace soffermarti in preda a qualche impulso masochista, è più un rumore di sottofondo, un ronzio, un angoscia latente, quel tipo di paura che senti quando sei piccolo e tremi alla sola idea che qualcosa sbuchi da sotto il letto per rapirti o mangiarti o farti del male, che senti roderti lo stomaco fino a scioglierti le interiora in un acido che ti fa sanguinare e sanguinare e sanguinare, senza che nessuno lo possa vedere, senza che nessuno ti possa aiutare.
Non è che tu voglia dimenticarlo, lasciartelo alle spalle così, come se niente fosse, come se stessi buttando un maglione vecchio che sei stanco di vedere appeso nell'armadio o un paio di scarpe rotte che ormai non sono più buone neanche a occupare spazio nella scarpiera, non è che tu possa effettivamente farlo (non è che tu possa lasciar andare qualcosa che non ti appartiene e non ti è mai appartenuto).
È solo che non puoi farci niente.
Prima è il modo in cui ti si stringeva addosso di notte, le cosce tese ad abbracciare i tuoi fianchi, il naso premuto contro la tua clavicola, la fronte contro la tua spalla, il respiro caldo, lievissimo, che si infrangeva contro la tua pelle che ti mandava una cascata di brividi lungo la schiena e ti faceva stringere un po' più forte i suoi fianchi tra le dita.
Poi è la curva del suo collo, bianchissima e perfetta, esposta ai tuoi baci infinite volte: il suo sapore, la sua consistenza sotto le labbra, il suo calore; il modo in cui i capelli gli accarezzano la nuca, mentre crescono e crescono e crescono, fino ad scivolargli sulle spalle in un'onda d'oro sporco (che ha tagliato via); l'esatta piega della sua bocca quando sorride per un motivo piuttosto che per un altro: quando sorride di cuore e puoi vedere le sue guance tendersi fino a fargli male e sembra brillare di tutta la luce del mondo tanto è felice, oppure quando ti prende in giro e le sue labbra si arricciano un po' nel tentativo di non ridere troppo rumorosamente, quando resta piacevolmente sorpreso da una tua parola o da un tuo gesto e le sue labbra si piegano appena, morbide e invitanti, oppure ancora quando sorride perché sa di doverlo fare ma non lo sente, perché in realtà è triste, e per quanto si sforzi non riesce proprio a sollevare gli angoli della bocca in qualcosa di diverso da una smorfia desolata; il suono della sua voce proprio contro il tuo orecchio, di primo mattino, mentre ti implorava rocamente di fargli la colazione o ti chiedeva perfavoreperfavore di abbassare la tapparella che lasciava passare i raggi del sole e di fingere che la notte vi abbracciasse ancora, solo per un altro po'; il sapore della sua bocca calda e cedevole, della sua pelle morbida, delle sue lentiggini e del suo (vostro) sudore e delle sue risate e della sua anima contro la lingua.
Sono tutti particolari minuscoli, a ben vedere, particolari che non direbbero niente a nessuno, a parte te, perché sono i tuoi occhi che li hanno registrati, le tue mani che li hanno colti, il tuo cuore che li ha conservati.
Momenti che hai raccolto con calma, nel corso degli anni, che ti sono entrati dentro con l'intimità e l'abitudine e che pensavi fossero tuoi per sempre, perché sei sempre stato bravo a custodirli gelosamente, come tesori, e perché sono sempre stati l'unica cosa che effettivamente ti spettasse di lui (l'unica cosa che potessi reclamare).
E un tempo ti bastava chiudere gli occhi, e ognuno di questi particolari ti esplodeva nella mente con la forza di un petardo, tutto colore odore sapore, vivissimo e doloroso e ancora caldo, come il sangue che scorre da ferita fresca, non ancora ripulita e curata.
Un tempo le sue visite erano più lunghe, i pensieri e le percezioni erano diversi, i desideri per il futuro avevano un'altra consistenza: non c'era spazio per bambini con i tuoi occhi o per pareti bianchissime della casa dei sogni, quella in cui trascorrerai la vecchiaia una volta che sarai diventato troppo grigio e troppo stanco del trantran della tua vita.
Non c'era spazio per la famiglia, per quella parte di te che con Madrid e il calcio non ha mai davvero avuto a che fare, per quella parte di te che non hai mai lasciato prendere a nessuno perché quello è passatopresentefuturo.
Non c'era spazio per l'Andalusia, sempre e comunque lei, l'Andalusia e Siviglia e Camas, autonnoinvernoprimaveraestate, da dividere con qualcuno.
Un tempo, non eri un uomo. Eri un ragazzino, e ai ragazzini bastano le promesse.
Poi, da un giorno all'altro, sei cresciuto.
Sei cresciuto e con te sono cresciuti i bisogni, le voglie, i desideri, le paure, lui.
Sei cresciuto e i colori hanno smesso di essere così violenti e gli odori hanno iniziato a confondersi e i sapori hanno perso la loro intensità, e per quanto ostinatamente tu abbia provato a negarlo, per quanto abbia tentato di combattere contro il tempo e la vita, alla fine ti sei reso conto con una certezza sempre più devastante che tutto, semplicemente, stava sbiadendo, che i tuoi ricordi stavano scivolando via.
Sei cresciuto, e non ti sono più bastate (non ti bastano) le promesse, non ti è più bastato (non ti basta) lui.
Lui che ha una bambina così bella che ogni volta che la vedi ti si gonfia il cuore, e ti senti male perché vorresti fosse anche tua; perché ha i suoi occhi, un sorriso che le scava due fossette minuscole ai lati del viso, un nasino all'insù che urla regalità, ed è così dolce, quando ti manda un bacio in punta di dita con quelle sue mani minuscole, che a volte hai paura che non riuscirai ad amare un figlio tuo come ami lei, perché lei è sua in ogni più piccola espressione, e non c'è niente in vita tua che tu abbia mai amato altrettanto.
Lui che ormai non ha più la cresta, non ha più i capelli biondi, ha un viso più maturo, una risata più controllata, una nuova luce negli occhi che puoi cogliere solo attraverso lo schermo di una telecamera, e magari anche lui sta dimenticando come fosse la vita prima, ma a riempire il vuoto ci sono famiglia responsabilità vita, e quindi non ha paura, non si aggrappa a quelle forme non forme con la consapevolezza che ci sia qualcosa che dentro muore.
Lui che nonostante tutto questo ti ama, e non dovrebbe, non potrebbe, però lo fa comunque, e tu lo stai dimenticando troppo ma non abbastanza per non sentirti soffocare.
E non c'avresti mai creduto da ragazzino, ma la verità è che a volte l'amore proprio non basta; perché per quanto tu possa amare qualcuno, e quel qualcuno possa amare te, il mondo può sempre fottersene di voi e girare al contrario; perché l'amore non ti stringe, non scalda l'altro lato del letto quando fa freddo, e per quanto tu possa tirarlo, per quanto tu stropicciarlo con tutte le tue forze e le buone intenzioni di questo mondo, non sempre riesce a riempire le distanze che ti separano dalla persona che vuoi.
E questi siete tu e lui, ecco. Dall'inizio fino ad oggi.
Ed è forse per questo che ormai ogni incontro si trasforma in una lotta, in baci che diventano morsi e carezze che diventano strette violente e fiumi di parole che diventano silenzi assordanti fatti solo di respiri gemelli: perché solo così riesci ad andare abbastanza a fondo da ricordare di nuovo, da ridare respiro alla memoria e al cuore, solo così puoi assicurarti che esistete ancora, che non siete ricordi sbiaditi, che siete reali finché l'ostinazione (l'amore) e l'abitudine (il bisogno) e l'inerzia (paura di lasciarsi andare e di perdersi definitivamente) vi terranno insieme, premuti l'uno contro l'altro in un divano o in un letto troppo piccolo, solo così puoi fingere di controllare la fottuta rotazione terrestre per orientarla in modo da rendere quei momenti finalmente (nuovamente) giusti.