Una fuga d'amore Bonus - capitolo secondo

May 17, 2011 14:38


Oggi è decisamente una giornata NO >.<

Titolo: Una fuga d'amore - Bonus
Capitolo: 2 (su 2)
Autore: Eos_92
Gruppo: Kis-my-ft2, KAT-TUN, Jin Akanishi
Coppie: Nikaido/Senga, (Akanishi/Kamenashi)
Genere: agnst (un po'), introspettivo, romantica, longfic, au
Rating: pg-15
Avvertimenti: yaoi
Disclaimer: i personaggi non mi appartengono.


Le luci psichedeliche di una discoteca ci hanno salvato.

La sua figura, l’immagine di lui che ho di spalle impressa nella mente, che ci trascina per mano fuori da quell’inferno.

Lui ci ha salvati.

E quel volto sorridente che vedemmo, una volta usciti, mi illuminò come il sole, all’improvviso.

Quel ragazzo camminò verso di noi e gli baciò le labbra, poi ci scompigliò i capelli.

Forse ci sentimmo vivi. Forse per la prima volta.

Primavera.

La primavera dei loro diciassette anni.

Il sole filtrava caldo dalla finestra, in quell’unica stanza che era il loro appartamento.

Nella grande metropoli. A Tokyo, avevano iniziato una nuova vita.

Un dio bellissimo li proteggeva, e un angelo sorrideva loro.

Portandosi le mani al volto, Kento si strofinò gli occhi e, intravedendo quella luce dorata, si convinse di aver dormito abbastanza e che era arrivata l’ora di cominciare la giornata.

Takashi aveva già lasciato il letto. Sicuramente era fuori a correre. Ci teneva molto al fisico, lui.

Chissà se gli avrebbe riportato quei biscotti che tanto gli piacevano?

Spogliandosi della maglietta che indossava a mo’ di pigiama si buttò sotto la doccia e il getto d’acqua freddo lo fece sussultare.

Con l’asciugamano intorno alla vita si asciugò subito i capelli. Odiava tenerli bagnati, e aveva anche paura di ammalarsi. Posando il phon a terra, quando si alzò si ritrovò davanti allo specchio e si accorse di essere cambiato. Forse il viso iniziava ad avere dei tratti  un po’ più adulti, ma le guance rimanevano comunque paffute.

Da quando faceva quel lavoro, e tra poco sarebbe stato un anno, sotto gli occhi scuri le occhiaie non sparivano mai, anche se poi venivano a coperte con il fondotinta.

Non sapeva davvero da dove Takashi riusciva a trovare l’energia per andare a correre, lui si sentiva così stanco che si sarebbe rigettato subito tra le coperte.

Voleva dormire.

“Sono tornato!”

Ed era allegro, come sempre.

Uscì dal bagno e lo accolse sorridendo.

“Non puoi farti trovare mezzo nudo!”

“Ma se mi ci vedi ogni sera!”

Si sedette sul letto invitando Takashi a fare altrettanto.

“Devo lavarmi”

Effettivamente, il sudore gli bagnava il volto e il collo, e qualche goccia si staccava dai suoi capelli corvini e si perdeva a terra.

“Dai, fai colazione con me!”

Kento allungò un braccio e gli afferrò una mano trascinandolo sul materasso.

Magari la situazione appariva un po’ ambigua, ma nessuno dei due ci faceva caso, la quotidianità poteva anche essere bella, e a loro piaceva coccolarsi.

Takashi porse a Kento il sacchetto che aveva in mano: erano biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.

Gli sorrise, come un bambino, e non erano realmente tanto più di quello.

Il pensiero della notte che inevitabile sarebbe arrivata era ancora lontano, perso tra le vie della città e tra il cielo azzurro.

Takashi gli passò le dita tra i capelli chiari, li aveva tinti da qualche mese, ma non avevano perso la loro morbidezza.

“Sono rimasti morbidi” gli disse non togliendo la mano.

“Mh…” mugugnò ingoiando un altro boccone, “È tutto merito della schiuma che mi ha regalato Kamenashi-san”

Takashi annuì.

“Ci vorrà ancora parecchio tempo pria di riuscire a guadagnare i soldi necessari per sdebitarci”

“Ma Akanishi-san ha detto che non li rivuole, i soldi… basta che riusciamo a metterne da parte un bel po’ e poi ci farà uscire da lì…”

Takashi non rispose, si guardava intorno preoccupato: per quanto piccolo, quell’appartamento vicino al centro era costato parecchio, e in quasi un anno i loro risparmi non erano stati molti.

“Nika-chan… pensi che Akanishi-san non mantenga la sua parola?”

“No… non penso sia il tipo… non preoccuparti”

Gli scompigliò un po’ i capelli, poi entrò nel bagno.

Kento fissò la sua figura scomparire, sapeva bene quanto la questione dei soldi lo preoccupasse e quanto si fosse stancato di lavorare lì dentro, ma non potevano farci nulla.

Dovevano tutto ad Akanishi-san, come il sole che dona vita al mondo, come una divinità benevola che li aveva accolti sotto la propria custodia.

Si cambiò con una tuta e decise che avrebbe preparato il bento e poi lo avrebbe portato a quei due, per quel che sapeva Akanishi non amava cucinare e Kamenashi si sarebbe cibato solo di latte.

“Nika-chan! Vado a fare la spesa!”

E mentre sentiva la risposta affermativa dell’altro, si chiuse la porta alle spalle, sospirando appena.

Quel ragazzo era la stella del locale, riusciva ad ammaliare tutti con un solo sguardo. Il modo lascivo e sensuale con cui si privava dei vestiti lasciava tutti a bocca aperta.

Uscendo dal retro del palco si ritrovò nel corridoio pieno delle porte dei camerini.

Kento gli porse la borraccia con l’acqua, Takashi un accappatoio bianco che indossò sopra alla camicia, suo unico indumento.

Ormai ci avevano fatto l’abitudine, ma era comunque una situazione molto imbarazzante.

“Sei stato fantastico anche oggi Kamenashi-san!” esclamò Kento riprendendo la borraccia e inchinandosi.

Kamenashi sorrise debolmente.

“Grazie per il bento, Senga, Jin lo ha moto apprezzato”

Kento si inchinò nuovamente e le guance gli si imporporarono; ne era certo, lo sguardo di Takashi si spostava indagatore dal proprio viso a quello pallido e magro di Kamenashi.

Ma che poteva farci? Era un tipo sensibile ai complimenti.

“Mi raccomando, mettetecela tutta”

Kamenashi diede loro una pacca sulle spalle e si diresse verso la porta del proprio camerino, l’unica porta bianca, senza alcuna scritta.

Le voce che giravano su Kamenashi non erano affatto belle, si diceva che quella porta candida, l’unica porta bianca, senza alcuna scritta.

Anche se non si era mai potuto accertare del contrario: prima della fine della serata, loro avevano l’obbligo di lasciare il locale, così aveva voluto Akanishi.

Akanishi Jin si fingeva un cameriere, ma in realtà era molto di più: erano anni che lavorava lì dentro, e tutti avevano grande rispetto per lui.

“Senga, ti sei di nuovo perso nei tuoi pensieri!”

“Ah! Scusa, Nika-chan!”

Lo guardò con aria colpevole, gli occhi di Takashi erano stranamente troppo seri, e ora che ci pensava, erano in quel modo da quando lo aveva visto preparare il bento per i loro senpai.

“Non mi piace come lo guardi”, e lo precedette nel salire sul palco.

I loro movimenti non erano sincronizzati. Ciò non accadeva mai, eppure il pubblico non pareva accorgersene, non c’erano né fischi né borbottii di disappunto. Tutto era uguale ai giorni precedenti, ai mesi precedenti.

Forse c’era qualcos’altro che era stato privato della sincronia.

Più Kento guardava Takashi e più gli appariva distante; cercava di riprodurre la sua stessa intensità nei gesti, ma gli risultava impossibile.

Takashi era avvolto dalla musica, si era impregnata alla sua pelle che iniziava a brillare bagnata sotto la luce bollente, e la musica creava una barriera che Kento non riusciva ad infrangere. In nessun modo.

Takashi fissò il pubblico e riuscì ad analizzare i volti di ciascuno che venivano illuminati.

Avrebbe voluto cavare gli occhi a tutti quanti erano presenti. I loro occhi lucidi e colmi di desiderio. Di sicuro la eco dello spettacolo di Kamenashi risuonava ancora.

Ma poteva vedere la loro voglia aumentare guardando Kento che ballava accanto a sé.

Per un attimo i loro occhi si legarono e il suo cuore perse un battito. Un battito importante, perché mancò un accento e sbagliò un passo. Un piccolissimo passo, una sciocchezza, nessuno se ne accorse, ma forse Kento sì.

Come osavano guardare in quel modo il suo Senga?

Okay… non era suo, ma il sangue gli ribolliva nelle vene.

D’accordo, indossava solo un paio di calzoncini corti e aderenti e una canottiera, ma che sguardi erano quelli? Perché dovevano essere tutti così maniaci?

Avesse potuto ragionare razionalmente si sarebbe risposto che si trovavano in un locale di ballerini mezzi nudi dove l’attrazione principale era uno spogliarellista, e che quindi quelli sguardi erano più che appropriati.

Solo che il suo cervello proprio non voleva funzionare.

E poi anche quell’Akanishi, per quanto gli era grato per aver dato loro un posto dove abitare, per averli trascinati via quella sera d’estate da quella discoteca senza chiedere nulla, gli puzzava di maniaco.

Era gay, no? Stava con Kamenashi, no?

Ma se stavano insieme perché gli permetteva di spogliarsi?

Perché gli permetteva di andare a letto con chiunque? Perché erano quelle le voci che giravano, e lui in fondo ci credeva.

Che Kamenashi avesse puntato gli occhi addosso al suo Senga?

La musica terminò, non sapeva neanche come era riuscito a concludere il balletto; fortunatamente il corpo aveva continuato da solo, senza il supporto della mente.

“Nikaido-kun, Senga-kun, complimenti, siete stati bravi!”

Un ragazzo, poco più grande di loro, sorrise avvicinandosi.

I due si inchinarono.

“Lo so che avete finito, ma siccome andate nei camerini, potete portare questi a Kamenashi-san?”

Erano i vestiti che si era tolto durante lo spettacolo.

Quando si trovarono davanti alla porta bianca, senza neanche rifletterci Kento bussò, non ricevendo risposta, e ignorando la voce di Takashi che gli ripeteva di lasciar stare, e che potevano posare quegli abiti lì davanti, spinse la porta.

Proprio come quando si è bambini, e si scopre che quel dolce sogno ricorrente non potrà mai essere vero, la stessa delusione che si prova in quella situazione, strinse in cuore a Kento, che si lasciò sfuggire un grido di sorpresa e i vestiti caddero sul pavimento con un tonfo sordo.

C’era un uomo seduto sul divano nel camerino, e la sua mano enorme teneva bloccata la testa di Kamenashi, all’altezza del proprio fallo.

Kamenashi era inginocchiato davanti a lui, e non si erano accorti di nulla, fino a quando non ebbero sentito l’urlo.

Kento era immobile con gli occhi sbarrati, non riusciva a dire nulla, nemmeno scusarsi o inchinarsi, nulla. E la mano di Takashi lo trascinò fuori dalla stanza e richiuse la porta.

“Non… è vero…” disse in un soffio Kento.

“Che cosa ci fare qui?”, Akanishi li guardava severo.

Non si era ancora cambiato dagli abiti da cameriere. Abiti… boxer attillati e giacca nera.

“Ci hanno detto… di consegnare questi a Kame-“, la risposta pronta di Takashi fu interrotta da un gemito che proveniva dall’interno della stanza.

Akanishi spalancò la porta.

Quell’uomo teneva Kamenashi per i capelli, e lo aveva spinto contro il muro.

Kento e Takashi non poterono assistere a ciò che successe dopo, Akanishi aveva loro ordinato con lo sguardo di andarsene, avevano potuto solo sentire un rantolo di dolore uscire dalla bocca del cliente.

Camminavano a testa china, avrebbero raggiunto l’appartamento a piedi.

Le spalle di Kento ancora si alzavano e si abbassavano, non aveva ancora smesso di piangere.

Takashi non riusciva a dirgli nulla. Da una parte avrebbe voluto urlargli e rimproverarlo per non aver aperto gli occhi, era così logico che quelle voci fossero vere; ma dall’altra sentiva un forte bisogno di abbracciarlo, di tenerlo stretto.

Ma le mani tremavano.

“Senga…”, gli circondò le spalle con un braccio, obbligandolo a fermarsi.

Era notte fonda, ma il viale era illuminato. Si sedettero su una panchina sotto un enorme albero di ciliegio. In fiore.

Kento si lasciò trasportare e una volta seduto appoggiò la testa sulla sua spalla, calmandosi sotto i tocchi leggeri di Takashi.

In che cosa vuoi riporre ciecamente la tua fiducia?

In qualcuno.

All’improvviso Takashi gli sollevò il mento, senza pressione, e appoggiò le proprie labbra sulle sue.

Kento si scostò poco dopo, non divincolandosi dal suo braccio e lo fissò negli occhi, arrossendo.

“Perché l’hai fatto?” riuscì a chiedere, il cuore che aumentava sempre di più i suoi battiti.

“Non te l’ho mai detto. Mi piaci. Tanto. Da sempre”

Non era stato difficile. Le parole avevano abbandonato la sua bocca con estrema facilità, si erano staccate dalle sue labbra, spinte dalla lingua e si erano impresse nella mente di Kento.

Aveva smesso di piangere.

“E sono geloso… di tutti. Di Kamenashi, di Akanishi, di tutto il pubblico che ci guarda. Potessi esserlo, sarei geloso anche di questo albero e del cielo che ti sta guardando… non fare quella faccia, ti prego, non sono pazzo”

Anzi, non era ma stato più lucido.

In tutta la sua vita, passata allo sbaraglio, poteva affermare che mai era stato serio come in quel momento.

Kento non sapeva che cosa rispondere.

Takashi avvicinò ancora una volta la propria bocca a quella dell’altro, pregando un dio, o qualunque altra cosa affinché Kento non si scostasse.

Non aveva mai pregato niente o nessuno, aveva sempre cercato di andare avanti da solo. Ma l’unica persona alla quale avrebbe venduto ad occhi chiusi la propria fiducia l’aveva davanti.

E aveva accettato il suo bacio.

Quando senti la lingua di Kento farsi strada timida tra le sue labbra, Takashi sorrise.

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