Titolo: Di racconti dell'orrore e prove di coraggio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: rosso
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred Jones (America), citati: un po' tutti.
Pairings: Inghilterra/America
Riassunto: "C’era un aspetto del campeggio che Arthur non aveva mai tenuto in considerazione, ma quella sera, dopo cena, dovette ricredersi. Kiku aveva organizzato una maratona di racconti dell’orrore attorno al fuoco e l’idea si era rivelata un successo."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Gakuen AU. Mmmm... niente. Perchè secondo me Arthur può essere tranquillamente seme. u_u
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A volte Arthur si chiedeva se il suo fosse masochismo o semplice incapacità di dire “no” quando la situazione lo richiedeva. E quella in cui si trovava in quel momento, oh, l’avrebbe richiesto eccome!
Il club del campeggio della World Accademy, per l’anniversario della sua fondazione, aveva organizzato una gita invitando anche i rappresentanti degli altri club a partecipare. Ora, a prescindere dal fatto che Arthur non sapesse nemmeno dell’esistenza del suddetto club e dei suoi membri, figuriamoci del suo anniversario, ancora si stava chiedendo perché fosse stato trascinato in quella storia assurda, a parte il fatto che il preside gli aveva chiesto di vigilare sui partecipanti in qualità di presidente del consiglio studentesco, ovviamente.
Dal suo punto di vista il campeggio non aveva nessuna attrattiva: cosa poteva esserci di bello nel dormire per terra, mangiare all’aperto, impiegare una vita ad accendere il fuoco se disgraziatamente nessuno aveva i fiammiferi e sentire costantemente freddo e umido? Arthur non lo capiva, in compenso sentiva sempre più acuta la nostalgia di una tazza di tè.
L’unico motivo per cui non aveva ancora piantato in asso tutti quanti era l’evidente entusiasmo manifestato dal suo ragazzo, che non se l’era sentita di raffreddare. Da quando erano arrivati quella mattina, Alfred non aveva fatto altro che correre avanti e indietro per il campo montando la tenda, preparando il barbecue, avvitando canne da pesca e dando una mano a chiunque ne avesse bisogno. Feliciano gli aveva chiesto aiuto per dei paletti che non si piantavano, Kiku di dargli una mano a raccogliere la legna per il falò di quella sera, Francis si era raccomandato per i pesci necessari alla cena, e in tutto questo Arthur era rimasto in disparte ad osservarlo quasi ammirato. Erano ancora nelle fasi iniziali della loro relazione, se così si poteva dire, e stava prendendo le misure su cosa fosse opportuno fare e cosa no. Per il momento, in pubblico, tendeva ancora ad assumere il ruolo dell’amico d’infanzia che lo sgridava costantemente, ma in realtà invidiava la sua spontaneità. Alfred non si era fatto il minimo problema a sbandierare ai quattro venti che stavano insieme e non si poneva remore alle semplici dimostrazioni d’affetto che tanto imbarazzavano Arthur.
«Arthieeeeee!! »
La voce squillante dell’americano lo distrasse dalle sue momentanee riflessioni e quando alzò gli occhi lo vide procedere nella sua direzione con un sorriso luminoso e… fradicio da capo a piedi.
«Ma che hai fatto, idiota?! » esclamò Arthur correndogli incontro, preoccupato nonostante il solito tono brusco. «Possibile che tu non faccia altro che disastri? »
Alfred scoppiò a ridere vivacemente.
«Sono solo scivolato nel torrente mentre procuravo la nostra cena! » disse sventolando un secchio sotto il naso dell’inglese. «Trote! Saranno deliziose arrostite sul barbecue! »
Arthur storse il naso: trote, fantastico… Era già tanto che Alfred non proponesse di cuocerle intere sul fuoco alla maniera dei cow-boy.
«Sei stato bravo. » commentò, sentendosi in colpa all’idea di smorzare il suo entusiasmo. «La prossima volta però cerca di non cadere in acqua. Se ti venisse un raffreddore dovremmo tornare al campus in tutta fretta. »
«Sìììì, mamma! » cantilenò l’americano mentre Arthur recuperava un asciugamano dalla loro tenda.
Mamma un accidente! Cosa sarebbe successo se si fosse preso davvero un malanno? Come minimo sarebbe toccato a lui sopportarlo per tutto il tem-…
Il pensiero si bloccò a metà quando, scostando il telo, si trovò davanti Alfred a torso nudo, intento a strizzare la maglietta. Non poté fare a meno di indugiare con lo sguardo sulle braccia tornite, la schiena ampia e i muscoli ben definiti: un fisico degno del capitano della squadra di baseball. Non c’era da stupirsi se mezza scuola gli moriva dietro, lui non faceva certo eccezione. Arrossendo, distolse lo sguardo e gli lanciò la salvietta.
«Oh, per la miseria, vestiti! » sbottò, ricevendo in risposta solo un’allegra risata.
C’era un aspetto del campeggio che Arthur non aveva mai tenuto in considerazione, ma quella sera, dopo cena, dovette ricredersi. Kiku aveva organizzato una maratona di racconti dell’orrore attorno al fuoco e l’idea si era rivelata un successo. Il giapponese si era rivelato una fonte inesauribile di storie inquietanti su spiriti e demoni del suo Paese, così come Dimitru non aveva lesinato aneddoti sui vampiri rumeni, facendo onore alla sua appartenenza al club di magia nera. Dal canto suo Arthur aveva attinto a piene mani dalla tradizione letteraria inglese e si era goduto le espressioni terrorizzate del pubblico.
Feliciano se ne stava stretto stretto a Ludwig, mentre l’integerrimo direttore del giornalino scolastico sembrava più imbarazzato che spaventato. Tutt’altra reazione aveva avuto Antonio che, in circostanze normali, non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione per allungare le mani su un Lovino terrorizzato, ma che ora appariva piuttosto spaurito. Quello che però gli dava più soddisfazione in assoluto era Alfred: l’americano era raggomitolato su sé stesso, stretto in una coperta da campeggio, e lo fissava con gli occhi spalancati. Si vedeva chiaramente che stava tremando e non certo per l’aria fresca della sera.
«E quando gli agenti andarono a controllare seguendo il miagolio, » terminò di raccontare Arthur. «trovarono murato nella parete sia il cadavere della moglie che il gatto nero ancora vivo! »
Le ultime parole, pronunciate in tono lugubre, strapparono ad Alfred uno strillo terrorizzato, seguito a ruota da quelli di Feliciano e Lovino e quindi di Antonio. Per reazione sobbalzarono tutti, più per il volume raggiunto dalle urla che per altro.
«Basta! La serata dell’orrore si conclude qui! » protestò Alfred. «Basta! Basta! »
Ad Arthur venne da ridere: era assurdo come quel ragazzo proclamasse la sua “eroicità” e poi andasse nel panico per sciocchezze come quelle.
La sua opposizione però venne accolta da Kiku con un sorriso disteso.
«Se mi permettete, passerei allora ad illustravi il momento clou della serata, tenuto in serbo finora per rendere il tutto più emozionante. » disse il giapponese. «La prova di coraggio! »
Tutti gli sguardi si focalizzarono su di lui, in attesa di ulteriori dettagli, che non tardarono ad arrivare.
«Si tratta di un classico della tradizione del campeggio, ma non per questo credo sia necessario apportare delle modifiche troppo complicate. Estrarremo a sorte un fortunato e questo, insieme a una persona a sua scelta, dovrà semplicemente trascorrere la notte nel bosco oltre il torrente. »
Davvero un classico da animazione vacanziera, si disse Arthur alzando gli occhi al cielo, di quelli che costringono le coppie a passare forzatamente del tempo da soli nella speranza che tra loro succeda chissà cosa. Il tutto ovviamente per la soddisfazione della sete di gossip di quelli che avrebbero atteso al campo. Lui non avrebbe mai preso parte ad un gioco tanto stupido, senza contare che aveva già qualcuno con cui fare coppia, quindi non avrebbe fatto notizia.
Mentre Francis passava in rassegna tutti i componenti del gruppo seduto attorno al fuoco, facendo pescare loro bastoncini alla moda giapponese, Arthur si convinse che, per quanto il gioco potesse essere truccato (e di certo lo era), si sarebbe focalizzato su coppie più interessanti come Ludwig e Feliciano, o Gilbert ed Elizaveta. Le probabilità di finire coinvolti erano praticamente null-…
«Alfred! »
Che?!
«Che fortuna! »
Cosa?
«Chi vuoi portare con te? »
No-no-no!
«Arthur, ovviamente! »
L’inglese crollò con la testa sul petto. Oh, andiamo, c’era un limite anche alla sfortuna!
Lui non aveva nessuna voglia di passare la notte all’aperto: faceva freddo, era umido, inorridiva all’idea di dover dormire per terra e…
E non sarebbe riuscito a dire di no agli occhioni imploranti di Alfred nemmeno tra un milione di anni.
«Va bene. » capitolò quindi, e fece appena in tempo a pronunciare quelle brevi parole che si trovò l’americano addosso, che lo stritolava nella sua presa ferrea.
«Yeah! Andiamo a fare il nostro dovere eroico! » esclamò Alfred ma, sotto quel superficiale entusiasmo, Arthur poteva ancora vedere il precedente pallore.
Ah, dannazione! Sarebbe stata una lunga notte. Di solito, quando il suo ragazzo era in quello stato, l’idea di dormire era impensabile.
«Quando torneremo a casa, come minimo, dovrai offrirmi da bere nella sala da tè più costosa della città! » sbottò, ma le sue proteste passarono del tutto inascoltate mentre Francis e Kiku, con sorrisi sornioni che prima non aveva notato, mettevano loro in mano due sacchi a pelo arrotolati.
«Buona fortuna! » ammiccò il francese sollevando un sopracciglio e facendo rabbrividire Arthur.
L’intero gruppo li scortò fino al torrente, lo stesso dove i ragazzi avevano pescato quel pomeriggio ma che ora, sotto i raggi freddi della luna, sembrava molto meno accogliente. La luce pallida si rifletteva sulle acque rendendole argentee e i rami degli alberi sull’altra riva si protendevano verso di esse come scheletriche braccia scure.
Alfred tremò da capo a piedi mentre stringeva il sacco a pelo arrotolato. Era terrorizzato all’idea di inoltrarsi là in mezzo, ma se l’avesse ammesso la sua fama di eroe ne avrebbe risentito. Inoltre doveva proteggere Arthur, poco importava l’opinione scettica dell’inglese. Allungò la mano per stringere la sua, ma il gesto venne interrotto da Francis che lo spinse avanti e le sue dita si chiusero sul nulla. Quando furono di fronte al semplice guado, rappresentato da una fila di grosse pietre che emergevano dall’acqua, Kiku lasciò loro un’ultima raccomandazione.
«Fate attenzioni agli spiriti dei boschi, sono piuttosto irascibili se vengono disturbati. »
A quelle parole Alfred s’irrigidì e rischiò di scivolare in acqua, vedendosi costretto a saltare al volo sulle ultime pietre per mantenere l’equilibrio. Quando tornò a voltarsi verso l’altra sponda, vide solo le schiene degli amici che si allontanavano, accompagnate dalle loro risate.
«Gli… spiriti dei boschi? » mormorò inquieto all’indirizzo di Arthur, che si limitò a lanciargli un’occhiata di sufficienza.
«Troviamo un posto più riparato dove stendere i sacchi a pelo. » fu la risposta. «Non mi va di dormire vicino all’acqua, è umido. »
Alfred lo seguì incerto, mentre si addentrava nel bosco, chiedendosi che motivo ci fosse di andare in un posto buio e popolato di spiriti quando potevano rimanere allo scoperto, sulle sponde del torrente. Contro la sua volontà e prima che potesse impedirlo, la sua mano si mosse da sola, andando a stringere l’orlo della maglietta di Arthur. Non perché avesse paura, eh! Semplicemente non poteva permettere che l’inglese si perdesse. L’altro non se ne accorse o, molto più probabilmente, finse di non accorgersene e proseguì finché non trovò una macchia di cespugli di suo gradimento accanto alla quale stendere il suo sacco a pelo. Vi si avvolse, diede le spalle ad Alfred e chiuse gli occhi.
«Bene. Buonanotte. »
L’americano rimase in piedi al suo posto, totalmente basito: che storia era quella? Niente incantesimi contro gli spiriti maligni? Niente rituali che garantissero loro protezione? Non che Alfred ci credesse, era Arthur quello fissato con la magia e gli amici immaginari, ci aveva pensato solo come ultima risorsa. L’inglese però non dava segno di voler fare alcunché, quindi si risolse a sedersi a sua volta, aprendo il sacco a pelo e avvolgendoselo attorno alle spalle nel tentativo di placare i tremiti. Era una crudeltà proporre una prova di coraggio dopo una maratona di racconti dell’orrore, Kiku doveva essere un sadico. E Arthur? Perché stava così in silenzio? Possibile che stesse davvero dormendo, dopo essersi lamentato tutto il giorno per la scomodità? E se fosse stato rapito dagli spiriti lasciando solo il corpo come involucro vuoto? Oh, no!
«A… Arthie…» provò a chiamarlo sommessamente. «Stai dormendo? »
Nessuna risposta.
Brutto, bruttissimo segno. E se le sue ipotesi si fossero rivelate corrette? Cosa ne sarebbe stato di loro?
In quel momento un fruscio tra le fronde lo fece sobbalzare. Gli spiriti non facevano rumore quindi poteva essere… il gatto nero immortale!
Con uno strillo terrorizzato si lanciò addosso ad Arthur che, per reazione, urlò a sua volta balzando a sedere.
«Ma sei idiota?! » inveì. «Oh, God! Mi hai fatto prendere un colpo! »
Per tutta risposta Alfred gli gettò le braccia al collo, piagnucolando.
«Oh, meno male! Sei vivo! Non ti hanno rapito gli spiriti! »
«Che…? Non ci sono spiriti in questo bosco. »
«Come fai a dirlo? Kiku ha detto che…»
«Ti dico che non ce ne sono, altrimenti lo saprei. È troppo frequentato dai campeggiatori perché qualche creatura fatata si prenda il disturbo di restare. »
In effetti come spiegazione poteva avere senso, almeno chiariva perché Arthur non avesse preso nessun genere di precauzione. Anche se…
«E il gatto nero immortale? Quello non ha problemi con i turisti, no? »
«Alfred…»
«Potrebbe saltare fuori all’improvviso e…»
«Dai, Al…»
«Magari ci sta osservando già adesso! »
Tremando da capo a piedi, l’americano si strinse all’altro ragazzo, che sospirò di rimando. Probabilmente stava pensando che era uno stupido e tra poco lo avrebbe insultato, ma non poteva farci niente se aveva paura.
Inaspettatamente invece, sentì le labbra dell’inglese posarsi sulla sua fronte.
«Non devi avere paura. » mormorò Arthur. «Quel gatto non voleva fare del male alle persone. Voleva solo che l’assassino della donna venisse arrestato. Era un paladino della giustizia, un eroe. »
Alfred sentì le ultime parole soffiate sulla sua guancia, ora arrossata, e istintivamente alzò il volto per far incontrare le loro labbra. Era strano, molto strano che fosse l’inglese il primo a lasciarsi andare alle coccole, ma se questo poteva servire a tenere lontani cattivi pensieri e fastidiose paure, allora andava più che bene.
Almeno fino a quando la mano che un attimo prima era stata posata sulla sua vita non scese fino ad andare a piazzarsi inequivocabilmente sul suo fondoschiena. Il volto di Alfred andò a fuoco.
«A-Arthur… che stai facendo? »
«Un rituale contro gli spiriti. »
«Cosa?! Ma avevi detto che non c’erano spiriti! »
L’inglese lo spinse a terra e insinuò la mano libera sotto la sua maglietta.
«Ah, sì? L’ho detto? »
«Arthuuuuur!! »
Il mugolio impaurito venne interrotto da una risatina dell’inglese.
«You’re so cute. » mormorò posandogli un bacio sul collo e accarezzandolo languidamente.
«I’m not cute! » protestò quello, non facendo altro che rafforzare la convinzione di Arthur.
In pubblico faceva il gradasso, ma quando erano solo loro due poteva vedere la reale insicurezza nei suoi occhi e questo scatenava in lui un’incredibile tenerezza. Alfred era ancora in imbarazzo quando si trattava di momenti intimi, poteva capirlo dai suoi gesti, e anche Arthur si vergognava. Anche ora aveva il timore di essere allontanato con uno spintone da un momento all’altro, per questo aveva tirato fuori di nuovo la faccenda degli spiriti: così era certo che almeno Alfred non se la sarebbe data a gambe da solo. Le volte in cui aveva preso l’iniziativa si potevano contare sulle dita di una mano, di solito era sempre l’altro a mostrargli il suo desiderio, ma quella notte Alfred era così carino mentre si stringeva a lui che avrebbe dovuto essere un santo per ignorarlo. E Arthur era tutto tranne che un santo.
Mentre lo coinvolgeva in un secondo bacio, decisamente più passionale del precedente, lasciò che la propria mano esplorasse il petto dell’americano, beandosi dei brividi che suscitava e delle braccia che si erano allacciate attorno al suo collo. Ancora qualche istante d’indecisione (in fondo erano pur sempre all’aperto, in mezzo ad un bosco, ma chi mai avrebbe potuto passare di lì a quell’ora?) poi accantonò ogni remora e le sue dita s’insinuarono oltre l’elastico dei pantaloncini di Alfred, scendendo sempre più giù a sfiorare i suoi punti più sensibili. Quando il primo dito si fece strada lentamente dentro di lui, sentì il suo corpo tendersi e un gemito sfuggire dalle sue labbra. Arthur si alzò sulle ginocchia e gli sfilò gli occhiali: amava l’espressione del suo volto, le guance in fiamme, gli occhi lucidi e socchiusi. Adorava essere lui a suscitare quelle reazioni, quel battito accelerato che sentiva sotto ogni centimetro di pelle, lo trovava oltremodo eccitante. I successivi gemiti e sospiri si persero inghiottiti dai baci e quando fu certo che l’altro fosse pronto e che lui stesso fosse giunto al limite, Arthur liberò entrambi dall’ingombro degli strati di stoffa. Ai suoi occhi Alfred era una visione celestiale mentre invocava il suo nome, tendendo le braccia in avanti per farsi abbracciare, e non si sognò nemmeno di negarglielo, mentre si posizionava tra le sue gambe. Una leggera pressione, poi una spinta più decisa, e l’estasi si sciolse tra il calore e i gemiti acuti di Alfred.
A svegliarlo furono per prima cosa gli uccellini che cinguettavano allegramente sopra la sua testa e subito dopo il suo stomaco che si lamentava. Alfred mugugnò qualcosa d’incomprensibile e si raggomitolò meglio sotto il sacco a pelo, affondando il naso nel petto di Arthur. Non aveva nessuna voglia di alzarsi, era sicuramente presto e poi stava troppo bene così stretto al suo ragazzo. Nel dormiveglia si stupì che Arthur lo avesse tenuto abbracciato tutto il tempo, visto che in tema di coccole l’inglese adorava ricevere ma era piuttosto restio a dare. Beh, tanto valeva approfittare di quel momentaneo stato di grazia.
Dopo qualche minuto sentì che anche Arthur iniziava a svegliarsi e si muoveva dolcemente contro di lui alla ricerca di calore. Gli posò anche un paio di baci tra i capelli, che convinsero Alfred che fosse ancora mezzo addormentato. Nel frattempo lo stomaco dell’americano era tornato a farsi sentire, sottolineando come la necessità di una colazione iniziasse ad essere impellente, per non parlare della sensazione di appiccicaticcio che si sentiva addosso. Tornare con la mente alle immagini di ciò che l’aveva provocata lo fece arrossire.
«Arthie…» mormorò con il volto ancora affondato nella sua spalla. «Voglio fare una doccia…»
Arthur sospirò, tenendo gli occhi chiusi.
«La doccia più vicina è quella comune, al campo. » rispose a voce bassa, segno che l’ultima cosa che aveva voglia di ascoltare in quel momento erano i suoi capricci.
Ma se avesse dovuto aspettare di tornare al campo per lavarsi significava che avrebbero prima dovuto incontrare gli amici e Alfred non era affatto bravo a dissimulare. Sempre più imbarazzato, prese ad agitarsi, suscitando gli sbuffi innervositi di Arthur, finché non gli balenò un’idea geniale: non aveva bisogno di una doccia per lavarsi! Fiero del proprio spirito di adattamento, degno di un cow-boy d’altri tempi, si alzò tirando Arthur per un braccio.
«Su, alzati, andiamo al torrente! »
«Che…? » esclamò stralunato l’inglese.
«Al tor-ren-te! » scandì Alfred, parlando come se l’altro fosse ancora mezzo addormentato.
L’espressione sul volto di Arthur gli chiarì che aveva capito eccome e di certo non approvava. Anzi, molto probabilmente si stava chiedendo se fosse impazzito e dove trovasse quell’energia dopo il “movimento” della sera prima. In effetti buona parte dell’entusiasmo era ostentato e le fitte alla schiena parlavano chiaro, ma se avesse mostrato quella debolezza sarebbe sprofondato nell’imbarazzo. Molto meglio trascinare Arthur fino al torrente, ridendo, e iniziare a schizzarlo d’acqua gelida.
«Ma che stai combinando, idiot?! » starnazzò l’inglese ormai fradicio da capo a piedi.
Alfred approfittò della sua distrazione per afferrarlo per la vita e far precipitare entrambi in acqua, ridendo come un matto.
Al campo non li attendevano altro che domande imbarazzanti al limite del terzo grado, poste da amici ansiosi di ottenere pettegolezzi il più maliziosi possibile, quindi tanto valeva lasciarli aspettare ancora un po’.