Titolo: The girl who would be Queen
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Julchen (fem!Prussia), Roderich Edelstein (Austria)
Pairings:
Riassunto: "L’impressione che ne ebbe Julchen fu quella di avere di fronte un ragazzino viziato, fortemente confermata dalle prime parole che lui le rivolse: «Ho chiesto una guardia del corpo, non una bambina. »
«E io mi aspettavo di fare da scorta ad una persona dotata di cervello, non a un idiota. »"
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Questa fic appartiene allo stesso universo fantasy di
Il Fiore di Luna e il Vento Fantasma.
Beta:
mystofthestarsWord count: 3623 (fdp)
Julchen aveva sempre saputo di essere destinata a fare grandi cose. Anche da bambina, quando aiutava il padre cacciatore a posizionare le trappole sulle montagne, sognava di cambiare un giorno la sua vita, di lasciare quel luogo sperduto per andare in cerca di avventure e compiere imprese che avrebbero fatto ricordare a tutti il suo nome. All’inizio, per una ragazza cresciuta nei boschi con scarsi contatti con la popolazione cittadina e la testa piena delle avventure raccontate di cantastorie di piazza, si era trattato solo di sogni confusi ma, con il passare degli anni, si era resa conto che la loro realizzazione era possibile e dipendeva solo dalla sua intraprendenza. Proprio per questo motivo, oltre alle armi comunemente usate nella caccia, aveva iniziato ad allenarsi anche all’uso della spada. Sapeva che la lama lunga era l’arma più in auge al di fuori dei boschi, poiché consentiva di attaccare e difendersi più efficacemente, ed era proprio quello che faceva per lei. Iniziò quindi ad esercitarsi, prima da sola poi con l’aiuto e l’assistenza della sorella minore Luise, una ragazza robusta e di grande abilità. I genitori osservavano da lontano e, anche se non approvavano, all’inizio non opposero particolari veti considerando quello di Julchen un capriccio di gioventù. Dopotutto era un bene che una ragazza imparasse a difendersi se doveva ereditare il mestiere del padre, e finsero di non notare la passione e la furia che imprimeva in ogni colpo, quasi stesse affrontando un duello all’ultimo sangue. Quello che non avevano messo in conto era il carattere testardo e ribelle della figlia, che cresceva di pari passo con la sua voglia di distinguersi in un grigiore quotidiano che vedeva dipanarsi davanti a lei come una massa informe di giorni tutti uguali.
L’irreparabile accadde proprio durante uno di questi allenamenti: Julchen non fu abbastanza rapida a schivare un fendente insidioso e la lama la ferì al volto. Si trattava di un taglio di pochi centimetri sullo zigomo ma sua madre ne fece una tragedia.
«Già sei strana, con quei capelli. » le disse seccata per il motivo futile dell’incidente. «Ora che sei pure sfregiata nessun uomo ti vorrà più. »
Julchen, che era sempre andata fiera della sua diversità, dei suoi capelli argentei, dei suoi occhi chiarissimi dalla bizzarra sfumatura lilla e della sua pelle lattea in confronto a quella scurita dal sole dei genitori, andò su tutte le furie e il battibecco sfociò in una lite furibonda.
«Tanto meglio se nessun uomo mi vuole! » gridò di rimando. «Non sentirò la mancanza di un imbecille che vuole solo una giumenta sfornafigli! »
La madre la rimproverò scandalizzata da quel tono riprovevole e persino Luise la fissò come se la vedesse per la prima volta, ma la ragazza si rifiutò di ritrattare: non aveva la minima intenzione di ridurre la sua esistenza a quella di una madre di famiglia, legata per sempre ad un tizio banale che l’avrebbe confinata accanto al focolare. Proprio no. Lei era destinata a qualcosa di più.
Il vero punto di rottura venne raggiunto poco tempo dopo: di ritorno dalla vendita delle pelli al villaggio a valle, il padre annunciò di aver incredibilmente ricevuto una proposta di matrimonio per la figlia maggiore. Si trattava del figlio del conciatore e, a detta dell’uomo, era un bravo ragazzo e un ottimo partito. La madre accolse la notizia come una benedizione, ma per Julchen si trattò di una doccia fredda.
«Non ho la minima intenzione di sposare uno che non no nemmeno mai visto, non scherziamo! » protestò con veemenza.
«Julchen! Ti rendi conto di cosa stai dicendo?! » la riprese la madre per l’ennesima volta. «Dovresti solo ringraziare che ci sia qualcuno disposto a…»
«A cosa? A prendersi la merce difettosa e pure danneggiata? Non ho nessuna intenzione di farlo! »
«Julchen! »
«E smettila di ripetere il mio nome come se fosse un insulto! Per vostra informazione io non sono affatto merce difettosa, anzi, non sono proprio merce! Questa è la mia ultima parola! »
Indignati da quel comportamento inqualificabile, i genitori la rinchiusero in casa con l’intento di correggerne il carattere ribelle e ricondurla a più miti consigli. Quello che ottennero fu che quella notte Julchen scappò di casa senza farvi più ritorno.
Aveva diciassette anni.
La vita in città nei primi mesi si rivelò più complicata del previsto per una ragazza sola, soprattutto perché chiunque incontrasse si aspettava da lei esattamente ciò da cui era scappata, cioè che fosse in cerca di un uomo. Era stato difficile, all’inizio, convincere locandieri e bottegai a darle qualche saltuario lavoretto per mantenersi, assicurandoli esplicitamente che non aveva intenzione di adescare i loro figli. Fortunatamente la vita nella capitale era molto meno tradizionalista che sulle montagne, quindi il suo aspetto particolare e le sue intenzioni suscitarono meno scandalo del previsto. Quando finalmente riuscì a mettere da parte soldi a sufficienza per procurarsi una spada degna di questo nome, decise che era giunto il momento di guadagnarsi da vivere con la sua abilità. Era sempre più convinta che avrebbe fatto qualcosa d’importante nella sua vita, che sarebbe arrivata in alto, ma per farlo doveva innanzi tutto entrare in contatto con la cerchia dei nobili e quale modo migliore per una come lei che proporsi come scorta o guardia del corpo?
Il suo primo cliente fu un nobilotto di nome Roderich Edelstein.
L’impressione che ne ebbe Julchen fu quella di avere di fronte un ragazzino viziato, fortemente confermata dalle prime parole che lui le rivolse: «Ho chiesto una guardia del corpo, non una bambina. »
«E io mi aspettavo di fare da scorta ad una persona dotata di cervello, non a un idiota. »
Neanche il tempo di finire la frase che le tre guardie ufficiali del nobile l’avevano già circondata, pronte ad attaccarla per quell’affronto, ma Julchen fu più veloce di loro e con un paio di rapide mosse ne disarmò due. La terza era già pronta a bloccarla quando Roderich alzò una mano per fermare le ostilità.
«Basta così. Direi che hai dimostrato a sufficienza il tuo valore. » disse e la ragazza gli rispose con una smorfia.
«Non devo dimostrare niente a nessuno, che sono magnifica si capisce a colpo d’occhio. Adesso diamoci una mossa, c’è una scorta da organizzare! »
Il lavoro tutto sommato si figurava abbastanza semplice: il nobile Roderich doveva recarsi fuori città per una visita alla propria promessa sposa in vista delle nozze e necessitava di una guardia del corpo personale che lo proteggesse durante l’attraversamento della Foresta delle Ombre. Sempre più spesso si sentiva di episodi di violenza messi in atto da qualche sovversivo e lo stesso Roderich, durante l’infanzia, aveva subito un tentativo di sequestro, per questo si era deciso per questa misura preventiva. Inoltre avrebbero viaggiato in incognito e con poche guardie in modo da dare meno nell’occhio possibile. Julchen era certa che avrebbe portato a termine l’incarico senza problemi, nonostante lo scetticismo del nobile.
Fortunatamente la parte iniziale del viaggio non presentò particolari difficoltà e, viaggiando leggeri, riuscirono a lasciarsi alle spalle la città e le campagne che la circondavano in capo alla prima giornata. Il secondo giorno di cammino s’inoltrarono nella Foresta delle Ombre, ampia macchia di vegetazione che separava le zone rurali dalle colline dove erano diretti e dalle montagne. Si vociferava che la suo interno si celassero i più pericolosi tra i ribelli che si opponevano all’ordine costituito, coloro che organizzavano sempre più spesso azioni sovversive con lo scopo, si credeva, di rovesciare l’attuale monarchia. Con l’attraversamento di quel territorio, il controllo di Julchen sull’intera scorta e sulla persona stessa del nobile si fece decisamente più serrato. In modo particolare non lo perdeva di vista un istante, anche se non era particolarmente complicato tenerlo d’occhio visto che raramente metteva il naso fuori dalla carrozza.
La sera si accamparono in uno spiazzo abbastanza sgombro, che avrebbe consentito di notare se si fosse avvicinato qualcuno. Le guardie si disposero attorno alla carrozza e Julchen si preparò a fare il primo turno di guardia accanto al fuoco. Fortunatamente era abituata a passare la notte all’addiaccio da quando andava a caccia col padre, quindi non si pose più di tanti problemi. Lo stesso non si poteva dire per il nobile che, al contrario, continuava ad agitarsi all’interno della carrozza. Forse il suo cuscino di piume non era abbastanza comodo, si ritrovò a pensare Julchen dando fondo al proprio sarcasmo.
Quando sembrava che tutto fosse tornato tranquillo, gli unici rumori udibili il russare delle guardie e lo stormire delle fronde, e la ragazza era sul punto di rilassarsi una volta per tutte, un nuovo suono spezzò la quiete, o meglio, una melodia. Proveniva dalla carrozza e Julchen, nonostante non sapesse assolutamente nulla di musica, riconobbe un violino suonato con maestria. Stupita, rimase ad ascoltarlo quasi con deferenza, l’armonia era meravigliosa ed avvolgente, sembrava invitare l’ascoltatore a lasciarsi guidare verso il mondo dei sogni. Quando si rese conto, con orrore, che le sue palpebre si stavano abbassando, la ragazza si riscosse bruscamente. Balzò in piedi e spalancò senza tante cerimonie lo sportello del veicolo.
«Ehi, smettila subito! » esclamò, facendo sussultare Roderich per lo spavento, al punto che per poco non gli cadde di mano l’archetto. «Hai per caso intenzione di stendere la tua scorta? »
Il nobile la guardò con tanto d’occhi, mentre sul suo volto si dipingeva una chiara espressione di rimprovero.
«Come ti permetti di irrompere in questo modo nei miei alloggi, razza di maleducata?! »
«Oh, perdonatemi se ho avuto l’ardire di presentarmi nei vostri regali appartamenti, altezza, » rispose Julchen sottolineando il sarcasmo. «ma non vedo di che utilità potrebbe esservi una scorta che dorme! »
Roderich continuò a scrutarla con disapprovazione, serrando le labbra indignato, ma la ragazza non si lasciò intimidire.
«Guarda che l’ho capito che sei un bardo, qualche mago l’ho incontrato anch’io, anche se tu pensi che sia una montanara ignorante. »
Non che la cultura di Julchen fosse eccelsa o che le sue nozioni di magia fossero approfondite, ma le era capitato di vedere qualche stregone intrattenere i passanti con i suoi bizzarri trucchetti quando il padre portava lei e la sorella al villaggio a valle. Quelli a cui aveva assistito non erano che innocui giochi di destrezza in confronto alla magia vera e propria, ma questo non la esimeva dal diffidarne. Aveva sentito troppe storie poco rassicuranti sui maghi per avere anche solo voglia di trattare con uno di loro.
Roderich sviò il suo sguardo e si concentrò sull’archetto con espressione severa.
«Quindi l’hai capito. » constatò.
«Certo che l’ho capito, credi che sia stupida? No, non rispondere, sei un cliente, non posso picchiarti. La vera domanda è: che se ne fa un bardo di una guardia del corpo? Basterebbero due note di quel tuo violino per mettere K.O. qualunque nemico. »
La risposta tardò qualche istante ad arrivare, ma infine si palesò nella sua semplicità.
«Detesto la violenza, è da barbari. »
Julchen gonfiò le guance, come un uccellino che arruffa le penne.
«Questo mi fa dedurre che mi consideri una barbara. Molto gentile! »
Fece per ritrarsi sbattendo lo sportello della carrozza, quando lo sguardo di superiorità di Roderich la indusse a fermarsi per specificare un punto.
«Vedremo chi riderà quando questa barbara ti salverà la pelle! »
E subito dopo lo sportello si chiuse con tanta forza da far tremare il vetro.
Il giorno successivo il viaggio proseguì senza intoppi, ma Julchen si riservò di cavalcare davanti alla carrozza come se fosse alla testa di una carovana. In un modo tutto suo voleva dimostrare a quello stupido nobile che finché erano nella foresta era lei a comandare.
Per tutta la giornata non ricevette nessun cenno da Roderich, tanto che finì per convincersi che dormisse di giorno per suonare di notte. La sera si accamparono al limite della boscaglia e la scena si ripeté esattamente come il giorno prima: non appena Julchen si apprestò a fare il suo turno di guardia, la musica iniziò a diffondersi dolcemente nell’aria. Questa volta la ragazza non attese che il torpore l’avvolgesse ma bussò subito con decisione allo sportello della carrozza, spalancandolo ancora prima di avere risposta.
«Mi chiedo se tu abbia problemi di comprensione! » esclamò irritata.
Roderich si voltò a malapena, continuando imperterrito a suonare.
«Potrei dire la stessa cosa. »
«Come, scusa?! »
Questa poi!
«Continui a comportarti da maleducata nonostante te l’abbia fatto notare. »
«E tu continui a suonare melodie soporifere che fanno addormentare la scorta! Chi è quello con dei problemi, qui?!»
Finalmente la musica s’interruppe e Roderich abbassò il violino e l’archetto, tornano a sedersi su uno dei sedili imbottiti della carrozza.
«Il punto è che sono inquieto e non riesco a dormire. » ammise con una certa riluttanza.
Julchen sospirò: quando aveva deciso di fare la guardia del corpo non aveva messo in conto la possibilità di dover ricoprire anche il ruolo di balia per giovani nobili viziati.
«Chi non lo sarebbe restando sempre richiuso in quella scatola? Avanti, vieni a prendere un po’ d’aria! »
Non attese il suo consenso, si limitò ad afferrarlo per un braccio e trascinarlo all’esterno, per invitarlo poi a sedere accanto al fuoco.
«Ecco, non è meglio qui? Si respira di più e dubito che qualcuno attaccherà, ormai siamo fuori dalla foresta. »
Roderich sulle prime le parve sconcertato, ma infine decise di accomodarsi, badando di non essere troppo vicino alle fiamme. Rimasero entrambi in silenzio per un poco e Julchen ne approfittò per distendersi sulla schiena, portandosi le braccia dietro la testa. Lì, dove gli alberi erano più radi, era possibile ammirare il cielo e scoprire un’infinità di stelle. Perdendosi per un istante nella loro contemplazione, Julchen si trovò a chiedersi se i suoi genitori e sua sorella osservavano ancora lo stesso cielo e che cosa avrebbero pensato di lei se avessero saputo che si guadagnava il pane in quel modo. Non che le importasse davvero del loro giudizio, molto probabilmente sua madre l’avrebbe rimproverata di nuovo e suo padre si sarebbe rifiutato di guardarla, ma sperava che almeno stessero tutti bene.
«Che cosa ti ha spinto a fare questo lavoro? » chiese ad un certo punto Roderich, spezzando il silenzio e quasi leggendole nel pensiero. «Voglio dire, sei una donna, è… anomalo. »
«Lo è se consideri una donna una creatura debole e incapace per forza di cose. » rispose Julchen piccata, non abbandonando la sua posizione. «Io non voglio essere la moglie di qualche morto di fame, voglio diventare qualcuno. »
Sentì lo sguardo di Roderich su di sé, mentre questi replicava: «Non sarebbe più semplice sposare qualcuno di altolocato, se è questo il tuo scopo? »
La ragazza balzò a sedere, fulminandolo con lo sguardo.
«E che gusto ci sarebbe, scusa, ad ottenere il titolo di un altro e a sperperare i suoi soldi? No, non fa per me. Senza contare questa e questi. »
Indicò la cicatrice sulla guancia e sollevò in un’onda la chioma argentea che, alla luce della luna aveva assunto un riflesso quasi azzurrino.
«Piccoli particolari che mi rendono merce di scarto agli occhi degli uomini senza cervello. Stolti loro che si perdono la miglior bellezza mai nata su questa terra, ma a me non importa. Non sono i soldi che voglio, io anelo alla gloria.»
«Perché non al trono, a questo punto? » obiettò Roderich stupendola.
Si era aspettata di essere denigrata o quantomeno presa poco sul serio, invece il nobile non stava ridendo di lei, anzi le parlava con inusuale serietà. Certo, poteva essere sarcasmo mascherato, ma Julchen non si lasciò sfuggire l’occasione.
«Ehi, questa è una grande idea! » esclamò. «Regina Julchen. Suona bene! E poi è davvero la massima aspirazione possibile! »
Quella che le si era appena aperta davanti era davvero la più ambita della possibilità che il suo ego potesse concepire e avrebbe proseguito nel celebrarla se un fruscio sospetto non avesse improvvisamente attirato la sua attenzione: proveniva da un punto dove non si trovava nessuna delle guardie del seguito ed era cessato troppo in fretta e bruscamente per essere provocato da qualche animale di passaggio. Fece appena in tempo ad afferrare Roderich per un braccio e a spingerlo a terra prima che un pugnale si conficcasse nel terreno a pochi passi da dove erano stati pacificamente seduti.
«Ci attaccano! » gridò la ragazza per richiamare le guardie, mentre continuava a trascinare Roderich per un braccio. «Stai basso e chiuditi nella carrozza. Spero sia abbastanza robusta da resistere a frecce e coltelli. »
«Maledetti ribelli! » lo sentì ringhiare.
Avevano quasi raggiunto lo sportello quando si parò loro davanti una figura incappucciata che intimò nel forte accento delle pianure: «Fuori i soldi, se volete salva la vita! »
Julchen ebbe la prontezza di riflessi di spingere Roderich dietro di sé e di sguainare la spada prima che l’altro estraesse a sua volta la lama. Lo scontro fu inevitabile.
«Qui non ci sono soldi, idiota! » esclamò la ragazza mantenendo salda la presa sull’impugnatura per non venire sopraffatta dalla forza dell’uomo. «Non vedete che si tratta di un semplice viaggio di visita?! »
«Effettivamente è una ben misera scorta quella che si fa guidare da una bambina. » la schernì l’aggressore, alchè Julchen non ci vide più e abbandonò ogni remora, compresa la prioritaria difesa del suo cliente.
Attaccò con furia dettata dalla rabbia, ma aveva dalla sua l’agilità e la libertà di movimento date dalla corporatura decisamente più minuta. Nonostante la stazza e la forza dell’avversario, la sua spada si trovò a volare in aria e a conficcarsi nel terreno dopo pochi minuti di scontro.
«Allora, chi è la bambina? » fece Julchen con espressione trionfante.
Tuttavia l’esaltazione durò solo pochi istanti finché il bandito non emise un fischio per richiamare all’azione i compagni occupati con le altre guardie. Nel giro di un attimo sarebbero stati loro addosso e Julchen ebbe solo una frazione di secondo per decidere: sempre con la spada in pugno, spinse Roderich nella carrozza e salì lei stessa a cassetta, sciogliendo le briglie dei cavalli già nervosi per il trambusto circostante.
Fu una corsa folle in mezzo alle campagne, con solo una vaga idea della direzione da seguire per raggiungere la tenuta Héderváry e la segreta speranza che i banditi non li stessero inseguendo. In quella notte percorsero tutta la strada in programma per il giorno successivo ed in prossimità dell’alba ebbero la fortuna di venir fermati proprio dalle guardie della tenuta, insospettite da tutta quella fretta. Julchen si concesse un sospiro di sollievo mentre Roderich si faceva riconoscere e gli uomini li scortavano a palazzo. Non ebbe la fortuna di assistere all’accoglienza della futura sposa, ma le venne ugualmente assegnato un alloggio più che dignitoso e recapitati i più sentiti ringraziamenti della nobile Elizaveta, insieme all’assicurazione che un drappello di guardie sarebbe stato inviato alla ricerca della scorta dispersa.
Aveva assolto al suo dovere di guardia del corpo e, anche se Roderich non si era degnato di dirle nulla in proposito, sapeva di avergli salvato la vita quindi poteva dirsi soddisfatta del suo operato. Quella era l’ennesima dimostrazione del suo valore e del fatto che stesse procedendo sulla strada giusta: una strada che non le era stata imposta ma che aveva scelto da sola.
Per tutta la durata del soggiorno alla tenuta non incontrò i nobili, ma le venne riservato un trattamento degno dei migliori capitani che le fece capire quanto quella fosse un’opzione più che plausibile come obiettivo per l’immediato futuro. Se mirava ad una posizione importante, addirittura a quella di regina, il modo migliore era avvicinarsi all’ambiente nobiliare nei panni della figura in cui riponevano più fiducia: la guardia.
Il viaggio di ritorno, con la scorta supplementare fornita dalla nobile Elizaveta, si rivelò molto più tranquillo del precedente, ma anche le occasioni di parlare a tu per tu con Roderich si azzerarono. Non che Julchen ci tenesse particolarmente, ma trovava ingiusto aver parlato di sé al giovane senza che lui avesse fatto lo stesso. Tuttavia in quella situazione non poteva farci niente quindi liquidò la questione con un’alzata di spalle.
Le sorprese però non erano finite e, quando le venne consegnato il compenso per il lavoro svolto, si stupì di trovarvi anche un biglietto scritto da Roderich in persona che la informava, con poche formali parole, che di lì ad un paio di settimane si sarebbe tenuta una selezione per assumere nuove guardie a palazzo e la invitava a tentare, poiché la riteneva discretamente idonea al ruolo. Inoltre, terminava, lui stesso avrebbe fatto parte della cerchia dei giudici selezionatori, anche se non per questo intendeva favorirla in quanto donna o conoscente: avrebbe dovuto dimostrare a tutti quanto valeva.
Nel leggere quelle parole il sorriso di Julchen si allargò e si fece felino. “Discretamente idonea”, eh? Quel povero sciocco non sapeva con chi aveva a che fare! Altro che dimostrazione! Avrebbe abbagliato tutti con la sua abilità e l’avrebbero implorata di entrare nel corpo di guardia.
Quello era sicuramente il destino che si spiegava dinnanzi a lei, invitandola a perseguire il cammino dei grandi.
-*-*-*-*-
La lama della spada riluceva accecante nel sole pieno del mattino mentre la polvere del campo di battaglia si posava pigra e lenta a terra, da dove l'entrata a passo di marcia dei due contendenti l'aveva sollevata. Julchen era solo vagamente consapevole del lungo tavolo disposto a lato dello spiazzo al quale sedevano alcuni tra i più illustri maestri di spada del regno. Di fatto non le importava poi molto, non era lì per compiacere loro. L'intera attenzione era ora rivolta verso l'avversario di fronte a lei, potenzialmente pericoloso e agguerrito come ogni altro contendente accorso lì quel giorno. Bene, sarebbe stata una sfida interessante. Poco contava che la presa sulla spada fosse poco salda a causa del sudore che le inumidiva la mano e anche il fatto che l’uomo fosse grosso quasi il doppio di lei. Nessuno di quei dettagli contava di fronte al destino che vedeva srotolarsi dinnanzi a lei, un destino che l’avrebbe innalzata ben oltre quel misero spiazzo polveroso ai piedi della torre, ben oltre quel palazzo, che avrebbe potuto facilmente essere suo, se solo l'avesse voluto.
“Quando sarò regina...”
Poi la campanella suonò, le lame si scontrarono e non ci fu più il tempo nemmeno per pensare.