[Hetalia] La chiave del cuore

Jul 14, 2013 14:12

Titolo: La chiave del cuore
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: verde
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Francis Bonnefoy (Francia)
Pairings: Francia/Inghilterra
Riassunto: "Ci voleva un regalo speciale, che fosse assolutamente personale, che colpisse il suo compagno ma che fosse discreto e nel suo stile un regalo simbolico, che in qualche modo confermasse la sua presenza al fianco del francese e mettesse finalmente a freno il reciproco terrore di venire abbandonati, ma allo stesso modo non doveva essere qualcosa di troppo impegnativo che li facesse sentire “legati”."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Ennesimo capitolo dell'Hetalia F.R.I.E.N.D.S Project, scritto per il compleanno di Hina e pubblicato per il compleanno di Francis, che più o meno è la stessa cosa. XD (non è vero, è che sono orribilmente ritardataria!)
Beta: mystofthestars
Word count: 1806 (fdp)

Arthur non era mai stato un tipo particolarmente festaiolo. Certo, gli piaceva uscire a bere e quando alzava un po’ troppo il gomito tendeva a perdere il controllo, ma se si trattava di organizzare qualcosa per una celebrazione, si trovava del tutto impreparato. Nonostante questo, con l’approssimarsi del compleanno di Francis aveva pensato che sarebbe stato carino fare una sorpresa al suo “boyfriend”, se non altro per sdebitarsi di tutto quello che aveva fatto per lui negli ultimi mesi.
La prima idea che gli venne in mente fu di tipo culinario: preparandogli una torta con le sue mani avrebbe dimostrato il suo impegno e la serietà con cui ascoltava i suoi consigli. Dopo due tentativi falliti, due teglie bruciate e la cucina invasa da acre fumo nero, stabilì tuttavia che forse si trattava di un’idea poco originale e l’archiviò. Dopotutto Francis era uno chef, se ne sarebbe fatto ben poco di una sua torta carbonizzata.
Forse avrebbe potuto organizzare una festa al locale di Antonio: da quando aveva rilevato l’attività lo spagnolo proponeva spesso serate a tema e, anche sentiva salire l’orticaria al solo pensiero di scendere a patti con lui, per una volta avrebbe anche potuto fare uno sforzo.
Fu con questi sentimenti contrastanti che Arthur varcò la soglia del Movida, quella sera dopo il lavoro. La prima cosa che notò fu proprio il gruppetto di amici riuniti a confabulare in un angolo del bancone: sembravano talmente presi e concentrati che non si accorsero nemmeno del suo arrivo. Alcuni frammenti di conversazione però gli giunsero ugualmente.
«Povero Francis, non possiamo farlo cucinare anche il giorno della sua festa! » stava dicendo Feliciano. «Ci penserò io a preparare la torta. »
«E io ti darò una mano con il resto del rinfresco. » aggiunse Elizaveta.
«Per quel che mi riguarda, il locale e le bevande sono a vostra disposizione. » precisò Antonio, mentre l’immancabile Gilbert terminava: «Ovviamente io porto le birre! »
Sul volto di Arthur si dipinse un’espressione delusa, subito dissimulata mentre muoveva istintivamente un passo indietro: a quanto pareva era arrivato in ritardo e ad organizzare una festa ci avevano già pensato gli amici di Francis. “Gli amici di Francis”, già, perché anche se erano passati mesi, non si sarebbe mai sentito davvero parte di quel gruppo tanto eterogeneo e squinternato quanto unito. Era sempre, appunto, un passo indietro.
Stava per andarsene, aveva già voltato le spalle all’allegra scenetta, quando la voce squillante di Bella lo richiamò.
«Arthur! Non ti avevamo visto! Qual buon vento? Cercavi Francis? »
Colto alla sprovvista l’inglese abbozzò un sorrisetto tirato.
«Certo che no! Io… ehm… passavo solo di qui. Chi volete che la cerchi quella rana maniaca? »
E così dicendo si defilò in fretta dal locale.
Niente da fare, con quella gente sarebbe sempre stato a disagio e a nulla valeva ripetersi che, per far piacere a Francis, sarebbe bastato partecipare ai preparativi della festa. Lui non aveva mai amato mischiarsi alla massa e, a costo di soffrire di solitudine, il suo imperativo era distinguersi. Questa volta però sembrava irrealizzabile.
Per i due giorni successivi Arthur non pensò ad altro: ci voleva un regalo speciale, che fosse assolutamente personale, che colpisse il suo compagno ma che fosse discreto e nel suo stile. Al contrario di Francis lui non era per i gesti eclatanti né per l’abitudine di mettere in piazza i propri sentimenti. Avrebbe voluto un regalo simbolico, che in qualche modo confermasse la sua presenza al fianco del francese e mettesse finalmente a freno il reciproco terrore di venire abbandonati, ma allo stesso modo non doveva essere qualcosa di troppo impegnativo che li facesse sentire “legati”.
Dopo ore passate a riflettere, a distrarsi sul lavoro, a bruciare pranzo e cena e a far raffreddare il tè, era giunto ad una sola, pallida conclusione. Non era del tutto certo che Francis avrebbe apprezzato, magari lo avrebbe considerato un gesto privo di senso, o privo del peso che Arthur vi attribuiva. In ogni caso per lui si trattava di un passo importante, e quella poteva essere una buona occasione per buttarsi e compierlo.
La sera della festa giunse fin troppo in fretta e Arthur si lasciò condurre dai propri piedi verso il Movida, pur consapevole che non fosse una grande idea e che probabilmente se ne sarebbe pentito a breve. Aveva il suo regalo ben celato in tasca, avrebbe deciso cosa farne nel corso della serata. Non appena varcò la soglia del locale, venne accolto dalla musica assordante e da mille luci intermittenti proiettate per la sala dai faretti colorati disposti negli angoli del soffitto.
«Arthùr! »
Neanche il tempo di abituarsi a quell’ambiente delirante che gli si fece incontro Francis, splendido nel completo celeste che usava nelle occasioni importanti, ma con un’espressione apprensiva sul volto.
«Dov’eri finito? Sei sparito per giorni, ero preoccupato! »
Doveva alzare la voce per sovrastare il frastuono della musica, ma Arthur riuscì a sentirlo ugualmente e non si ritrasse (almeno non troppo) quando si avvicinò per posargli un piccolo bacio sulle labbra.
«Sono stato impegnato. » si giustificò l’inglese, consapevole che avrebbe dovuto scusarsi per aver ignorato le telefonate e gli sms del proprio compagno, ma altrettanto intenzionato a non farlo.
La testardaggine prima di tutto.
«D’accord, non ha importanza. Ora sei qui per me, il resto non conta. » rispose Francis dando ennesima prova della sua proverbiale pazienza di fronte ai suoi sbalzi d’umore.
Gli circondò le spalle con un braccio e lo guidò all’interno del locale dove già tutti gli amici si stavano dando alla pazza gioia. Antonio aveva spostato tavolini e divanetti per fare posto ad un’improvvisata pista da ballo, ed allestito il bancone come un tavolo dei rinfreschi carico di stuzzichini dolci e salati, bibite, alcolici e l’immancabile birra tedesca di Gilbert.
«Vieni a ballare, amigo! » lo chiamò lo spagnolo ridendo e additando il tedesco che, già visibilmente brillo, si era scatenato in una danza bizzarra che, a quanto pareva, prevedeva l’abbandonare gradualmente i propri indumenti sul pavimento.
In un angolo Elizaveta lo osservava con espressione disgustata, probabilmente rimuginando sul modo migliore per ottenere un divorzio lampo. Accanto a lei Bella si intratteneva amabilmente con Matthew, mentre Alfred sembrava completamente assorbito dalla scelta di cosa assaggiare come prima cosa.
Arthur lanciò un’occhiata a Francis si sfilò il suo braccio dalle spalle.
«Vai pure, se vuoi. Io darò una mano a Feliciano e Lovino. » disse notando che i due italiani stavano entrando con una splendida torta gelato tra le mani.
Non diede tempo al francese di rispondere e si defilò alla chetichella: non c’era niente da fare, quell’atmosfera festosa lo metteva sempre a disagio. Feliciano e Lovino non sembrarono affatto entusiasti quando lo videro avvicinarsi alla torta, ma almeno non lo costrinsero a gettarsi nel caos.
La festa continuò più o meno sugli stessi toni per il resto della serata, rischiando anche di raggiungere eccessi non previsti: Gilbert era ubriaco fradicio e vagava per il locale in boxer improvvisando lap-dance con ogni lampada o attaccapanni disponibile, Antonio, che avrebbe dovuto supervisionare la situazione in quanto proprietario, si era bellamente addormentato su un divanetto stringendo Lovino tra le braccia, Elizaveta persisteva nel tentativo di riportare alla ragione il suo improponibile marito mentre Bella e Matthew si erano romanticamente appartati. Persino Ludwig si era lasciato un po’ andare ed aveva concesso qualche coccola in più ad un raggiante Feliciano. Solo Arthur si era tenuto in disparte da tutta quell’allegria, restando per lo più seduto al bancone approfittando ampiamente dell’infinita scorta di birra e osservando Francis divertirsi con gli altri. Esattamente come aveva immaginato, lui non era portato per quel genere di cose. Non era di compagnia, non era un tipo divertente e quindi le persone non lo cercavano, squallido e triste ma vero.
Si era già alzato per lasciare di soppiatto il locale quando si sentì acchiappare per la vita e quasi sollevare da terra.
«Dove te ne stai scappando? » sussurrò Francis direttamente al suo orecchio.
Arthur arrossì di botto e prese ad agitarsi.
«Che stai facendo? Lasciami andare, dannata rana ubriaca! »
«Che modi, non sono affatto ubriaco. » rispose Francis mettendo su un fintissimo broncio offeso.
Sempre tenendo stretto Arthur si voltò verso gli altri amici ed accennò un ampio gesto di saluto.
«È stata una festa meravigliosa, vi ringrazio immensamente. Buonanotte! »
Un coro di proteste si levò per tentare di trattenerlo più a lungo, ma Francis sorrise e scosse la testa uscendo con Arthur nella calda notte estiva.
Camminarono per un po’ in silenzio poi, mentre attraversavano Central Park diretti all’appartamento dell’inglese, quest’ultimo decise infine di parlare.
«Non era necessario che venissi anche tu. Era la tua festa, avresti dovuto godertela fino alla fine. »
Il francese però scosse la testa.
«Non ti avrei mai lasciato andare via da solo con il rischio che passassi il resto della notte a rimuginare sul tuo sentirti inadeguato e altre sciocchezze del genere. »
«Io non mi sento affatto inadeguato! »
«Certo, come no! »
Francis gli diede un buffetto sul naso che lo fece arrossire e borbottare una sequela di insulti.
Quando finalmente giunsero davanti alla porta dell’appartamento, Arthur tentennò e Francis gli lanciò un’occhiata perplessa, probabilmente chiedendosi quale fosse ora il problema. Beh, il problema era che era giunto il momento di dargli il suo regalo, non ce ne sarebbe stato uno migliore e, ovviamente, Arthur era in preda all’imbarazzo e ai dubbi. Improvvisamente gli sembrava un’idea stupida e in qualche modo anche terribilmente presuntuosa: si stava dando troppa importanza e il rischio di fare la figura dello sciocco era enorme.
«Arthùr? » fece Francis scrutandolo in attesa.
Ok, o la va o la spacca.
«Va bene, va bene! » esclamò l’inglese. «Happy birthday! »
Tolse dalla tasca una lunga chiave argentata con una piccola bandiera inglese appesa all’estremità di una catenella e gliela porse. Dapprima il compagno fissò l’oggetto con aria perplessa, spostando alternativamente lo sguardo da esso al padrone di casa, ma Arthur si sentiva già sufficientemente in imbarazzo così, senza dilungarsi in discorsi a suo parere smielatamente inutili.
«Non aspettarti che ti spieghi a cosa serve. » rispose quindi, sforzandosi di mantenere un tono secco nonostante le guance arrossate e lo sguardo a terra.
Tuttavia l’intera situazione era fin troppo palese perché Francis non capisse al volo le sue intenzioni. Un istante dopo, infatti, stava aprendo la porta dell’appartamento, spingendo Arthur all’interno e baciandolo con passione contro il lucido legno scuro.
«Il solito irruente. » brontolò l’inglese dopo che si staccarono per necessità d’aria.
«Sei tu che mi provochi con questi regali. » replicò Francis con un sorriso sornione.
«È solo una stupida chiave. »
L’espressione di Francis si addolcì, mentre le braccia si stringevano attorno al corpo del giovane.
«È la stupida chiave del tuo cuore, quindi è il regalo più bello che potesse farmi. »
Non erano necessarie spiegazioni: Francis sapeva benissimo cosa significasse per Arthur consegnargli la chiave del suo rifugio e accettarlo nella sua vita. Allo stesso modo Arthur era consapevole che Francis avesse già capito tutto.
«Merci, chérie…» mormorò posando la fronte contro la sua.
Arthur si perse per un attimo nel suo sguardo azzurro prima di mormorare sulle sue labbra: «Welcome, stupid frog. »

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