[Hetalia/Harry Potter] Natale a Hogwarts

Dec 17, 2013 20:40

Titolo: Natale a Hogwarts
Fandom: Crossover Axis Powers Hetalia/Harry Potter
Rating: verde
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Alfred Jones (America)
Pairings: America/Inghilterra
Riassunto: "Era il 24 dicembre, la vigilia di Natale, festa comandata per tutti, vacanza sacrosanta dovuta a chiunque, riposo programmato da giorni e… E Arthur si trovava a doversi alzare quasi all’alba perché un folle aveva deciso che il “cielo limpido del mattino è il migliore”."
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya. Hogwarts e l'ambientazione potteriana appartengono a J.K. Rowling.
Note: Scritta per il compleanno di Ste e a lei dedicata con tanto love. ♥
Beta: mystofthestars
Word count: 4617 (fdp)




La stagione invernale era ormai scesa su tutta l’Inghilterra, con il suo carico di neve e ghiaccio che aveva paralizzato più o meno ogni tipo di trasporto tradizionale. Era il tempo dei disagi per chi si doveva spostare, dei brividi, delle mani e dei piedi congelati, dei cappotti pesanti e delle sciarpe avvolte fin sul naso. Ma era anche quello della cioccolata calda, delle tazze di tè fumanti, delle mille luci che brillavano sui balconi e lungo le vie cittadine, dei dolci speziati e delle calze appese al camino. Insomma, il Natale era in arrivo e Hogwarts non faceva certo eccezione.
L’intera scuola era stata addobbata a festa e sia la sala grande che le sale comuni delle varie Case sfavillavano di decorazioni a tema, tra cui primeggiavano agrifogli che intonavano canzoni natalizie quando si passava loro accanto e stelle incantate perennemente brillanti che volteggiavano attorno al soffitto. Peccato che le persone che potevano godere di quello spettacolo fossero davvero poche: infatti dicembre era anche il mese delle vacanze, tanto atteso dalla maggior parte degli studenti per poter finalmente fare ritorno alle proprie famiglie dopo mesi di assenza. Per alcuni era una festa, per altri quasi una scocciatura, fatto sta che in quei giorni la scuola si svuotava e persino i professori, o almeno i pochi rimasti, allentavano il consueto regime di controllo.
Arthur Kirkland, prefetto di Serpeverde del sesto anno, figurava tra quelli che prolungavano orgogliosamente la propria permanenza a scuola, anche se l’atmosfera festosa non sembrava affatto coinvolgerlo. Si aggirava per i corridoi deserti con un libro sotto il braccio e passava intere giornate chiuso in biblioteca a leggere, perché la sala comune non era mai abbastanza silenziosa, nemmeno quando non c’era nessuno. Arthur era così, gli studenti degli altri anni e delle altre Case lo additavano come secchione presuntuoso e scorbutico, ma in realtà non era altro che un amante della quiete e dello studio. Conosceva a menadito la maggior parte dei libri che venivano utilizzati durante le lezioni e non aveva mai preso un voto basso nei corsi che aveva deciso di seguire. Non gl’importava che gli altri lo giudicassero male e fraintendessero le sue passioni o il suo carattere, non gli era mai pesato stare solo e, in ogni caso, vi era abituato.
Sospirando, scostò gli occhi dalla pergamena che stava leggendo e posò la guancia sul palmo della mano, lasciando che il suo sguardo smeraldino vagasse oltre i vetri della finestra. Nel campo proprio sotto la biblioteca un piccolo gruppetto di studenti stava giocando a Quidditch, nonostante gli allenamenti fossero stati sospesi a causa della neve. La coltre bianca ricopriva tutto, dall’erba gelata alle cime degli alberi, fino al più piccolo merlo del castello, e le divise vivaci dei giocatori spiccavano sullo sfondo luminoso. La maggior parte erano scarlatte, chiaro indicatore dell’appartenenza alla Casa di Grifondoro. Del resto, si diceva Arthur, chi altri sarebbe stato così incosciente da mettersi a giocare all’aperto con quella temperatura gelida? Eppure, nonostante quei pensieri e una chiara espressione di sufficienza, non riusciva a staccare gli occhi dai loro movimenti fluidi, a volte bruschi, a volte aggraziati, altre volte ancora carichi di forza. In particolare attirava il suo sguardo quello che sapeva essere il capitano della squadra, nonché suo “conoscente” da quando aveva messo piede ad Hogwarts. Perennemente insieme, costantemente opposti: in quei sei anni il destino li aveva messi in competizione in tutto, dai compiti in classe allo sport, dalla Coppa delle Case ad ogni altro tipo di successo scolastico. Alfred Jones, americano di nascita, era il suo più acerrimo rivale eppure, in qualche modo, anche l’unica persona che si fosse veramente avvicinata a lui a scuola. Al mezzosangue (perché di un mezzosangue si trattava, ovviamente, Arthur non aveva mai avuto dubbi) non importava che lui appartenesse ad una Casa diversa e che fossero effettivamente rivali, non perdeva occasione di appiccicarglisi per i motivi più assurdi e per tormentarlo con la sua presenza nei modi meno opportuni. Persino i compagni di Serpeverde lo avevano notato e ora li tenevano d’occhio con sospetto. Durante quelle vacanze però Arthur aveva stabilito che nessuno lo avrebbe disturbato: avrebbe studiato in tranquillità, bevuto tè al caldo e goduto dei dolci natalizi che gli elfi erano maestri nel preparare.
Ma ovviamente, come ogni organizzatore di piani dovrebbe ormai sapere da tempo, non appena se ne stabilisce uno bisogna prepararsi all’evenienza che venga stravolto anche dalla più piccola leggerezza. Leggerezza che, nel caso di Arthur, venne rappresentata dall’attraversare l’ingresso diretto alla propria sala comune, proprio mentre il chiassoso gruppetto di Grifondoro stava rientrando.
«Arthieee!! »
La voce di Alfred, amplificata dall’eco dell’atrio, lo fece sobbalzare spaventato e quasi rintanare in un angolo del corridoio.
A volte si chiedeva come una persona del genere potesse essere tanto popolare, con praticamente mezza scuola adorante ai suoi piedi. Le ragazze impazzivano per lui e facevano la fila per dichiararsi o chiedergli di uscire, i professori lo avevano in simpatia e, nonostante il suo carattere esuberante e le numerose regole infrante, finivano per non punirlo mai sul serio. Tutto questo mandava Arthur su tutte le furie, a maggior ragione perché lui stesso era caduto nella trappola di quegli occhioni azzurri e non poteva fare a meno di avere il batticuore ogni volta che li incrociava. E dannato sorriso solare, non esisteva che lo facesse arrossire tutte le volte!
«Non chiamarmi in quel modo! » sbottò quindi voltandosi dall’altra parte proprio per non mostrare imbarazzo davanti a quelle comari dei Grifondoro.
«Eddai, Kirkland! » continuò Alfred imperterrito ignorando le occhiatacce dei compagni e raggiungendolo. «Non essere così scorbutico! Volevo solo salutarti. »
«Bene, l’hai fatto, adesso vattene. »
«Mamma mia, ti ha morso un serpente? Ok, ok, pessima battuta…»
Le risate sguaiate degli altri non tardarono ad arrivare ed Arthur, irritato, voltò loro le spalle con tutte le intenzioni di andarsene. Chi glielo faceva fare di perdere tempo con degli idioti del genere? Peccato che la sua “dignitosa ritirata” venne di nuovo bloccata, questa volta da una mano che gli afferrò il polso.
«Li liquido e torno. » sussurrò Alfred in modo che il  gruppetto non lo sentisse,  troppo occupato a farsi beffe del malcapitato. «Ci vediamo più tardi? »
Arthur sospirò, sviò lo sguardo, mise il broncio ma alla fine cedette e annuì impercettibilmente. Si sarebbero visti lontano da sguardi indiscreti, lassù nella guferia, che era diventato il loro ritrovo segreto di lì a qualche tempo: meno fredda della torre di astronomia, ma abbastanza isolata da non rischiare di incontrare un compagno di Casa ad ogni piè sospinto.
Finalmente Alfred lo lasciò in pace e si allontanò con gli schiamazzanti grifoni, così che poté tornare nel sotterraneo dove si trovava la sua sala comune. Fortunatamente era deserta, cosa che gli permise di muoversi liberamente senza destare domande o sguardi perplessi. Si fece portare un tè da un elfo domestico e mentre lo sorseggiava ragionò su cosa lo spingeva a dare corda ad Alfred in quel modo: dopotutto era palese che fosse il biondo americano a cercarlo sempre per primo e il fatto che lui avrebbe commesso follie per quel sorriso davvero non faceva testo, visto che non si era mai esposto in tal proposito (e non intendeva farlo in futuro). Dare adito alla diceria secondo la quale gli opposti si attraggono gli sembrava un’enorme sciocchezza, ma poiché trovava irritante qualsiasi cosa di lui e, allo stesso tempo, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso quando era nei paraggi, forse un fondo di verità c’era.

Alfred impiegò più tempo del previsto a disfarsi dei compagni di casa e quando raggiunse la guferia era consapevole del proprio inqualificabile ritardo. Probabilmente Arthur si sarebbe di nuovo arrabbiato con lui e gli avrebbe detto che era inaffidabile, come ogni volta che accadeva. Alfred non se la prendeva mai, perché in quel momento era certo che l’altro stesse guardando lui e solo lui. Non avrebbe saputo spiegare dettagliatamente e in modo logico cosa l’attirasse nell’inglese, se il suo modo burbero e freddo di approcciarsi a chiunque o quel costante sembrare perso in un mondo tutto suo, se l’altezzosità del purosangue che strideva con la solitudine in cui era sempre immerso o la buffa goffaggine che solo pochi eletti avevano il privilegio di vedere. In ogni caso, fin dalla prima volta che l’aveva visto, non era riuscito ad ignorarlo ed erano cresciuti tra continue competizioni. Solo nell’ultimo anno Alfred aveva deciso che ne aveva abbastanza di scontri, scaramucce e classifiche: voleva stringere con Arthur un rapporto vero, vincere le sue diffidenze e dimostrargli che di lui si poteva fidare. Perché gli piaceva, sul serio, e quando ad Alfred piaceva qualcosa, s’impegnava anima e corpo pur di ottenerla.
Per questo quando varcò la soglia della guferia lo fece con il suo miglior sorriso stampato sul volto, voleva che Arthur vedesse sempre il lato migliore di lui.
«Mi chiedo chi ve lo faccia fare di volare con questo freddo. » sentì borbottare sopra la sua testa. «Voi Grifondoro siete proprio matti. »
Alzò gli occhi e vide che il giovane Serpeverde era comodamente appollaiato su uno dei caldi giacigli lasciati liberi dai gufi. Adeguatamente ripulito e foderato di morbide piume, aveva l’aspetto di un grosso nido e doveva essere altrettanto confortevole. Alfred non ci pensò due volte e si arrampicò lungo la ripida scala che correva lungo la parete, fino a raggiungere il giaciglio e saltarvi dentro, lanciandosi sulle spalle la coperta che si era portato dietro dalla sala comune.
Ovviamente Arthur brontolò di nuovo.
«Fai attenzione! Accidenti, la solita grazia da elefante! »
Ma non protestò più di tanto quando si vide avvolgere attorno alle spalle metà della coperta.
«Parli così perché non sai cosa si prova a volare d’inverno. » disse Alfred riprendendo il discorso precedente. «D’estate è bello ma quando nevica è da brividi. »
«Sì, di gelo. » fu la risposta cinica che ricevette.
«Oh, andiamo, Arthie! Non essere noioso! Lo dici solo perché sei una schiappa nel volo. »
L’occhiata che lo raggiunse avrebbe potuto passarlo da parte a parte come una lama verde. Oh, Merlino, quanto amava quello sguardo! Fiero, orgoglioso e risentito come se gli fosse stato appena fatto un torto mortale. Non poteva fare a meno di stuzzicarlo ancora per vedere fino a che punto lo avrebbe sopportato.
«È inutile che ti offendi, è la pura verità e lo sappiamo entrambi. All’ultimo esame te la sei cavata per il rotto della cuffia, se ci avessero chiesto qualche evoluzione dubito che l’avresti passato. »
«E tu sei una schiappa in Aritmanzia. E in Pozioni. » lo rimbeccò l’altro, niente affatto disposto a lasciarsi criticare in silenzio.
Alfred si portò teatralmente una mano al petto.
«Colpito e affondato! » esclamò lasciandosi cadere di lato e finendo “casualmente” con la testa sulle ginocchia di Arthur.
Lo vide arrossire un po’ e ne sorrise, ma prima che potesse protestare lo prevenne con un’improvvisa esclamazione.
«Ehi! Mi è venuta un’idea geniale! »
Lo sguardo che Arthur gli lanciò, dall’alto verso il basso, chiarì che delle sue “idee geniali” non si fidava per niente, anzi ne era abbastanza terrorizzato.
«Almeno, prima di fare quella faccia, ascolta quello che ho da dire! » esclamò trattenendo una risata ma non spostandosi minimamente dalle sue gambe. «Se tu mi darai una mano in Aritmanzia e Pozioni, in modo che almeno non mi caccino dalla classe al prossimo compito, in cambio ti insegnerò a volare come si deve. Al prossimo esame andrai alla grande e arriverai con un voto alto ai M.A.G.O., che se non sbaglio è il tuo obiettivo. Sarà grandioso! »
Mentre guardava le espressioni susseguirsi sul volto di Arthur, poté quasi indovinare i suoi pensieri: certo, l’idea poteva sembrare allettante, ma lui non era così ingenuo da credere che uno come Alfred non avesse un secondo fine. Come minimo avrebbe cercato di ucciderlo in vari modi, scaraventandolo nel lago o gettandolo dall’alto sul Platano Picchiatore.
«Per trascinarmi fuori con questa temperatura dovrai legarmi. » sbottò infatti l’inglese.
«Oh, beh, sarà scomodo per te guidare una scopa in quel modo, ma per me non ci sono problemi. »
Alfred non aveva la minima intenzione di lasciarsi scoraggiare per così poco. Ora che aveva trovato il modo per passare del tempo da solo con Arthur, non sarebbe bastato del vile scetticismo a fermarlo, nemmeno se si trattava dello scetticismo del diretto interessato.
«Guarda il lato positivo, avrai la possibilità di maltrattarmi sui libri finché vuoi e sappiamo entrambi che non aspetti altro. » insistette.
«Io non aspetto proprio nulla che contempli la tua presenza! » esclamò il biondino incrociando le braccia e voltandogli palesemente le spalle.
Per tutta risposta Alfred, divertito dal fatto che le sue guance avessero assunto il colore di due mele mature, gli si appese letteralmente al collo ripetendo con una vocetta lamentosa: «Daiii! Dai, Arthieee! Voliamo insieme!»
«Accidenti a te! E va bene!! » ringhiò l’inglese esasperato da quel miagolio. «Ma se tenterai qualche scherzo idiota sappi che te la farò pagare molto ma molto cara! »
Alfred non sentì nessuna delle parole e delle minacce che seguirono quel “Va bene” e, preso dall’euforia del momento, saltò letteralmente in spalla all’altro spingendolo sul fondo del nido in una posizione decisamente scomoda oltre che altamente fraintendibile.
«Fantastico! Ci divertiremo un sacco! Sarà grandioso! » ripeté al settimo cielo. «Iniziamo domani! Alle otto! Il cielo limpido del mattino è il migliore! »

Era il 24 dicembre, la vigilia di Natale, festa comandata per tutti, vacanza sacrosanta dovuta a chiunque, riposo programmato da giorni e… E Arthur si trovava a doversi alzare quasi all’alba perché un folle aveva deciso che il “cielo limpido del mattino è il migliore”. O meglio, non esattamente all’alba, visto che era riuscito a strappare le 10 invece delle 8, ma era comunque un crimine ai suoi occhi. Di solito era un tipo abbastanza mattiniero, non gli era mai pesato alzarsi presto per studiare, era l’idea di lanciarsi nel vento ghiacciato a cavallo di una più che instabile scopa che gli faceva apparire il proprio letto come la più allettante delle alternative. Oltre al fatto che avrebbe dovuto stare in compagnia di Alfred per tutto il tempo, ovviamente.
Ci era voluta tutta la sua buona volontà per trascinarsi fuori dalla sala comune e non l’aveva fatto prima di essersi ricoperto di lana dalla testa ai piedi.
Alfred lo aspettava nell’ingresso, scopa alla mano e divisa da Quidditch insensatamente addosso. Gli stava bene, d’accordo, e se voleva attirare la sua attenzione ci era riuscito, ma non aveva l’aria di tenere caldo e se si fosse preso un raffreddore non sarebbe stato una giustificazione sufficiente per saltare le ripetizioni di Aritmanzia.
«Buongiorno! » squillò l’americano, entusiasta. «Ehi, dov’è la tua scopa? »
Arthur sospirò: la sua scopa non era nelle condizioni migliori e sarebbe stato imbarazzante mostrarla senza un’adeguata manutenzione (che non era del tutto certo di essere in grado di fare), quindi meglio glissare sulla questione.
«Pensavo che per la prima lezione bastasse la tua. Dopotutto non è il bolide che ha sbaragliato tutti gli avversari nell’ultima partita? »
«Puoi dirlo forte! » abboccò in pieno Alfred, mostrandogli il suo sorriso più luminoso, che gli fece battere il cuore.
Senza attendere un’ulteriore risposta, lo afferrò per un braccio e lo trascinò verso l’esterno. Quella notte aveva nevicato e la prima sensazione che Arthur ebbe all’aperto, fu il bianco accecante della coltre di neve che ricopriva il prato. Immediatamente dopo giunse l’aria ghiacciata che s’insinuò infidamente tra le pieghe del suo cappotto e della sua sciarpa facendolo rabbrividire. Davvero, chi gliel’aveva fatto fare di abbandonare il calore del suo letto, del fuoco scoppiettante nella sala comune, della tazza di tè bollente che lo aspettava a colazione? Tutte domande che restarono senza risposta di fronte ad Alfred che balzava sulla sua scopa e gli tendeva la mano.
«Immagino che dovremmo iniziare occupandoci della tua paura dell’altezza. » disse. «Si vede da come ti muovi a bordo di una scopa che l’idea del vuoto ti crea problemi, ma vedrai che sarà questione di poco. Una volta acquistata sicurezza andrà tutto bene! »
Oh, certo, tutto bene, come no? Arthur soffriva di vertigini, il che era parte del motivo per cui se la cavava così male con il volo, e non aveva mai voluto confessarlo a nessuno. Il fatto che Alfred fosse stato così perspicace era problematico e inquietante, lo portava a temere che potesse intuire anche altri questioni assai più scomode. Ignorò dunque la sua mano e si avvicinò di qualche passo titubante.
«Preferisci stare davanti o dietro? » continuò Alfred come se nulla fosse. «Sulla scopa intendo. Per guidarla. Vuoi guidarla? »
Le ultime parole vennero pronunciate con un’inflessione entusiasta che fece rabbrividire Arthur, mentre la sua faccia diventava di tutti i colori per gli evidenti doppi sensi che erano sfuggiti all’altro.
«Assolutamente no! » sbottò sistemandosi alle sue spalle a cavalcioni di quell’aggeggio infernale.
Sarebbe morto, sentiva che sarebbe morto.
«Come preferisci. Allora abbracciami stretto, non vorrei che perdessi l’equilibrio. »
Rettifica: ora sarebbe morto.
Ma non ebbe il tempo di preoccuparsene, perché i suoi piedi si stavano allontanando sempre di più da terra e le sue braccia si mossero automaticamente, andandosi a stringere alla vita dell’americano come se fosse l’unico appiglio solido in un mondo che si stava ribaltando. E forse era proprio così.
Chiuse gli occhi, anche se forse non era una grande idea visto che il senso di vertigine lo colse comunque, e dopo qualche attimo sentì una mano calda di Alfred coprire le sue. Il rossore che gli incendiò le guance venne istantaneamente seguito da due pensieri: come poteva essere caldo in quella mattinata gelida e: «NON STACCARE LE MANI DA QUEL DANNATO MANICO DI SCOPA!!! »
La risposta che gli giunse fu un’allegra risata e l’invito a non guardare in basso.
«Guarda dritto davanti a te, il cielo è bellissimo. » disse Alfred con voce tranquilla. «Non avere paura, non ti lascerò cadere, promesso. »
E se lo prometteva lui c’era davvero di che stare sicuri.
Mettendo da parte per un attimo il sarcasmo e il cinismo, Arthur seguì il consiglio e si azzardò ad aprire un occhio. Lo spettacolo che si stagliava davanti al suo sguardo era qualcosa di meraviglioso: il cielo era di un azzurro limpido e cristallino e la neve, candida al punto da apparire argentea sotto la luce brillante del sole, ricopriva ogni ramo e ogni fronda dal giardino del castello fino alla Foresta Proibita.
«Wow…» si lasciò sfuggire ammirato.
Doveva ammettere che una vista simile non era cosa da tutti i giorni.
«Bello, eh? E immagina quanto possa essere affascinante l’alba. O il tramonto. Sono spettacoli che si possono vedere solo qui ad Hogwarts, è stato proprio un bene che abbia deciso di restare per queste vacanze. Senza contare che fuori di qui ci è proibito usare la magia ed è proprio triste dopo tutto quello che abbiamo imparato.»
«Ma tu non taci proprio mai? Non sei capace di rimanere zitto e goderti il momento?! » lo rimproverò Arthur, infastidito.
Di nuovo l’altro rise del suo risentimento.
«Se chiacchiero, tu ascolti la mia voce, ti distrai e non ti preoccupi dell’altezza. » fu la risposta, che rese l’inglese felice di trovarsi alle spalle dell’altro, così che non potesse vedere che grado di colorazione avesse assunto il suo viso.
Dannato americano, lo faceva sicuramente apposta!
«Quindi hai deciso di restare solo per i paesaggi? » domandò nel tentativo di sviare il discorso.
Piuttosto che sentirlo dire che si preoccupava per lui e illudersi che lo facesse per un motivo, preferiva che straparlasse come al solito. Purtroppo si rese conto troppo tardi di essere finito dalla padella nella brace.
«Ma certo che no! Sono rimasto perché sapevo che un piccolo e scorbutico Serpeverde non sarebbe rientrato, non mi andava di lasciarlo tutto solo e ho pensato che sarebbe stata un’ottima occasione per passare del tempo con lui. » fu la risposta, accompagnata da un sorriso dolce, completamente diverso dalle espressioni da sbruffone esibizionista a cui Alfred lo aveva abituato.
Arthur non riuscì a fare altro che sgranare gli occhi e balbettare qualcosa di insensato che terminò in un burbero: «Non dire sciocchezze…» affondato nella stoffa della sua divisa.

Alfred quasi non credeva alle proprie orecchie per quello che era riuscito a dire, oltretutto con una calma apparente del tutto invidiabile. Poteva essere considerata una mezza dichiarazione? Non ne era del tutto certo e non era nemmeno abbastanza esperto per giudicare, ma di certo era un passo avanti visto che Arthur non lo aveva insultato. O meglio, lo aveva fatto in quel suo modo tenero e per nulla credibile. Questo gli dava un certo coraggio e la fiducia necessaria per proseguire sulla linea che si era prefissato. Era la prima volta che si trovavano tanto vicini e questo lo emozionava tantissimo, quindi sperava di non mandare tutto a rotoli a causa del suo scarso autocontrollo.
«Reggiti, si sale! » esclamò, ricevendo come risposta una stretta terrorizzata attorno allo stomaco che gli mozzò il fiato. «Ehi, ehi, tranquillo. Ho detto che non ti lascerò cadere, no? »
A giudicare dalle reazioni di Arthur, iniziava a pensare che per l’inglese fosse piuttosto impossibile diventare un volatore professionista, ma quello ora non aveva importanza visto che il suo obiettivo principale era decisamente un altro. Scartò improvvisamente e fece fare una brusca virata alla scopa, che provocò un mezzo strillo di Arthur, dopodiché ricominciò a salire. Sentire il vento nei capelli era qualcosa di inebriante e sperava che anche l’altro ragazzo, in qualche modo, potesse godere di quella sensazione: era davvero un peccato che si perdesse quell’emozione.
Quando giunsero abbastanza in alto, raccolse tutto il suo coraggio - dopotutto era un eroe, quindi non esisteva che esitasse ancora - e si preparò a sganciare la sua bomba.
«Arthie, ora ti chiederò una cosa e vorrei che mi rispondessi sinceramente. » iniziò.
Poté percepire chiaramente l’inquietudine che provocarono quelle parole, il sospetto e la tensione quasi palpabile. Non sapeva bene come interpretare quel segnale, ma decise comunque di proseguire: ormai era arrivato a quel punto, non aveva senso rinunciare.
«Perché hai accettato di venire qui, questa mattina? » chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Sentì lo sguardo tagliente di Arthur fisso sulla sua nuca, non più occultato dalla pieghe della divisa, e ne avvertì il dubbio.
«Che razza di domande sono? Perché me l’hai chiesto tu, è ovvio. »
«Beh, sì, ma a parte questo? Voglio dire, saresti salito su una scopa con chiunque ti avesse proposto un allenamento speciale? »
«Che immensa sciocchezza! » sbotta Arthur prima di realizzare che quella era esattamente la risposta che Alfred stava aspettando. «Adesso non fraintendere, non significa che…»
«Quindi ti fidi di me! » esclamò l’americano interrompendolo e giungendo così alla conclusione a cui aspirava.
«Ma neanche un po’! »
Anche questa risposta era prevista, ma Alfred aveva già pronta la sua contromossa. Inclinò il manico della scopa in avanti e quella precipitò per alcuni metri. Arthur strillò e lui sogghignò.
«Non mi si mente in volo. »
«Idiota!! » inveì Arthur alle sue spalle, ma dopo un nuovo movimento brusco finalmente si decise. «D’accordo, mi fido. Mi fido. Contento? »
«Moltissimo! »
Ma non era finita. C’era un’altra risposta a cui aspirava e voleva ottenerla in un modo o nell’altro.
Il freddo iniziava a farsi davvero pungente, forse per l’altezza, forse perché il tempo stava peggiorando a giudicare dal vento che spirava da nord. Se avesse avuto le mani libere avrebbe potuto lanciare un incantesimo riscaldante sui loro vestiti, ma ora non era possibile e comunque se si fosse rimesso a nevicare sarebbe stato ancora più suggestivo.
«Sai, Arthie, sto davvero bene con te, mi diverto un sacco. » continuò. «Non avrei mai pensato che una Serpe potesse essere così divertente, specialmente una Serpe all’apparenza così noiosa. »
Un ringhio alle sue spalle lo avvertì di non calcare troppo la mano su quel punto, quindi tentò di raddrizzare il tiro.
«Ho imparato che dietro quello che mostri agli altri c’è molto di più. È qualcosa che mostri solo a me e ho pensato che ci fosse un motivo, perché sai, a me quel di più piace proprio tanto. »
Nella sua testa quel discorso era suonato molto più epico all’inizio e in uno sprazzo di pensiero si ritrovò a chiedersi come avesse potuto ridursi a quel guazzabuglio di parole. In effetti doveva ammettere che non era mai stato particolarmente bravo con  gli argomenti seri, se la cavava molto meglio con le chiacchiere futili.
«Cosa stai cercando di dirmi? » chiese infatti Arthur, più sospettoso che mai.
Inaspettatamente Alfred si trovò ad arrossire: non aveva previsto che l’inglese gli chiedesse di ripetere la sua “dichiarazione”, del resto era sempre così intuitivo che era convinto avrebbe capito tutto dalle prime parole. Per questo rimase con lo sguardo ostinatamene fisso in avanti, suo cielo azzurro e sulle prime nuvole che si addensavano ai limiti della foresta.
«Quello che ho detto. C-che mi piaci. »
Accidenti alla sua voce che si era messa a tremare nel momento meno opportuno! Questo non era per nulla eroico! Inoltre il silenzio alle sue spalle era qualcosa di estremamente preoccupante.
«Ok, adesso smettila di prendermi in giro e torniamo a terra. Si sta facendo tardi. »
Dal tono si poteva capire che Arthur aveva valutato e immediatamente archiviato l’intera faccenda.
«Cos…? No!! » protestò Alfred vedendo le proprie speranze andare in pezzi. «Non è uno scherzo, davvero! Non potrei mai scherzare su una cosa del genere! »
Si voltò alla ricerca dello sguardo dell’altro, per quanto lo permettesse il trovarsi su una scopa, ma non riuscì ad incontrarlo perché Arthur guardava ostinatamente dalla parte opposta.
«Ti giuro che è la verità, volevo solo sapere se tu… ehm… provavi la stessa cosa… e se ti andava di… ecco… venire a Hogsmeade con me, domani. »
«Assolutamente no. »
Una risposta del genere avrebbe gelato chiunque, tolto ogni fiducia e distrutto ogni speranza, ma non Alfred, non l’eroe che era sempre convinto di essere nel giusto. Infatti un sorrisetto tornò a dipingersi sulle sue labbra, mentre la mano destra premeva leggermente sulla parte anteriore del manico di scopa.
«Arthie, te l’ho detto. Non mi si mente in volo. »
In men che non si dica si gettò in una picchiata verticale, quasi un precipitare del tutto senza freni, che provocò un urlo terrorizzato da parte del suo passeggero. Man mano che il terreno si avvicinava poteva sentire Arthur stringersi alla sua schiena e il suo respiro farsi sempre più affannoso, finché un’esclamazione disperata non lo raggiunse.
«Va bene, va bene! Verrò! Verrò a Hogsmeade! Ora però fermati! »
«Perché? »
«Che?!? »
«Perché verrai? Dillo! »
Voleva sentirlo dalla voce di Arthur, voleva conoscere i veri sentimenti dell’altro e che la propria dichiarazione venisse ricambiata.
«Avanti, dillo! »
L’inglese esitò solo per alcuni secondi, il tempo per realizzare che, qualunque cosa avesse detto, il terreno era ormai drammaticamente vicino e, per quanto Alfred fosse abile nel manovrare una scopa da corsa, ci sarebbe voluto un miracolo per evitare l’impatto.
«Oh, al diavolo! Ti amo!!! »
La sorpresa fu tale che Alfred staccò entrambe le mani dal manico di scopa per voltarsi di scatto e questo impresse una strana virata al mezzo che, invece di schiantarsi frontalmente, finì per planare in una lunga strisciata nella neve, che li fece capitombolare entrambi, ruzzolando l’uno sull’altro sulla coltre gelata.
Quando osò riaprire gli occhi, l’americano scoprì di essere praticamente spalmato sopra Arthur e che quello lo stava trapassando con una delle sue occhiate furibonde, gli occhi lucidi dalla rabbia (e probabilmente dallo spavento) e le guance scarlatte.
«Avevi promesso che non mi avresti fatto cadere! » esclamò risentito.
Alfred rimase a fissarlo imbambolato per alcuni istanti senza sapere cosa rispondere. Era dannatamente vero, ma la risposta ricevuta era stata talmente inaspettata da fargli perdere il controllo. Si era immaginato vari tipi di insulti, nelle sue fantasie più sfrenate l’ammissione di un “mi piaci”, ma non certo quelle parole tanto importanti. E la cosa lo riempiva di un’incredibile euforia.
«Hai ragione, scusami. »
Un attimo dopo lo stava baciando, ridacchiando insensatamente sulle sue labbra.
«Hai tentato di uccidermi. Idiota! Ti odio! » ribadì Arthur.
«Lo so. Ti amo anch’io. »
E lo baciò di nuovo, lì distesi nella neve, con i capelli che si bagnavano sempre di più e il freddo che s’insinuava attraverso i vestiti ormai completamente inosservato.

Parlami davvero
Dentro questo gelo
Sentimi davvero
Che non fa più buio
Baciami davvero
Che non casca mica tutto il cielo
Che ci stiamo sotto ancora insieme
[…]

Io ti guardo negli occhi
Hai le ciglia bagnate
E prometti di tutto
E nevica ancora da togliere il fiato.

[Ligabue - La neve se ne frega]

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