Titolo: Piccole storie di San Valentino tra padrone e servitore
Fandom: Pandora Hearts
Rating: verde
Personaggi: Elliot Nightray, Leo, Ada Vessalius, Oz Vessalius, Gilbert Nightray, Oscar Vessalius
Pairings: Elliot/Leo, Oz/Gilbert
Riassunto: Piccoli framenti di vita: i giorni di san Valentino delle mie coppie preferite in Pandora.
Disclaimer: Pandora Hearts e tutti i personaggi appartengono a Jun Mochizuki.
Note: Ambientata in tempi "non sospetti", poco dopo l'arco della scuola Lutwidge. NO SPOILER.
Beta:
mystofthestarsWord count: 3572 (fdp)
Ormai da giorni la scuola era in subbuglio, ovunque era un continuo bisbiglio di voci femminili che si rincorrevano commentando questo o quel ragazzo di passaggio, questa o quella ricetta di dolci pescata da qualche rivista. San Valentino era alle porte e sembrava che quell’improponibile atmosfera rosea e ovattata avesse dato alla testa all’intera popolazione. Elliot, dal canto suo, era sull’orlo della crisi di nervi per svariati motivi: innanzi tutto non ne poteva più di essere seguito di soppiatto in ogni angolo della scuola da ragazzine con sguardi sognanti, che non mancavano di tendergli infidi agguati. Secondariamente il suo onore di Nightray ne usciva leso ogni volta che queste lo prendevano di sorpresa facendolo sussultare. E, ultimo ma non meno importante, la sua tranquillità, le sue tanto amate ore dedicate alla lettura e alla musica erano costantemente minacciate da questi flagelli.
Stava camminando nel corridoio alla volta della biblioteca quando l’ormai consueto sussurro che lo seguiva ovunque lo colse alle spalle facendolo irrigidire.
«Guarda, guarda, è Elliot Nightray! »
«Non è affascinante con quell’espressione imbronciata? »
«E la spada che si porta sempre dietro? Gli dà l’aria di un vero cavaliere d’altri tempi! »
Subito una sequela di male parole gli salì alle labbra e si sarebbe voltato come una belva verso quelle povere ragazze innocenti, se una mano non si fosse provvidenzialmente posata sul suo braccio con l’intenzione di fermarlo.
«Non è davvero il caso. » commentò Leo prevenendo ogni sua intenzione.
«Stupide galline. » borbottò Elliot evitando di aggiungere altro, consapevole che il suo servitore in fondo aveva ragione: fare una scenata a quelle ragazze sarebbe stato più controproducente che altro e non ne avrebbe ricavato la quiete a cui agognava.
Finalmente l’indomani sarebbe stato il giorno di quella stupida festa, dopodiché tutto sarebbe finito e si sarebbe tornati a respirare. Davvero non vedeva l’ora.
Inoltre Elliot considerava il fatto di scambiarsi cioccolatini e sdolcinatezze solo perché era segnato sul calendario, un’immensa idiozia: quando si teneva ad una persona, bisognava dimostrarglielo sempre e con gesti ben più concreti che un mazzo di fiori o qualcosa di simile. Questo però, ovviamente, si guardava bene dal dirlo in giro.
Quando raggiunsero la biblioteca e si chiusero la pesante porta laccata alle spalle, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: lì era ragionevolmente certo che nessuno li avrebbe disturbati. Leo sparì immediatamente tra gli scaffali e ad Elliot non restò che fare altrettanto, mentre rimuginava sul pericolo appena scampato. In realtà c’era qualcuno a cui avrebbe voluto dimostrare i propri sentimenti, ma l’orgoglio fin troppo radicato in lui glielo impediva e finiva sempre per sbottare frasi secche ed essere scostante. Da una parte lo considerava semplicemente il suo carattere, ma dall’altra, beh, era abbastanza seccante. Del resto, si diceva, la persona che gli interessava era a sua volta una delle più seccanti che avesse mai conosciuto, quindi questo bilanciava le cose.
Era arrampicato in cima ad una scala per recuperare dallo scaffale più alto l’ultimo volume di “Holy Knight” che gli era venuta voglia di rileggere, quando sentì la porta aprirsi e richiudersi delicatamente. Con un leggero sbuffo si voltò in quella direzione, rimpiangendo di non aver detto a Leo di chiuderla a chiave: sicuramente qualche ragazzina si era intrufolata per spiarlo anche lì. Quale non fu la sua sorpresa nello scoprire che l’intrusa era nientemeno che Ada Vessalius.
Un brivido gli corse lungo la schiena mentre, non visto, rimaneva ad osservarla dall’alto: la fanciulla si aggirò per qualche minuto tra gli scaffali fino a quando si fermò nel reparto musica. Sembrava stesse cercando qualcosa e, quando lo individuò, fu subito chiaro che era fuori dalla sua portata. Si guardò attorno ma in quella scansia nessuna scala era disponibile. Se fosse stata una qualunque altra persona, probabilmente Elliot sarebbe sceso e le avrebbe portato uno sgabello, o meglio, avrebbe recuperato lui stesso il libro, come ogni gentiluomo sarebbe stato tenuto a fare nei confronti di una ragazza in difficoltà, ma non con Ada Vessalius. Non con la donna più irritante del mondo.
Mentre ancora valutava se scendere con passi pesanti dalla scala, giusto per far notare la sua presenza il più possibile, e poi cacciarla dalla biblioteca, vide Leo svoltare l’angolo dello scaffale, avvicinarsi, porgere il fantomatico sgabello e salirvi per recuperare il volume richiesto, il tutto ostentando un sorriso tranquillo. Questo gli fece salire la sangue alla testa e in un attimo si fiondò giù dalla scala, rischiando di rovinare poco elegantemente a terra. Quando raggiunse i due ragazzi, in effetti distanti solo pochi metri, aveva le guance arrossate a causa del nervosismo crescente, che le loro espressioni perplesse non fecero che aumentare. Il calcio al suddetto sgabello ne fu quasi l’ovvia conseguenza.
Ada schizzò all’indietro con un’esclamazione terrorizzata, mentre Leo, fortunatamente già con i piedi per terra, gli lanciò un’occhiata che di amichevole e paziente aveva ben poco. Da dietro le spesse lenti che portava si poteva intravedere ben poco, ma Elliot lo poteva sentire sulla pelle: il ragazzo era infuriato per quella sua sparata. Non dovette quindi attendere che Ada effettivamente se ne andasse per schivare il compendio di musica antica che gli venne scagliato contro dal suo assai poco ben disposto servitore.
«Quante volte ancora dovrò insegnarti ad essere civile con le persone?! » gridò infatti, ignorano il fatto che in biblioteca, in genere, si fosse tenuti al silenzio.
Elliot, punto sul vivo, gli si rivoltò contro all’istante.
«Ogni volta che ti vedrò fare il cascamorto con Ada Vessalius! »
«Il cas… Tu sei completamente pazzo! Stava cercando un libro per suo fratello, l’ho semplicemente aiutata a prenderlo! Se non ti sta bene avere un servitore educato, allora puoi anche farne a meno! »
Detto questo, girò sui tacchi e si avviò verso l’uscita, lasciando Elliot basito e più infuriato che mai. Non poté comunque aggiungere altro perché Leo, dalla porta, gli indicò il volume ora miseramente riverso sul pavimento.
«Quello era il libro che cercava, se sei un uomo consegnaglielo tu! »
Dopodiché la porta si chiuse con un tonfo definitivo.
Rimuginare non avrebbe portato a nulla, ma l’irritazione ci avrebbe messo un bel po’ a venire smaltita, specie se il soggetto in questione si chiamava Elliot Nightray e si poteva considerare il più testardo della sua specie. Di andare portare quello stupido libro ad Ada Vessalius, poi, non se ne parlava proprio. Per questo motivo aveva raggiunto la sua classe quasi di soppiatto, era entrato quando era stato certo che non ci fosse nessuno, e aveva infilato il libro sotto il banco della ragazza (riconosciuto grazie a tutti quei gattini disegnati negli angoli). Quando poi si era reso conto che stava rientrando, era schizzato fuori quasi travolgendola sulla porta e probabilmente spaventandola per l’ennesima volta. Ora il tutto stava nel tentare di fare pace con Leo, o meglio, fare in modo che il suo servitore tornasse sui suoi passi visto che un Nightray mai e poi mai si sarebbe scusato.
Considerando che di certo non desiderava incontrarlo, probabilmente non si trovava nella loro stanza anzi, visto il carattere assurdo che si ritrovava, era un miracolo se non avesse già fatto le valigie per sparire chissà dove.
Ormai imbruniva e aveva girato tutti i luoghi dove di solito non si recavano insieme e dove il moro avrebbe potuto stare da solo senza correre il rischio d’incontrarlo, ma il deludente risultato era stato un niente di fatto. Stava per rientrare al dormitorio con il peso sullo stomaco di chi si vede costretto a rimandare all’indomani una faccenda importante quando, passando nei pressi della sala di musica, gli giunse alle orecchie la sua “Lacie”.
Accostandosi alla porta dell’aula e sbirciando all’interno, vide il ragazzo seduto al pianoforte, di spalle, avvolto nella luce aranciata e calda del tramonto. La divisa bianca era tinta dell’oro del sole calante e i lunghi capelli scuri ondeggiavano dolcemente al ritmo delle dita che scivolavano agili sulla tastiera. Elliot rimase ad osservarlo come incantato, seguendo quel movimento ipnotico, e finì per appoggiarsi allo stipite della porta socchiusa quasi senza rendersene conto. Aveva gli occhi chiusi e stava seguendo il ritmo della musica con un movimento minimo del capo, quando la voce di Leo lo raggiunse senza interrompere l’esecuzione.
«Non è carino rimanere lì nascosto. Se vuoi ascoltare vieni a sederti qui vicino. »
Ribattere che non era affatto “lì nascosto” avrebbe significato distruggere quell’atmosfera ovattata, quindi per una volta Elliot preferì tacere e raggiungere l’amico accanto al pianoforte.
Mentre le note proseguivano, disperdendosi morbide nell’aria della sera, Leo parlò di nuovo.
«Ada è stata contenta del libro, mi ha pregato di ringraziarti e si è scusata per il disturbo. »
«Non era necessario. » brontolò Elliot.
Sentì su di sé lo sguardo dell’altro ragazzo, ma non aggiunse altro. Sapeva che se Leo aveva qualcosa da dire, l’avrebbe fatto senza che glielo domandasse. Era sempre stato così, non aveva certo bisogno del suo incentivo o del suo invito per esternargli perplessità o critiche.
«Dovresti essere più gentile con la persona che ti piace. » disse infatti.
Il biondo accolse il rimprovero con un mezzo sbuffo che però si mozzò a metà non appena realizzò le parole appena pronunciate.
«Ma che…?! »
«Non è così? » si stupì Leo in risposta alla sua espressione allibita, sollevando le dita dalla tastiera.
Elliot gli restituì uno sguardo sconvolto.
«Certo che no! É una Vessalius! »
Come poteva anche solo ipotizzare una cosa simile? Come poteva essere così… cieco?
«Allora quella scena assurda in biblioteca? Che motivo avevi di prendertela tanto perché avevo parlato con lei? C’è un limite anche al tuo essere assurdo. »
Colpito e affondato. Quella era una domanda decisamente diretta (sorvolando sull’affermazione successiva), che prevedeva una risposta altrettanto chiara e, purtroppo per lui, per la prima volta non sapeva quale dare. Un Nightray che tentenna, che vergogna!
Per questo raddrizzò la schiena, alzò lo sguardo e lo fissò dritto sul volto dell’amico, pregando che le guance rosse non fossero troppo evidenti.
«Ero geloso. Di te, non di lei. Quindi non allontanarti da me. Almeno fino a domani. »
Detto questo, si rese conto che non sarebbe riuscito a reggere lo sguardo di Leo un minuto di più, quindi si alzò e si diresse a grandi falcate verso la porta.
Era quasi in corridoio quando sentì una mano leggera posarsi sulla sua spalla, mentre una risatina leggera l’accompagnava.
«Vedi che sei assurdo? Mi dici di non allontanarmi da te e poi sei il primo ad andartene. »
Leo lo indusse a rientrare nella stanza e chiuse piano la porta.
«Non dicevi che San Valentino è una festa stupida? »
«Lo è. » confermò Elliot, cocciuto. «Però mi rimproveri sempre sul fatto che è bene mantenere le tradizioni anche quando non mi piacciono, quindi devo adeguarmi. »
Leo scoppiò a ridere facendo arrossire ancora di più il suo padrone, che nonostante tutto adorava quella risata.
«Allora anch’io mi adeguerò in tutto e per tutto alle richieste del mio signore. » disse, e nel farlo mosse un singolo passo avanti, tutto ciò che bastava per raggiungere il suo scopo e zittirlo una volta per tutte nel modo più dolce del mondo.
Elliot Nightray sorrideva di rado, pensava Leo, ma quando lo faceva sapeva illuminare tutto ciò che lo circondava: per questo non poteva fare a meno di amarlo.
*-*-*-*-*-*-*-*-*-*
Alla tenuta Vessalius era giunta una nuova lettera di Ada, questa volta accompagnata da una busta rosa indirizzata a qualcuno che non era più un Vessalius da tempo. A questa scoperta, ovviamente, il Nobile Oscar non aveva posto tempo in mezzo e si era precipitato alla tenuta Rainsworth con il preciso intento di uccidere il più presto possibile suddetto destinatario.
«Giiiil! » chiamò Oz, affacciandosi alla porta della cucina da cui proveniva un profumino invitante. «É arrivato lo zio Oscar. Mi ha chiesto di dirti che ti aspetta urgentemente nello studio per ucciderti.»
A quelle parole pronunciate con un sorriso angelico, il moro sbiancò: era trascorso troppo poco tempo dalla loro visita alla scuola Lutwidge e dall’ultima volta che aveva ricevuto una minaccia simile, inoltre il suo senso di colpa verso i Vessalius era ben lungi dall’essere scomparso. Per questo la reazione istintiva del ragazzo fu quella di spalancare la finestra per tentare di darsi alla fuga. Solo una mano che afferrò saldamente la sua spalla glielo impedì e quando si voltò vide nientemeno che Oscar ad un passo da lui.
«Giuro che non ne so niente! » esclamò Gilbert, ben sapendo quale fosse l’unico motivo che faceva comportare così l’affettuoso zio di Oz, ma l’uomo gli stava già sventolando sotto il naso la busta incriminata.
«É chiaramente indirizzata a te. » disse con fare minaccioso.
«Po-potrebbe essere qualunque cosa. » tentò di difendersi il moro. «M-magari i biglietti per il saggio di musica di primavera. Elliot suonerà, quindi…»
Si rendeva conto di quanto quella scusa suonasse debole, ma davvero non gli veniva in mente nessun motivo plausibile per cui Ada dovesse indirizzare una busta a lui personalmente, a meno che Oscar non ci avesse azzeccato. In quel caso, benché innocente sotto tutti i punti di vista, sarebbe stato in un grosso, enorme, guaio: non tanto perché la minore dei fratelli Vessalius aveva una cotta per lui (cosa già di per sé inammissibile considerando il suo passato, il suo tradimento, il suo attuale stato di servitore, etc…), ma anche e soprattutto perché non avrebbe mai potuto ricambiarla. Gilbert aveva a cuore una ed una sola persona, a cui sarebbe stato fedele per sempre, anche se questo avesse significato affrontare le ire della Volontà dell'Abisso in persona (che tuttavia ora gli apparivano meno minacciose di quelle del Nobile Oscar).
Tutto questo gli attraversò la mente in una frazione di secondo e, mentre l’uomo sembrava prendere per un attimo in considerazione la sua assurda ipotesi, allentando un poco la presa, ne approfittò per sgusciare via e scavalcare la finestra verso la salvezza.
«E perché mai dovrebbe mandarti quei biglietti proprio il giorno di San Valentino?! » si sentì gridare dietro un istante dopo. «Fermati! GILBERT!! »
Fortunatamente il parco che circondava villa Rainsworth era grande e dubitava che Oscar si sarebbe messo a cercarlo in lungo e in largo, anche se non poteva essere certo del livello di gelosia che poteva raggiungere quando era in modalità “zio apprensivo”. Trovare un angolino appartato e tranquillo non fu difficile e decise che vi si sarebbe rifugiato almeno finché non fosse stato certo dello scampato pericolo. L’unica cosa che gli dispiaceva era aver abbandonato il proprio lavoro in cucina: quel giorno si era messo d’impegno per preparare qualcosa di speciale ed era già un miracolo che lo Stupido Coniglio non avesse fatto irruzione divorandogli tutti gli ingredienti. Ora i biscotti al cioccolato erano quasi pronti, ma senza qualcuno che li sfornasse sarebbero sicuramente bruciati. Un vero peccato considerando che avrebbero dovuto essere un regalo per…
«Ehi, Gil! »
La voce squillante di Oz lo distrasse da quel rimuginare, inducendolo a voltarsi di scatto.
«Non temere, lo zio è rimasto alla villa con Alice. » continuò il biondino, interpretando la sua espressione stupita.
Teneva le mani dietro la schiena e sembrava nascondere qualcosa. Gilbert si augurò che non si trattasse della famigerata busta e che Oz non volesse costringerlo ad aprirla e magari leggerla in sua presenza. Sapeva bene quanto il suo padroncino ci provasse gusto nel tormentarlo e prenderlo in giro.
Tuttavia Oz si limitò a dondolarsi ancora per qualche istante sui talloni, prima di sedersi accanto a lui sul prato, senza dire una parola.
Le ombre iniziavano ad allungarsi e a quell’ora sarebbe stato perfetto essere seduti nel salotto della villa o sull’elegante terrazza a sorseggiare lo squisito tè di Sharon, magari accompagnato dai suoi biscotti, per una volta tranquilli, per una volta in pace col mondo, senza Alice o Break e i loro strepiti continui. Invece erano lì, nel bel mezzo del parco, senza poter nemmeno immaginare l’ora del rientro.
«Sai, a volte invidio Ada. » mormorò Oz spezzando il silenzio.
Gilbert si voltò a guardarlo, stupito: non era mai successo che il ragazzo esprimesse un sentimento come l’invidia, si era sempre fin troppo accontentato di quello che aveva, professandosi soddisfatto.
«Non fraintendermi, sono felice per lei, per quello che ha e per quello che è diventata. É una brava ragazza e se lo merita, non ha mai fatto niente di male a nessuno. » continuò, quasi volesse sottintendere un “a differenza di me”.
Gilbert avrebbe voluto protestare, ma l’altro continuò: «É bello poter esprimere liberamente i propri sentimenti, senza paura che questi vengano scherniti o respinti. »
Di nuovo tra loro calò qualche istante di silenzio e Gilbert dovette mordersi la lingua per non rischiare di dire o fare qualcosa che avrebbe riaperto vecchie ferite. Conosceva fin troppo bene i timori del suo signorino, la sofferenza che aveva attraversato, ma sapeva altrettanto bene che eventuali parole di conforto da parte sua sarebbero state vuote ed inutili. Non era di lui che Oz aveva bisogno, per quanto questo lo facesse sentire triste e sconfortato.
«Cosa farai se quella lettera conterrà davvero una dichiarazione di Ada? »
La domanda spiazzò Gilbert, che tuttavia aveva già deciso di non mentire mai più al suo padrone. Prese quindi un respiro e rispose con tutta la calma possibile: «Mi scuserò con lei. »
Lo sguardo che Oz gli lanciò fu di puro stupore, come se quasi non potesse credere alle proprie orecchie. Quegli occhi verdi non gli erano mai parsi così innocenti e sinceri.
«Perché non potrei mai accettare i suoi sentimenti. » spiegò Gilbert con un sospiro.
Oz non poteva capire, anzi, forse era meglio che non capisse affatto.
«Perché sei un Nightray, hai tradito i Vessalius, sei il mio servitore e tutte quelle storie? » domandò infatti.
«Ipoteticamente. »
Gilbert voleva bene ad Ada, era sempre stato gentile con lei e non era un segreto per nessuno che l’avesse sempre trattata con un riguardo che rasentava l’affetto, specialmente durante gli anni dell’assenza di Oz. Quello che però nessuno immaginava era che quando la guardava, quando le sorrideva, erano altri occhi quelli che vedeva, un altro viso e un altro sorriso quello a cui agognava.
«Sono egoista, Gil. » mormorò Oz, abbassando lo sguardo e passando le dita tra i fili d’erba. «In fondo sono contento di questo. Sono davvero un pessimo fratello. »
«Non è vero! » esclamò Gilbert d’impulso.
Sapeva che il suo signorino aveva dei difetti, lui per primo glieli aveva fatti notare, come ad esempio la scarsa cura che si prendeva di sé stesso, ma mai lo avrebbe accusato di poca accortezza nei confronti della sorella.
«E invece sì. » insisté. «Perché se ne sapessi il motivo…»
Ecco, era questo che lo innervosiva in modo particolare: l’essere lasciato in sospeso, all’oscuro di ciò che Oz provava veramente e del motivo per cui soffriva. Voleva essergli d’aiuto, d’appoggio, invece lui non si esponeva mai.
«Allora dimmelo! » esclamò voltandosi ed afferrandolo per le spalle, vedendolo sobbalzare un po’.
Oz sviò lo sguardo, fissandolo verso un punto imprecisato dei cespugli poco lontani. Forse era un’impressione, o forse la luce del sole sempre più bassa, ma sembrava quasi che le sue guance si fossero colorate di rosa.
«I miei sentimenti più oscuri…» mormorò.
«Noi siamo uniti dall’oscurità ancora prima che dalla luce! »
Erano parole che riportavano alla mente discorsi lontani, fatti anni e anni prima, rimasti indelebili nella memoria di entrambi: la fedeltà giurata davanti ad un ragazzino rannicchiato su una sedia, rifiutato da colui che più di ogni altro avrebbe dovuto amarlo, e la fedeltà accettata per rendere reale un “per sempre” che avrebbe potuto sembrare flebile come un sogno o una bella favola.
Probabilmente anche Oz le ricordava, poiché lo sguardo che gli rivolse era più esplicativo di qualunque parola, e forse fu proprio quel ricordo a farlo decidere.
«Sono sollevato perché, anche se so che tu non mi avresti abbandonato, avrei dovuto accettare di dividerti con lei, e non mi piace l’idea di provare gelosia verso mia sorella. » rivelò.
Gelosia…
Gilbert rimase a fissarlo con gli occhi spalancati, come se non avesse ben inteso il significato di quelle parole. Fino a quel momento aveva sempre pensato di essere l’unico a provare certi sentimenti, radicati in lui fin dall’infanzia, verso il padrone che lo aveva salvato e il ragazzo che era diventato il centro della sua vita. Non voleva certo illudersi o crearsi false speranze pensando di avere il diritto di amare qualcuno, ma Oz era così vicino e lo guardava con un’aria così teneramente imbarazzata che solo un cieco avrebbe potuto ignorarlo.
«Allora tu…» iniziò, ma l’altro lo interruppe mostrando quello che nascondeva dietro la schiena: un involto con i biscotti appena sfornati, che ancora emanavano un profumino invitante.
«Solo per questa volta, posso fare finta che questi biscotti siano stati fatti per me, per San Valentino? Insomma, so che probabilmente erano per il tè di Sharon, ma…»
«Sono per te! » lo interruppe Gilbert. «Sono sempre stati per te e lo saranno per sempre. I biscotti e… e anch’io. » aggiunse al culmine dell’imbarazzo.
L’espressione di Oz si aprì in un sorriso dolce, mentre il ragazzo si appoggiava alla sua spalla come se quello fosse il posto più comodo del mondo, l’unico dove avrebbe mai voluto stare.
«Sei davvero fissato con i “per sempre”, eh, Gil? » disse in tono volutamente scherzoso, prima di aggiungere a voce più bassa. «I tuoi sono gli unici di cui mi fidi. »
E Gilbert gli circondò le spalle con un braccio, stringendolo a sé prima di posargli un bacio leggero sui capelli: avrebbe fatto di tutto perché quei “per sempre” rimanessero una realtà, anche sfidare le ire della Volontà dell’Abisso, persino affrontare Oscar Vessalius che lo stava di nuovo chiamando a gran voce.
Sul tavolo del salotto, la busta rosa indirizzata a Gilbert giaceva aperta e al suo interno se ne trovava un’altra insieme al biglietto incriminato:
“Caro Gilbert,
potresti consegnare il mio biglietto di San Valentino a tuo fratello?
Grazie, sei un amico!
Ada”
A quanto pareva le giornate tranquille erano ancora lontane.