Titolo: ... E sono già solo
Fandom:
Rating: rosso
Personaggi: Akira, Ray, Kala
Pairings: Akira/Ray
Riassunto: "Quando giunsi con la tazza fumante davanti al bozzolo in cui si era rinchiuso, sporse il naso oltre la selva di piume e ne respirò la fragranza con aria dubbiosa. Potevo vedere nel suo sguardo il desiderio verso quella semplice prelibatezza, quindi lo incoraggiai a non farsi problemi e ad accettare. Posai la tazza a terra e tornai a sedermi sul letto. Pochi minuti dopo Ray mi stava raccontando della sua vita costantemente in fuga, della Scuola e del Cacciatore."
Disclaimer: Ray, Akira e Kala, almeno in questa shot, appartengono a me. Il titolo e lo svolgersi della trama sono ispirati alla canzone "Sono già solo" dei Modà.
Note: Questa oneshot è in realtà ispirata ad un vecchio gdr scritto con un'amica dove si faceva riferimento a varie serie, in questo caso +Anima (le "anime" animali) e Maximum Ride (la Scuola). I personaggi di Akira, Ray e Kala sono però degli originali e come tale considero quindi la loro storia.
Beta:
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A volte vorrei poter fare il superiore, quello a cui non importa, e dire che non ricordo affatto quale fu la prima volta che vidi Ray, che non vi avevo fatto particolarmente caso, visto che non si trattava altro che dell’ennesimo straniero giunto in città. La realtà però è ben diversa: ricordo perfettamente ogni singolo istante di quel giorno come se fosse ieri: gli strepiti dell’oste, le proteste del ragazzo, la sua espressione battagliera e quegli incredibili capelli rossi che mandavano riflessi nel sole del tramonto.
Avevo appena finito il turno di lavoro al cantiere e mi apprestavo a recuperare qualcosa per cena alla consueta locanda, quando vidi quello strano tipo spintonato fuori dall’oste infuriato. Era una scena piuttosto inconsueta quindi, nonostante non sia mai stato un ficcanaso, mi fermai in un angolo a guardare e capii ben presto che a scatenare quella reazione doveva esser stata la dubbia provenienza di quello strano ospite. Poco lontano da lui, rannicchiato su sé stesso, si trovava anche uno scricciolo biondo, chiara motivazione dell’insistente richiesta di un tetto sopra la testa per la notte. Sulle prime tentai d’impormi di pensare ai fatti miei, che la cosa non mi riguardava affatto, di ritirare la mia cena ordinata quel pomeriggio ed andarmene a casa senza fare chiasso. Purtroppo, o forse dovrei dire per fortuna, alla mia uscita dalla locanda i due erano ancora lì: il ragazzo con un’aria più tempestosa che mai e la bambina che tentava di calmarlo accarezzandogli un braccio.
Avvicinarmi per accertarmi che fosse tutto a posto fu un gesto quasi automatico, spinto anche, forse, dal fatto che quei due m’incuriosivano. Ricordo perfettamente lo sguardo che Ray mi lanciò in quel momento, tagliente come una lama e pericoloso come quello di una belva pronta ad aggredire la sua incauta preda. Nei fui talmente colpito che impiegai un istante di troppo a rendermi conto che i suoi occhi avevano il colore dello smeraldo più puro, e proprio per questo lo fissai per quei secondi in più che lo indispettirono.
«Che vuoi? » mi ringhiò contro.
«Potete stare da me. » fu la mia risposta, dettata da non so quale istinto improvviso, «Questa notte, intendo. La mia casa è piccola, ma nel capanno c’è della paglia fresca. Non sarà una reggia, ma almeno avrete un tetto sopra la testa. E vi offrirò la cena. »
Vidi gli occhi color cioccolato della bambina illuminarsi di gioia, ma il ragazzo continuava a guardarmi male.
«Non intendo accettare la tua elemosina. » chiarì.
Avrei voluto aggiungere qualcosa, specificare che non si trattava affatto di carità, ma non me ne diede il tempo.
«Ti pagherò vitto e alloggio e sarà solo per questa notte. »
Non avevo mai incontrato una persona all’apparenza così fredda e mi chiesi per quale motivo fosse così diffidente nei confronti del prossimo. Se il suo atteggiamento era sempre questo, non c’era da stupirsi che gente come l’oste, che pure era un brav’uomo, lo allontanasse in quel modo.
Mi stavo già avviando verso casa, quando la piccola mi tirò un lembo della camicia esclamando tutta allegra: «Grazie mille! Io sono Kala, lui è il mio fratellone Ray, piacere di conoscerti. »
Fratelli? Quei due sembravano tutto tranne che fratelli, ma mi premurai di non indagare oltre considerando l’aura minacciosa che sentivo tutt’attorno.
«Io sono Akira. » mi limitai a presentarmi. «Spero che diventeremo amici. »
In realtà non ne ero affatto certo, sebbene la mia curiosità nei confronti di quei due crescesse sempre di più. O meglio, la mia curiosità era interamente rivolta a quello strano ragazzo dai capelli rossi e dagli occhi stupendi e perennemente imbronciati.
Quella notte faticai ad addormentarmi, i pensieri completamente affollati di Ray. Non aveva voluto per nessun motivo cenare in casa con me e lui e Kala erano rimasti nel capanno tutto il tempo, mangiando per conto proprio. Supponevo che ormai stessero dormendo quindi, dopo essermi rigirato nel letto per parecchio tempo, mi dissi che non c’era niente di male ad andare a dare un’occhiata, dopotutto era sempre casa mia.
Quello che vidi quella notte e ciò che provai, lo ricorderò per tutta la vita. Fu qualcosa di talmente straordinario che sulle prime pensai di essermi addormentato e che si trattasse di un sogno folle.
Quando socchiusi la porta del capanno, i miei occhi impiegarono qualche istante ad adattarsi al buio e all’inizio non distinsi altro che un’ombra scura adagiata sulla paglia. Quando mi resi conto che vi era qualcosa di “non umano” in quella figura, mi avvicinai come mosso da una sorta d’incantesimo. Ray e Kala erano sdraiati sulla paglia, ma non era una coperta quella che li avvolgeva, bensì un paio di grandi ali piumate, che partivano dalle spalle del ragazzo e si dispiegavano su entrambi come a racchiuderli in un bozzolo protettivo. La mia mano si mosse quasi per volontà propria e si allungò verso quelle morbide piume. Un instante dopo mi ritrovai schiena a terra e con quello che sembrava un artiglio puntato alla gola.
«Vattene. » soffiò una voce al mio orecchio.
Gli occhi di Ray, di un verde predatore, scintillavano nell’oscurità.
La mattina dopo erano entrambi scomparsi.
La seconda volta che incontrai Ray fu in una notte tempestosa. Il temporale infuriava sul villaggio, il vento faceva sbattere le imposte e ululava tra i rami del bosco vicino. A svegliarmi fu uno strano grattare alla porta d’ingresso, come se qualcosa di appuntito vi sfregasse contro. Allarmato, mi alzai per controllare se non si fosse spezzato qualche ramo o se la grondaia non avesse ceduto e, quando aprii la porta, per poco non svenni dallo spavento. Ray era in piedi all’ingresso, le grandi ali brune spalancate nella notte e fradice d’acqua, i capelli incollati al viso e le dita contratte in artigli taglienti. Lì per lì pensai di trovarmi di fronte l’angelo della morte.
Lui, senza tanti complimenti, mi spinse dentro e, alla luce della lucerna, vidi che era coperto di fango e foglie, oltre che di inquietanti macchie più scure che sembravano sangue.
«Sei ferito? » mi preoccupai.
Solo più avanti avrei scoperto che quello era lo stato in cui si riduceva reduce da una caccia.
I suoi modi bruschi e il suo atteggiamento violento mi fecero temere il peggio, arrivai addirittura a pensare che fosse tornato per uccidermi dopo che avevo scoperto il suo segreto, quindi tentai di assicurargli che non avevo parlato con nessuno. Non servì a niente, nel giro di pochi istanti mi trovai scaraventato sul letto mentre lui mi strappava i vestiti di dosso. Solo allora, nell’assurdità di quella scena, capii le sue intenzioni e, superando lo spavento, trovai la forza di fermarlo.
«Che stai facendo?! » gridai. «Fermati! RAY! »
Lui si bloccò, fissandomi con gli occhi sgranati, per poi balzare indietro e rannicchiandosi sul pavimento lasciandomi lì con la camicia strappata e il cuore impazzito. Quando il battito si placò, e posso assicurare che ci mise parecchio, mi azzardai a scendere dal letto e a muovere un passo verso Ray.
«Va tutto bene? » chiesi titubante.
Lui alzò la testa, si scostò i capelli dagli occhi arruffando le penne, e stirò le labbra in quello che avrebbe potuto essere un sorriso.
«Tu sei pazzo. » sentenziò. «Chiunque altro sarebbe scappato urlando. »
In effetti c’era mancato poco che lo facessi, ma qualcosa me l’aveva impedito, qualcosa che rivedeva il ragazzo imbronciato dietro alla bestia furiosa.
«Immagino che ora mi riempirai di domande. » continuò Ray sbirciandomi di nuovo con aria diffidente.
«In effetti sì. » risposi dopo una breve riflessione. «Dov’è Kala? Sta diluviando, è al coperto? Sicuro che non stia prendendo freddo? Avete mangiato decentemente questa sera? »
L’espressione sbigottita di Ray fu impagabile e, se non mi fossero ancora tremate le mani, sarei scoppiato a ridere. Sicuramente si era aspettato l’accusa di essere un mostro o qualcosa di simile, come se avessi potuto farlo dopo aver visto con quanta dedizione si prendeva cura della sorellina.
«L’ho lasciata in una grotta poco lontana da qui. É al coperto e c’è il fuoco. » rispose come a dimostrare che aveva pensato a tutto. Sono andato a caccia per la cena, ma il temporale mi ha sorpreso e con le ali bagnate fatico a volare. Sarei tornato indietro ma ho incontrato dei Cacciatori…»
«Ci sono dei matti che cacciano di notte con questo tempo? » mi stupii.
Ray sviò lo sguardo e mi voltò le spalle, rinchiudendosi nel bozzolo delle sue ali. Avevo voglia di toccarle, ma temevo mi aggredisse di nuovo e ritrovarmi con un artiglio da rapace piantato nella gola non era esattamente la mia massima aspirazione per quella notte. In alternativa avrei potuto fare delle domande, ma avevo l’impressione che Ray non mi avrebbe detto un bel niente se non quando lo avesse ritenuto opportuno. Non potevo dire di conoscerlo, anzi, si poteva dire che fosse davvero un estraneo per me oltre che un mistero, ma se c’era qualcosa di cui avevo imparato a fidarmi era il mio intuito verso gli stati d’animo delle persone. Ray non era a suo agio, non stava per niente bene, e aveva paura di mostrare a chiunque il suo disagio. Forse era per quello che era così aggressivo e costantemente sulla difensiva.
Poiché non mi veniva in mente niente di meglio che potesse calmare gli animi, mi diressi in cucina e misi sul fuoco un pentolino di latte con l’intenzione di preparare una cioccolata calda, la migliore medicina che conoscessi per qualunque problema.
Quella notte quello strano ragazzo mi regalò una parte di sé e non nel senso che le sue iniziali intenzioni potrebbero lasciar intuire. No, quella notte scoprii molte cose su di lui, prima tra tutte che adorava la cioccolata. Inoltre, grazie ad un paziente silenzio e alla totale assenza di domande che potessero interromperlo, anche una parte significativa del suo passato.
Quando giunsi con la tazza fumante davanti al bozzolo in cui si era rinchiuso, sporse il naso oltre la selva di piume e ne respirò la fragranza con aria dubbiosa. Potevo vedere nel suo sguardo il desiderio verso quella semplice prelibatezza, quindi lo incoraggiai a non farsi problemi e ad accettare. Posai la tazza a terra e tornai a sedermi sul letto. Pochi minuti dopo Ray mi stava raccontando della sua vita costantemente in fuga, della Scuola e del Cacciatore.
L’Anima del Falco, come la chiamava Ray, era entrata a far parte di lui quando era ancora un bambino. Aveva ricordi molto vaghi e sbiaditi di quel periodo, ma la sua certezza era che fosse giunta a salvarlo da una situazione in cui un essere umano non avrebbe avuto scampo, richiamata da un desiderio e da un attaccamento alla vita talmente forte da cambiare una sorte apparentemente già scritta. Non ricordava nulla dei suoi genitori e della sua vita precedente a quel fatto, sapeva solo che da allora in poi aveva sempre vissuto per conto proprio, almeno fino a quando non aveva incontrato il Cacciatore.
Di certo aveva un nome, ma Ray non me lo volle rivelare. Mi disse solo che era la prima volta che incontrava un essere simile a lui. Il Cacciatore possedeva l’anima di un gatto selvatico e la stessa indole selvaggia, attrattiva irresistibile per un ragazzo come lui. Avevano vissuto insieme per parecchio tempo, gli aveva insegnato a cacciare e a sfruttare a dovere la sua forza. Ray aveva letteralmente perso la testa per lui e l’altro non si era fatto scrupoli a sedurlo completamente.
Ovviamente quella notte glissò molto sui particolari della faccenda, chiaro sintomo di quanto il ricordo lo facesse soffrire, e non me ne parlò diffusamente nemmeno una volta. Tutto quello che mi fu dato sapere, fu che il Cacciatore, una volta ottenuta la sua incondizionata fiducia nonché il suo amore, lo tradì nel peggiore dei modi e lo consegnò alla Scuola, per cui di fatto lavorava. La Scuola era un organizzazione che, sotto la facciata di rispettabile centro di studi, compiva esperimenti sulle persone dotate di facoltà particolari. Rabbrividiva mentre ne parlava e mi chiesi a quali orrori avesse assistito per reagire così.
«Ho passato anni chiuso in una gabbia. » fu l’unica spiegazione che mi diede quella notte.
Probabilmente ne sarebbero giunte altre, ma più avanti, quando si fosse fidato al cento per cento di me. Per ora preferii rimanere in silenzio e lasciare che seguisse il filo logico che preferiva. Mi disse di aver incontrato in quel luogo la piccola Kala che, come immaginavo, non era affatto sua sorella, e di aver tentato di proteggerla in tutti i modi. Quando gli avevano annunciato l’intenzione di separare l’Anima del Falco da lui tramite un intervento di dubbio esito, Ray aveva capito che non era più tempo di esitare: dopo aver maturato odio e rancore per anni, si era scoperto più forte dei suoi carcerieri ed era riuscito a fuggire portando la bambina con sé. Da allora vivevano costantemente in fuga dai Cacciatori.
Per quella notte non vi furono altri racconti o spiegazioni. Il ragazzo… la creatura… non sapevo più nemmeno io come definirlo, per me era solo Ray, rimase rannicchiato sul mio pavimento ancora per qualche tempo, finché non gli porsi una bisaccia con gli avanzi della cena: pane, carne, qualche frutto, del latte.
«Portali a Kala, sarà affamata, poverina. »
Si limitò a guardarmi negli occhi e ad annuire con un mezzo sorriso storto.
Può sembrare assurdo, ma sono certo che fu in quel momento che m’innamorai di lui.
La nostra prima volta accadde non molto tempo dopo.
Vorrei poter essere un signore, per una volta, e dire che attesi finché Ray non mi ebbe raccontato e poi pian piano superato i suoi traumi, che gli lasciai il tempo necessario e che tutto si svolse con estrema calma e dolcezza. Ma purtroppo non sono un signore, solo un umile manovale, e i tempi di questa storia non sono mai stato io a dettarli: non si può imporre qualcosa ad un rapace e non si può nemmeno imbrigliarlo per troppo tempo. Sono creature libere ed indipendenti, lo imparai ben presto a mie spese.
Accadde alcuni mesi più tardi, in una sera d’autunno, mentre il vento stormiva tra le fronde annunciando l’imminente arrivo di qualcuno. Me lo ritrovai sulla porta di casa, com’era già successo la volta precedente, ma meno malconcio e senza le grandi ali spalancate. Diciamo che così faceva molta meno paura.
«Fa’ l’amore con me. » disse, chiarendo subito che non si trattava di una richiesta che poteva contemplare un’eventuale risposta negativa.
Lì per lì mi spiazzò completamente, ma se dicessi che non vi avevo favoleggiato ogni notte dall’ultima volta che lo avevo visto, sarei il peggiore dei bugiardi. No, la realtà era che avevo perso la testa e, nonostante sapessi davvero poco di lui, del suo passato e della sua vita, in ogni momento libero a casa o sul lavoro, mi sorprendevo a fantasticare su di lui in scene languide e traboccanti di zucchero. Lo ammetto, sono un gran romantico, l’esatto opposto di Ray.
Lui invece non si pose problemi, probabilmente non rimuginò neanche un attimo su eventuali implicazioni sentimentali, semplicemente si presentò alla mia porta con il suo carico di cinismo e disillusioni, quella pretesa sulle labbra e la certezza che sarebbe stato accontentato.
Ed ebbe ragione su tutta la linea.
A ripensarci a cose fatte, fu davvero folle: ricordo perfettamente il mio imbarazzo, il panico quasi, quando iniziò a spogliarmi, e il sottinteso timore che finisse per saltarmi alla gola con gli artigli sguainati come la volta precedente. Fortunatamente non accadde niente di tutto ciò, si limitò a intimarmi di spegnere la lucerna e mi permise quasi di essere gentile nei suoi confronti, anche se le mie parole esitanti sembravano spazientirlo.
«Stai bene? »
«Sì…»
«Scusami! »
«No…»
«Va t…»
«Non sono di vetro! »
Quell’ultima affermazione finì per strapparmi una risatina e al tensione si allentò parecchio. Ray mi permise addirittura di baciarlo, cosa che non avevo ancora fatto, anche se poi mi morse le labbra finendo per farle sanguinare. Si avvinghiò alla mia schiena e, mentre mi muovevo sopra di lui, piantò le unghie nella mia carne lasciando segni che avrebbero impiegato una settimana a sparire. Sul momento non ci feci nemmeno caso, troppo preso dalla passione del momento, ma più tardi… Oh, quei graffi furono oggetto di battute dei miei colleghi per mesi!
Fu una nottata straordinaria e assurda allo stesso tempo, la concretizzazione di fantasie che ritenevo impossibili e la dimostrazione che, comunque, esse sarebbero rimaste tali. Io lo amavo, lo amavo al di là di ogni logica di buonsenso, mentre per lui quello era solo un atto di sfogo, un modo per rovesciare fuori da sé tutta la rabbia che provava, per cancellare anche solo per qualche ora il rancore, o forse il suo era un tentativo di autodistruzione. Quello che so è che Ray fu un’esplosione al calor bianco tra le mie braccia, tutt’altro che malleabile e sottomesso. A volte stringeva le ginocchia attorno ai miei fianchi lasciandosi andare ad alti gemiti di piacere, altre prendeva lui stesso il controllo, spingendomi con malagrazia sul materasso e imponendomi il suo stesso ritmo. Una sola volta lo sentii invocare un nome che non conoscevo, ma si trattò di un sussurro mescolato ad ansiti che mi fecero dubitare che fosse reale.
Quando tutto finì, potei vedere nei suoi occhi il conflitto interiore che lo animava: voleva andarsene subito ma, per contro, anche lasciarsi andare tra le lenzuola e riposare, dormire un po’ magari. Alla fine vinse la stanchezza e vidi le sue palpebre farsi sempre più pesanti. Pensai che avrebbe di nuovo tirato fuori quelle enormi ali scure per avvolgervisi, ma mi sbagliavo: si abbandonò semplicemente sulle lenzuola e rimase immobile, totalmente indifeso. In qualche modo mi resi conto che quello era il più grande atto di fiducia che potesse compiere nei miei confronti e, intenerito, mi permisi di chinarmi su di lui e posargli un piccolo bacio sui capelli fiammeggianti, prima di stendermi a mia volta.
Ovviamente, quando mi svegliai, ero solo nel letto e in casa.
Date le circostanze in cui ci eravamo separati, ero convinto che non avrei più rivisto Ray. Triste a dirsi ma pensavo che, una volta toltosi lo sfizio, sarebbe sparito una volta per tutte dalla mia vita. A pensarci mi sentivo male e non riuscivo in nessun modo a levarmi dalla testa le sue braccia che mi stringevano, il suono della sua voce, i suoi occhi accesi di passione o velati d’angoscia. Ogni giorno controllavo che i segni sulla schiena fossero ancora lì: in qualche modo mi permettevano di sentirlo ancora vicino e di credere che fosse successo davvero.
Anche andare al lavoro era diventata una pena e il fatto che avessi costantemente la testa tra le nuvole mi attirava le ire del capocantiere e gli scherni dei colleghi. Ormai la “gattina” che mi aveva lasciato quei segni era entrata nell’immaginario collettivo ed io rientravo a pieno titolo nella triste categoria dei sedotti e abbandonati. Non potevo nemmeno ribattere, visto che si trattava dell’amara realtà.
Avvenne alcune settimane più tardi.
Durante la pausa pranzo ero solito sedermi con alcuni colleghi sul muretto che delimitava il cantiere in modo da poter consumare il pasto in un punto che non fosse invaso dalla polvere. In quel periodo stavamo erigendo una villa per un nobile della città vicina che aveva scelto il nostro paesino come luogo di villeggiatura. E ovviamente, come sempre, i miei compagni mi facevano oggetto delle loro battute.
«Non è tempo di tornare dalla gattina, Akira? » diceva uno. «Non è bello stare in astinenza e ormai le tue ferite di guerra sono guarite. »
«Prima o poi riusciremo a farti sputare il nome. » insisteva un altro. «Siamo curiosi di vedere in faccia la donna che è riuscita a piegare lo stoico Akira! »
«Non ci hai nemmeno mai detto com’è fatta! É bella, vero? Scommetto che è una tipina tutta curve, come quelle che si vedono in certi locali. »
Sapevo che avrei dovuto dire loro di smetterla ma, per quanto seccanti, quelle mi apparivano solo chiacchiere inutili e innocue.
«Ehi! » esclamò poi ad un tratto il primo. «Non è che non ce l’hai mai voluta presentare perché temi che possiamo portartela via? Non l’avrai mica pagata?! Eh, Akiaki? »
Mi punzecchiò una spalla guadagnandosi un’occhiata torva. Ma che diavolo stava blaterando?
«Del resto chi mai starebbe con un tipo scialbo come te senza avere nulla in cambio? »
Quelle parole mi ferirono quasi più del fatto che stessero paragonando Ray ad una prostituta e un sospiro mi sfuggì dalle labbra: già, chi sarebbe stato con un tipo scialbo come me senza avere nulla in cam…?
Non ebbi nemmeno il tempo di formulare il pensiero per intero, che un lampo rosso attraversò il mio sguardo e un istante dopo il collega si ritrovò sdraiato sulla schiena, dalla parte opposta del muretto, con una figura rabbiosa seduta sullo stomaco.
«Chi è che avrebbe pagato, eh? Ripetilo! » ringhiò.
Ebbi appena il tempo di balzare in piedi e di trascinarlo via prima che mezzo cantiere si precipitasse sul posto immaginando una zuffa.
«Ray! » lo chiamai. «Ma che… Cosa ti passa per la testa? Cosa ci fai qui? »
«Aveva un coltello! » sbraitava intanto l’uomo a terra, mentre tra me e me gli auguravo che Ray lo avesse usato davvero per tagliargli la lingua.
«Ma quale coltello! » ribattei voltandomi appena. «Te la stavi facendo sotto dallo spavento e te lo sei sognato. Il mio amico ti sembra armato? »
Ovviamente gli artigli rapaci del mio “amico” erano prontamente tornati al loro posto. Ray ignorò tutto quel trambusto e si limitò a lanciargli un’occhiata carica di astio.
«Akira non ha bisogno di pagare nessuna stupida gattina! » gli sputò contro, incamminandosi poi verso l’angolo della strada dove lo stava aspettano la piccola Kala.
Avevo ancora a disposizione almeno metà della pausa pranzo, quindi lo seguii.
«Non ti piacciono proprio i gatti, eh? » scherzai tentando di allentare la tensione. «Ma certo che no, sei un uccellino! »
Ray mi lanciò un’occhiata assassina e continuò a camminare. Kala ci raggiunse e mi salutò con calore, come se fosse davvero felice di vedermi. In quel mentre, senza alcun apparente collegamento, ricordai la storia del Cacciatore che mi era stata raccontata e mi morsi la lingua: quel tipo che aveva tanto fatto soffrire Ray aveva l’anima di un gatto selvatico. E io ero uno stupido.
Mi chiesi quindi cosa avesse spinto il ragazzo ad intervenire.
«L’hai fatto per me? Perché quel tipo mi stava infastidendo? » domandai incredulo.
«Idiota! » fu l’unica risposta che ricevetti, ma non intendevo darmi per vinto.
«Ray! » insistetti con tutte le intenzioni di ottenere una replica convincente.
Lui sbuffò, digrignò i denti e si voltò dall’altra parte.
«Ovviamente! Quanto sei scemo! E poi non potevo certo starmene lì a farmi paragonare ad una gatta di strada!»
Ovviamente…
Un sorriso enorme si allargò sul mio volto mentre sentivo solo quella parola e la mia speranza, in qualche modo, si riaccendeva. Avrei voluto baciarlo lì in mezzo alla strada e dirgli che lo amavo da impazzire e non avrei sopportato di vederlo andarsene di nuovo.
«Questa sera dovete assolutamente venire a cena da me! » dissi invece e, vista l’espressione estasiata di Kala, nemmeno Ray se la sentì di rifiutare.
Essere un cuoco discreto a volte poteva essere d’aiuto e, se non fosse bastato, c’era sempre la cioccolata nella dispensa.
Fortunatamente la cena fu pienamente gradita dai miei ospiti, ma per tutta la sera ebbi il timore che Ray potesse decidere di alzarsi ed andarsene da un momento all’altro. Certo, avrei potuto chiedergli di rimanere, ma c’era qualcosa che mi bloccava e mi faceva sprofondare nell’imbarazzo ogni volta che il mio sguardo sfiorava anche solo per caso le lenzuola del letto in fondo alla stanza. Non volevo che fraintendesse le mie intenzioni.
… Come se ci fosse effettivamente qualcosa da fraintendere.
Fu Kala a togliermi d’impiccio, sbadigliando sonoramente a pasto concluso.
«Fratellone, sono stanca e ho sonno. Restiamo a dormire da Akira, stanotte? » chiese con la dolce ingenuità della bambina che era.
Ray borbottò qualcosa a proposito del disturbo, a cui lei rispose con un «Per favoooore! » pieno di occhioni luccicanti e ciglia sbattute ad arte.
Le donne sono temibili anche da piccole, a maggior ragione quando, ottenuto quello che vogliono, ti rivolgono un occhiolino complice.
«Allora io vado a dormire nel capanno, non vorrei mai esservi di disturbo. Voi intanto finite i vostri discorsi da grandi! Buonanotte, Akira! La cena era squisita, grazie! »
Mi abbracciò e mi stampò un bacio entusiasta sulla guancia, sparendo prima che uno di noi potesse dire una parola.
Ray rimuginò in silenzio per alcuni istanti, mentre sparecchiavo tentando di superare l’imbarazzo riguardo i “discorsi da grandi”.
«Sono un pessimo fratello. » fu la sua conclusione.
Non mi diede il tempo di negarlo, perché continuò, probabilmente più per il gusto di parlare a sé stesso.
«La costringo a vivere per strada e a dormire nei boschi. La nostra maggiore aspirazione è una grotta con un fuoco da campo su cui arrostire un fagiano. Deve esserle sembrata un dono del cielo, questa cena. »
«E allora perché non vi fermate da qualche parte? » mi decisi dunque a chiedere, come se fosse la cosa più ovvia del mondo e per me, in effetti, lo era.
Lo sguardo assassino che Ray mi rivolse non fu sufficiente a zittirmi, ormai mi ero lanciato in quella folle dichiarazione d’intenti. O forse il mio era solo un suicidio annunciato.
«Potreste cercare un posto che vi piace, anche fuori mano se non amate stare in mezzo alla gente, e stabilirvi là. Potremmo abitare tutti insieme. La mia casa è piccola ma, vendendola e con i risparmi che ho da parte, potrei permettermene una più grande e il resto lo farei da me. Posso costruire qualunque cosa e per un operaio c’è lavoro ovunque. Sarebbe bello, non trovi? »
Gli occhi di Ray si erano fatti sempre più sgranati ad ogni parola che usciva dalle mie labbra, sempre più increduli ed allarmati.
«Perché…? » riuscì a sillabare alla fine.
Come se non fosse ovvio.
«Perché ti amo. »
Se avessi detto che volevo darmi all’ornitologia e lui mi sembrava un perfetto soggetto di studio, la sua reazione sarebbe stata meno sconvolta. Infatti balzò in piedi di scatto rovesciando la sedia con un gran fracasso e fissandomi con espressione irata. La tipica espressione di chi è terrorizzato.
«Non dire sciocchezze, tu non mi ami affatto! »
«Vuoi insegnarmi quali sono i miei sentimenti? » ribattei sforzandomi di mantenere la calma.
Se avessi perso la testa anch’io sarebbe stata la fine di tutto.
Vidi il suo sguardo vacillare, infine lo distolse, picchiando un pungo sul tavolo.
«É inaccettabile! » esclamò.
«Ti ricordo che sei stato tu il primo a venirmi a cercare. »
«Vorresti dare la colpa a me?! »
Aveva l’espressione di un bambino pescato con le mani nel barattolo della marmellata: colpevole ma deciso a negare fino alla fine.
«No, Ray, no. » sospirai. «Qui non è una questione di colpe. Quello che non capisco è perché tu non possa accettare che una persona ti voglia bene. Con Kala lo fai, non vedo perché per me dovrebbe essere diverso. »
«Perché io…» iniziò, ma la sua voce si spezzò e con un movimento rabbioso si allontanò dal tavolo, deciso a guadagnare la porta per poi sparire chissà dove.
Lo afferrai per un braccio che già si trovava sulla soglia, con le ali spalancate.
«Per favore…» lo pregai, ma non riuscii ad aggiungere altro quando notai che i suoi occhi erano lucidi di lacrime.
«… Io non voglio soffrire di nuovo. » masticò, mentre ora la sua mano stringeva il mio polso fin quasi a farmi male.
Lacrime cocenti scivolarono lentamente sulle sue guance, mentre le ali si ripiegavano fino a scomparire.
«Non dirlo mai più. »
«Invece te lo ripeterò fino a quando sarai convinto. Te lo ripeterò finché non mi crederai e, magari, mi ricambierai. » dissi. «Non permetterò che tu soffra mai più. Perché ti amo. »
Lo sentii divincolarsi, ma questa volta mi guardai bene dal trattenermi e lo abbracciai lì sulla porta di casa.
«Ti amo…»
«Smettila! » ringhiò. «Ripeterlo in continuazione non ti autorizza a tutto! »
«Ah, no? » tentai di scherzare mentre lo inducevo a rientrare e, una volta chiusa la porta, gli strappavo un bacio a lungo agognato.
Ero consapevole di stare rischiando la vita ma, allo stesso tempo, ero fiducioso del fatto che Ray non mi avrebbe fatto del male, non in un simile frangente. Fortunatamente ebbi ragione.
Fu una strana notte, molto più strana di quella passata insieme in precedenza. Non vi furono aggressioni, morsi e graffi, nessuna furia, nessuna rabbia. Mi ci volle molta pazienza, ma sembrava che piano piano stessi riuscendo a fare breccia nelle resistenze e nelle diffidenze di Ray. Questa volta fui io a parlare, a raccontare di come mi sarebbe piaciuto vivere con loro, di quanto sarebbe stato bello poter stare insieme, di come avrei costruito la nostra casa e coltivato un piccolo orticello sul retro. Mi rendevo conto che sembrava una favola, ma Ray non m’interruppe, lasciò che fantasticassi su quella vita idilliaca, forse perché anche lui ne aveva bisogno. Arrivai addirittura ad esprimere un desiderio che portavo con me dalla prima volta che lo avevo visto e non avevo mai osato pronunciare per paura che venisse accolto nel modo sbagliato.
«Posso… toccare le tue ali? »
Lo sguardo che mi lanciò fu sufficiente a chiarire cosa ne pensasse, ma si limitò a borbottare un: «Sono larghe quattro metri, non potrei aprirle in una stanza così piccola. »
Era evidente che era ancora riluttante, anzi, strano a dirsi, sembrava quasi imbarazzato. Avrei potuto chiedergli se quel gesto rivestiva per lui un significato particolare, ma stavo diventando bravo a leggere le sue reazioni, quindi immaginavo che fosse così. Magari il Cacciatore gli aveva chiesto una cosa simile agli albori della loro relazione e certo non volevo risvegliare tristi ricordi in un momento di pace apparente come quello.
«La prossima volta…» mormorò invece Ray, lasciandomi incredulo ed euforico per tutti i sottintesi di quelle parole.
Mi avvicinai, lo abbracciai dolcemente e lui mi lasciò fare. Non protestò nemmeno quando lo baciai di nuovo o iniziai a sfilargli piano la camicia. Mi permise di essere gentile con lui e di riservargli tutte le attenzioni che la volta precedente mi aveva impedito. Niente movimenti bruschi, niente segni sanguinanti sulla schiena, niente dolore inflitto o ricevuto, solo il calore dei nostri corpi uniti. Quando intrecciai le mie dita alle sue e lasciai che il mio petto aderisse alla sua schiena, mi resi conto che proprio quel punto, all’altezza delle scapole, era dove si materializzavano le grandi ali scure. Ipnotizzato da quella pelle liscia, incantato dal potere che ne poteva nascere da un momento all’altro, vi posai le labbra provocandogli un brivido che si sciolse in un gemito languido un momento più tardi. Quando sentii le sue braccia che mi circondarono il collo, mi preparai al bruciore dei graffi, ma nessun artiglio scalfì la mia pelle. Sentii solo leggere e incerte carezze che mi percorrevano la schiena in modo un po’ goffo e, quando presi la sua mano per baciargli la punta delle dita, ebbi la soddisfazione di vederlo arrossire.
«Sei bellissimo…» mormorai e, dal ringhio che ottenni in risposta, capii che quella era la cosa più pericolosa che avessi detto in tutta la serata.
Ci mancò poco che scoppiassi a ridere.
Quando crollammo esausti sulle lenzuola madide, avrei voluto pregarlo di restare, di non andarsene di soppiatto per farmi ritrovare solo al risveglio, ma non ne ebbi la forza e mi addormentai quasi subito.
Riaprire gli occhi mi provocò una strana sensazione, un misto di tepore e morbidezza che non mi spiegavo, dato che i tessuti delle mie coperte non erano esattamente pregiati. Sollevai una palpebra e, nella penombra del primo mattino, mi resi conto con enorme stupore che a coprirmi non era niente del genere, bensì una distesa di piume: una delle ali di Ray ci avvolgeva entrambi come una promessa di protezione e un nodo di commozione mi chiuse la gola.
Esistono tanti misteri a questo mondo, per me il più grande è rappresentato dalla persona che amo: un ragazzo dagli occhi verdi e dai capelli di fiamma, con grandi ali scure e artigli micidiali a difesa del cuore più gentile che abbia mai conosciuto.