[Haikyuu!!] My guardian deity

Aug 19, 2014 00:11

Titolo: My guardian deity
Fandom: Haikyuu!!
Rating: verde
Personaggi: Asahi Azumane, Yuu Nishinoya
Pairings: Asahi/Noya
Riassunto: "Asahi aprì gli occhi e se lo ritrovò davanti come se non fosse passato neanche un giorno: la stessa espressione che si apriva in sincero entusiasmo quando lo vedeva, gli stessi occhi brillanti, lo stesso ciuffo ossigenato e forse giusto qualche centimetro in più.
«Quanto tempo, Nishinoya. »"
Disclaimer: Haikyuu!! e tutti i suoi personaggi appartengono a Furudate Haruichi.
Note: Scritta per l'iniziativa The Pirates della community landedifandom con il prompt "Asashi Azumane/Yuu Nishinoya; post-liceo"
Beta: mystofthestars
Word count: 1944 (fdp)

Asahi aveva sempre ammirato il modo di giocare di Nishinoya, la sua sicurezza, la sua eccezionale precisione e l’impegno che infondeva in ogni suo gesto. Quel ragazzo era l’entusiasmo in persona e, allo stesso tempo, sapeva suscitare una fiducia incondizionata. Era incredibilmente rassicurante sapere di averlo alle spalle: le ansie e i timori scomparivano nella consapevolezza che ci sarebbe sempre stato lui a curare la difesa della squadra. Nessun avversario avrebbe avuto vita facile finché la divinità guardiana fosse stata dalla loro parte ed era incredibile che questi pensieri venissero da un gigante come lui ne confronti di uno scricciolino di 159 cm. Ma Nishinoya era straordinario e tutti se ne rendevano conto alla prima occhiata.
Per questo non si stupì particolarmente quando venne a sapere che era stato ingaggiato dalla squadra di una famosa università. Dopo il liceo si erano persi di vista gradualmente, non frequentare la stessa scuola non era d’aiuto e gli strani e contraddittori sentimenti che Asahi provava nei confronti del vecchio compagno lo rendevano ancora più restio a cercarne la compagnia. Temeva di essere un peso per lui, tremava all’idea che scoprisse i suoi pensieri e ne fosse disgustato. Non voleva per nessun motivo veder dipingersi sul suo volto un’espressione di rabbia e rifiuto come quella che gli era apparsa quell’unica volta, durante il litigio che aveva rischiato di far abbandonare ad entrambi la passione per la pallavolo. Era stato soprattutto per questo motivo che aveva continuato a seguirne i progressi da lontano, gioendo della sua scalata verso il professionismo ma limitandosi a messaggi di congratulazioni dopo ogni vittoria.
Asahi era consapevole che quella carriera era tanto adatta a Noya quanto poco lo era per lui stesso, sapeva benissimo che con la fine del liceo sarebbero finite anche le sue partite da asso, ma era soddisfatto per quello che aveva vissuto e ottenuto quindi anche continuare a giocare in modo semplicemente amatoriale per lui andava bene.
Poi c’era stato l’incidente, al secondo anno di università, e i giochi si erano chiusi così. Non era stato niente di così grave come tutti sembravano voler far credere, era solo uscito di strada col motorino nel tentativo di evitare un bambino, ma la caduta gli aveva irreparabilmente rovinato alcuni legamenti quindi saltare era diventato difficoltoso. Si era sentito talmente stupido che non aveva nemmeno avuto il coraggio di dirlo a Noya.
Per questo quando gli era arrivato quel messaggio era rimasto spiazzato e l’ansia era schizzata alle stelle.
«Ukai-san ci ha invitati ad una partita di allenamento con le nuove leve della Karasuno. Non puoi assolutamente mancare, devi mostrare a quei pivellini come gioca un vero asso! »
Nonostante fosse lui il professionista, Nishinoya continuava a riferirsi ad Asahi come l’asso e questo lo faceva sentire terribilmente in imbarazzo: non aveva mai fatto nulla per meritarsi quel titolo, tantomeno la stima e l’entusiasmo dell’altro. Eppure non trovò la forza di rifiutare, voleva stare di nuovo sul campo, di fronte ad una rete, e sentire la sicurezza che trasmetteva sapere di avere alle spalle la sua divinità guardiana.
Si sarebbe trattato di una semplice partita di allenamento in cui non sarebbero stati altro che membri dell’associazione di quartiere che giocavano a tempo perso contro dei ragazzini per tenerli in forma, eppure la sola idea era talmente carica di ricordi nostalgici che non era certo di riuscire a trattenere l’emozione.
Ripercorrere la strada che aveva fatto tutti i giorni per tre anni, rivedere la vecchia scuola, che sembrava sempre la stessa nonostante il tempo che passava, avvicinarsi alla palestra e soffermarsi sotto il portico: tutti gesti che lo riportavano indietro nel tempo al periodo più felice della sua vita. Quasi si aspettava di veder sbucare fuori Sawamura pronto a rimproverarlo per il mese di assenza in cui aveva battuto la fiacca, o Sugawara che lo attendeva sorridente sulla soglia. Gli sembrava di sentire gli schiamazzi di Tanaka e Hinata e i rimbrotti burberi di Kageyama. Chiudendo gli occhi poteva anche risentire le esclamazioni assurde di Nishinoya quando dava un nome alle sue mosse di ricezione.
«ROLLING THUNDER! »
Era tutto così realistico che poteva credere di essere davvero tornato indietro nel tempo ai giorni in cui…
Una pallonata arrivata da chissà dove lo colpì in pieno stomaco, strappandolo bruscamente dalle sue fantasticherie e facendolo piegare in due per l’improvvisa mancanza d’aria.
«Ah! Mi dispiace! Mi dispiace! La porta era aperta e la palla mi è sfuggita! » sentì esclamare da una voce fin troppo nota che si avvicinava. «Si è fatto male? Se vuole può venire a… Eh? Asahi-san?! »
Asahi aprì gli occhi e se lo ritrovò davanti come se non fosse passato neanche un giorno: la stessa espressione che si apriva in sincero entusiasmo quando lo vedeva, gli stessi occhi brillanti, lo stesso ciuffo ossigenato e forse giusto qualche centimetro in più. Per l’occasione indossava la vecchia maglia arancio del libero della Karasuno e ad Asahi per poco non salirono le lacrime agli occhi.
«Quanto tempo, Nishinoya. » riuscì a dire prima che la sua voce si spezzasse per la commozione.
Il vecchio compagno ovviamente lo prese in giro, gli rifilò una pacca sulla spalla e lo trascinò in palestra dove li aspettava la nuova formazione del club. Asahi lo lasciò fare, mandando in fumo tutti i propositi di spiegargli come e perché non poteva saltare come una volta.
Muoversi su quel campo gli era assolutamente naturale, il suo corpo ricordava perfettamente ogni cosa: lo scricchiolio delle suole sul pavimento liscio, la tensione prima dell’attacco avversario, i rimbombo del pallone quando si schiantava al suolo dopo una schiacciata, l’euforia di un punto appena conquistato.
Le nuove leve della Karasuno se la cavavano bene, erano dei ragazzi svegli e con un gioco veloce, ma ancora da perfezionare. Per alcuni versi gli ricordavano l’Hinata dei primi tempi.
Quando la palla arrivò dritta sulle braccia di Nishinoya ed egli l’indirizzò verso l’alzatore chiamando il suo nome, Asahi saltò automaticamente intercettandola al di sopra della rete. Tutto era esattamente come un tempo e, nonostante il muro che gli si parava davanti, la vista che poteva ammirare oltre era fantastica. Un movimento fluido del braccio e la palla si schiantò al suolo senza che nessuno intralciasse la sua strada.
Quando toccò terra, un dolore sordo gli attraversò il ginocchio, ricordandogli la realtà dei fatti, ma non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsene che si ritrovò Nishinoya letteralmente in spalla.
«FANTASTICO, ASAHI-SAN!! » esclamò l’amico entusiasta. «Non hai perso il tuo smalto, proprio come mi aspettavo! »
E Asahi, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che preoccuparsi di essere una delusione per chi aveva sempre riposto grandi speranze in lui, finalmente si rilassò e sorrise.

«Quindi non puoi saltare come prima. »
Le parole di Noya, più un’affermazione che una domanda, lo spiazzarono mentre si avviavano verso la stazione. Non erano necessarie domande su come l’avesse capito né ulteriori spiegazioni. Asahi si limitò ad annuire.
«Già. Mi dispiace. »
«Immaginavo che fosse successo qualcosa del genere quando hai smesso di farti sentire. É così da te!»
Asahi arrossì suo malgrado borbottando un: «Ehi, che vorresti dire? »
«Che non sei cambiato di una virgola. » rispose Nishinoya schiettamente. «Ancora ti preoccupi di quello che gli altri potrebbero pensare di te, delle delusioni che potresti dare a chi ha fiducia in te, quindi tendi a portare tutto il peso dei problemi da solo. »
Si voltò e lo fissò dritto negli occhi, con quello sguardo da gatto che punta la preda sotto il quale Asahi era sempre rabbrividito.
«Guarda che io non ti stimo di meno solo perché ti sei fatto male per non investire un bambino. »
Asahi non si chiese come facesse a saperlo, lo accettò come un dato di fatto e si limitò ad assumere l’espressione contrita che gli era naturale quando veniva rimproverato da lui.
Proseguirono in silenzio fino alla stazione, ognuno assorto nei propri pensieri, e Asahi avrebbe dato di tutto per sapere cosa passava per la testa del suo vecchio amico. Per quanto lo riguardava, le sue emozioni non erano mai state così cristalline e mai come in quel momento tutto il suo corpo gli aveva gridato: “Non lasciarlo andare via! Non permettere che finisca così!” Ma non fu necessario che si sforzasse di fare nulla: prima che giungessero ai tornelli, fu Noya ad afferrarlo per un braccio.
«In realtà il motivo per cui ti ho chiamato oggi non era semplicemente una partita con l’associazione di quartiere. » iniziò, facendo inspiegabilmente schizzare le aspettative di Asahi alle stelle.
Yuu non gli avrebbe mai detto nulla di ciò che sperava, quindi non aveva nemmeno senso pensarci, ma non poteva farne a meno.
«Volevo vedere se ti divertivi ancora a giocare a pallavolo, se la tua passione era ancora la stessa, e devo dire di essere rimasto piacevolmente sorpreso. » continuò l’ex libero della Karasuno. «A questo punto non ho più nessuno scrupolo di coscienza chiedertelo. »
Mentre parlava si era allontanato dai tornelli, per raggiungere un angolo appartato accanto ad una colonna.
«Vorresti allenare i ragazzi della Karasuno? »
Asahi strabuzzò gli occhi e lo fissò con espressione stupefatta.
«Che…?! »
«Beh, Ukai-san ha qualche problema con il negozio e finché non ne sarà venuto a capo non potrà recarsi regolarmente in palestra. Take-chan mi ha chiesto aiuto per trovare un allenatore provvisorio e mi è venuto spontaneo pensare a te. »
Asahi resistette alla tentazione di spalmarsi una mano in faccia: ovvio che fosse una cosa del genere, non avrebbe dovuto costruire castelli in aria. E oltretutto… allenare? Lui?
«Alt, alt, alt! »
Nishinoya gli piazzò una mano davanti alla faccia ancora prima che potesse rispondere.
«Adesso non andare in paranoia. Risponderò io a tutte le domande che ti stai facendo in questo momento. Sì, ne sei all’altezza. Sì, Ukai-san apprezzerebbe. Sì, i ragazzi sarebbero entusiasti di essere allenati dall’ex asso. Sì, diamine, che tu lo voglia o no eri l’asso. Sì, così ci vedremo molto più spesso.»
L’ultima affermazione venne corredata da un sorriso luminoso che ridusse in briciole ogni volontà di Asahi di obiettare. Dopotutto avrebbe potuto essere divertente, magari non sarebbe riuscito a schiacciare come prima, ma non ricordava di aver mai visto Ukai-san farlo. Inoltre quella squadra era molto promettente, in alcune matricole rivedeva l’entusiasmo di Hinata e le grandi capacità di Kageyama e aiutare persone così motivate a raggiungere il loro obiettivo sarebbe stato di certo fonte di grandi soddisfazioni.
«Frequenterai gli allenamenti? » fu però tutto quello che riuscì a dire, come se da quel particolare dipendesse effettivamente la sua risposta.
«Farò quello che posso compatibilmente con quelli della mia squadra, ma se saprò di trovarti avrò un incentivo in più a farmi vedere. E poi vorrei presentarti il nostro medico, sono certo che lui riuscirebbe a trovare una soluzione per la tua gamba. Se tornassi a saltare come prima sarebbe eccezionale e tutto quello che vorrei sarebbe giocare ancora con te. »
Lo disse con un tale entusiasmo, con una tale spontaneità, che Asahi si sentì salire le lacrime agli occhi per la commozione.
«Nishinoya! Anch’io vorrei…» iniziò, ma venne bloccato da un dito sulle labbra.
«Non dire che vorresti giocare con me. » lo ammonì Yuu con una smorfia. «Non voglio sentire questo da te. Li allenerai? »
Asahi annuì, vagamente deluso e dandosi dello sciocco per essere tanto sentimentale. Ma Noya non aveva ancora finito.
«Bene. Quando loro saranno pronti per il torneo interscolastico, confido che anche tu lo sia per dirmi quello che stai rimuginando da almeno quattro anni. Non hai motivo di preoccuparti, qualunque cosa succeda sarò a guardarti le spalle. »
Non fu necessario aggiungere altro: per Asahi era più che sufficiente sapere che, comunque fosse andata, non avrebbe perso l’amico di sempre e al momento si sentiva talmente euforico che una sua risposta positiva o negativa non aveva importanza.
«Lo sarò. » rispose quindi convinto, allungando una mano per stringere quella del vecchio compagno e sua insostituibile divinità guardiana.

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