[Haikyuu!!] Una scommessa dal risultato imprevisto

Aug 27, 2014 01:47

Titolo: Una scommessa dal risultato imprevisto
Fandom: Haikyuu!!
Rating: verde
Personaggi: Shoyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Pairings: Kageyama/Hinata
Riassunto: "«Allora facciamo così: se perdete questo set, Hinata verrà a giocare con noi. Una promessa tra uomini, ci state? »"
Disclaimer: Haikyuu!! e tutti i suoi personaggi appartengono a Furudate Haruichi.
Note: Ispirata a quella malvagissima fanart.
Beta:
mystofthestars
Word count: 4290 (fdp)



A pensarci a mente fredda, era successo tutto in modo molto stupido. Kageyama sapeva perfettamente che non avrebbe dovuto perdere la testa durante quella partita di allenamento, ma non aveva potuto farne a meno: ogni volta che si trovava a fronteggiare Oikawa finiva allo stesso modo, e Hinata non faceva nulla per calmare gli animi, anzi. Quella volta aveva pensato bene di mettersi in mezzo anche lui e quello che avrebbe potuto essere un semplice battibecco fuori dal campo si era trasformato di colpo in una questione di vita o di morte per entrambi. Se Daichi fosse venuto a saperlo sarebbero stati in grossi, enormi guai. Ma il problema non si poneva, no? Perché in ogni caso avrebbero vinto.
Eppure le parole di Oikawa continuavano ad echeggiargli nella mente.
«Non sei tu che conduci il gioco. Senza di lui non saresti in grado di fare nulla. Io potrei valorizzare il suo talento molto più di te. »
Hinata aveva strillato come un matto che erano tutte sciocchezze, che lui non si sarebbe mai fatto alzare la palla da qualcuno che non fosse Kageyama, eppure Tobio non era riuscito a fermarsi. Le provocazioni di Oikawa stuzzicavano troppo la sua voglia di rivalsa, il suo desiderio di dimostrare che era il migliore di tutti, quindi, quando il capitano della Seijou aveva proposto quell’assurda scommessa, aveva spavaldamente accettato senza porsi troppi problemi.
«Allora facciamo così: se perdete questo set, Hinata verrà a giocare con noi. Una promessa tra uomini, ci state? »
Solo Hinata si era dimostrato incerto, sulle prime: ovviamente essere parte di uno scambio del genere non gli appariva affatto allettante, ma lo sguardo determinato di Kageyama lo aveva convinto in meno di un minuto. Non aveva ragione di preoccuparsi per quello stupido giochetto, sapeva di poter sconfiggere il “Grande Re” e l’avrebbe fatto.
O almeno questo era ciò di cui era stato convinto fino ad un attimo prima che la sua schiacciata venisse inesorabilmente murata dal capitano della Seijou, che ne aveva intuito perfettamente la traiettoria come durante le eliminatorie del torneo estivo.
Hinata era rimasto immobile, con gli occhi sgranati fissi sulla palla che rotolava sul campo. Nishinoya, alle sue spalle, lanciò un’imprecazione, ma il ragazzo non lo sentì nemmeno: aveva fallito, aveva tradito le aspettative di Kageyama sbagliando proprio l’ultimo punto che avrebbe potuto salvarli. Se si fosse trattato di un semplice set perso non sarebbe stato poi tanto grave, ma quella sconfitta significava molto di più.
«Hinata! Kageyama! Cosa fate lì in piedi? Venite a riposarvi prima del secondo set. » li chiamò Daichi dalla panchina. «Non fate quelle facce, non è successo nulla, recupereremo presto! »
Già, Daichi. Ora, come minimo, li avrebbe uccisi entrambi e avrebbe avuto anche ragione. Chissà cos’era passato loro per la testa per essere tanto arroganti da pensare di poter sconfiggere così facilmente il “Grande Re”?
Sentendo una morsa stringergli lo stomaco, Hinata si voltò lentamente verso il compagno, ancora immobile ad un passo dalla rete e con lo sguardo basso. Stava stringendo i pugni fino a tremare ed era rigido come un pezzo di legno. Shoyou avrebbe voluto dirgli qualcosa, qualunque cosa, che non era colpa sua, che avevano sbagliato entrambi, che non se ne sarebbe andato, in barba a qualunque promessa, ma ogni parola gli morì sulle labbra vedendo Oikawa avvicinarsi a Daichi sfoggiando il consueto sorrisetto.
«Sawamura-san, posso parlarti un momento? » lo sentì chiedere.
Daichi parve sorpreso, ma accettò di buon grado seguendo il capitano dell’Aoba Jousai in un angolo appartato. Quando tornarono aveva un’espressione talmente tempestosa che Hinata temette potesse mettersi ad urlare da un momento all’altro. Invece non disse una parola e fu Oikawa a farsi avanti, sempre con il sorriso sulle labbra.
«Hinata-kun, forza, seguimi. Una promessa è una promessa. »
Quelle poche parole gli provocarono un improvviso senso di vuoto, come se una voragine si fosse appena spalancata sotto i suoi piedi: era tutto finito? Il suo tempo alla Karasuno era dunque giunto al termine? Così in fretta e per un motivo così stupido?
Lanciò un’occhiata disperata a Daichi, ma il capitano aveva uno sguardo così severo che non riuscì a sostenerlo per più di una manciata di secondi. Si volse quindi verso Kageyama, ma il ragazzo aveva un’espressione talmente affranta che di nuovo non riuscì a dirgli una parola.
Nel frattempo Oikawa lo aveva raggiunto e lo stava spingendo senza troppi complimenti verso la panchina dell’Aoba Jousai.
«Ragazzi, dategli una divisa di riserva, non voglio che si senta fuori posto a giocare con quella roba addosso. »
Così dicendo indicò la maglia nera numero 10 che il ragazzo indossava, e Hinata sentì le guance andare a fuoco per l’indignazione. Mentre Iwaizumi sopraggiungeva con una maglia e un paio di pantaloncini con il bianco e turchese della Seijou, il suo sguardo corse al campo opposto e a Kageyama che si avviava lentamente verso la panchina. Cos’avrebbe pensato vedendolo così? Alla sola idea Shoyou si sentiva stringere lo stomaco.
Dal canto suo, Kageyama se ne stava seduto in un angolo della panchina senza nemmeno alzare gli occhi. Se l’avesse fatto avrebbe incontrato lo sguardo di biasimo dei suoi compagni e quello accusatorio di Hinata. L’aveva perso. L’aveva perso e non poteva incolpare nessuno, solamente sé stesso e i suoi deliri di onnipotenza da Re del Campo. Il senso di vuoto che provava era paragonabile a quello di aver allungato le mani nella certezza di afferrare qualcosa di prezioso e aver stretto tra le dita solo aria. Tutte le sue speranze, il suo desiderio di vittoria, la sua scalata al successo, non avrebbero avuto senso senza Hinata.
Quando realizzò quel pensiero, sgranò gli occhi stupefatto: fino a poco tempo prima credeva di essere solo a combattere sul campo, in quei mesi aveva lentamente cambiato le sue convinzioni, ma non credeva fino a quel punto. Forse era vero, forse era davvero Hinata a condurre il gioco, altrimenti non si sarebbe spiegato il suo senso d’impotenza in quel momento. O forse, più ampiamente, non era qualcosa di riconducibile al mero gioco, all’orgoglio della vittoria e all’umiliazione della sconfitta. Era qualcosa di… più grande. Un qualcosa che gli fece montare dentro una rabbia incontenibile quando vide Oikawa appoggiare una mano sulla spalla del rossino, ormai vestito con la maglia avversaria.
«Oikawa-san! » si ritrovò ad esclamare ancora prima di rendersene conto. «Facciamo un’altra scommessa! Ora! Con una nuova posta in palio! »
Non aveva importanza se Daichi lo stava fulminando con lo sguardo e nemmeno che tutti i membri dell’Aoba Jousai lo stessero fissando con un misto di biasimo e compassione. Voleva indietro Hinata, il resto poteva aspettare.
«Una nuova scommessa? » fece Tooru piegando le labbra in un sorrisetto compiaciuto. «No, non ne ho voglia, sono soddisfatto così. »
Fu come sentirsi precipitare un macigno sul cuore e allo stesso tempo desiderare di uccidere quello sbruffone in quell’esatto istante. Probabilmente lo avrebbe fatto se Sugawara non l’avesse preso per le spalle e costretto a sedersi.
«Kageyama, adesso basta. Il prossimo set inizierà tra pochi minuti, cerca di stare tranquillo. »
La sua voce era pacata come sempre, ma s’intuiva chiaramente l’intenzione di mettere fine a tutto quel chiasso. Tobio si chiese come potesse accettare una situazione del genere e pretendere che lo facesse anche lui. O forse non lo accettava affatto, semplicemente non era nel suo carattere accusare qualcuno apertamente.
Distrattamente, lo vide dirigersi verso il coach Ukai e parlottare con lui per alcuni istante, dopodiché l’uomo annuì. Probabilmente non era un buon segno, ma Kageyama non se ne preoccupò finché non venne fischiato l’inizio del secondo set e venne annunciato il cambio di alzatore.
«Cosa?! Non se ne parla proprio! Io…» tentò di protestare, ma venne zittito da un cenno del coach.
«Non sei nelle condizioni migliori, e credo che tu te ne renda conto. Sugawara ti sostituirà finché non ti sarai ripreso. »
Non c’era modo di discutere, quindi non poté far altro che osservare dalla panchina i suoi compagni che si schieravano e la sua “metà” che prendeva posto sul campo avversario.
Hinata aveva un’espressione terribilmente tormentata e lo cercava disperatamente con gli occhi. Quando i loro sguardi s’incrociarono però, il contatto durò solo un istante prima che entrambi lo interrompessero.
«Non fare quella faccia, ti assicuro che non sono solito mangiare bambini. » sentì esclamare Oikawa, e di nuovo l’istinto di saltargli alla gola si fece prepotente.
Sulle prime il gioco del secondo set fu abbastanza regolare, l’Aoba Jousai faceva punto e la Karasuno ribatteva colpo su colpo. Sugawara era in grado di seguire perfettamente gli schiacciatori del secondo e del terzo anno, ma Kageyama fremeva per scendere in campo e il fatto che Hinata non avesse ancora toccato palla non migliorava certo le cose.
Poi accadde all’improvviso: Oikawa alzò la palla apparentemente diretta ad Iwaizumi, ma all’ultimo istante deviò traiettoria indirizzandola al loro piccolo nuovo acquisto. Hinata saltò d’istinto e la sua mano colpì la palla nel punto esatto in cui si trovava, mandandola a schiantarsi al suolo a pochi centimetri dalla mano di Nishinoya.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Coach, mi faccia entrare! » esclamò Kageyama balzando in piedi.
Se Hinata era in campo, allora doveva esserci anche lui. Forse era un pensiero masochistico, ma non ne poteva fare a meno. Vederlo con gli occhi sgranati e quell’espressione colpevole sul volto faceva crescere in lui la voglia di attraversare la rete, afferrarlo per un braccio e riportarlo nel luogo dove doveva stare.
Oikawa era, invece, ovviamente entusiasta e non la smetteva più di congratularsi con il nuovo acquisto, irritando irrimediabilmente Iwaizumi che si era messo ad insultarlo. Kageyama non li ascoltava, non era un suo problema quello.
«D’accordo, vai. » acconsentì Ukai, chiamando il cambio.
Quando Hinata vide il cambio di alzatore tra i propri ex compagni e si trovò Tobio ad un palmo di distanza oltre la rete, si sentì percorrere la schiena da un brivido di freddo: averlo come avversario faceva paura e in una situazione come quella la sensazione era ancora peggiore. Sentì di non poterne reggere lo sguardo, mentre un calore innaturale gli saliva alle guance, forse a causa dell’umiliazione, costringendolo a voltarsi velocemente.
Alla sua sinistra, Oikawa gli lanciò un sorrisetto.
«Ricorda, chibi-chan, qui si gioca per vincere e gli errori volontari non sono ammessi. »
Lo disse in tono tranquillo, quasi scherzoso, ma l’insinuazione nascosta in quelle parole irritò Hinata come non mai.
«Anch’io gioco per vincere e, se la mia inesperienza ti disturba, allora fammi tornare da dove sono venuto. »
Oikawa scoppiò in una palese risata.
«Ok, ci hai provato, adesso vediamo di vincere questo set! »
La partita proseguì senza esclusione di colpi e per la Karasuno diventò sempre più difficile mantenere il risultato. Più di una volta la Seijou li staccò di alcuni punti. Le alzate di Oikawa erano sempre precise e mirate per ogni giocatore, solo con Hinata l’intesa stentava a decollare. Ovviamente il ragazzo sapeva che la responsabilità principale era sua: aveva accettato quella stupida scommessa, l’aveva persa e di conseguenza ora doveva impegnarsi in quel nuovo ruolo. Aveva dato la sua parola riguardo gli errori volontari, ma questo non significava che riuscisse a giocare al meglio in quella situazione. Ogni volta che Oikawa gli alzava la palla, in qualche modo non riusciva a colpirla come voleva: o era troppo alta, o era troppo distante dalla rete, oppure troppo lunga. Hinata doveva riconoscere che il capitano avversario si stava impegnando parecchio per servirlo nel modo migliore, ma questo non lo portava ad apprezzarlo maggiormente. Anzi, se possibile, peggiorava le cose.
Inoltre percepiva su di sé lo sguardo acuto di Kageyama che lo faceva rabbrividire e sentire mortalmente in colpa.
Durante il secondo time-out della Karasuno, Oikawa lo prese da parte. Nonostante la sua ostilità fosse più che evidente, Tooru non si arrendeva.
«Capisco le tue difficoltà, ma credo di aver capito anche che tipo di alzata ti è più congeniale. La prossima sarà perfetta, vedrai, e se schiaccerai come sai, andrà certamente a segno. Potremmo addirittura tentare una veloce. »
Hinata s’irrigidì. La veloce era una prerogativa sua e di Kageyama, non credeva proprio che…
«Non pensi di doverlo a Tobio-chan? » continuò Oikawa interrompendo i suoi pensieri. «In fondo è anche grazie a lui che sei arrivato fin qui, non è da tutti avere la possibilità di giocare nell’Aoba Jousai. Dimostra a Tobio di essere alla sua altezza. »
Se da una parte quel continuo chiamare Kageyama per nome lo infastidiva, dall’altra quel discorso stava andando a toccare le corde di un sentimento forse sopito ma mai davvero dimenticato: il desiderio di superare il Re del Campo che lo aveva umiliato al torneo delle medie. Sarebbe stato ingiusto e scorretto nei suoi confronti giocare a meno del massimo delle sue possibilità.
«Ho capito. Segnerò. » concluse quindi.
E così fu.
La successiva battuta per la Karasuno toccò a Tanaka, il Libero della Seijou la recuperò senza tanti problemi e, quando Oikawa alzò la palla, questa arrivò esattamente dove si trovava la mano di Hinata. Nonostante Tsukishima avesse saltato per tempo, il pallone si schiantò al suolo oltre il muro, un istante prima che la mano di Nishinoya giungesse a riceverlo.
Tutti sul campo della Karasuno rimasero impietriti ad osservare la palla che rotolava oltre la linea di fondo. Dall’altro lato della rete, Hinata rimase immobile, con gli occhi spalancati e un’espressione incredula sul volto, incapace di convincersi di averlo fatto davvero: aveva segnato un punto contro la sua squadra, questa volta consapevolmente, era talmente assurdo da apparirgli impossibile.
Il tonfo del pugno di Nishinoya, che colpì il terreno, spezzò quell’improvvisa immobilità e lo sguardo di Hinata si fece angosciato quando Oikawa gli circondò le spalle con un braccio per congratularsi con lui.
«Nice, chibi-chan! » esclamò, e questo lo fece sentire il peggiore dei traditori.
Voltando le spalle alla rete, strinse le braccia lungo il corpo e chiuse le mani a pugno fino a far tremare i muscoli. Sentiva ancora il palmo destro pulsare per il colpo inferto, ma la sensazione era tutt’altro che esaltante. Dritto in mezzo alle spalle poteva avvertire lo sguardo di Kageyama che sembrava volerlo trapassare da parte a parte. Non sapeva quanto ancora sarebbe riuscito a reggere quel genere di tensione, per la prima volta in vita sua non vedeva l’ora di lasciare il campo da gioco.
L’occasione giunse poco dopo con il match point dell’Aoba Jousai.
«Se ribattono, l’alzata è tua. » gli comunicò Oikawa con un sorriso sicuro.
Hinata scosse la testa.
«Non voglio. »
«Indipendentemente da quello che vuoi, ormai c’è ben poco da fare. »
In effetti, a meno che la Karasuno non avesse un asso nella manica, i giochi erano fatti. Tuttavia Hinata sapeva che i suoi compagni non erano da sottovalutare. Infatti Noshinoya, da divinità guardiana qual era, recuperò facilmente il servizio e la palla tornò di nuovo nel capo avversario. Oikawa mantenne la promessa e la alzò per Hinata, il quale però, nonostante avesse saltato con il giusto tempismo, nonostante fosse stato certo della riuscita di quella schiacciata, la mancò clamorosamente, facendola finire contro la rete. Ricadde anche scompostamente al suolo, inciampando nei propri piedi e finendo a terra in modo assurdamente goffo. Lì rimase, fissandosi incredulo la mano. Aveva mancato la palla, forse non aveva calcolato bene il tempo, o forse semplicemente non aveva voluto colpirla. Era totalmente assurdo eppure poteva essere così e, grazie a questo, la sua squadra aveva riconquistato la battuta e la possibilità di recuperare il risultato. Forse non era tutto perduto, forse…
Il fischio dell’arbitro lo strappò da quei pensieri, costringendolo a realizzare di essere ancora seduto in mezzo al campo.
«Tutto bene, Hinata-kun? »
La domanda gli era stata rivolta da Oikawa, ma attorno a lui si trovavano anche Iwaizumi, Kindaichi e gli altri della squadra che lo fissavano con aria preoccupata.
«Ah, sì, sto bene! » si ritrovò quindi a rispondere, prima di rendersi conto che quel fischio annunciava un cambio e che la sua presenza in campo non era più richiesta.
Evidentemente il coach si era stancato della sua performance scadente e aveva deciso di impedirgli di fare ulteriori danni, ma mentre si avviava verso la panchina, il piccolo schiacciatore provava soprattutto un senso di sollievo. Non voleva più essere costretto a segnare contro la sua squadra, non voleva più che Kageyama lo guardasse in quel modo, lo faceva sentire male e fuori posto.
Ormai la partita era agli sgoccioli, non ci sarebbero stati altri cambi e lui di certo non voleva assistere ad un’eventuale sconfitta della Karasuno, di cui si sarebbe sentito responsabile, per questo evitò la panchina e sgattaiolò non visto oltre le porte che davano sul cortile.
Il boato di grida che esplose nell’istante dell’ultimo punto assordò Kageyama per un attimo, ma il numero 9 decise che non aveva il tempo di occuparsene. Hinata era sparito da qualche parte all’esterno e la cosa che gli premeva di più in quel momento era… vederlo, parlargli, toccarlo, magari picchiarlo, non lo sapeva bene nemmeno lui. L’unica cosa che sapeva era che doveva andare.
Lo trovò seduto ai piedi di un albero nel cortile a lato della palestra, teneva la testa appoggiata al tronco e gli occhi chiusi, come se fino ad un attimo prima avesse osservato le fronde sovrastanti e poi avesse deciso che non ne valeva la pena.
«Ehi! »
Kageyama si morse la lingua per la frustrazione: il tono di voce usato gli era uscito più burbero del previsto, infatti Hinata aprì gli occhi all’istante e lo fissò spaventato.
«S-scu…»
«Non voglio mai più vederti fare una cosa del genere. » lo interruppe immediatamente Kageyama.
Non erano le sue scuse che voleva, ora erano l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Hinata si ritrasse ancora di più verso il tronco, evidentemente intimorito da quel suo atteggiamento aggressivo. Era strano, di solito gli avrebbe risposto per le rime, ma in generale tutta quella situazione era assurda.
«Che… che altro avrei dovuto fare, scusa? Non ho fatto apposta a sbagliare l’ultimo punto. O forse avresti preferito che segnassi? Quello non era…»
Kageyama si passò una mano sulla faccia, sospirando irritato. Non stava andando come avrebbe dovuto, non stava riuscendo a spiegarsi e, ovviamente, quell’idiota non stava capendo niente.
«No, quello che voglio dire è…»
Ah, diamine, non era ovvio? Perché era così ottuso?
«Non voglio che qualcun altro ti alzi la palla e non voglio che qualcun altro ti tocchi in quel modo. Voglio dire, con quella stupida confidenza che Oikawa-san si prende con tutti. E non voglio vederti dall’altra parte della rete. Non me ne frega niente di scommesse e stupidi giochetti, noi dobbiamo stare insieme! »
Realizzò quello che aveva effettivamente detto quando vide Hinata arrossire fino alle orecchie e balbettare qualcosa d’incomprensibile. Oh, non era possibile che dalla sua bocca fossero uscite parole del genere! Ma come diavolo gli era venuto in mente? Non era mai stato nelle sue intenzioni arrivare a…
«Intendevo dire in squadra! In squadra! » tentò vanamente di correggersi, ma ormai era chiaro anche a lui che sarebbe stato quasi impossibile metterci una pezza.
Senza contare che Hinata lo stava fissano con quegli occhioni spalancati che, per una volta, sembravano aver intuito il vero significato che stava dietro le parole.
«Anch’io! Anch’io non voglio… cioè, voglio… insomma, solo tu! Devi alzarmela solo tu! La palla! E… Oikawa deve smetterla di chiamarti in quel modo! Non mi piace! »
L’ultima parte di quel discorso sconclusionato fece quasi sorridere Kageyama: il fatto che Hinata non volesse che il suo vecchio senpai lo chiamasse per nome era quantomeno tenero e travisava tutte le pretese di mantenere quel dialogo sui temi del gioco. Come se mai fosse stato possibile.
In ogni caso la realtà dei fatti era quella e Tobio se ne rendeva conto sempre di più ogni secondo che passava a fissare il volto del compagno, rosso per l’imbarazzo e l’agitazione. Dovevano raggiungere la vetta insieme, per nessuno dei due aveva senso senza l’altro e non aveva importanza quanti ostacoli si sarebbero trovati a dover superare. A pensarci, era assurdo come un rapporto nato dalla rivalità come il loro si fosse gradualmente evoluto in qualcosa che, ora come ora, non sarebbe stato in grado di definire a voce alta senza sprofondare nella più oscura vergogna, e che raggiungeva uno stato di attaccamento reciproco che con l’affiatamento sportivo aveva ben poco a che fare.
In preda a quei pensieri confusionari aveva istintivamente distolto lo sguardo dal volto del compagno, per fissarlo sull’erba ai suoi piedi, decisamente più tranquillizzante in quel frangente, quindi, quando lo rialzò e vide Hinata immobile con gli occhi chiusi, non poté fare a meno di rivolgergli una domanda perplessa.
«Che stai facendo? »
Shoyou sollevò una palpebra per metà e lo fissò da sotto le ciglia.
«Aspetto il mio bacio, no? » disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«CHEEEE??!! »
Kageyama sentì le guance andare letteralmente a fuoco e dovette fare uno sforzo immenso per non mettersi ad urlare insulti al rossino a causa del livello d’imbarazzo ormai ingestibile.
«Ma scusa! » continuò Hinata aprendo gli occhi del tutto e gonfiando le guance come un bambino. «Dopo tutto quello che ci siamo detti. Era praticamente una dichiarazione e le dichiarazioni reciproche si concludono così, di solito. »
Una dichiarazione? Beh, sì, forse in qualche modo lo era, ma Kageyama non aveva certo immaginato che la situazione precipitasse fino a questo punto e non aveva minimamente messo in conto delle eventuali contromosse. E quando si rese conto che il suo cervello stava ragionando come se stesse per affrontare l’ennesima partita, ma senza uno schema di gioco predefinito, dovette alzare bandiera bianca e capitolare di fronte all’irrazionalità dei propri sentimenti. Perché sì, un angolino della sua mente gli stava suggerendo che non sarebbe stato poi così male baciare Hinata sotto quell’albero infischiandosene del casino che, di sicuro, si stava scatenando all’interno della palestra a causa della loro assenza e dell’immenso guaio combinato con quella sciocca scommessa. In barba a tutto questo, quell’angolino di mente aveva deciso che voleva Hinata per sé e basta.
«Kageyama! Hinata! »
La voce di Sugawara, improvvisa e del tutto inaspettata, li fece sobbalzare entrambi, strappandoli da quella sorta di bolla isolata dal mondo che si era creata attorno a loro.
Il secondo alzatore della Karasuno li fissava da qualche metro di distanza, con le mani sui fianchi e un’espressione preoccupata.
«Si può sapere cosa state combinando? Il terzo set deve cominciare e vi stanno aspettando tutti! »
I due ragazzi rimasero per un attimo interdetti scambiandosi prima uno sguardo tra loro e poi fissando Sugawara. Infine fu Hinata a spezzare il silenzio.
«Il terzo set? Ma… quindi il secondo non l’ha vito l’Aoba Jousai? »
«Eh? No, abbiamo recuperato il distacco e Asahi ha segnato il punto decisivo. Kageyama gli ha servito una palla splendida! »
Shoyou si voltò immediatamente verso il compagno, puntandogli contro un dito accusatore.
«Perché non me l’hai detto subito? Credevo… credevo che per colpa mia…! »
«Perché non mi sembrava la cosa più importante al momento, visto che…! »
Tobio si zittì per impedire che la situazione diventasse più fraintendibile di quanto già non fosse, ma non poté non notare come l’entusiasmo di Hinata si smorzasse un istante dopo.
«Comunque non importa, visto che non potrò giocare con voi…»
Kageyama strinse i pugni, pronto ad andare a cantarne quattro ad Oikawa fino a convincerlo a ritrattare la sua decisione, e l’avrebbe fatto se Sugawara non se ne fosse uscito con un: «Perché mai?» carico del più genuino stupore.
Per un momento i due ragazzi si chiesero se il senpai si fosse perso il “piccolo particolare” del secondo set, ma la risata di Koushi chiarì loro che il problema era un altro.
«Oh, scusatemi! Non dirmi che davvero credevi… E anche Kageyama… Oh, è incredibile! Ero convinto che Daichi ve l’avesse detto! »
«Detto cosa? »
«E quando?! »
Ricomponendosi, Sugawara posò loro le mani sulle spalle, nel suo consueto atteggiamento materno.
«La scommessa che avete fatto con Oikawa-san era valida solo per un set, ne ha parlato con Daichi prima di iniziare e lui l’ha riferito a noi. Ah… Vuoi dire che è stato nel momento in cui eri rannicchiato in un angolo della panchina, Kageyama? »
«Non ero affatto rannicchiato! » sbottò Tobio, prima di voltarsi verso Hinata, che aveva assunto un’espressione a dir poco estatica.
A quanto pareva a lui non importava se Oikawa non l’aveva informato di un particolare tanto vitale, gli era sufficiente sapere che avrebbe di nuovo fatto parte della Karasuno.
«In ogni caso, ora che abbiamo chiarito l’equivoco, è il caso di affrettarsi, vi stanno aspettando tutti.» ribadì Sugawara avviandosi verso la palestra.
Mentre s’incamminava a sua volta al fianco di un saltellante Hinata, Kageyama non riusciva in nessun modo a scacciare l’istinto omicida che si era impadronito di lui e, rivedendo ogni singolo gesto, ogni singola parola di Oikawa alla luce della rivelazione appena ricevuta, non poteva fare a meno di interpretarli come un’aperta provocazione. Fin dall’inizio il capitano della Seijou non aveva fatto altro che prendersi gioco di lui per spingerlo ad ammettere quanto Hinata gli fosse indispensabile e, dannazione a lui, c’era riuscito. L’orrendo dubbio che lo coglieva era che avesse pianificato quella conclusione fin dall’inizio e ora se la stesse ridendo soddisfatto. All’idea che Oikawa potesse aver addirittura intuito i suoi sentimenti prima di lui, Kageyama si sentiva salire il sangue alla testa. Gliel’avrebbe fatta pagare! Sì, l’avrebbe stracciato sul campo, anzi, visto che aveva fatto di tutto perché arrivassero a quel punto, lo avrebbero fatto insieme.
Con espressione truce, si voltò verso il compagno che, vedendolo, smise all’istante di saltellare, intimorito.
«Oi! »
«Che… che c’è adesso? »
«Dobbiamo batterli assolutamente! »
Non diede tempo ad Hinata di rispondere, lo afferrò con malagrazia per il colletto della maglietta e premette le labbra sulle sue, per poi lasciarlo un attimo dopo. Non sapeva esattamente perché l’avesse fatto, forse era stato l’istinto, forse solo la voglia di portare a termine qualcosa di iniziato ed interrotto, fatto sta che l’altro rimase imbambolato, con gli occhi spalancati, mentre il suo viso assumeva tutte le possibili sfumature di rosso.
Kageyama si allontanò di un passo, sviando lo sguardo e piantandosi le mani sui fianchi per darsi un contegno, nonostante l’imbarazzo imperante.
«E togliti quella maglia, ti sta malissimo. » concluse, prima di voltargli le spalle ed incamminarsi verso la palestra a passo spedito ma fin troppo rigido.

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