Titolo: Il Mistero della Torre sul Lago
Fandom:
Rating: giallo
Personaggi: Caterina, Sofia, la contessina, Filippo, prete random, etc...
Riassunto: Durante alcuni gionri di vacanza sul Lago di Garda, due ragazze s'imbattono nella leggenda di una giovane contessa rinchiusa in una torre e, casualmente, il simbolo del Bed & Breakfast dove alloggiano è proprio una torre con tanto di orologio fermo ad un'ora insolita.
Disclaimer: Il Bed & Breakfast
Torre degli Ulivi appartiene alla sua proprietaria, così come la torre e tutti i luoghi reali citati. La contessina è un personaggio di fantasia. La trama è 100% mine!
Note: Come dicevo nei disclaimer, i luoghi citati sono tutti reali. Ho iniziato a scrivere questo racconto la scorsa estate quando ero appunto in vacanza al lago con mia sorella e la presenza della torre mi ha procurato questa strana ispirazione, quindi la prima parte è abbastanza autobiografica. I proprietari del terreno su cui sorge l'albergo sono davvero dei conti di Milano, ma non sono riuscita a risalire al nome. La maggior parte dei particolari citati (la scala che porta alla torre, gli alberi che la circondano, il filo spinato, il cancello, la porta chiusa, l'orologio fermo, etc...) sono reali, ebbene sì!
Beta:
mystofthestars
Avevano scelto quel luogo per le vacanze perché avevano entrambe bisogno di rilassarsi. I giorni a disposizione non erano molti ma proprio per questo la necessità di staccare dalla vita di città era assoluta. Caterina per il lavoro e Sofia per lo studio, avevano deciso che partire sarebbe stata la scelta migliore e il Lago di Garda era parso loro un’ottima alternativa al solito mare.
Il sole brillante del mezzogiorno di domenica era appena mitigato da una fresca brezza che saliva dall’acqua quando arrivarono al Bed & Breakfast Torre degli Ulivi. Distava solo poche ore di viaggio da casa, eppure sembrava di entrare in un altro mondo: l’aria stessa era più ricca, pervasa dalla fragranza della lavanda, dei limoni e dell’alloro che circondavano il piccolo hotel a gestione famigliare. Neanche un’ora dopo, le due sorelle erano già in spiaggia a crogiolarsi sotto i raggi del sole dorato. Sofia adorava rimanere sdraiata senza fare niente, senza altro scopo che la tintarella, Caterina invece era irrequieta per natura e non sarebbe riuscita a rimanere immobile a lungo. Quando il sole si nascose dietro la montagna e l’aria si rinfrescò notevolmente, aveva già deciso cosa avrebbero fatto nelle ore successive. A fianco dell’hotel, oltre il piccolo parco che lo circondava, sorgeva una torretta dall’aria antica con un orologio alla sommità. Le lancette erano ferme poco dopo le 4:20, ma questo non toglieva fascino alla costruzione. Era quella che dava il nome al luogo e che più aveva attirato l’attenzione della ragazza durante la consultazione del sito per le prenotazioni. Spiccava avvolta dalla vegetazione rigogliosa, misteriosa al punto giusto per stuzzicare la curiosità di chi la vedeva per la prima volta.
Dopo una doccia rapida, abbandonato il costume da bagno in favore di magliette e pantaloncini, le due ragazze vi si diressero ridendo di alcune battute fatte durante il viaggio. Raggiunsero presto la base della scala che conduceva alla torretta, divisa in due rampe che si arrampicavano lungo il fianco della montagna. Addossato alla roccia si trovava un tavolino di pietra con due sedili che attirò l’attenzione delle ragazze.
«Non è carino? » esclamò Sofia. «Dai, fammi una foto! »
Si mise in posa facendo ridere la sorella, poi entrambe iniziarono a salire le scale. La prima rampa procedeva con scalini abbastanza larghi, avvolta dal profumo dei grandi fichi che crescevano tutto attorno. Da qualche parte doveva esserci anche della menta, pensò Caterina respirandone a fondo la fragranza. Non erano profumi che si potevano assaporare facilmente abitando in città e rappresentavano un più che piacevole diversivo.
Raggiunto il primo pianerottolo, si fermarono a fare altre foto che valorizzassero il bellissimo panorama. Da quel punto si godeva di una vista fantastica, con il lago di fronte e la montagna alle spalle. Quando ripresero a salire, i gradini si fecero più stretti e ripidi, tanto che Caterina rischiò di inciampare un paio di volte, provocando l’ilarità della sorella. Raggiunta la cima, scoprirono che sul pianerottolo, decisamente meno ampio del precedente, si apriva una piccola porta di legno intagliato.
Caterina la sfiorò con le dita, curiosa.
«Ha una serratura nuova. » mormorò. «Però sembra antica. Chissà cosa c’è oltre? »
Sofia aveva smesso di ridere nel momento in cui, passando di fianco ad un cespuglio di rovi, il frinire ininterrotto delle cicale che le aveva accompagnate fin lì, era cessato di colpo.
«Questo posto è inquietante. » iniziò a dire, ma Caterina stava già battendo con le nocche sul legno.
«Cosa fai? Non bussare! E ci risponde qualcuno? »
«Chi dovrebbe rispondere? A me questo posto piace anche se, sì, in effetti è strano. »
Mentre ridiscendevano la scala, il suo sguardo cadde oltre il cespuglio di rovi, abbarbicato sulla roccia. Proprio là si snodava un rotolo di filo spinato arrugginito attorcigliato ad uno decisamente nuovo.
«Chissà cosa delimita? » si chiese. «Qui non c’è niente, solo roccia. »
Quando raggiunsero il primo pianerottolo, stavano per passare oltre, ma una nuova stranezza attirò la loro attenzione: c’era un cancello che prima non avevano notato, un cancello con affisso un cartello di proprietà privata che dava… direttamente sullo strapiombo.
«Certo che è davvero strano…» commentò Caterina sempre più pensierosa.
Avrebbe voluto studiare meglio l’ambiente, ma la sorella la trascinò letteralmente via.
Quella sera, la prima delle loro tanto sospirate vacanze, le due ragazze la trascorsero al paese vicino per assistere ad uno spettacolo di fuochi d’artificio. Erano entrambe incantate dalla meraviglia dei fiori di fuoco che sbocciavano nel cielo, tuttavia Caterina faticava a concentrarsi: la sua mente continuava a tornare ai particolari bizzarri visti nei pressi della torre. Il filo spinato, il cancello sul nulla, l’orologio fermo… Aveva come l’impressione che tutto avesse un senso e, nonostante si ripetesse di star correndo troppo con la fantasia e che non fossero affari suoi, non riusciva a disinteressarsene.
Quello di quella notte fu un sonno agitato. Avrebbe voluto attribuire il problema al fatto aver cambiato letto, ma sapeva benissimo che il responsabile era stato uno strano sogno. Stanca com’era avrebbe dovuto crollare, invece aveva iniziato a vedere delle immagini indefinite. Non c’era stata una vera e propria trama, però ricordava distintamente una voce che la chiamava.
«Caterina… Caterina… Aspettami… Fidati di me…»
Era tutto buio e ricordava di essersi svegliata con un vago senso di panico addosso.
«Una voce? » fece Sofia, la mattina dopo a colazione. «Che tipo di voce? »
La ragazza masticò un biscotto, riflettendoci.
«Maschile, piuttosto giovane, direi… e sicuramente ansiosa. Sembrava spaventata per qualcosa. »
Mentre scendevano in spiaggia, continuarono a discuterne. Secondo Caterina quel sogno era legato alla torre e alle sue stranezze, Sofia lo riteneva praticamente impossibile eppure non riusciva a dare del tutto torto alla sorella.
«Voglio saperne di più. » decise la ragazza, quindi, quando rientrarono nel tardo pomeriggio, cercarono la proprietaria del Bed & Breakfast per chiederle informazioni.
«Volete sapere della torre? » disse la gentile signora, più che felice di rispondere alle loro domande. «Contiene il meccanismo dell’orologio. È bellissima, non è vero? »
Caterina annuì con entusiasmo, lo sguardo acceso d’interesse.
«Sa a che epoca risale? » chiese.
La signora pensò un attimo poi annuì.
«Dovrebbe essere degli anni ‘50. L’hanno fatta costruire i vecchi proprietari prima di cedere il terreno agli attuali. Non credo sia più antica. »
Dopo che la signora le ebbe lasciate, le due ragazze continuarono a riflettere sulla questione.
«Secondo me è più vecchia. » suggerì Sofia. «Negli anni ‘50 che senso aveva costruire torri per gli orologi? »
Caterina era d’accordo, inoltre desiderava tornarvi. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma si sentiva attratta da quella costruzione. Era una sensazione strana, di curiosità mista a timore e soprattutto alla voglia di scoperta. La voce del sogno proveniva dalla torre? Di chi si trattava?
Il profumo della menta selvatica aleggiava nell’aria, mista a quello dell’alloro, dolce e pungente al tempo stesso. La luna era alta e si rifletteva sui suoi capelli candidi mandando mille bagliori argentei. Erano belli ai suoi occhi, belli e maledetti al tempo stesso. Mentre se ne stava affacciata alla minuscola finestra, i gomiti appoggiati sul davanzale e lo sguardo rivolto alle acque scure del lago, il suo pensiero ritornava incessantemente a quell’idea: che senso aveva un’esistenza maledetta? Una creatura pallida che vive nel buio aveva davvero motivo di esistere?
«Caterina! Caterina! »
I suoi occhi si abbassarono fino al piccolo pontile che sorgeva alla base della scala.
Era lui, era tornato davvero e l’aveva fatto per lei! Il suo cuore accelerò i battiti mentre con un gesto inconscio tentava di raccogliere e nascondere i lunghi capelli candidi. Un attimo e lui le fu accanto, vanificando il suo gesto con una carezza.
« Non nasconderti. Sei così bella, così perfetta nel tuo candore da emanare luce. »
Parole poetiche che la fecero rabbrividire pronunciate da un ignaro ragazzo di campagna.
«Non sono una santa, ricordalo. » disse, forzando l’ironia della voce. «Sono una creatura malefica che faresti bene a temere. »
Nemmeno il tempo di un battito di ciglia e lui a strinse tra le braccia.
«Oh, sì, c’è talmente tanto male in te che pronunci queste parole tremando. »
Una carezza sulla guancia, le dita tra i capelli, le labbra sulla fronte.
«Non ti abbandonerò, fidati di me. Ti porterò fuori di qui e potrai vivere alla luce del sole. »
«Mi fido di te… Filippo…»
«Caterina… Caterina…»
«CATERINA! »
La ragazza si svegliò di soprassalto.
«Se ti addormenti al sole finirai per scottarti. » brontolò Sofia.
La ragazza si guardò attorno, confusa. Era sulla spiaggia, sdraiata sul lettino, sotto il sole, non al buio, i suoi capelli erano ricci e scuri, non bianchi e lucenti e accanto a lei c’era sua sorella, nessun…
«… Filippo…»
Sofia le restituì uno sguardo perplesso.
«Chi sarebbe? » chiese socchiudendo gli occhi con espressione maliziosa, ben cosciente della totale assenza di romanticismo concreto nella sorella.
Lei trovava romantici solo i suoi libri.
«È… era…» cominciò Caterina. «Non lo so, ma lo scoprirò! »
Sofia scosse la testa e tornò a stendersi al sole, ignorandola. Probabilmente stava dicendo troppe stranezze per i suoi gusti. Eppure era certa, in un modo che non si sapeva spiegare, che anche questo sogno avesse a che fare con la torre. Infilandosi di nuovo gli occhiali da sole, lo sguardo fisso sulle onde che andavano e venivano senza sosta, rievocò quelle poche immagini, brandelli di pensiero che le avevano lasciato addosso un’inquietudine che la faceva rabbrividire nonostante il sole cocente. C’era una ragazza dai capelli talmente chiari da sembrare argentei alla luce della luna e dalla pelle pallida, c’era una finestra, poco più di una feritoia, che permetteva di osservare il lago dall’alto, c’erano una scala e un piccolo molo e poi c’era lui, Filippo. E quelle parole. «Sono una creatura malefica. » Parole a cui non credeva nemmeno colei che le aveva pronunciate, dettate dalla paura, dal pregiudizio e dal continuo essere additata come diversa, come strega, fino al punto da venire rinchiusa. Proprio lei che era…
Caterina si riscosse. Quelle cose non facevano parte del sogno, non conosceva l’aspetto di quella ragazza avendo visto la scena dal suo punto di vista e non poteva nemmeno sapere che era stata rinchiusa, nessuno l’aveva detto. Stava volando troppo con la fantasia, ancora un po’ e si sarebbe immaginata un giallo storico con tanto di fanciulla scomparsa.
Si rigirò sul lettino, decisa ad escludere dalla sua testa quelle immagini che sicuramente erano solo frutto del suo subconscio, ma quelle parole non volevano saperne di lasciarla in pace.
«Fidati di me… Fidati di me, Caterina…»
Quella sera, dopo cena, approfittando del fatto che la sorella aveva deciso di recarsi al paese vicino per assistere ad un altro spettacolo, Caterina tornò da sola alla torre. Al buio aveva un aspetto ancora più sinistro, circondata com’era dalle folte fronde dei fichi e degli allori e con il fitto bosco alle spalle. I piccoli faretti posizionati nei punti strategici della scala erano appena sufficienti a non inciampare sui gradini.
Una volta raggiunto il pianerottolo più alto, quello dove si trovava la porta senza maniglia, la ragazza scrutò giù verso il lago, una massa d’acqua scura e fredda che si agitava sotto di lei. La prospettiva era leggermente diversa, più bassa, ma spostando lo sguardo appena verso destra poteva vedere il luogo in cui sorgeva il pontile. Lo stesso luogo che era stato delimitato da quel cancello all’apparenza inutile.
«Se prima c’era un pontile, quel cancello avrebbe motivo di esistere. » rifletté. «Ma perché ora non c’è più? E soprattutto… possibile che tutto questo sia una coincidenza? »
Persa nei suoi pensieri, rimase per diversi minuti appoggiata al parapetto a fissare le acque scure. Se quella ragazza fosse esistita veramente, cosa poteva significare? Che stava tentando di dirle qualcosa? E a quale scopo?
Scosse la testa.
«Caterina, non hai poteri paranormali! » si rimproverò mentre lo scetticismo prendeva di nuovo il sopravvento.
Abbassò gli occhi e una ciocca argentea le scivolò sul volto. Sobbalzò per la sorpresa e, quando istintivamente sollevò una mano per sistemarla, si ritrovò tra le dita un proprio ricciolo castano.
D’accordo, non pretendeva di avere poteri paranormali, oh no, ma negare che stava succedendo qualcosa sarebbe stato da stupidi. Si precipitò giù dalla scala e quando arrivò in fondo aveva già preso la sua decisione : non si sarebbe fermata finché non avesse scoperto cos’era successo in quella torre. Aveva l’impressione che ne andasse del destino di quella ragazza e che lei fosse l’unica a poter fare qualcosa.
Quando rientrò in camera, Sofia non era ancora tornata e questo le diede un’ulteriore possibilità di proseguire la ricerca senza che nessuno le facesse notare che stesse facendo qualcosa di folle e insensato. Accese quindi il piccolo computer portatile e si collegò alla rete wireless dell’albergo. Cercare notizie, per chi sapeva dove e cosa cercare, era fin troppo semplice e divertente. Purtroppo le informazioni sul Bed & Breakfast Torre degli Ulivi si limitavano ad offerte turistiche e poco più, le stesse che loro avevano consultato prima di partire. Un particolare però la colpì, qualcosa a cui prima non aveva dato importanza: l’albergo sorgeva su un terreno di proprietà di conti milanesi. Forse non significava niente o forse era la chiave di tutto.
Quando capì che dalla rete non avrebbe ottenuto altro, Caterina uscì per fare due passi sulla spiaggia: l’aria fresca della sera inoltrata era di grande aiuto a riflettere e l’atmosfera misteriosa faceva sì che la sua fervida immaginazione creasse ogni sorta di favola attorno a quel poco che aveva scoperto. Stava camminando da diversi minuti quando si accorse che lo scricchiolio dei suoi passi sulla ghiaia aveva un’eco: che Sofia fosse finalmente tornata? Voltandosi lentamente scoprì invece che a seguirla era la padrona del Bad & Breakfast.
«Signora…» cominciò stupita.
«Oh, scusami, ti disturbo? » chiese la donna con espressione desolata.
Caterina non avrebbe mai potuto rispondere di sì a qualcuno che la guardava in quel modo.
«Assolutamente! Anzi, avrei proprio bisogno di un po’ di compagnia. Ho la testa piena di strani pensieri che litigano tra loro. »
Involontariamente il suo sguardo corse in alto, alla destra della spiaggia.
«Strani pensieri… sulla torre? » chiese la signora seguendo il suo sguardo. «È forse venuta a farti visita la contessina? »
Una risatina coprì l’esclamazione di stupore della ragazza.
«Oh, via, non c’è bisogno di spaventarsi. » continuò la signora. «È solo una sciocca leggenda locale, tra l’altro senza nessun fondamento storico. »
Caterina era senza parole, mentre il suo cervello lavorava freneticamente: una strana torre, un cancello senza molo, una ragazza considerata malvagia, un orologio fermo, una famiglia di conti ed ora una leggenda del luogo su una contessina. Se avesse avuto ancora qualche dubbio, in quel momento sarebbe scomparso.
«Cosa racconta la leggenda? » chiese freneticamente, trattenendosi a stento dall’afferrare la donna per un braccio.
«Ti sei proprio appassionata, eh? Si tratta di una bizzarra storia raccontata dai vecchi di queste parti. Secondo loro, ogni giovane ragazza omonima della contessina riceve prima o poi la visita del suo fantasma che le chiederà di liberarla dalla torre. »
«Era rinchiusa nella torre?! E si chiamava anche lei Caterina? Mi dica, che aspetto aveva? »
La signora le restituì un’occhiata perplessa.
«È solo una storia di fantasia, nessuna ragazza è stata rinchiusa nella torre dell’orologio. In ogni caso è troppo recente per essere abitata da fantasmi. »
«E se invece questa fosse solo una ristrutturazione? Se la contessina Caterina fosse stata davvero confinata lassù?»
La signora scosse la testa.
«Penso sia molto improbabile, in ogni caso solo i proprietari saprebbero dirti se la costruzione della torre è davvero antecedente. »
Quando la donna rientrò, Caterina rimase ancora diversi minuti a camminare su e giù per la spiaggia. Come poteva saperne di più? Cosa poteva fare?
Rivolse lo sguardo alla torre.
«Contessina, se sei tu, dimmi cosa ti è successo. Come posso aiutarti? »
Rientrando in camera, Caterina i tolse i sandali che ancora indossava. Sofia doveva essere rientrata ed era strano che non fosse venuta a cercarla. Probabilmente era stanca e si era addormentata, meglio fare meno rumore possibile per non svegliarla. Era ormai giunta a pochi passi dalla porta della loro stanza quando mise un piede in fallo e rischiò di scivolare. Solo la vicinanza provvidenziale del muro le impedì di cadere e, quando abbassò gli occhi nella pallida luce del corridoio, scoprì la piastrelle lucide d’acqua. Lì per lì pensò di stare sognando o di esserselo immaginato, ma anche dopo essersi strofinata gli occhi, le pozzanghere erano lì. Anche la maniglia della porta era bagnata. Cosa poteva essere successo?
«Sofia! Hai allagato il bagno?! » esclamò entrando nella stanza, completamente dimentica delle remore di poco prima.
La sorella si rigirò nel letto aprendo appena un occhio:
«Che…? » mugugnò assonnata.
«Il bagno! » ribadì Caterina indicando con un gesto deciso la porta che lo divideva dalla camera da letto.
«Mmm… lo faccio domani…»
Detto questo tornò ad avvolgersi nel lenzuolo dandole le spalle.
Caterina la fissò perplessa poi si diresse a grandi passi verso il bagno e aprì la porta. Asciutto. Il pavimento era completamente asciutto, la doccia intatta. Anche le piastrelle della camera erano pulite, davvero strano. Voltandosi indietro verso il corridoio, si rese conto che non vi era traccia d’acqua. Possibile che avesse immaginato tutto?
La situazione di inquietudine non la abbandonò nemmeno quando finalmente si coricò. Tentò di distrarre la mente immergendosi nella lettura, ma si rese conto che la vicenda del romanzo che si era portata non faceva altro che aumentare il suo stato d’ansia. Il respiro si era fatto affannoso e quando alzò lo sguardo da libro scoprì di essere all’aperto. Per un attimo la sua mente si chiese come fosse possibile, ma un istante dopo quel pensiero razionale venne soffocato dalla paura e dal senso di urgenza. Doveva correre, doveva scappare prima che…
Una mano afferrò la sua e quando alzò lo sguardo incontrò quello fermo e risoluto di due occhi scuri.
«Filippo…»
«Andiamo, Caterina. Andrà tutto bene. Quando se ne accorgeranno saremo già lontani. »
Stavano correndo lungo la scala che scendeva dalla torre e ben presto si trovarono a percorrere sentieri noti e allo stesso tempo sconosciuti. Li aveva sempre visti dall’alto ma non le era mai stato permesso di percorrerli. Di notte, oscurati ancora di più dalle fronde dei grandi alberi che vi crescevano a fianco, assumevano una connotazione molto meno romantica rispetto a quella che si era immaginata osservandoli da lontano. Caterina era terrorizzata ma ormai non poteva tornare indietro. Alle sue spalle esisteva solo una storia di prigionia mentre davanti a lei poteva scorgere un futuro libero e alla luce del sole. Ci voleva solo un po’ di coraggio e un po’ di fortuna. Strinse convulsamente la mano di Filippo, che correva davanti a lei, e si fece forza. Dietro di loro l’orologio della torre batté le ore. Uno, due, tre, quattro rintocchi. Fu quando si spense l’ultima eco che sentì la mano del ragazzo irrigidirsi nella sua e, nel momento in cui si fermò, gli finì addosso.
«Cosa succede? » ansimò spaventata e a corto di fiato.
I capelli argentei le ricadevano scomposti sulle spalle e sul viso, simili ad una cortina lucente.
«Sta arrivando qualcuno! » esclamò Filippo. «Possibile che ci abbiano già scoperti? Dobbiamo tornare indietro! »
«Ma…» tentò di protestare Caterina, mentre si sentiva trascinare di nuovo in direzione della torre.
«Scapperemo dal lago con la barca che ho lasciato. Una volta sull’altra sponda perderanno le nostre tracce. Corri, non fermarti! »
Era incredibile come bastassero poche sue parole a infonderle nuovo coraggio. Mancava poco, ce l’avrebbero fatta, poi nessuno li avrebbe più inseguiti. Sarebbero vissuti insieme in un luogo dove splendeva sempre il sole e nessuno l’avrebbe più chiamata strega. Nessuno l’avrebbe più rinchiusa per lo strano colore dei suoi capelli e dei suoi occhi. Nessuno le avrebbe detto che era portatrice di sventura.
Un dolore improvviso e bruciante alla spalla infranse quelle fantasie, costringendola a lasciare la mano che stringeva per coprirsi la ferita. C’era stato uno scoppio… uno sparo. Cielo, le avevano sparato!
Quando ritirò la mano, la vide macchiata di sangue alla luce della luna. Sangue che, allo stesso modo, aveva iniziato a macchiare il suo abito candido.
Perché? Perché le stavano facendo questo? Lei non aveva mai fatto del male a nessuno!
«Caterina! »
La voce di Filippo era incrinata dal panico.
«Sto bene, mi ha preso di striscio. » rispose lei trattenendo a stento lacrime di dolore. «Manca poco, coraggio! »
Arrancarono esausti fino al primo pianerottolo della scala che portava alla sua prigione. Ora dovevano solo ridiscendere fino al piccolo molo nascosto tra le fronde. La salvezza era a portata di mano, solo pochi gradini più in basso.
Fu in quel momento che un nuovo colpo di pistola esplose a pochi centimetri dal suo orecchio e la ragazza si voltò indietro terrorizzata. Lì, a pochi passi da loro, sul pianerottolo e lungo la scala, si trovavano gli abitanti del paese che li avevano inseguiti finora e, davanti a tutti, con la pistola puntata contro di lei, il conte suo padre. Caterina si sentì cedere la gambe: non avevano via di scampo. Se si fossero voltati per scendere al molo, li avrebbero colpiti alle spalle. Altre vie non ce n’erano e sotto di loro si stendevano le acque del lago, scure e profonde.
Accanto a lei anche Filippo stava tremando. Probabilmente, quando aveva deciso di fare amicizia con la contessina strega, non aveva pensato che sarebbe finita in quel modo. Lei lo amava, era la sua luce, lui la riteneva una creatura pura e innocente, che meritava la libertà, eppure questi sentimenti avevano condotto entrambi in un vicolo cieco la cui unica uscita era…
«Strega maledetta! »
L’urlo di una donna la fece sobbalzare mentre con uno strattone veniva strappata dalle braccia di Filippo. Il ragazzo tentò di trattenerla, ma venne allontanato a sua volta.
«Fermi! Siete pazzi! Lei non ha fatto niente! » lo sentì gridare. «Madre, ti prego! Signor conte! Io la amo! »
Io la amo.
Stordita da quelle parole improvvise, non vide le braccia della donna che la spingevano in avanti, non sentì la piattaforma del pianerottolo cedere sotto i suoi piedi. Il senso del vuoto la colse totalmente impreparata, così come il gelo dell’acqua che le trafisse il corpo come mille aghi.
«Caterina! »
Un grido d’angoscia soffocato dal gorgogliare delle acque che si chiudevano sopra di lei. Faceva freddo allora perché aveva i polmoni in fiamme? Non riusciva a respirare.
«Filippo… Filippo… Anch’io ti amo…»
L’orologio segnò le 4:22.
Poi fu tutto oscurità e dolore.
Caterina si svegliò di soprassalto con un urlo angosciato. Aveva le guance bagnate di lacrime e il corpo madido di sudore gelido.
Quando si sentì sfiorare il braccio, sussultò ritraendosi terrorizzata, prima di mettere a fuoco il volto di sua sorella.
«Sofia…» mormorò con voce rotta.
«Stai bene? » chiese la ragazza, preoccupata. «Ti agitavi nel sonno e non riuscivo a svegliarti. »
«Io… Io sì, ma lei…»
Caterina afferrò la mano che l’aveva sfiorata.
«L’hanno uccisa, Sofi! L’hanno buttata nel lago. La contessina Caterina! »
La sensazione di terrore del sogno le stava ancora attanagliando lo stomaco e, nonostante la consapevolezza dello scetticismo della sorella, decise di raccontarle tutto quello che aveva visto: dai primi sogni, all’acqua sul pavimento, fino a quell’ultima angosciante scoperta. Al termine del racconto lo sconcerto sul volto di Sofia si era trasformato in stupore. Le coincidenze erano decisamente troppe per essere semplici casualità.
«L’orologio della torre è fermo alle 4:22! » esclamò. «È… è pazzesco! »
«Già. » annuì Caterina. «Quello che non capisco è cosa posso fare per la contessina. Non penso stia infestando i miei sogni per semplice passatempo. »
Sofia rifletté alcuni istanti poi alzò su di lei gli occhi chiari accesi di una nuova luce.
«Di solito i fantasmi rimangono perché hanno delle vicende in sospeso! »
L’ipotesi era plausibile e di solito in tutti i racconti e i film andava così, peccato che quello non fosse un film…
«Potrebbe volersi vendicare di quelli che l’hanno uccisa. »
«Ma sono morti tutti, probabilmente da secoli! » protestò Caterina.
Non era riuscita ad identificare perfettamente l’epoca di ambientazione dei sogni, ma era abbastanza sicura che risalisse almeno a duecento anni prima.
«Forse si vuole vendicare dei discendenti di Filippo che l’ha abbandonata. »
Un’altra ipotesi plausibile ma Caterina scosse la testa. Non era del tutto certa che il ragazzo l’avesse lasciata morire. Il legame tra loro le era sembrato troppo forte, doveva essere successo qualcosa.
«Sofi, pensi che potremmo trovare notizie su Filippo? Cosa gli è successo, dove è andato, come ha vissuto la sua vita…»
Sofia fece una smorfia.
«Senza un cognome e una data? Ne dubito… Senza considerare che hai già fatto una ricerca anche sui nostri conti milanesi e non hai trovato niente. »
«E se lasciassimo perdere la rete e provassimo negli archivi comunali? Forse tutto è informatizzato o forse no. Magari conservano ancora le vecchie scartoffie. »
Era una probabilità un po’ campata in aria, ma al momento non aveva altre idee. Se fosse riuscita a far sapere alla contessina che fine aveva fatto Filippo, forse sarebbe riuscita a riposare in pace e anche lei avrebbe ripreso a dormire sonni tranquilli.
L’indomani entrambe le sorelle partirono alla volta di Limone sul Garda alla ricerca degli uffici comunali. Riuscirono a trovarli solo dopo parecchio vagare per le stradine che s’inerpicavano fino alle limonaie. La segretaria che le accolse, rivolse loro un’occhiata perplessa quando chiesero se era disponibile un archivio di duecento anni prima.
«Abbiamo un archivio informatico che risale fino ai primi del ‘900 ma non oltre. » spiegò. «Nessuno è mai venuto a fare ricerche storiche a Limone, non abbiamo zone di particolare interesse in quel senso. Potreste provare in parrocchia. Sicuramente hanno registri precedenti ai nostri. »
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata speranzosa. Ma certo, era stato da sciocche non averci pensato prima. Da sempre le chiese conservavano certificati di nascita, di morte, di matrimonio e altro. Sicuramente avrebbero trovato qualche notizia utile.
La parrocchia era, se possibile, ancora più inaccessibile del municipio e, quando la raggiunsero, entrambe le ragazze avevano il fiato corto.
Entrando nella chiesa, vennero accolte dalla penombra e dalla frescura profumata di cera e incenso tipiche dei luoghi sacri. Caterina si sentì subito più tranquilla: quell’atmosfera aveva il potere di farla sentire più serena, come se i problemi e le questioni negative rimanessero oltre il massiccio portone di legno.
«Posso esservi d’aiuto? »
La voce del vecchio prete che avanzava verso di loro le distrasse dalla contemplazione degli affreschi alle pareti.
«Buongiorno. Sì, in effetti sì. » rispose Caterina rispettosamente.
«Avete un archivio storico? » la interruppe bruscamente Sofia.
Il parroco le fissò stupito, annuendo appena.
«Beh, certo, anche se non contiene fatti di grande rilevanza. »
Alle due ragazze brillarono gli occhi quando ottennero il permesso di consultarlo: probabilmente erano vicine alla soluzione dell’enigma. L’archivio si trovava in una stanza piuttosto ampia, nel seminterrato della chiesa, completamente occupata da alti scaffali ricolmi di registri e incartamenti di ogni genere. Risalire a quelli di quasi due secoli prima costò loro tutta la mattina e a mezzogiorno erano ancora davanti ad una fila di scaffali datati 1800. Sospirando, si stavano per abbandonare allo sconforto quando un profumo di pane tostato le risvegliò.
«Mi sono permesso di prepararvi dei toast. » annunciò il parroco comparendo sulla porta con un vassoio su cui spiccavano anche due bicchieri di tè freddo.
Dopo averlo ringraziato sentitamente, Caterina e Sofia si sedettero a mangiare al tavolo ricoperto di carte polverose tentando di non sporcarle. L’uomo le osservava benevolo e compiaciuto e, alla fine, decise di dare voce ai suoi dubbi.
«È tutta la mattina che lavorate, posso sapere cosa state cercando? »
Caterina tentennò per un attimo, sbriciolando il proprio pane: se si fosse messa a raccontare che un fantasma la perseguitava in sogno, sarebbe stata presa per pazza.
«Alloggiamo al residence Torre degli Ulivi. » l’anticipò Sofia. «Stiamo facendo delle ricerche sulla torre dell’orologio. »
L’espressione del sacerdote mutò nell’udire quelle parole, facendosi improvvisamente seria.
«Non sarà venuta a farvi visita la contessina? » chiese preoccupato.
Caterina sobbalzò e gli rivolse uno sguardo incredulo.
«Lei sa…? »
Significava che non era la prima volta? Che la contessina aveva già tentato altri contatti? Allora perché nessuno era ancora riuscito ad aiutarla?
Il parroco annuì gravemente.
«Periodicamente lo spirito della contessina si manifesta a giovani ragazze sue omonime nella speranza che l’aiutino a ritrovare il suo amore perduto. » disse con espressione triste. «È capitato sia a turiste che a ragazze del paese. Di solito sono tutte talmente terrorizzate da non volerne più sentir parlare e vengono da me a chiedermi di “esorcizzarla”. »
Calcò particolarmente l’ultima parola, con una smorfia.
«Se avessi potuto fare qualcosa per quella povera anima sofferente, l’avrei già fatto... »
Sotto lo sguardo stupito delle due sorelle, prese dallo scaffale uno spesso registro. Doveva essere stato preso in mano più volte a giudicare dall’assenza di polvere, che invece ricopriva i volumi a fianco. Lo posò sul tavolo e lo aprì facilmente ad una pagina evidentemente già consultata, mostrando loro un documento sbiadito e alcune strane cancellature.
Caterina e Sofia lo lessero, fissando con attenzioni i nomi che vi erano riportati. La data era quella di un giorno d’estate di quasi duecento anni prima e i nomi…
«Caterina e Filippo…» mormorò la sorella maggiore sfiorando con le dita le cancellature che si trovavano in corrispondenza dei cognomi. «Perché…? »
«Le loro famiglie li hanno disconosciuti. La contessina era considerata una strega e nessuno avrebbe dovuto avere a che fare con lei. » spiegò il parroco tornando all’espressione triste di poco prima.
Parlava di quei ragazzi come se li conoscesse, come se avesse studiato a lungo la loro storia e gli fossero ormai familiari.
«Nei luoghi lontani dai centri culturali, le superstizioni erano difficili da estirpare e la contessina era…»
«Un’albina. » disse Caterina realizzandolo appieno forse solo in quel momento. «Aveva la pelle chiarissima, i capelli praticamente bianchi e…»
«… E gli occhi rossi. » terminò il sacerdote. «Era questo che terrorizzava la gente. Pensavano che il demonio potesse vederli attraverso quegli occhi. Povera ragazza, imprigionata per tutta la vita senza motivo e poi costretta a sopportare quella fine orribile…»
C’era dolore nelle sue parole, Caterina poteva sentire come quell’uomo soffrisse sinceramente per la morte ingiustificata di una ragazza, dettata solo dall’ignoranza popolare.
«Solo per una stupida carenza di melanina. » borbottò Sofia, a sua volta turbata da quelle rivelazioni.
Caterina spostò gli occhi scuri dalla sorella al prete ancora in piedi accanto al tavolo.
«Sono morti entrambi, vero? Anche Filippo, intendo. » disse.
Quello che aveva davanti nel registro non era altro che un certificato di morte e la realtà di quella constatazione pesava su di lei come un macigno.
L’uomo annuì gravemente.
«La contessina è stata gettata nel lago, ma suppongo che questo tu lo sappia già. » disse. «Quanto a Filippo… gli hanno sparato. Le cronache non riportano il nome dell’esecutore dell’omicidio, ma l’unico che poteva possedere una pistola era il conte. »
Gelo. Questo fu quello che provò Caterina in quel momento. Gelo assoluto davanti alla crudeltà e all’atrocità di quei fatti. Sentì le lacrime iniziare a pungerle gli occhi.
«Perché? Perché? Non avevano fatto niente di male. » sussurrò.
Era tutto così assurdo che accettarlo le era impossibile, anche se si trattava di fatti accaduti più di duecento anni prima.
Sentì una mano calda posarsi sulla sua spalla e la voce rassicurante dell’uomo che le diceva: «Più che tormentarti per quello che è stato e, comunque, non puoi cambiare, dovresti chiederti cosa puoi fare per lei ora. »
Era vero. Quella ricerca era iniziata con l’intento di scoprire la verità e aiutare la contessina. Sarebbe stato fin troppo semplice perdere di vista quell’obiettivo e crogiolarsi nella crudele realtà appena scoperta, ma facendo così non sarebbero state d’aiuto a nessuno.
«Vorrei parlare con lei. » disse Caterina decidendolo nel momento stesso in cui esprimeva il desiderio ad alta voce. «Se vuole sapere qualcosa di Filippo, gliene parlerò. Se potrò fare qualcosa d’altro per lei, lo farò. »
Certo, affermare di voler parlare con un fantasma era piuttosto azzardato, ne era consapevole, ma era anche l’unica soluzione possibile.
Sofia sgranò gli occhi quando la sentì così determinata: evidentemente lei riusciva a cogliere molto meglio il lato folle della faccenda.
«Cosa dici, sei matta? » esclamò infatti. «E se non fosse ben disposta? E se ti facesse del male? »
Tuttavia le sue proteste caddero nel vuoto di fronte allo sguardo sicuro degli altri due: non c’era paura nei loro occhi, solo una profonda compassione.
«Non mi farà del male, ne sono sicura. »
Le due ragazze lasciarono la parrocchia a pomeriggio inoltrato, con la promessa di contattare il parroco se avessero avuto delle novità.
Il profumo della menta, della lavanda e delle echinacee le riaccolse rassicurante a Torre degli Ulivi. Illuminato dal sole splendente di quel giorno d’estate, sembrava che non potesse esistere luogo più estraneo a vicende di fantasmi. Invece era stato teatro di una tragedia di cui ora si apprestavano a mettere in scena l’ultimo atto.
Caterina avrebbe voluto recarsi subito alla torre, ma Sofia si oppose sostenendo che finché era giorno il fantasma non si sarebbe fatto vedere e che potevano approfittarne per prendere l’ultimo sole. Non avendo argomentazioni valide per rifiutare, la ragazza si vide costretta ad accettare nonostante le fosse praticamente impossibile rimanere immobile sulla sdraio sapendo cosa l’aspettava.
Le ore trascorsero lente, accumulandosi come granelli di sabbia in una clessidra. Impedirsi di pensare era impossibile, ma il calore del sole, appena mitigato dalla brezza fresca, la rendeva languida e finì per assopirsi. Diversamente dal solito, quando sprofondava nei sogni senza rendersene conto, questa volta la sua mente rimase sufficientemente cosciente da permetterle di osservare con il dovuto distacco quello che succedeva. Come ormai d’abitudine il punto di vista era quello della contessina Caterina e la scena che le si aprì davanti fu una di normale vita quotidiana, per quanto si potesse definire “normale” la vita di una reclusa. La ragazza era seduta di fronte a una piccola specchiera e si spazzolava i capelli con gesti lenti, lunghi capelli lisci, innaturalmente candidi ed eccezionalmente brillanti alla luce argentea della luna. In un angolo della sua mente, Caterina si chiese perché la vedeva sempre di notte e giunse alla conclusione che probabilmente aveva delle difficoltà a sopportare l’esposizione ai raggi solari. Quando alzò lo sguardo incontrò quello di due occhi rosso fuoco riflessi nello specchio. Occhi incredibili e inquietanti, resi quasi cangianti dalla luce della fiamma della candela che danzava sul tavolo di fronte a lei. Nel complesso sarebbe apparsa decisamente strana a chi la vedesse per la prima volta, avvolta nella veste bianca finemente ricamata. Forse una persona qualunque si sarebbe anche spaventata, ma Caterina aveva la possibilità di osservarla da molto vicino e si rese conto che aveva un’espressione serena, carica di gioiosa aspettativa. Canticchiava a bassa voce, muovendo la spazzola con gesti ritmici e accennando passi di danza, come se non riuscisse a contenere l’euforia.
Doveva trattarsi di…
«Fi-lip-po. » sillabò la ragazza, tracciando con un dito le lettere sul vetro, e sorrise arrossendo appena.
Smise di pettinarsi e lasciò ricadere i capelli sulla schiena come un velo. Erano talmente chiari da dare l’illusione di un velo da sposa. Sempre canticchiando, si alzò e si diresse alla finestra spaziando con lo sguardo sul lago sottostante e indugiando sul molo ancora deserto. Erano quasi le quattro del mattino, rifletté ascoltando il ticchettio ritmico del grande orologio della torre. Di lì a poco una barca avrebbe attraccato e Filippo sarebbe arrivato da lei. La notte era chiara e serena, doveva trattarsi di uno dei loro primi incontri, nulla lasciava presagire la tragedia della quale sarebbero stati protagonisti. Per il momento quella affacciata alla finestra era solo un’innocente fanciulla in attesa del suo principe azzurro.
Un diverso sciacquio delle onde la indusse a concentrare la sua attenzione sul piccolo molo e, con grande trepidazione, vide la barca che attendeva attraccare e il ragazzo dei suoi sogni sbarcare e alzare lo sguardo. I loro occhi s’incontrarono quando Filippo si voltò verso la torre e Caterina si ritrasse istintivamente arrossendo. Quelle che venivano rivolte in quella direzione solitamente erano occhiate cariche di disprezzo e timore. Filippo invece aveva uno sguardo gentile e rassicurante. Fin dalla prima volta nei suoi occhi aveva letto curiosità, forse dubbio, compassione, gentilezza e calore, ma mai il freddo distacco misto a paura della gente del paese. Per questo si fece forza, tornò ad affacciarsi alla finestra e sollevò timidamente la mano in segno di saluto. Il sorriso che il ragazzo le rivolse sembrò illuminare l’intera notte e le riempì il cuore di gioia.
Ancora in preda a quella dolce emozione, Caterina si svegliò sotto gli insistenti richiami di Sofia.
«Ma quanto dormi? » brontolò la ragazza. «Dai, andiamo a mangiare, che dopo abbiamo un appuntamento. »
«Alle 4:22…» mormorò Caterina.
Era certa che a quell’ora la contessina sarebbe stata presente. L’ora degli incontri con Filippo. L’ora della sua fine.
La luna era alta nel cielo e la brezza che spirava dal lago più fresca di quanto ci si aspettasse in una notte d’estate quando Caterina lasciò la sua stanza. Sofia aveva tentato di stare sveglia il più possibile, ma alla fine era crollata circa un’ora prima facendole promettere di svegliarla quando fosse uscita, e la ragazza lo avrebbe anche fatto se non avesse improvvisamente sentito la necessità di andare da sola. Quella storia riguardava solo lei, lei e la contessina, nessun altro doveva essere coinvolto.
Questo era quello su cui rifletteva mentre attraversava il parco profumato di menta accompagnata solo dal frinire delle cicale. Raggiunse presto le scale della torre, illuminata dal basso da un faretto la cui luce bianca metteva a nudo le pietre sbeccate dei gradini, e le salì tenendosi prudentemente al corrimano. Riuscì a raggiungere la sommità senza incidenti, nonostante il passo reso instabile dalle emozioni contrastanti e dalla penombra via via più indistinta a mano a mano che saliva. Giunta davanti alla porta serrata, passò delicatamente la punta delle dita sui fregi intagliati nel legno e si chiese per quanto tempo quello fosse stato il confine del mondo per una ragazza innocente.
Non era più il momento di tergiversare, lei era lì per vedere la contessina, farle sapere che l’avrebbe aiutata ma, nonostante questo, non aveva idea di come mettersi in contatto con lei. Non era certa che sarebbe apparsa al suo richiamo, quello accadeva solo nei film. Probabilmente lei era già lì e si sarebbe manifestata quando lo avrebbe ritenuto più opportuno. Non potendo fare altro, si appoggiò al parapetto del pianerottolo lasciando vagare lo sguardo come già aveva fatto nel sogno. Sotto di lei ora c’era solo acqua: il piccolo molo era scomparso, probabilmente abbattuto dopo l’incidente.
«O meglio, il delitto. » si disse con un brivido.
«La scusa è stata quella delle tasse sui moli. »
La voce che risuonò improvvisamente alla sua sinistra la fece sobbalzare. Aveva un tono sottile ma era stata sufficientemente improvvisa da spezzare il silenzio della notte e farla impallidire. Voltò velocemente la testa e intravide il riflesso di una ciocca candida.
«Contessina? Ca… Caterina, sei tu? » balbettò rendendosi a malapena conto di stare tremando.
La percezione di un sorriso triste.
«Sì, sono io. »
Non poteva vederla direttamente, ne aveva solo la vaga intuizione con la coda dell’occhio, come di un alone di luce. Sembrava che di lei fosse rimasto solo il bianco candido.
«Sei venuta…» continuò la voce.
Caterina si riscosse.
«Certo! » affermò tentando di recuperare un minimo di autocontrollo. «Se posso fare qualcosa per aiutarti, io…»
«Voglio andare da Filippo. » la interruppe la voce, così triste da spezzare il cuore. «Voglio andare da lui, ma non so dove sia. Così ho pensato che se lo avessi aspettato qui, sarebbe venuto a prendermi. »
Caterina sentì salire le lacrime agli occhi: quella ragazza aveva aspettato per duecento anni in una torre solitaria una persona che non sarebbe mai arrivata.
«Sai quanti anni sono passati? » chiese, trattenendo a stento il tremito della voce.
«Oh, sì. Tanti, davvero tanti. Dimmi, cosa ne è stato di lui dopo che sono morta? »
La domanda che più in assoluto temeva. Come poteva dirle che il suo unico amore aveva trovato la morte in quella stessa notte in modo altrettanto violento e, probabilmente, per mano di suo padre? Si sarebbe sentita un mostro.
«Lui è stato…» esitò appena, alla vana ricerca di un modo per addolcire la notizia. «È stato lasciato andare, alla fine. Ha avuto una vita felice, ma sono certa che non ti abbia mai dimenticata. »
Per un attimo tutto intorno a lei fu silenzio assoluto poi, improvvisamente, la sfiorò una brezza gelida, “gelida come la morte” avrebbe affermato in un qualunque altro momento. In quello no, si limitò a voltarsi nella direzione da cui proveniva, ma intravide solo un vago bagliore.
«È morto quella notte, vero? »
Caterina abbassò gli occhi, il cuore pesante per non essere stata in grado di dare nemmeno un attimo di sollievo a quella povera ragazza.
«Mi dispiace tanto. » mormorò mentre le lacrime salivano a bagnarle le ciglia.
L’atmosfera intorno a lei si scaldò un poco, avvolgendola in un’aura più dolce.
«Tu non hai colpa, nessuno ha colpa tranne me. Se fossi rimasta al mio posto, nessuno avrebbe sofferto. Invece ho voluto infrangere la legge e ho fatto del male a tutti: a Filippo, agli abitanti del paese, a mio padre…»
Il suo posto? Caterina si chiese se si riferisse alla torre. Come poteva considerare quella prigione il luogo giusto per lei? In che modo era stata cresciuta e quante ingiustizie erano state fatte passare ai suoi occhi per leggi?
«Tu avevi tutti i diritti di essere libera! » esclamò. «Non hai fatto niente di male! Avevi il diritto di vivere con Filippo! La vera colpa è di chi te l’ha tolto! »
Quasi non si era resa conto di aver alzato la voce e per un attimo temette la reazione della contessina. Tuttavia l’atmosfera attorno a lei rimase serena.
«Sai, mi sono sempre chiesta perché tutti gli altri potessero vivere alla luce del sole e io no. Sono giunta alla conclusione che se la luce, fonte di vita, mi faceva del male, allora era vero ciò che sentivo sussurrare: che ero una creatura malefica, destinata a restare nell’oscurità. »
Caterina sentiva un nodo stringerle la gola, rendendola totalmente incapace di trovare le parole giuste per consolarla. Ma potevano davvero esistere parole del genere? Non ne era certa.
«Ora che so che Filippo non verrà a prendermi, non c’è motivo che resti qui. » soffiò la voce accanto al suo orecchio.
La sentì allontanarsi e, improvvisamente, provò l’impulso di trattenerla. Non poteva finire tutto così, non era riuscita a fare nulla.
«Aspetta un attimo, per favore… Ora cosa farai? Dove andrai? »
Le parole della contessina le giunsero più fioche di prima, come se si fosse già allontanata, ma comunque avvolte in una brezza tiepida.
«Andrò dove sarei dovuta andare fin dall’inizio. Forse, quando sarò là, potrò rivedere Filippo. »
Finalmente le lacrime, fino ad allora trattenute, scivolarono sulle guance di Caterina.
«Lo rivedrai, ne sono certa… Perdonami se non sono stata capace di aiutarti. Perdona questo mondo orribile che ti ha fatto solo del male. »
Anche se sapeva che non aveva senso, provava un forte senso di colpa per la sorte tragica e ingiusta di quella ragazza. Non essere in grado di fare di più per lei era frustrante e doloroso.
«L’ho già fatto. »
Una lieve carezza di brezza tiepida sul viso.
«Grazie, Caterina. Vivi felice, mia nuova esistenza. »
L’orologio segnò le 4:22.
Poi il vuoto.
Caterina aprì gli occhi nella luce calda del mattino che filtrava dalle persiane socchiuse. Si stiracchiò nel letto e si alzò a sedere, guardandosi attorno. La stanza era stranamente silenziosa, Sofia doveva essere già andata in spiaggia. Nel pomeriggio sarebbero partite quindi era ovvio voler approfittare del sole e della brezza fresca del lago fino all’ultimo.
La ragazza si vestì velocemente e raggiunse la sorella con la strana sensazione di dover essere rimproverata per qualcosa. Non ricordava di aver fatto un torto a Sofia, quindi accantonò l’impressione e si godette a sua volta la mattina luminosa.
«Hai dormito un sacco, eh? » la prese in giro la sorella.
«Già, come un sasso. »
Probabilmente aveva sognato, ne sentiva gli strascichi addosso, ma come ogni sogno era svanito al mattino.
Quando giunse il momento della partenza, dopo aver ringraziato la padrona per l’ottima ospitalità, le due ragazze si voltarono per dare un ultimo lungo sguardo al parco e alla spiaggia. Caterina indugiò sulla torre e provò un acuto senso di nostalgia che quasi le fece salire le lacrime agli occhi. Dandosi della sciocca per quella reazione ingiustificata, ridacchiò e si rivolse alla sorella.
«Dobbiamo assolutamente tornare per le prossime vacanze, questo posto mi manca già! »