Titolo: L'ultima alzata
Fandom: Haikyuu!!
Rating: verde
Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Pairings: Iwaizumi/Oikawa
Disclaimer: Haikyuu!! e tutti i suoi personaggi appartengono a Furudate Haruichi.
Note: SPOILER!!! Scritta dopo il capitolo 147 del manga e prima del 148 che ha, ovviamente, brutalmente smentito questa visione mia e di quasi tutto il fandom, della reazione di Oikawa alla sconfitta. Pazienza, consideriamola un "what if". XD
Beta:
mystofthestarsWord count: 3696 (fdp)
Il rumore sordo del pallone che rimbalzava sul pavimento della palestra aveva messo fine a tutto: i sogni, le speranze, le prospettive per il futuro. Era finito tutto lì, sul pavimento di quel palazzetto pieno di gente, tra le urla d'incitamento e i mormorii di delusione.
Per i primi istanti che avevano seguito il fischio dell'arbitro, Oikawa non aveva mosso un muscolo, lo sguardo fisso sulla linea di fondo campo appena superata dal pallone. Iwaizumi invece non riusciva a staccare gli occhi da lui, lo stomaco annodato al pensiero che potesse compiere qualche gesto inconsulto lì davanti a tutti. Certo, c'era anche la rabbia per la partita persa con quell'ultimo punto, la frustrazione di averla combattuta e sudata fino alla fine, di aver spremuto fino all'ultima goccia di energia e di passione, di averci creduto fino all'ultimo istante e di aver visto andare tutto in pezzi, ma c'era anche l'ansia che a finire in pezzi non fosse solo il morale della squadra.
Tuttavia Oikawa si comportò in modo eccezionalmente pacato per quello che doveva essere il suo stato d'animo: si allineò con loro e strinse addirittura la mano a Kageyama. Il suo sguardo era basso, ma non vi erano lacrime nei suoi occhi, cosa che Iwaizumi non sapeva come interpretare. Lui stesso sentiva un nodo allo stomaco e dovette fare uno sforzo enorme quando, negli spogliatoi, vide Watari abbandonarsi al pianto e Kyoutani prendere a pugni una parete. Oikawa non li rimproverò, anzi non disse una parola, continuando a cambiarsi come se nulla fosse, finché non fu Kunimi ad esclamare scocciato al compagno di farla finita.
Iwaizumi li seguiva tutti con lo sguardo, chi si asciugava gli occhi cercando di non farsi notare, chi tirava su col naso, chi stringeva i pugni o ringhiava contro l'innocente cerniera della sacca: avevano dato tutti il massimo, avevano anche ricevuto i complimenti della tifoseria, ma il risultato non cambiava e si erano ritrovati con un pugno di mosche. Quella era stata l'ultima partita, per loro del terzo anno, l'ultima chance di una vita, ed era dura da digerire. Iwaizumi stesso non riusciva a capacitarsi: l'ultima alzata che Oikawa gli aveva fatta era stata spettacolare, qualcosa che nessun altro sarebbe stato in grado di replicare, eppure lui l'aveva sprecata. Aveva mandato la sua schiacciata, quella che avrebbe potuto cambiare le sorti dell'intero incontro, ad infrangersi contro la difesa avversaria. Rivedeva quell'azione in un continuo replay, così come rivedeva gli occhi sbarrati di Tooru nel momento in cui il pallone aveva toccato terra, e stringeva i pugni conficcandosi le corte unghie nei palmi della mani per non mostrare quei sentimenti ai compagni. Oikawa stava tenendo duro, quindi anche lui doveva mostrarsi all'altezza.
Era molto probabile che il capitano sarebbe crollato più tardi, in un momento in cui sarebbero stati a tu per tu, magari lo avrebbe incolpato di quell'errore, molto più probabilmente si sarebbe addossato tutta la responsabilità, e Iwaizumi avrebbe dovuto avere la forza necessaria a sostenerlo. Perché l'emotività di Oikawa, così controllata in campo, finiva per diventare una girandola impazzita in casi come quello, e qualcuno doveva riportarlo con i piedi per terra, ridimensionando anche la peggiore sconfitta, solo per il suo bene.
« Forza, ragazzi, non abbiamo tempo per piangerci addosso, l'autobus ci sta aspettando. Siete stati tutti eccezionali, non avete motivo di fare quelle facce! »
Alla luce dei precedenti pensieri, quell'esclamazione del capitano fu ciò che sconvolse Iwaizumi maggiormente, unita al più falso dei sorrisi che mai avesse visto sul suo volto. E, forse a causa della propria stessa mancanza di lucidità, non seppe decidere se quella fosse una cosa positiva o meno.
Sull'autobus che li avrebbe ricondotti a scuola, Oikawa non disse una parola. Iwaizumi si sedette di fianco a lui, come sempre, ma non ebbe modo di interagire perché l'altro s'infilò immediatamente le cuffie e fissò ostinatamente lo sguardo fuori dal finestrino. Hajime non capiva ed era anche troppo stanco per pensarci, talmente stremato dalla tensione che dopo un po' non riuscì ad impedire ai suoi occhi di chiudersi. Non avrebbe voluto dormire, non in un momento del genere in cui tutta la squadra era sottosopra, il suo migliore amico probabilmente a pezzi e lui stesso ribolliva di rabbia, ma nell'autobus regnava un silenzio depresso e rassegnato che non era d'aiuto e che pian piano lo portò ad assopirsi.
Si svegliò di soprassalto quando giunsero a destinazione: la squadra stava scendendo dall'autobus e Oikawa non era più accanto a lui. Iwaizumi si chiese come l'altro avesse potuto scavalcarlo senza che se accorgesse, considerando che di solito era tutt'altro che silenzioso nei suoi movimenti. Si guardò attorno e lo notò nello spiazzo davanti scuola, dove il resto dei ragazzi si stava radunando attorno al coach. Aveva un'aria tranquilla, sembrava stare meglio del previsto, forse si era preoccupato per niente.
L'allenatore li congedò con parole d'incoraggiamento, graziandoli, per una volta, della consueta riunione post partita. Che fossero stati bravi era un dato di fatto e mettersi ad analizzare tutti i perché della sconfitta, riconducibili probabilmente ad un mero caso sfortunato, in quel momento non sarebbe stato d'aiuto a nessuno. Nel cortile si susseguirono alcuni fiacchi saluti, poi ognuno andò per la propria strada.
Iwaizumi e Oikawa proseguirono affiancati fino al bivio che li avrebbe condotti alle rispettive abitazioni e, sebbene lo schiacciatore lo sbirciasse di continuo, il capitano non diede segni di squilibrio. Era silenzioso, certo, e in confronto al suo solito essere perennemente rumoroso poteva risultare strano, ma era comprensibile che fosse stanco a sua volta.
« Va tutto bene, Iwa-chan. Non fare anche tu quella faccia. Ci vediamo domani! » lo salutò al momento di dividersi, con un tono talmente normale che Iwaizumi finì per convincersi che forse, forse, si stava davvero preoccupando troppo. La mancanza di contatto fisico, dei suoi soliti abbracci appiccicosi o anche solo di una semplice stretta di mano, era facilmente imputabile alla stanchezza. Oikawa doveva aver raggiunto un tale livello di esaurimento mentale e fisico che quelle sciocchezze nemmeno gli passavano per l'anticamera del cervello. Probabilmente elaborare un po' la sconfitta per conto proprio gli avrebbe fatto bene, meglio ancora se se ne fosse andato a dormire.
« Vattene dritto a letto, capito? » lo rimbrottò quindi, ricevendo in risposta il segno dell'“ok” fatto con le dita e la sua peggiore faccia da schiaffi, prima di vederlo voltare la schiena e allontanarsi.
Iwaizumi non era ancora del tutto convinto ma, non essendoci molto altro che potesse fare, finì per incamminarsi a sua volta verso casa.
Al rientro venne accolto festosamente dalla madre, che aveva seguito la partita in televisione e che lo ricoprì di complimenti. Era andata male, vero, ma avevano giocato benissimo, si erano dimostrati quasi dei professionisti ed era terribilmente orgogliosa di lui. Persino suo padre, di solito burbero e silenzioso quanto lui, ammise che era stata un'ottima giocata. Il risultato non cambiava, ma quelle parole facevano bene allo spirito, almeno quanto i suoi piatti preferiti per cena e il bagno caldo che ne seguì erano un balsamo per il corpo.
Stava rovesciando l'intero contenuto del borsone nella cesta dei panni sporchi, quando sentì squillare il suo cellulare. Si lanciò sulla spalla la maglia numero 4 ancora umida di sudore, lo prese e, quando riconobbe il numero, si sentì piombare addosso il doppio della stanchezza: che Oikawa fosse tornato in sé e ora stesse piangendo come un bambino, cercando il suo supporto? Avrebbe dovuto aspettarselo.
« Cosa vuoi? » rispose quindi in tono burbero, deciso fin dall'inizio a dargli una scossa.
« Hajime...? » rispose però una voce del tutto diversa da quella che si aspettava.
« Zietta? »
Era la madre di Oikawa e Iwaizumi sentì improvvisamente uno sciocco ad aver risposto in quel modo, dando per scontato che fosse il compagno nonostante il numero fosse quello di casa.
« Cos'è successo? » chiese ammorbidendo il tono. Conosceva la signora da una vita, ma mai e poi mai avrebbe voluto essere sgarbato con lei.
« Hajime, Tooru è con te? Vi siete fermati a mangiare da qualche parte? »
Il tono di voce tradiva una certa preoccupazione.
« Pensavo che sarebbe venuto direttamente a casa, ma non ha avvertito e non risponde al cellulare.»
Iwaizumi lasciò cadere la maglia che ancora stringeva.
Quell'idiota!
Anzi, il vero idiota era lui, che aveva pensato che tutto potesse risolversi così semplicemente, che si era illuso che quello stupido non ne avrebbe combinata una della sue.
« Non preoccuparti, zietta, avrà perso tempo a parlare con il coach e non si saranno resi conto dell'ora. » buttò lì per tranquillizzare la donna, mentre già s'infilava le scarpe. « Ci penso io ad andare a chiamarlo. »
« Sei sicuro, Hajime? Non è successo nulla, vero? Teneva così tanto a questa partita che non sapere come l'ha presa mi mette in ansia... »
« Ma no, vedrai che è tutto a posto. Ti faccio chiamare da lui al più presto, ok? Stai tranquilla. »
Mentre si precipitava verso l'ingresso, Iwaizumi masticò un paio di imprecazioni che assomigliavano vagamente a “Cretino di un Oikawa!” e “Far preoccupare così sua madre, scemo!”
Mentre s'infilava la giacca in fretta e furia, notò che anche sua madre era al telefono e gli faceva dei gesti coprendo la cornetta con la mano.
« Hajime, per te. É la... »
« Scusami, mamma, non posso. É un'emergenza. »
Così dicendo uscì e si diresse istintivamente verso la scuola. Quello che aveva detto poco prima non era stata una scusa del tutto campata in aria, il posto più probabile dove poteva trovarsi quello stupido era davvero la scuola, o meglio, la palestra. Come minimo l'avrebbe trovato seduto tutto solo in un angolo, a piangersi addosso e a commiserarsi perché non era stato all'altezza della situazione. La sola idea gli faceva salire il sangue al cervello, oltre che una gran voglia di prenderlo a pugni. Oikawa aveva giocato in modo eccezionale, quel giorno, e Iwaizumi avrebbe picchiato chiunque sostenesse il contrario, anche se si trattava del diretto interessato.
La sua intuizione si rivelò azzeccata, Oikawa era davvero nella palestra della scuola, ma non si stava piangendo addosso, tutt'altro. Ancora prima di raggiungere all'ingresso, i rumori che provenivano dall'interno chiarirono ad Iwaizumi cosa stava succedendo: tonfi, colpi ripetuti, lo scricchiolio delle suole di gomma su pavimento lucido. Quello sciocco si stava allenando, o forse si stava solo sfogando. Quando si affacciò alla porta lo vide prendere la rincorsa dal fondo della palestra, lanciare in aria il pallone e colpirlo con tutta la forza che aveva. Il servizio killer, non più limitato all'interno del campo, si schiantò contro la parete opposta, mandando il pallone a rimbalzare sulla ringhiera degli spalti. Iwaizumi rimase a fissarlo incantato per alcuni istanti. Indossava ancora la maglia bianca della squadra, il numero 1 stampato in evidenza sulla schiena e sul petto, a simboleggiare quel ruolo di cui andava tanto fiero. Prendeva la rincorsa, lanciava il pallone, saltava e colpiva: uno sfoggio di potenza che avrebbe terrorizzato qualunque avversario. Eppure ora tutto questo non serviva a nulla e ai suoi occhi appariva solo come un inutile, se non dannoso, spreco di energie. Era uno spettacolo pietoso e quando lo vide incespicare e rimanere in ginocchio sul pavimento, ansimante e con il sudore che gli gocciolava ai lati del viso, Iwaizumi non poté più trattenersi e si precipitò a raggiungerlo.
« Stai bene? » esclamò impulsivamente, ignorando del tutto lo sguardo stupito che Oikawa alzò su di lui. « Ti sei fatto male? Il ginocchio? La caviglia? Idiota, si può sapere cosa stai combinando?! »
L'altro non disse una parola, limitandosi a scuotere la testa, forse ad indicare che non c'era niente di rotto, poi abbassò gli occhi e rimase immobile.
Iwaizumi poteva immaginare quello che stava per succedere, per questo gli appoggiò le mani sulle spalle e parlò in tono meno brusco del solito.
« Andiamo a casa, dai. Tua madre si sta preoccupando, dovresti darle un colpo di telefono... »
Oikawa però non mosse un muscolo, anzi non sembrò averlo nemmeno sentito, e quando iniziò a parlare la sua voce tremava.
« Per tutto il tempo non ho fatto altro che ripetermi... “La prossima volta lo sconfiggerò. L'anno prossimo vinceremo. Al prossimo torneo andremo ai nazionali.” Ma poi mi sono reso conto che non ci sarà nessuna prossima volta, nessun anno prossimo, nessun torneo. É tutto finito, Iwa-chan, ed è stato tutto inutile. »
Allungò una mano e strinse con forza la maglia di Iwaizumi.
« La squadra è stata eccezionale, avete giocato tutti benissimo, ma io ho rovinato tutto. Nonostante abbia dato l'anima in questa partita, non sono stato all'altezza, non... »
La sua voce si spezzò mentre affondava il volto nel petto del compagno ed entrambe le sue mani stringevano la maglia, ormai umida di lacrime.
« Non voglio che finisca qui! Non così! Non posso accettarlo! »
Iwaizumi si era preparato a tutte le lamentele del mondo, ai capricci addirittura, ma non a quel pianto disperato che gli bagnava la maglietta, a quelle mani che si aggrappavano a lui convulsamente, mentre le spalle sussultavano scosse dai singhiozzi. Poteva sopportare tutto, ma non di vederlo così spezzato. Oikawa era uno stupido, un vanaglorioso, un egocentrico e un esibizionista, ma era il suo capitano, il suo migliore amico e, nonostante tutto, la persona a cui teneva di più al mondo. Per questo doveva trovare il modo di salvarlo dal baratro in cui si stava gettando con le sue stesse mani.
« Mi sono allenato, ho fatto del mio meglio, ma non è stato abbastanza. Non è mai abbastanza! Perchè non riesco a portarvi alla vittoria? Sono così inetto come capitano? Quell'ultima alzata... se l'avessi calibrata meglio... e l'ultimo punto... se avessi fatto più attenzione... Abbiamo perso in quel mondo solo per colpa mia! »
Iwaizumi avrebbe voluto picchiarlo, in circostanze normali l'avrebbe fatto, ma ora il pugno che aveva già pronto si trasformò in un abbraccio: si strinse Oikawa addosso, in un gesto istintivo e piuttosto goffo, una mano che si posava sulla sua schiena e l'altra tra i suoi capelli. Non sapeva cosa dire, o meglio, il cervello gli suggeriva solo i consueti insulti, quindi lasciò che fosse il suo istinto a parlare, mettendo una dietro l'altra parole senza senso.
« Va tutto bene, non è finito niente. Vedrai, ne sono sicuro. Quell'alzata è stata spettacolare, nessuno avrebbe saputo fare altrettanto. E hai giocato bene. Anzi, hai giocato in modo eccezionale. Sei stato un ottimo capitano. Ammazzerò di botte chiunque osi dire il contrario. É tutto a posto. Non è stata colpa tua. Non è stata colpa di nessuno. Va tutto bene. Ti amo. Sei stato bravo. Non hai nulla da rimproverarti. »
Parole a ruota libera, senza nessun filo logico e nessun filtro, mormorate in tono rassicurante, del resto era certo che Oikawa nemmeno lo stesse ascoltando. Tutto quello di cui aveva bisogno era sfogarsi, e ne ebbe la certezza quando lo sentì quietarsi tra le sue braccia, passando a poco a poco dai singhiozzi ai respiri più profondi e tranquilli. Quando gli sembrò che la situazione fosse un po' migliorata, si azzardò a proporgli di nuovo di alzarsi.
« Sei sudato fradicio, se resti così ti prenderai un accidente. Vieni prima da me a darti una sistemata, se tua madre ti vedesse in questo stato le verrebbe un colpo. »
Oikawa finalmente alzò lo sguardo su di lui: aveva gli occhi gonfi e arrossati, le guance ancora bagnate e i ciuffi castani che s'incollavano alla fronte sudata. Aveva decisamente un aspetto orribile, lontano anni luce dal fascino da copertina acclamato dalle sue fans, eppure Iwaizumi lo trovava inspiegabilmente bello. Al di là della rabbia, al di là di quello sfogo folle, un Oikawa così naturale, così perfetto nel suo essere un totale disastro, appariva ai suoi occhi assolutamente splendido. Per questo si sporse un poco in avanti e gli posò un lieve bacio sulla fronte, prima di alzarsi e tirarselo dietro.
« Allora mi ami davvero. » fu la constatazione che lo raggiunse, da un ancora barcollante Tooru, che si appoggiava a lui in cerca di stabilità.
Iwaizumi arrossì e distolse lo sguardo, imbronciandosi.
« Di tutto quello che ho detto, hai sentito solo questo?! »
Oikawa scosse la testa e abbozzò un piccolo sorriso tirato.
« Grazie... »
Portare Oikawa a casa fu una mezza impresa. Sembrava che non si fosse fatto male da nessuna parte, che il ginocchio e la caviglia fossero a posto, eppure si trascinava a passo lento e Iwaizumi dovette sostenerlo per tutto il tempo nel timore che incespicasse e ruzzolasse sul selciato.
Giunti a casa gli fu immediatamente chiaro che non sarebbe bastata una doccia per rimetterlo in sesto e che avrebbe di nuovo combinato qualche sciocchezza se l'avesse lasciato andare ora.
« Mamma, Oikawa si ferma a dormire qui. » annunciò mentre attraversava l'ingresso.
L'altro non fece una piega, probabilmente l'idea di tornare a casa non allettava neanche lui. Non reagì nemmeno quando Hajime chiamò a casa sua e gli passò il cellulare brontolando: « Oi! Parla con tua madre, scemo. No, zietta, sta benissimo, sta solo facendo la drama queen. »
La donna gli sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma in quel momento Oikawa se ne uscì con un borbottio imbronciato (« Iwa-chan, sei crudele. Crudele. E dire che prima mi... ») e Iwaizumi si ritrovò a chiudere la telefonata prima di venire messo ulteriormente in imbarazzo.
Trascinò quindi Tooru in camera propria, dove lo costrinse a togliersi finalmente la maglia della squadra prima di spingerlo verso il bagno, ma sulla porta lo vide bloccarsi, stringendo tra le mani la già spiegazzata stoffa bianca.
« Mi sembra assurdo pensare che non la indosserò mai più. » mormorò con voce rotta. « É stata come una seconda pelle per tutto questo tempo... »
« Nessuno ti proibisce di portarla ancora, se ti piace tanto. » obiettò Iwaizumi nel vano tentativo di sdrammatizzare, ma Oikawa questa volta non sorrise.
« Già, ma non ci saranno più tornei per l'Aoba Johsai che conosciamo. Mai più. »
Detto questo si chiuse la porta del bagno alle spalle prima di attendere la risposta del compagno, e tutto quello che Iwaizumi sentì per la mezz'ora successiva fu lo scorrere dell'acqua che riusciva solo in parte a mascherare i singhiozzi.
Quando Oikawa tornò in camera, Iwaizumi aveva già steso il futon per lui accanto al suo letto e spento la luce. L'intenzione era quella di non farlo sentire a disagio mostrando di nuovo gli occhi arrossati ma, a ben pensare, probabilmente a Tooru importava poco.
« Fila a letto. » disse senza mezzi termini. « Hai bisogno di riposarti come si deve. »
L'altro non rispose ma, un attimo dopo, sentì il proprio materasso piegarsi sotto il peso del suo corpo. Iwaizumi sospirò.
« Ehi, ti ho preparato il... Oh, lasciamo perdere. Cerca di dormire. »
Nonostante gli desse le spalle, sentiva la sua fronte premuta contro la propria spalla, le braccia strette attorno al corpo che gli toccavano la schiena. Il respiro di Oikawa era veloce, completamente diverso da quello di una persona sul punto di addormentarsi, e Iwaizumi capì che di quel passo non sarebbero andati da nessuna parte. Voleva che Tooru stesse bene, che si tranquillizzasse almeno quel poco che bastava per riposare a dovere, ma non aveva idea di come fare. Che senso aveva avergli detto tutte quelle cose, prima, se ora non riusciva ad aiutarlo? Che motivo aveva, l'altro, di andare in giro cinguettando che era il suo ragazzo, se nel momento del bisogno la sua presenza si rivelava inutile?
Fu in preda a quei dubbi che spostò un braccio dietro la schiena, raggiunse una delle sue mani e se la portò al petto. Tenne gli occhi chiusi e sospirò prima di posare un piccolo bacio sulle dita. Sentì Oikawa trattenere il respiro e sorrise appena, nel buio.
« Queste mani sanno fare miracoli. » mormorò. « Oggi l'hanno visto tutti. Non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno, quindi, per favore, smettila di tormentarti. »
Il braccio, prima trascinato passivamente sulla propria vita, lo strinse e l'alzatore rispose a quel gesto di affetto e malcelata ammirazione posando le labbra alla base del collo del compagno, prima di permettere finalmente a sé stesso di abbandonarsi al riposo.
« Buonanotte, Iwa-chan... »
L'indomani mattina erano già sulla porta, orrendamente in ritardo per la scuola, Oikawa sbadigliando e Iwaizumi urlandogli contro improperi per la sua lentezza, quando la madre di Hajime li raggiunse con il pranzo per entrambi.
« Ne ho preparato un po' più del solito, perché immagino che farete tardi, quest'oggi. » disse con un inspiegabile sorriso.
D'accordo essere incoraggianti, ma i due ragazzi non capivano quell'atteggiamento così entusiasta.
« Ieri sera non ho avuto modo di parlarvi come si deve. » continuò. « Hajime è corso fuori in quel modo e quando siete tornati vi siete chiusi in camera. Ho pensato che Tooru avesse bisogno di stare un po' tranquillo...»
« Cosa stai cercando di dire, mamma? » chiese Iwaizumi, piuttosto impaziente, ringraziando il cielo che sua madre fosse una persona discreta e non fosse entrata in camera, o molto probabilmente li avrebbe visti dormire in quella sorta di abbraccio.
« Quella telefonata, mentre stavi uscendo. » spiegò la donna sprizzando orgoglio. « Era la scuola, il vostro coach. Aveva chiamato da Tooru e, non trovandolo, ha telefonato qui. Pare che qualcuno di un'università di Tokyo abbia visto la partita di ieri e ora voglia parlare con voi. Entrambi. »
Iwaizumi non poteva credere alle proprie orecchie: qualcuno? Degli scout? Di un'università di Tokyo? Totalmente senza parole, si voltò verso Oikawa e scoprì che l'altro lo stava fissando, con la bocca spalancata dalla sorpresa e una luce negli occhi che temeva non avrebbe visto mai più. Le parole che si rincorrevano nella mente di entrambi erano probabilmente le stesse: Tokyo, scout, squadra, insieme, ancora. Iwaizumi si sentì pervadere dall'euforia e, prima che l'altro potesse dire anche solo mezza parola, lo afferrò per un braccio e lo trascinò per strada.
« Andiamo o faremo tardi! Non vedo l'ora di sapere chi ha avuto il coraggio d'ingaggiare questo stupido capitano! »
Il mio stupido capitano.