[Hetalia] Alucinado

Apr 28, 2011 11:54


Titolo: Alucinado
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: giallo
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna), Lovino Vargas (Sud Italia), teppisti random
Riassunto: Antonio ha fatto di nuovo arrabbiare Lovino, ma la sua idea per farsi perdonare si trasformerà presto in qualcosa di completamente inaspettato.
Disclaimer:  Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
La canzone "Alucinado/Imbranato" è di Tiziano Ferro (sì, il video del link è Spamano! :p).
Lovino, le sue battute e il suo comportamento in questa fic sono made in ginkokite. Grazie! <3
Note: Si tratta della trascrizione di una ruolata completa quindi è un po' più lunga delle precedenti e se alcuni passaggi risultano un po' confusi, me ne scuso.
Beta: ginkokite



Quella volta Antonio l’aveva combinata grossa.
Non era stata colpa sua, semplicemente non si era reso conto di essersi fatto prendere un po’ la mano. Ok, forse avrebbe potuto fare a meno di spingere Lovino sul tavolo della cucina nel retro del locale, ma gli era sembrato così carino, dopo quel Bloody Mary “corretto”, e così disponibile che aveva perso la testa. Il risultato era stato morso ben assestato e tutt’ora, ad un giorno di distanza, un labbro dolorante.
La reazione fin troppo decisa dell’italiano aveva gettato lo spagnolo nel dubbio: forse i rifiuti di Lovino non erano esclusivamente scenografici, forse detestava davvero fare “certe cose”, forse l’aveva spaventato e ora non avrebbe più voluto vederlo!
Esasperati dalle sue continue lamentele e dai suoi deliri romantici e pseudo-drammatici, Francis e Bella avevano infine accettato di offrirgli il loro aiuto, consigliandogli di sfruttare la sua dote migliore per dimostrare all’amato quanto i suoi sentimenti fossero sinceri. Per questo motivo ora Antonio si trovava sotto le finestre di un anonimo palazzo in Little Italy, con lo sguardo rivolto verso l’alto e la chitarra in pugno. Quella era l’unica cosa che, a suo parere, poteva fare per esprimere al meglio i suoi pensieri.
Ci aveva messo parecchio tempo a trovare l’appartamento condiviso dai fratelli Vargas e alla fine era anche dovuto ricorrere nuovamente a Francis e alle sue “conoscenze”. In onore di questa lunga ricerca ora stava facendo di tutto per reprimere l’istinto che gli gridava di precipitarsi di sopra, facendo i gradini a tre per volta, e stringere Lovino nel più caldo degli abbracci. Un colpo di testa del genere avrebbe rovinato tutto il suo progetto.
Accordò la chitarra, la imbracciò stringendola dolcemente, come se si fosse trattato dei fianchi di una fanciulla, e schiarita la voce e iniziò.
Escúchame si trato de insistir,
aguanta soportándome,
mas te amo...Te amo... Te amo,
soy pesado, es antiguo, mas te amo.

Perdona si te amo,
y si nos encontramos,
hace un mes o poco más,
perdona si no te hablo bajo,
si no lo grito ¡muero!
¿te he dicho ya... Que te amo?

Perdona si me río, por mi desasosiego
te miro fijo y tiemblo, sólo con tenerte al lado,
y sentirme entre tus brazos,
si estoy aquí, si te hablo emocionado,
si estoy alucinado, si estoy alucinado.

La voce calda del giovane spagnolo si diffuse lungo la via, resa solo leggermente stridula per la tensione e l’emozione. Non si trattava di una canzone particolarmente impegnativa, ma rispecchiava in modo straordinario il suo stato d’animo: con poche, semplici parole era in grado di trasmettere la forza di un sentimento che sperava anche Lovino, là, oltre le finestre buie, potesse sentire.

Ciao… Come stai?
Domanda inutile!
Ma a me l'amore mi rende prevedibile
Parlo poco, lo so è strano, guido piano
Sarà il vento, sarà il tempo, sarà… Fuoco!

E scusa se ti amo e se ci conosciamo
Da due mesi o poco più
E scusa se non parlo piano
Ma se non urlo muoio
Non so se sai che ti amo…
E scusami se rido, dall'imbarazzo cedo
Ti guardo fisso e tremo
All'idea di averti accanto
E sentirmi tuo soltanto
E sono qui che parlo emozionato
…E sono un imbranato!

Ah, ma ti amo!
¡Yo te amo ...!

Antonio aveva passato la giornata a provare e riprovare gli accordi e, con grande disappunto del suo capo al bar, il testo in italiano che si era prefissato di imparare per fare colpo su Lovino.
Quando anche l’ultima nota sfumò tremolando nel buio della sera, poté dirsi orgoglioso del fatto che la sua voce avesse tremato meno del previsto, ma questo non era stato di grande utilità, dal momento che le finestre dello stabile rimanevano ostinatamente buie e nessuna reazione era seguita alla sua dichiarazione accorata.
Sospirando deluso, Antonio si voltò con l’intenzione di rincamminarsi lungo la via. Forse Lovino aveva bisogno di tempo, forse avrebbe fatto meglio a non farsi vedere per un po’, forse…
I suoi pensieri vennero letteralmente gelati quando una cascata d’acqua ghiacciata gli precipitò addosso da uno dei piani superiori: Antonio si voltò shockato, ma riuscì solo a vedere un’imposta che sbatteva.
Fantastico… Quella doccia fuori programma era proprio quello che ci voleva per coronare una degna serata. Ora non voleva altro che andarsene a casa, farsi una doccia bollente e lasciarsi consolare dai cioccolatini speciali di Francis. Purtroppo, però, qualcuno non sembrava d’accordo con lui, infatti una risata sguaiata risuonò alle sue spalle: «To’, un frocio canterino! Quella chitarra non è niente male, significa che sei ben fornito di píccioli. Non ci piace la gente come te, quindi se non vuoi finire molto male, molla la grana e vattene! »
Antonio s’irrigidì e si voltò lentamente verso il gruppetto di ragazzi che lo stava insultando e tentando di derubare. Era proprio vero che non esisteva limite al peggio: proprio quando si era convinto che la serata non potesse terminare in modo più orribile, ecco che spuntavano fuori questi. Poco male, si disse fulminandoli con lo sguardo, se era la rissa che volevano, li avrebbe accontentati. Fare a pugni sarebbe stato utile per scaricare la tensione.
Questo almeno era quello che pensava un attimo prima di ritrovarsi sotto il naso la lama lucente di un coltello.
«Fermo! »
Un’esclamazione risuonò nella via silenziosa: Antonio si voltò in quella direzione e vide Lovino avvicinarsi, a sua volta coltello alla mano.
«Il bastardo è in territorio Vargas e solo io ho il diritto di menarlo e derubarlo, quindi vedi di girare al largo, ok? » lo sentì esclamare in tono minaccioso. «Oppure volevi farti un giretto con il frocio? »
Occhi d’ambra lampeggianti, quell’inflessione pesante di scherno, quello stesso insulto pronunciato da labbra tanto amate: quello non era il suo Lovino. Turbato, Antonio fece un passo indietro inciampando sulla chitarra che aveva appoggiato al suo fianco e scivolando malamente sul marciapiede.
Nel frattempo il capobanda e i suoi compari si erano avventati sul giovane italiano, ingaggiando una confusa lotta. Le lame scintillavano urtandosi a vicenda mentre Antonio le fissava impietrito, incapace di muovere un muscolo.
Lui non si era mai considerato uno di quei signorini dei quartieri alti, anzi prima di trasferirsi da Francis aveva vissuto molto alla buona, ma la sua natura solare e positiva gli aveva sempre risparmiato quel lato oscuro della vita e vederlo manifestarsi in quel momento nei panni della persona che più amava al mondo lo sconvolgeva e lo… Sì, lo spaventava.
Lo schianto metallico di una catena disarmò Lovino e il capo dei tipacci lo sollevò afferrandolo per il colletto della camicia. La lama saettò, squarciando la stoffa sul fianco che ben presto s’intrise di sangue e solo il suono delle sirene in avvicinamento, che annunciavano l’arrivo della polizia, gli impedì di fare di peggio; scaraventato a terra il ragazzo, il gruppetto si diede alla fuga, mentre le prime luci si accendevano alle finestre circostanti.
Lovino ringhiò un insulto e allungò una mano per recuperare il coltello.
«Forza, alzati, bastardo! » esclamò premendosi una mano sul fianco. «Sta arrivando la polizia! Casa mia è qui sopra, aiutami ad alzarmi! »
Antonio non aveva sentito minimamente le sirene, non aveva neppure notato le luci alle finestre, fu il tono pressante di Lovino a riscuoterlo dal torpore in cui era precipitato: così, senza dire una parola, lo sollevò meccanicamente e lo trascinò su per le scale nonostante le proteste per la sua scarsa delicatezza. Quando raggiunsero l’appartamento, Lovino lo guidò verso il salotto imponendogli di rimanere lì mentre recuperava l’occorrente per il primo soccorso. Antonio si sedette rigidamente sul divano, posando la chitarra a fianco, e rimase a fissarsi le mani ancora sporche e scosse da un leggero tremito. Era il sangue del suo amore quello che le macchiava.
Amore? Quale amore?
Chi era in realtà il ragazzo che aveva visto brandire il coltello con tanta facilità? Che fine aveva fatto il suo Lovi tenero e imbronciato? E a chi apparteneva lo sguardo tagliente che aveva intravisto in quelle iridi dorate?
Una girandola di sentimenti contrastanti si agitava dentro di lui, contesi tra l’inquietudine e il senso di colpa. Proprio quest’ultimo prevalse nel momento in cui Lovino riapparve in salotto: a petto nudo e con la ferita al fianco medicata alla meglio, lo raggiunse con cotone e disinfettante tra le mani. La vista del suo fisico sottile spazzò via ogni dubbio, rivelando ad Antonio la reale fragilità del ragazzo che si era messo in pericolo per aiutarlo. Era rimasto ferito solo perché aveva tentato di proteggere lui.
Lo spagnolo si alzò e gli circondò delicatamente le spalle con le braccia, facendo attenzione a non sfiorare la ferita. Appoggiò la fronte nell’incavo del collo mormorando sulla sua pelle: «Perdóname…»
Lovino s’irrigidì un poco poi, per la prima volta, ricambiò la stretta lasciando cadere le bende e passandogli le mani sulla schiena con gesto rassicurante:
«Tu non c’entri… Non c’entravi, ecco perché l’ho fatto. Quelli sono solo feccia, non potevo lasciarti lì, capisci? »
Dopo un attimo scivolò via dall’abbraccio e prese a ripulirgli le mani dal suo stesso sangue.
Con le mani strette da quelle dita inaspettatamente gentili, Antonio sentì sciogliersi il gelo che fino a quel momento lo aveva paralizzato e finalmente alzò lo sguardo, alla ricerca dei suoi occhi color dell’oro liquido.
«Te quiero más que a mi vida. » mormorò fissandolo seriamente e ribadendo il motivo della sua presenza lì. «Lovi… Posso baciarti? »
«Ma che posso e posso! Se ti va, fallo e basta! » esclamò il giovane italiano e, senza aspettare una risposta, s’impossessò delle sue labbra.
Antonio avrebbe voluto protestare che voleva solo assicurarsi di non fare nulla di sgradito, che chiedere era da gentiluomini, che la volta scorsa non l’aveva fatto ed era finita in un disastro, ma non riuscì a dire una parola. Le labbra di Lovino erano dolci e allo stesso tempo esigenti mentre si schiudevano sulle sue e poté solo assecondarle. In un attimo si ritrovò a stringere a sé il corpo esile del ragazzo e, in un momento del genere e con ancora tutta quell’adrenalina in circolo, si rese conto che se non si fosse fermato ora non l’avrebbe fatto più.
Così, facendosi forza, sciolse il bacio e sollevò il ragazzo tra le braccia.
«Dopo un trauma come questo è bene che tu riposi. » disse dirigendosi verso la camera da letto e zittendo le sue proteste con un piccolo bacio sul naso.
Lo depose sul letto e rimase ad osservarlo in ginocchio sul pavimento per accertarsi che stesse realmente bene, anche perché, se avesse notato qualunque segno dell’aggravarsi della ferita era pronto a portarlo al pronto soccorso in barba a qualunque protesta. Non badò minimamente al fatto che nemmeno lui fosse in ottime condizioni, che la stoffa della sua maglietta, ancora bagnata, aderisse alla pelle provocandogli piccoli brividi in tutto il corpo.
Lovino invece lo notò, nonostante tentasse di non darlo a vedere.
«La signora Rosalia del terzo piano non è stata esattamente delicata, eh? » constatò. «Razza di megera… Comunque, dato che sono buono e in teoria sei mio ospite, puoi anche usare il bagno e prendere alcuni vestiti dalla stanza qui a sinistra, ci sono cose di mio fratello. »
Dopodiché si coprì la faccia arrossata con un cuscino in modo che Antonio non potesse nemmeno ringraziarlo a dovere.
Sorridendo, lo spagnolo si diresse verso il bagno, dove abbandonò finalmente la maglia fradicia e s’infilò sotto la doccia, lasciando che il getto d’acqua bollente portasse via i residui di tensione, paura e ansia. Si concentrò sul fatto che Lovino fosse lì, a pochi metri da lui, e lasciò scivolare le dita sulla pelle abbronzata immaginando che fosse lui a farlo.
Quando anche l’ultimo brivido si fu placato, chiuse l’acqua, si strofinò con l’asciugamano, indossò una maglia trovata nella stanza a fianco, sicuramente troppo grande per essere di Feliciano, e di nuovo presentabile, si affacciò alla porta della stanza, ma questa volta non rimase sul pavimento: si chinò su Lovino, scostandogli i capelli dalla fronte e posandovi un bacio lieve.
Le proteste giunsero con precisione quasi ovvia, se non che il ragazzo si irrigidì improvvisamente, fissandolo.
«Toglila. » intimò. «Toglila, specie di idiota! Avanti! »
Allo sguardo confuso di Antonio, Lovino additò la larga maglia nera.
«Hai messo una maglia del crucco mangia-patate! Non voglio che tu somigli anche solo lontanamente a quel fiscale d’un nordico! »
«Va bene, va bene, la tolgo! » esclamò Antonio, momentaneamente allarmato, sfilandosela e rimanendo a petto nudo senza il minimo imbarazzo. Dopo un attimo il suo sguardo si accese di malizia. «C’è davvero qualcosa che non va con tuo fratello o è tutto un espediente per farmi spogliare?»
Com’era prevedibile, la reazione di Lovino fu piuttosto brusca.
«Ehi! Io non ho niente contro mio fratello! E poi… Stai meglio senza…»
L’ultima parte della frase fu borbottata a voce talmente bassa che Antonio quasi stentò a sentirla, mentre il ragazzo si raggomitolava appena sul letto, in reazione istintiva ad un tuono che brontolò in lontananza. Stava per rispondere con una battuta maliziosa quando quel movimento brusco gli provocò un moto di preoccupazione.
«No, aspetta…» iniziò. «Se ti muovi troppo potrebbe riaprirsi la ferita, è meglio se rimani disteso. »
Lovino si limitò a ringhiargli contro, affondando il volto arrossato nel cuscino che stringeva tra le braccia, in imbarazzo per la situazione, per il fatto che Antonio avesse sentito il suo commento e per la stupida paura dei temporali che sarebbe sicuramente stata oggetto di scherno.
Lo spagnolo, tuttavia, non era assolutamente in vena di prese in giro mentre si sdraiava al suo fianco, facendo attenzione a non urtare la ferita, e gli circondava le spalle con un braccio invitandolo ad appoggiarsi a lui.
«Non sono meglio di un cuscino? » disse con un sorriso. «Tengo caldo, sono morbido e all’occorrenza posso anche cantare ninne nanne. »
Non aggiunse che aveva anche diverse idee per fargli dimenticare il temporale in arrivo.
Un nuovo tuono bloccò sul nascere le sicure proteste e Antonio sentì le mani di Lovino correre al suo petto, mentre si stringeva a lui istintivamente.
«I cuscini di solito stanno zitti e fermi. » brontolò l’italiano chiudendo gli occhi, come ad impedirsi la vista di qualcosa che l’avrebbe turbato. «Vedi di fare altrettanto. »
Lovino rimase così, stretto a lui e ignaro delle sensazioni che stava scatenando, di quanti brividi le sue mani ancora fredde provocavano sulla pelle calda di Antonio, di come fossero piacevoli e, soprattutto,  di quanto lo spagnolo si stesse sforzando di non turbare l’atmosfera intima che si era creata e permettergli di riposare come si deve.
Essere in un letto con Lovino superava le sue più sfrenate fantasie e dubitava che sarebbe mai riuscito a chiudere occhio, ma non per questo avrebbe impedito al ragazzo di farlo. Si limitò ad affondare il volto nei suoi capelli e a mormorare un gentile: «Buenas noches, mi amor. »
Allungò la mano e spense l’abat-jour sul comodino.
Non sarebbe rimasto lì a lungo, non appena il ragazzo si fosse addormentato si sarebbe trasferito sul divano, in modo che potesse stare più comodo. O almeno, l’idea iniziale era stata quella, se non fosse stato che Antonio stesso alla fine aveva ceduto alla stanchezza.
Quando riaprì gli occhi non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Probabilmente si era appisolato ma per fortuna non si era mosso. Lovino infatti era sempre nella stessa posizione e respirava tranquillamente, segno che il suo sonno era pacifico.
Badando di non fare il minimo rumore e muovendosi il più delicatamente possibile, sollevò il braccio che lo cingeva ancora, posandolo sulle lenzuola e, alzandosi dal letto, si voltò indietro per rimboccare premurosamente le coperte, poi si diresse nel corridoio alla volta della sala. Attraversando la casa silenziosa, giunse al divano accanto al quale era ancora posata la chitarra e la sfiorò leggermente con sguardo triste. Una corda penzolava penosamente di lato, allentata dalla caduta. Sarebbe potuta andare peggio, ma gli si stringeva ugualmente il cuore a vedere il suo caro strumento, la compagna della sua dichiarazione, in quello stato.
 L'indomani l'avrebbe sistemata nel miglior modo possibile.
Sospirando, si stese sul divano sistemando uno dei cuscini dietro la testa e chiudendo nuovamente gli occhi in attesa del sonno, sonno che difficilmente sarebbe arrivato, sia a causa dello scroscio della pioggia che sembrava voler allagare la città quella notte, sia per le immagini che costantemente gli ritornavano alla memoria: la canzone, la doccia fredda, le minacce di quei tipacci, lo sguardo ardente di Lovino, la lama scintillante del coltello, il rosso del sangue, il gelo della paura, il calore della passione... Affondò la testa nel cuscino. Di quel passo non avrebbe dormito mia più!
Rimase immobile nella speranza che il sonno sopraggiungesse per inerzia o per noia, anche se quest'ultima non avrebbe mai potuto convivere con la consapevolezza di trovarsi in casa di Lovino.
Concentrandosi sullo scroscio della pioggia e tentando di accantonare tutte le emozioni che non l'avrebbero fatto dormire, riuscì finalmente a raggiungere una parvenza di riposo. E fu sulla labile soglia tra il sonno e la veglia, dove i pensieri si confondono con i sogni, che giunse a fargli visita un dolce servitore di Morfeo. Antonio era convinto che si trattasse di un sogno, di un’immagine creata dal suo subconscio nel dormiveglia, ma i sogni non hanno mani, non possono toccare, mentre le dita che gli sfiorarono la fronte invece erano reali, così come le labbra che si posarono delicatamente sulle sue. Se era un sogno non voleva essere svegliato mai più e fu per questo che mantenne gli occhi chiusi, in modo da assaporare al massimo quel momento unico: perché si sa, i sogni si infrangono al risveglio.
«E questo sarà l’unico bacio che riceverai da me volontariamente. Ah, se mai ti sarai accorto di qualcosa, io negherò sempre, bastardo. »
Quelle parole sussurrate nel buio dalle labbra che avevano appena incontrato le sue e il leggero movimento accanto a sé, convinsero definitivamente Antonio che non si trattava di un sogno, inducendolo finalmente ad aprire gli occhi, scintillanti di calore, e allungare una mano per accarezzare la guancia di Lovino. Non fece battute, non rise inutilmente, si limitò a cingere la vita del ragazzo con un braccio e ad impedirgli di alzarsi, attirandolo a sé, finendo quasi per farselo cadere addosso. Lo circondò con entrambe le braccia e se lo strinse al petto, dimostrando solo con quel gesto, tutto l'amore che provava verso di lui.
Se n’era andato per permettergli di riposare tranquillo, ma lui era andato a cercarlo. Anche un misero divano sarebbe andato bene, l’importante era averlo tra le braccia e anche sentirlo ringhiare di disappunto per poi acquietarsi sul suo petto era la migliore delle ricompense.

fandom_axis powers hetalia, pg_italia romano, hetalia f.r.i.e.n.d.s project, pg_spagna, pair_spagna/romano

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