Titolo: Penance
Fandom: Heroes/Survivor (romanzo di Chuck Palahniuk)
Pairing: Nathan/Peter
Rating: NC-17
Conteggio parole: 3295 (W)
Prompt: 2. the blind leading the blind @
syllablesoftime [
Tab ♥]
Note: Prequel di
May you die with all your work complete, che va letta prima. Riferimenti utili e quant'altro nello specchietto introduttivo all'altra fic. I lettori più attenti (e anche quelli meno attenti) noteranno probabilmente che le due versioni della storia non coincidono completamente, ma i miei personaggi fanno sempre un po' il cazzo che gli pare.
Dedicata a:
snopes_faith, che non capirà una parola di questa dedica, ma fa niente. La fic è tutta sua.
Come tutte le volte, anche la prima comincia nel fienile - tra l'odore di erba essiccata e di terra e i fantasmi di generazioni di animali macellati, tra lo scricchiolio del legno e le ombre dei covoni che vi sovrastano e vi impediscono di vedere molto più in là del vostro naso.
Non molto più in là del tuo naso c'è Nathan, una mano tra i tuoi capelli e l'altra nelle tue mutande.
Tu hai gli occhi serrati così stretti che quasi ti fanno male, anche se Nathan ti ha detto che va tutto bene - anche se Nathan ti ha detto di guardare. L'oscenità di tutto questo è quasi troppa da sopportare eppure ti esalta, ti esalta il fruscio dei vestiti che avete ancora addosso, il respiro di Nathan che ti accalda il collo, e quella mano che non ti ha mai toccato più giù di un braccio o più su di un ginocchio che ora stringe con cinque dita la prova tangibile della tua perversione.
Pensi che sarebbe meno osceno se vi foste spogliati. Siete entrambi uomini: Nathan ti ha già visto nudo altre volte, e tu hai visto lui, come il tuo stomaco ti ricorda sfarfallando. Così sembra una cosa indefinita a metà tra un peccato e l'altro, infinitamente più perversa di entrambi. Così puoi quasi immaginarti che Nathan ti abbia sorpreso mentre peccavi in solitudine nel tuo angolino in solaio, e anziché rimproverarti come ti saresti aspettato - anziché tirarti uno schiaffo o mandarti a pregare per tutta la notte in ginocchio sui ceci - abbia scostato la tua mano per sostituirla con la propria.
Il pensiero ti attorciglia lo stomaco.
In realtà ti ha raggiunto nel fienile poco dopo cena, e quando ti ha trovato in solaio eri semplicemente affacciato alla finestrella quadrata che - ancora non lo sai - tra un paio d'anni attraverserai per uscire sul tetto e lanciarti nel vuoto.
"Non sono pentito di quello che ho fatto" hai borbottato senza voltarti, con quell'ostinazione che tuo padre definisce una stortura del tuo carattere e che invece in qualche modo, per qualche motivo, tu credi che a tua madre sarebbe piaciuta.
"Dovresti" replica Nathan, avanzando in mezzo alla polvere. "I tuoi voti sono i peggiori di tutto il Distretto. Papà è stato richiamato dai tuoi maestri. Nessuno in questa famiglia..."
"Lo so. Sono una vergogna. Il peggior Petrelli di tutta la storia della famiglia." Parole di tuo padre; tu non sai molto della storia di famiglia. "Papà ha detto che...", la tua lingua incespica per l'enormità dell'umiliazione, "che mi caccerà di casa."
"Solo se non torni in te" precisa Nathan, dolcemente. "E sai che non lo farà." Esita, probabilmente consapevole di aver quasi - quasi - dato a vostro padre del bugiardo. "Se non gli darai un motivo valido."
Ti appoggia la mano sulla spalla, ma il gesto sembra un'affermazione di forza più che un tentativo di conforto. Tu sospiri, senza appoggiare le tue dita sulle sue come faresti in un'altra occasione. Strofini la fronte contro il vetro gelido della finestra.
"Solo perché non c'è nessun altro" mormori. "Solo perché sono l'unico rimasto."
"Peter."
"Se gli altri non fossero morti non ci penserebbe due volte a mandarmi via."
"Basta."
"Allora meglio tenermi così, anche se non valgo nulla. È così, Nathan. Sono ancora qui solo perché Mamma è morta."
La presa sulla tua spalla si fa più forte, quasi dolorosa, ma tu resti immobile, non sussulti, non ti lasci scappare un suono.
"Domani gli chiederai scusa per averlo fatto vergognare di te. E da domani i tuoi voti saranno alti quanto quelli di tutti gli altri. Almeno."
Ti volti di scatto, cercando di alleggerire la stretta e frustandogli involontariamente la mano coi tuoi capelli troppo lunghi. "Tu pensi che sia facile, vero? Tu..."
"Io penso che non ti impegni abbastanza" replica Nathan, pacato. "Penso che non vuoi impegnarti. Penso che non prendi la tua missione sul serio."
Come sempre, la sua assoluta serietà manda in pezzi la tua determinazione, anche quando credi di essere più forte. "Tu non sai quanto la prendo sul serio, Nathan."
"A parole?" Ti appoggia tutte e due le mani sulle spalle, ai lati del collo, e stavolta il gesto è più confortante che intimidatorio. Il tono non sembra più così minaccioso, ma ruvidamente paterno. "Dicendo che non sei pentito?"
"Io ci provo, Nathan."
"Credi che il Signore ti abbia messo sulla terra per provarci? Tutti sono capaci di provarci. Anche i senzadio là fuori, puoi scommettere che qualcuno di loro ci prova. E che cosa ottengono?"
"Non lo so" borbotti, evitando il suo sguardo. E aggiungi, petulante: "Non ne ho mai visto uno".
"Niente. Non ottengono niente." Ti appoggia una mano sulla guancia, strofinandoti lo zigomo. "Tu puoi fare molto meglio di così, Peter. Io ti conosco. Tu non vuoi deludermi."
Chiudi gli occhi per un istante, perfettamente consapevole che Nathan intuirà la tua debolezza, e invece di approfittarne per rigirare il coltello nella piaga (come farebbe tuo padre), ti darà tregua.
"Va bene."
"Sei un bravo ragazzo" dice baciandoti la fronte, con quel tono caldo che riserva solo a te e ai suoi figli, quello che ti si raccoglie come una pozza calda all'inguine e ti manda vampate alla faccia. Tu lo abbracci d'istinto, per abitudine, e ti sorprende scoprire come il gesto basti da solo a farti sentire meglio.
Ci sono tante cose per le quali non sei pentito.
L'abbraccio dura un po' troppo a lungo, e quando Nathan scioglie le braccia da dietro la tua schiena quello che ti resta è il batticuore e un senso appiccicoso di sbagliato che non sai da dove venga fuori, né come cacciare via. Nathan ti stringe le spalle nelle mani, guardandoti fisso negli occhi. Per un attimo credi che ti bacerà di nuovo (Nathan è molto più affettuoso con te di quanto lo siano tutti gli altri coi loro fratelli) - invece lui abbozza un sorriso e ti lascia andare.
La frustrazione è un sentimento col quale ti hanno insegnato a convivere, ma a volte è così forte che ti toglie il respiro.
Ti siedi sulla brandina cigolante dove di tanto in tanto ti addormenti, per poi svegliarti infreddolito in piena notte. Alzi lo sguardo, e Nathan ti segue. Ci sono molte cose che vorresti chiedergli - cose che non capisci e che nella Bibbia non sono spiegate - se non avessi troppa paura di spingerlo a dubitare di te.
"... Nathan?"
Nella poca luce, le ombre sulla faccia di tuo fratello hanno un che di mostruoso, ghignante. Ma è solo una tua impressione, perché il suo sorriso è calmo come al solito.
"Tu hai mai... voglio dire..." Deglutisci, cercando le parole. Ti vengono in mente solo quelle sbagliate.
"Non girarci attorno" ti ammonisce lui, in tono paziente.
"... quando sei solo. Quando hai finito di lavorare, e non sei con tua moglie. Quando è buio. Non ti viene mai... voglio dire..." Gesticoli, incapace di tirartene fuori. "È che a volte, io... lo so che è sbagliato, però..."
Nathan tace, e taci anche tu, con un senso di oppressione in mezzo al petto. Ora ti rimprovererà. Se ha capito, ti rimprovererà. E come potrebbe non aver capito? Tra tutti i momenti in cui avresti potuto prendere questo discorso...
"Non è la stessa cosa, Peter" dice Nathan, guardandoti negli occhi. "Io e te non siamo uguali."
Lo sai. Non ti fa male. Non lo hai mai invidiato per questo. "È che io..."
"E non tutte le cose piacevoli sono buone."
Ti mordi la guancia. Non era un ripasso delle parole del maestro quello che stavi cercando. E non riesci a ignorare quella voce nella testa che ti ricorda che Nathan non ti ha risposto.
"Pensi che sapere di non essere l'unico ti farà sentire meglio?"
Sì.
"No. Io... voglio solo capire, Nathan."
"Cosa?"
A cosa pensi quando lo fai.
"Se sono fatto male io."
Nathan espira lentamente, appoggiandoti una mano sul ginocchio. "Non sei fatto male, Peter." Ti batte un colpetto e poi ti stringe l'attaccatura della coscia tra le dita. "Va bene?"
Tu sai che non basta che Nathan dica una cosa perché sia vera, ma stavolta ne sembra convinto. Ti appoggi indietro sulle mani, chiudendo gli occhi e giurando intensamente a te stesso che se solo quella mano salirà di mezzo pollice, anche solo dell'ultima, infinitesima parte di un pollice, gli dirai finalmente tutto. Tutto.
"Fai penitenza, dopo?"
"Sì" menti.
La mano si ritira dal tuo ginocchio. Nathan annuisce; la risposta sembra sufficiente.
Riapri gli occhi. "È tutto qui? Basta fare penitenza?"
"Con umiltà."
Pensi sempre che la parola suoni stonata sulla bocca di tuo fratello. "Umile" non è un aggettivo che gli si addice.
"Con umiltà, certo" sospiri, sdraiandoti indietro sulla brandina scricchiolante, e lo guardi dal basso in alto sperando che ti dica qualcosa di meglio, qualcosa che non c'è sui tuoi libri di scuola, qualcosa che nessun altro dei tuoi compagni sa. Una ricetta segreta per sistemare le cose. Se anche Nathan pensa che basti la parola "umiltà" a mettere tutto a posto, allora non sai cos'altro fare.
"Alcune cose non si possono evitare" dice Nathan, lentamente. Si appoggia cautamente su un gomito, affondando nella branda. "Ci sono comandamenti più difficili di altri."
"A cosa pensi quando lo fai?" domandi tutto d'un fiato.
Lui ti guarda come se gli avessi chiesto di ricordare uno per uno quando i suoi tre figli hanno perso il loro primo dente. "Questo non ti riguarda" ti risponde, ma in tono gentile, quasi cordiale.
"Scusa" borbotti, arrossendo.
Con quelle dita che ti sembrano sempre più adatte a stringere una vanga che a sfiorare il corpo di sua moglie, Nathan tira giù la casacca che si era sollevata dalla tua pancia lasciandoti una striscia di pelle nuda. D'istinto, appoggi la mano sulla sua. Il cuore ti batte così forte che Nathan di sicuro lo sentirà.
"Hai... voglia di farlo?" mormori con audacia, sentendo le tue guance accaldarsi. "Ora?"
L'espressione di Nathan si congela. "Cosa?"
"Con me" aggiungi, in un mormorio ancora più basso. "Insieme."
Nathan allunga una mano ad afferrarti il viso, con un gesto così improvviso e rapace che non hai neppure il tempo di tirarti indietro. "Con chi fai queste cose, Peter?"
"Con... con nessuno" balbetti in fretta.
"Uno dei tuoi compagni? Qualcun altro?"
"No. Non ho mai..."
"Guardami negli occhi."
E tu lo guardi negli occhi e glielo dici, tremando leggermente: "No. Te lo giuro. Io voglio... voglio farlo solo con te."
Ti sembra così stupido, ora che l'hai detto. Così infantile. Sembrava una cosa importante l'ultima volta che ci hai pensato - una cosa grande, una di quelle per cui morire. Ma Nathan non la penserà così. Distogli lo sguardo, perché sai che ora sarà ancora più arrabbiato, e non vuoi vederlo arrabbiato.
"Dio, Peter" mormora Nathan, ed è la seconda volta in tutta la tua vita che lo senti nominare il Suo nome invano. (La prima, tu avevi tre anni e ricordi solo l'urlo e il sangue, e la faccia di tuo fratello coperta di rosso come quella dei vitelli macellati.)
"Mi... mi dispiace" farfugli, mentre il mondo ti sembra sgretolarsi rapidamente tutto intorno a te. "Scusami, Nathan."
Non risponde. Tu ti tiri a sedere, incerto, aspettando che ti dica che lo disgusti, che si vergogna di averti per fratello, che non devi mai più osare toccarlo o guardarlo in faccia. "Farò penitenza" prometti con un filo di voce. "Domani. E dopodomani." Appoggi la guancia sulla sua spalla, timidamente, con gli occhi stretti per la paura che ti arrivi uno schiaffo (non sarebbe la prima volta). Nathan non si muove. "Farò penitenza per tutta la settimana" prometti sempre più piano, il tuo sguardo catturato tuo malgrado dal modo in cui la sua cicatrice brilla sotto la luna. "Nathan. Per favore..."
Lui si volta, lentamente, appoggiando la mano sulla tua guancia, ma lento come una carezza anche se non ha senso, non ti meriti nessuna carezza. Spinge le dita tra i tuoi capelli, tirandoti su il mento dalla sua spalla. "Tu non sai quello che mi hai chiesto, Pete" dice piano. Potresti contarle sulle dita di una mano, le volte in cui Nathan ti ha chiamato Pete. Nessun Peter di nessuna famiglia viene mai chiamato Pete. Non ha senso: il tuo non è un nome, è un titolo. Ma ogni volta ti manda un minuscolo brivido di piacere su per la schiena.
Pensi di chiedergli scusa, di dirgli di nuovo che ti dispiace, perché ti dispiace davvero, ma le parole ti escono dalla bocca tutte sbagliate. "È da più di un anno, ci ho provato, ti giuro che ci ho provato." Nathan ti guarda grave, serio come una statua, e tu ti sei già dimenticato che tuo fratello non accetterà più "ci ho provato" come scusa per i tuoi fallimenti.
Stai tremando.
Prima di accorgertene, hai la brandina sotto la schiena e Nathan addosso, pesante come il fianco di un cavallo. Ti toglie il respiro. La prima cosa che pensi è che ti picchierà, lo farà davvero, come ti hanno raccontato tante volte i tuoi compagni (quando tu hai imparato a dire che a casa tua era lo stesso, anche se non era vero).
Nathan non ti picchia, anche se il suo peso continua a schiacciarti contro la branda, ma ti rendi conto che non è quello a soffocarti, è che non stai respirando. Prendi un boccone di fiato tremante che finisce troncato a metà.
Ti sta baciando la bocca. È una cosa strana, il modo in cui ti mastica le labbra con le sue, come cerca di forzarti ad aprirle, ma pensi che anche se non capisci non ha importanza, e sollevi le braccia sulle sue spalle e apri la bocca serrando forte gli occhi. Quando ti tocca la lingua e la bocca ti si riempie di saliva pensi che anche se non ti piace tanto non ha importanza. Tu vuoi solo che si prenda tutto, anche se non è molto.
“Fermami” ansima Nathan, baciandoti il volto e gli angoli della bocca. “Dio, Peter, non so che sto facendo.”
Si sposta appena un po’ più avanti, tra le tue gambe, accendendoti un fuoco nell’inguine. Gli prendi la faccia tra le mani per farti baciare come prima, la lussuria che ti rende improvvisamente audace (credi di aver capito meglio come muovere la lingua, e sei ansioso di riprovarci). Apri una gamba verso il muro del fienile, sentendoti bruciare di soddisfazione quando Nathan scivola più comodamente sopra di te, occupando tutto lo spazio che gli hai offerto.
“Non sei obbligato a farlo” mormora sulle tue labbra.
“Ti prego.”
“Non succederà nulla se non vuoi. Non ti amerò di meno.”
“Ti prego, Nathan.” Non vuoi che non succeda nulla. È tutta la vita che non succede nulla.
Lui chiude gli occhi, o forse li abbassa soltanto, e ti bacia di nuovo. È più duro, stavolta, più urgente. Senti il palmo calloso della sua mano cercarti la pelle sotto la casacca, solleticarti le costole, poi stringerti il fianco tra il pollice e le altre dita finché non ti fa male e ti scappa un gemito dentro la sua bocca.
Nathan ti mormora rapido che sarà un segreto, deve essere un segreto, è importantissimo che tu lo capisca.
“È… è così che fai con tua moglie?” ansimi senza rispondere, domandandoti se lui le lasci dei segni. Di tua cognata non hai mai visto altro che le braccia e il volto e sai che è la donna più onesta del mondo; ma improvvisamente il pensiero che Nathan marchi di rosso la sua pelle bianca ti sembra che la faccia diventare una puttana.
“No. No, questo non c’entra niente con lei. Siamo solo io e te, Peter. È il nostro segreto. Capisci?”
Apri gli occhi. C’è Nathan ovunque intorno a te, il suo respiro e il suo odore familiare che ti circondano, annullandoti in un semplice prolungamento del piacere che ti procura. Ti apre i calzoni, affondando le dita sotto la stoffa, e tu ti accorgi che hai smesso di nuovo di respirare.
Neppure da solo, quando nessuno poteva vederti, neppure quando ti sei sentito più libero e audace, ti sei mai permesso di toccarti come Nathan sta facendo ora. È deciso, senza la minima incertezza, come se questo non lo sconvolgesse affatto come sconvolge te; il modo in cui ti stringe, come ti passa il pollice sulla punta, come se non fosse la prima volta che tiene in mano la virilità di suo fratello. “Efficienza” è una parola che spesso hai pensato in riferimento a Nathan, ma è la prima volta che farlo ti dà i brividi.
Ti domanda se ti piace, muovendo il palmo intorno alla carne in cui sta compresso tutto il tuo universo, e quando non rispondi te lo domanda ancora, guardandoti in faccia, l’erezione pesante contro l’interno della tua coscia. Deve saperlo; non sopporterebbe di pensare che non l’hai voluto. Tu sospiri sulla sua guancia e mormori qualcosa che ti sembra senza senso ma lo rassicura, e quando ti tocca ancora è un piacere così dolce che tuo malgrado butti il capo indietro chiamando Nathan, Dio e tutti gli angeli che ti vengono in mente.
Lui ti tappa la bocca, ti bacia il collo e ti ordina di smettere di essere blasfemo, e tu sei troppo felice per cogliere il brivido con cui te lo dice; c’è troppo piacere tra le tue gambe per pensare alle sfumature. Quando hai finito, scosti la sua mano e lo baci con passione, sbottonandogli i calzoni con l’altra. Il piacere ti ha reso generoso e ti piacerebbe sentirgli tremare il respiro mentre lo tocchi, ma Nathan è più vecchio di te e tutto quello che ti concede è il sospiro rumoroso e pieno di una lunga attesa finalmente conclusa.
“Che cosa ti piace?” mormori, apprensivo e vagamente deluso. Che cosa può trovare d’interessante in te, che ti masturbi senza guardare perché ti vergogni? “Voglio farti tutto quello che vuoi.”
“Va bene così” ti risponde, la voce più profonda e calma di qualche momento prima. Si sposta sul fianco e tu lo segui, facendogli spazio. Nathan appoggia la mano sulla tua, respirando con gli occhi socchiusi, e quando lo baci ti stringe le dita un po’ più forte, passandoti un braccio intorno alle spalle.
“Posso imparare tutto quello che ti piace” gli mormori sulla bocca.
“Non mi tentare, Peter.”
“Sono serio, io…”
“Più veloce” ti sussurra bruscamente. Tu obbedisci, sentendo la sua mano spostarsi sul tuo fianco e poi più giù, sotto l’orlo dei tuoi pantaloni, ad afferrare una natica magra nel palmo. Sussulti leggermente.
L’aria è fredda sulla tua pelle, ma non ci fai caso. Nathan stringe e massaggia, spingendo progressivamente i tuoi calzoni più in basso, finché non senti le sue dita ruvide premere all’interno delle tue cosce e da lì risalire mozzandoti il respiro. “Nathan…”
“Vuoi che smetta?”
“No… no” balbetti, e le dita continuano ad accarezzare ma non procedono oltre, come se non ne avessero il coraggio, lasciandoti un curioso formicolio accaldato sulla pelle.
“Io… io penso che ti amo” bisbigli.
Nathan apre su di te quegli occhi che potrebbero farti fare, dire e pensare qualsiasi cosa al mondo e ti guarda con sincero smarrimento. Quando ti mormora una risposta la sua voce è roca e calda, resa distante dall’orgasmo che l’ha quasi raggiunto.
“Sì” mormora. “Lo so.”
Prima che il freddo del fienile ti congeli, Nathan ti abbraccia e ti stringe più vicino, respirandoti sul collo. È quasi abbastanza per farti dimenticare tutto il resto, tuo padre e i tuoi voti e il fatto che sei il peggior Peter di tutto il Distretto della Chiesa. Chiudi gli occhi, respirando l’odore del legno a cui si mischia quello di tuo fratello, del fieno, della lana, degli animali che non conoscono il loro destino.
Domani farai penitenza.