Titolo: Il caso di Market Snodsbury
Fandom: Sherlock Holmes/Jeeves & Wooster
Rating: PG-13
Pairing: Holmes/Watson, Bertie/Jeeves
Conteggio parole: 23.500 (W)
Note & ringraziamenti: (
qui )
Capitolo 1 - Il funerale Capitolo 2 - Il racconto di Mr. Jeeves Capitolo 3 - Mr. Wooster e la soluzione del caso 4. Il piano
“Allora, Mr. Wooster, che cosa vi ha detto Mr. Jeeves di così enigmatico?” domandò Holmes dopo che fummo partiti. La pioggia andava diminuendo, ma solo leggermente.
“Non ne sono sicuro. Sul momento non sembrava avere molto senso, ma dopo averci pensato su per tutta la strada da quella dannata stazione di polizia devo ammettere che ora ne ha ancora meno.” Mr. Wooster si mosse a disagio sul sedile. “Mi ha detto che tutto si sarebbe sistemato per il meglio e di avere fiducia, e poi…” Arrossì leggermente vicino alle orecchie e tacque.
“Va tutto bene, Mr. Wooster” gli dissi. “Nulla di ciò che direte uscirà da questa automobile.”
Mr. Wooster arrossì ancora di più. “Mi ha detto che non avrebbe mai fatto qualcosa che potesse farmi vergognare di lui.” Guardò Holmes nello specchietto retrovisore. “Che significa? Perché io non credo… no, io sono sicuro che Jeeves non sia un assassino, però è pur vero che lui ha confessato, e voi siete sempre Sherlock Holmes, e io non… non lo so, sono confuso. Diamine, non ci capisco più niente.”
Mi voltai a guardare il mio amico. Holmes si appoggiò indietro sul sedile ed esalò un lento sospiro.
“Non mi meraviglia che Mr. Wooster o gli altri non siano stati in grado di capire una parola del mio discorso, amico mio. Ma che tu, tra tutti, non abbia notato che nulla di ciò che ho detto aveva il benché minimo senso, Watson, ti giuro che questo è al di là della mia comprensione.”
Corrugai la fronte, mentre molto lentamente un barlume di comprensione si affacciava alla mia mente. “Vuoi dire che…”
“Sì.”
“Tutto inventato?”
“Dalla prima parola all’ultima. O quasi.”
Una frenata improvvisa spinse Holmes col busto in avanti tra i due sedili anteriori e me a un soffio dal parabrezza. Dall’automobile alle nostre spalle partì un suono di clacson particolarmente vigoroso.
“Volete dire che…” iniziò Mr. Wooster. “Jeeves… voi e Jeeves… voglio dire… insieme?”
“Per l’amor del cielo, Wooster, fate attenzione!” lo rimproverò Holmes. “E spostate la macchina dal centro della strada.”
Mr. Wooster scosse la testa, le mani tremanti per l’emozione. “Dovete dirmelo, Mr. Holmes. Io devo saperlo. Jeeves… Jeeves non…”
“No” rispose Holmes. “E ora spostate la macchina dal centro della strada, Mr. Wooster, prima che a un bobby venga in mente di controllare cos’è successo e si accorga che siete completamente pazzo.”
Mr. Wooster obbedì, ancora scosso.
“Se l’assassino non è Mr. Jeeves” iniziai, “la qual cosa mi rallegra considerevolmente - allora chi è? Hai detto che le tue deduzioni su Mr. Jeeves erano tutte inventate…”
“Un cumulo di sciocchezze senza capo né coda, messe assieme mentre ispezionavo la casa.”
“… dunque devi aver fatto un’altra intera serie di deduzioni, che ti ha condotto a qualcun altro. Chi?”
Holmes estrasse una carta ripiegata in quattro dalla tasca della giacca e me la porse.
Lessi. “Buon Dio” mormorai, sfilandomi gli occhiali dal naso.
“Sì” confermò Holmes. “Lo so.”
“Se non fossi tu a confermarmelo non ci crederei mai.”
“Vedi, è proprio questo il problema, Watson” ribatté Holmes, con irritazione. “Tu e il tuo gusto per il drammatico. La gente crede che io abbia un qualche potere sovrannaturale che mi permette di leggere la colpevolezza di una persona in un mucchietto di foglie e un capello del colore giusto, e non batte ciglio se pure il quadro messo assieme non ha il minimo senso, purché ci sia dentro il giusto numero di minuzie a cui non avrebbero mai pensato. E la colpa, amico mio, è interamente dei tuoi libri.”
“Credevo che la colpa fosse della stupidità umana” risposi, senza offendermi. “E credevo che ti piacesse essere una divinità infallibile.”
“La divinità infallibile di un mondo di idioti.”
“È l’unico mondo che potrebbe sceglierti come divinità, amico mio.”
“Grazie, Watson. Grazie davvero.”
Poco dopo, Mr. Wooster accostava l’automobile di fronte all’appartamento ormai noto, il 3A di Berkeley Mansions.
“Accomodatevi” disse il giovane. “Fate come se foste a casa vostra. Ehm… sul serio, voglio dire. Posso offrirvi qualcosa da bere?” Non posso esserne sicuro, ma mi parve che Mr. Wooster stesse per chiamare il suo valletto e si fosse fermato giusto in tempo. Arrossì lievemente. “Whisky? Brandy? Come-si-chiama?”
Sparì in cucina per prendere la bottiglia e i bicchieri, ma qualche istante dopo giunse un gran baccano di vetri rotti e non potei trattenermi dall’andare a controllare.
C’erano un paio di bicchieri frantumati sul pavimento. “Mr. Wooster” gli dissi, nel tono calmo e pacato che un tempo usavo adottare con i miei pazienti più nervosi, “sedetevi e rilassatevi. Sono sicuro che non avete dormito un’ora negli ultimi tre giorni.”
Mr. Wooster scosse la testa. “Sto bene. È solo… sapete, di solito è Jeeves che si occupa di queste cose.” Indicò vagamente la credenza con i bicchieri.
“Certo” risposi. “Permettete? Vi aiuto.”
Quando fummo tutti seduti con i nostri drink in mano, chiesi a Holmes che cosa avesse in mente di fare.
“Come ho già detto, cenare e riposare qualche ora” rispose. “E suppongo che prima o poi ci sarà concesso di tornare a casa.”
“Ma prima di allora…?” lo interrogai.
“Avremo bisogno di prendere in prestito l’automobile di Mr. Wooster. Non temete, Mr. Wooster, so guidare decentemente.”
“Posso accompagnarvi” ribatté il giovane. “Se si tratta di catturare il vero colpevole e scagionare Jeeves io devo esserci. È il mio dovere. Non posso…”
“È fuori questione, Mr. Wooster” disse Holmes. “Sareste solo di intralcio.”
“Ma io non…”
“La vostra presenza non è necessaria.”
Mr. Wooster arrossì, in imbarazzo, ma nondimeno raddrizzò le spalle e guardò Holmes con aria di profonda dignità. “So di non essere di grande aiuto quando si tratta di fare piani e ragionare sulle cose come fate voi e Jeeves, ma se si tratta di catturare un malvivente, due braccia in più possono servire, non è così? Dottore?”
“Vi proibisco formalmente di cercare di impietosire il dottore” replicò Holmes. “Mr. Wooster, vi do la mia parola che questa storia si concluderà entro la notte e che riavrete il vostro Mr. Jeeves sano e salvo. Ma dovete fare come vi dico, e per l’amor del Cielo, non prendere iniziative.”
Il tono era stato duro, ma probabilmente fu la cosa più gentile che Holmes avesse detto al ragazzo dall’inizio di questa storia.
“E sia” mormorò Mr. Wooster, rabboccandosi il bicchiere con aria sconfitta. “Siete voi il genio, dopotutto.”
Era ormai l’ora di cena, e nessuno dei presenti aveva mangiato nulla dall’ora della colazione - Mr. Wooster, probabilmente, da prima ancora - ma quando parlammo di uscire a cenare Mr. Wooster declinò l’invito con decisione.
“Penso che sia meglio che resti a casa e mi faccia un bagno e la barba e tutto il resto” spiegò. “A Jeeves è quasi preso un infarto quando mi ha visto, oggi. Sapete quella cosa che fa con un sopracciglio, no? Quando qualcosa non è di suo gradimento. Ecco, oggi credo che l’abbia sollevato di un centimetro intero. Giuro che per un momento ho temuto che avrebbe piegato le sbarre a mani nude e mi avrebbe fatto evadere solo per costringermi a radermi.”
Avrei avuto piacere a continuare la conversazione con Mr. Wooster, se non altro perché la sua capacità di innervosire Sherlock Holmes prometteva esiti estremamente interessanti, ma non insistetti.
Holmes ed io cenammo in un ristorante sulla St. James. Stranamente Holmes dimostrò un certo appetito; quando seguiva un caso, ai tempi di Baker Street, era capace di digiunare per tre giorni di fila senza accorgersene.
“Sei pensieroso.”
Annuii. “Cercavo di immaginare quando tu abbia avuto il tempo per metterti d’accordo con Mr. Jeeves e architettare tutta la messinscena. Mi sembra una cosa che richieda qualche tempo per essere organizzata, eppure sono sicuro di esserti stato sempre vicino.”
“Oh, al contrario, la cosa non ha richiesto che pochi istanti” rispose Holmes. “Mr. Jeeves, come avrai avuto modo di notare, è una persona molto intelligente, ancorché incredibilmente cieca quando si tratta di quel suo assurdo datore di lavoro.”
“Pare essere un difetto piuttosto comune tra le menti geniali” osservai in tono casuale. “Una certa incapacità di giudizio a proposito delle persone a loro più vicine.”
“Non so di cosa tu stia parlando” ribatté Holmes, scostando la manica della mia giacca per scoprire il vecchio gemello d’oro che chiudeva il polsino della camicia. “In ogni caso, la faccenda è presto spiegata. Ricordi che ho passato una certa quantità di tempo a ispezionare il camino?”
“Sì. Hai trovato qualcosa nella cenere, suppongo?”
“No, nulla. Però mi sono reso conto che una delle mattonelle era leggermente fuori posto, e difatti era divelta e serviva a coprire un buco nel muro. Lì ho trovato quel documento, e altri ugualmente interessanti.”
“Credevo che avessi parlato della camera da letto.”
“Devo ripeterlo ancora una volta? Dimentica tutto quello che ho detto alla stazione di polizia.” Posò la forchetta su un lato del piatto, in un gesto che indicava che la sua cena era finita. “Il resto è stato ridicolmente facile. Quando sono salito al piano di sopra, ho dato istruzioni a Mr. Jeeves su cosa scrivere e come e l’ho pregato di assecondarmi in tutto” spiegò. “Tu ti eri attardato perché la gamba ti dà problemi nel salire le scale e hai cercato di nasconderlo fingendo di perdere tempo con i tuoi appunti.”
“Non ricordo di aver visto Mr. Jeeves scendere le scale” replicai, ignorando l’osservazione.
“No, vero? Quell’uomo è la quintessenza della discrezione. Sono convinto che col giusto addestramento sarebbe potuto diventare un ottimo investigatore; il migliore, probabilmente.”
Sorrisi, distogliendo lo sguardo.
“Cosa?”
“Solo perché il ragazzo è uguale a come sarebbe stato tuo figlio se mai ne avessi avuto uno, non mi sembra una ragione sufficiente per comportarti come un padre orgoglioso” gli dissi, versandogli un altro po’ di vino. “Sarebbe stato un parto del tutto intellettuale, naturalmente” precisai. “Come Atena dalla testa di Zeus.”
“Giusto cielo, la perversione della tua immaginazione non ha limiti” commentò Holmes, facendo una smorfia.
“Ricordo distintamente di essere stato un uomo di pochissima immaginazione prima di conoscerti.”
“Pochissima ma immensamente perversa. Sei sempre stato un irrisolvibile paradosso, mio caro Watson.”
Ritornammo a braccetto all’appartamento di Mr. Wooster. L’uomo che aprì la porta aveva solo una vaga somiglianza con il giovane scarmigliato appena uscito dalla prigione di Market Snodsbury. Mr. Wooster si era lavato, fatto la barba e cambiato; e se pure aveva ancora l’aria esausta, senza dubbio una buona notte di sonno o due l’avrebbero rimesso in sesto.
Entrammo in casa. Quando vi eravamo entrati la prima volta, con Mr. Jeeves, tutte le porte delle stanze erano state chiuse. Ora, invece, una era aperta: una piccola camera da letto illuminata da una lampada da comodino, così accuratamente ordinata da sembrare spoglia. Lo scendiletto era sghembo da un lato, come se qualcuno vi avesse camminato sopra senza cura o con molta fretta.
Mr. Wooster seguì lo sguardo di Holmes e il mio in direzione della stanza e prese a giocherellare nervosamente con i polsini della sua camicia.
“Watson, mi chiedo” disse Holmes. “Per caso non avresti portato con te la tua rivoltella d’ordinanza, è così?”
“Non mi aspettavo di averne bisogno per presenziare a un funerale” ribattei, perplesso. “Ma se anche l’avessi fatto, credo che ormai sarebbe più arrugginita delle mie articolazioni.”
“Rivoltella?” ripeté Mr. Wooster. “Avete… avete bisogno di un’arma?”
“Solo una precauzione. Non vi inquietate. Il nostro uomo non farà troppa resistenza.”
“Come fate a dirlo?”
“Logica. Avrà mezza dozzina di agenti di Scotland Yard a tenerlo fermo. Che ore sono?”
“Le sette e un quarto.”
“Partiremo alle sette e mezza. Mr. Wooster, tra un’ora voi telefonerete anonimamente alla stazione di polizia di Market Snodsbury e li avvertirete che nella camera da letto di Mr. Brinkley troveranno il vero responsabile.”
“Tra un’ora. Stazione di polizia. Responsabile” ripeté Mr. Wooster. “Nessun problema. Cos’altro?”
“Le chiavi della vostra macchina” rispose Holmes, tendendo la mano con il palmo verso l’alto.
Mr. Wooster gliele consegnò diligentemente, poi improvvisamente annunciò di avere un fortissimo mal di testa e sparì in camera da letto richiudendosi la porta alle spalle.
Qualche minuto dopo, Holmes ed io partivamo per la seconda - e, speravamo, ultima - volta per Market Snodsbury. La stanchezza della giornata iniziava a farsi sentire; al di là dell’eccitazione del caso, mi sembrava che il mio corpo fosse due volte più pesante del normale e che ogni passo mi costasse più fatica di quanta fosse ragionevole supporre. Anche Holmes, che pure aveva riserve di energia sconosciute ai mortali, sembrava vagamente provato.
“Credo che non mi lamenterò quando, domani sera, non troverò nulla di più eccitante ad aspettarmi del nuovo romanzo della signora Christie” annunciai, battendogli un colpetto sul ginocchio.
“Credevo che la vita da pensionato non ti fosse mai piaciuta.”
“Dopo vent’anni uno fa l’abitudine a certe comodità. L’aver smesso di preoccuparmi che uno dei due potesse morire di morte violenta è una di quelle.”
Holmes sorrise. “Quello che mi domando è: ora chi farà quella telefonata a Scotland Yard? Mr. Wooster?”
Un suono soffocato giunse dal fondo del sedile posteriore, e parve pronunciare, tra le altre, le parole “zia” e “Dahlia”.
“Mr. Wooster?” domandai, scorgendo un fagotto umano nella penombra.
Il giovane emerse da sotto una grossa coperta da viaggio, spettinato e con qualche tralcio di edera tra i capelli.
“Ehm, ehilà” salutò. “Come state, dottore?”
“Tu lo sapevi!” dissi a Holmes.
“L’avresti saputo anche tu, se avessi guardato. Ha lasciato più tracce in giro di uno spazzacamino.”
“Scusate, Mr. Holmes, ma non potevo non venire” disse Mr. Wooster, togliendosi qualche foglia dai capelli. “Il Codice dei Wooster ci impedisce di fuggire di fronte al pericolo, o peggio, di restare a casa in preda al mal di testa come languide fanciulle mentre i nostri amici rischiano la pelle. Se Guglielmo Il Conquistatore sapesse che un Wooster si è comportato come una languida fanciulla - non so come potrebbe saperlo, ma immagino che i morti abbiano i loro mezzi - si rivolterebbe nella tomba come uno di quei come-si-chiamano!”
Holmes sospirò. “Mr. Wooster, chiudete il becco.”
“Oh. Oh. Va bene.”
Giungemmo a Market Snodsbury che il sole era ormai tramontato. Holmes parcheggiò l’automobile sul retro della casa di Mr. Brinkley e ci intimò la massima prudenza; mentre lo diceva, guardò Mr. Wooster con particolare severità. Scavalcammo il cancello sul retro, operazione che richiese molto più tempo di quanto non ce ne sarebbe voluto negli anni di Baker Street. Con l’arresto di Mr. Jeeves il caso era stato dichiarato chiuso e la sorveglianza rimossa, ma l’ingresso principale si affacciava su una via ben illuminata, e Holmes aveva decretato che non era il caso di rischiare d’essere visti.
“Il nostro uomo userà la scala” mormorò Holmes, indicando una lunga scala a pioli riposta in un angolo del giardino. “Come ha già fatto ieri notte e la notte prima. Vedete? I piedi della scala sono affondati nel terriccio molle quasi fino al primo gradino.”
Noi invece entrammo in casa attraverso la finestra rotta, avendo cura di evitare gli spuntoni di vetro che sporgevano dall’intelaiatura. La casa era immersa nel silenzio e in un odore dolciastro di chiuso e di fango. Il maggiordomo di Mr. Brinkley, stando a quanto disse Holmes, dormiva da qualche parte al piano inferiore.
Holmes si diresse con sicurezza verso le scale e io lo seguii a mani vuote, rimpiangendo la mancanza del peso familiare nella tasca interna della giacca. Ripensai alla mia rivoltella scarica, seppellita in fondo a un cassetto con i ricordi di una vita, e mi ripromisi solennemente di controllarla e lucidarla alla prima occasione.
La finestra della camera da letto era aperta; una leggerissima brezza faceva fremere i tendaggi ai lati delle due ante e dava alla stanza un che di spettrale.
Holmes chiuse la porta e si ficcò la chiave in tasca. “Nascondetevi” ordinò, in un bisbiglio. “L’armadio dovrebbe essere abbastanza capiente per tutti e due.”
“E tu?”
Inginocchiandosi sul pavimento, Holmes sollevò l’orlo del copriletto. “State pronti. Non dovremo aspettare troppo a lungo.”
Mr. Wooster ed io spostammo di lato le giacche e ci stringemmo dentro l’armadio, lasciando le ante solo leggermente dischiuse. Il silenzio calò di nuovo nella stanza.
Erano passati forse tre minuti quando Mr. Wooster si mosse al mio fianco e il suo gomito sfiorò accidentalmente il mio.
“Scusate” soffiò lui.
“Nulla.”
Passò un altro minuto.
“Dottore?” bisbigliò Mr. Wooster.
“Sì?” risposi, nello stesso tono.
“Posso… posso farvi una domanda? Personale? Non fa niente se non posso. Voglio dire… non è che mi offenda o altro.”
“Non sono sicuro che sia il momento più adatto, Mr. Wooster.”
“Oh. È solo che… non vorrei farvi questa domanda quando… voglio dire, quando c’è anche Mr. Holmes.”
Sorrisi nel buio. Contai un’altra manciata di secondi, ma da fuori non giunse nessun rumore. “Va bene, Mr. Wooster.”
Mr. Wooster si appoggiò indietro contro la parete dell’armadio, facendola scricchiolare. “Voi e Mr. Holmes… in tutti questi anni… non avete mai pensato di mandarlo al diavolo? Perché l’uomo è un genio, indubbiamente, ma a volte… a volte mi chiedo, non vi è mai capitato di litigare per una quisquilia - il colore di una cravatta, mettiamo - e pensare che non lo sopportate più e che, insomma, basta, avreste fatto le valigie e l’avreste mollato lì su due piedi? Non è che…”, sospirò profondamente, “non è che l’abbiate sposato o che so io.”
Feci per rispondere, ma un distinto e ritmico scricchiolio proveniente dalla direzione della finestra mi mise in allerta. Strinsi vagamente il polso di Mr. Wooster. Dalla sottilissima fessura tra le ante dell’armadio avevo uno scorcio incompleto della stanza, con solo metà della finestra, ma fu sufficiente per scorgere un paio di mani, poi una testa con corti capelli scuri e infine un busto di uomo issarsi dentro la camera da letto.
L’uomo si fermò solo un istante, poi si diresse con sicurezza verso la cassettiera e tirò a sé il primo cassetto con uno strofinio di legno su legno che nel silenzio risuonò fragoroso. Borbottando sottovoce, l’uomo cominciò a svuotarlo, gettando per aria tutto il contenuto. Le parole erano pronunciate a voce troppo bassa per distinguerle chiaramente, ma sono certo di aver udito il nome di Holmes più d’una volta, unito a epiteti che non ripeterò.
Terminato il primo cassetto, l’uomo attaccò il secondo, e dopo il secondo il terzo. Il polso di Mr. Wooster sotto le mie dita pulsava come se stesse per scoppiargli il cuore. Quando il quinto e ultimo cassetto fu svuotato, l’uomo si permise una breve esclamazione di trionfo. Tenendo il libriccino sollevato tra le mani, si mosse verso la luce della finestra sfogliandone febbrilmente le pagine. Fu allora che l’uomo si lasciò andare a una tremenda bestemmia ad alta voce e Holmes, emergendo da sotto il letto, gridò: “Watson! Mr. Wooster! Adesso!”, e in un attimo gli fummo tutti e tre addosso.
Nel buio, questo mostro tentacolare composto dalle membra di quattro diversi uomini si agitò e dimenò per qualche minuto, investendo parte della mobilia con un gran trambusto, prima che il nostro uomo cedesse e Holmes fosse finalmente in grado di atterrarlo sul pavimento.
“Watson! La luce, amico mio, se non ti dispiace” ansimò Holmes, a cavalcioni sopra la schiena dell’assassino di Mr. Brinkley, le braccia dell’uomo tirate indietro col volto che strisciava nella polvere.
“Quella che si dice una mela caduta molto lontano dall’albero” mormorò Sherlock Holmes in tono meditativo e amaro, mentre la luce del lampadario rischiarava la faccia contratta dell’ispettore Gregory Lestrade.
“Lasciatemi! Lasciatemi, dannazione!” gridò Lestrade, cercando di liberarsi, ma il mio amico gli piantò un ginocchio in mezzo alla schiena e lo strinse ancora più saldamente. “Non avete niente contro di me, Holmes! Niente! Quant’è vero Dio, giuro che vi farò impiccare!”
“Posso assicurarvi, ispettore, che nel grande schema delle cose questa è l’unica eventualità che non ha la minima probabilità di verificarsi” ribatté Holmes. “Wooster, mi dareste una mano, se non è una richiesta troppo azzardata? Tenetelo fermo, così. Vi ringrazio. Mr. Bastable” salutò il maggiordomo comparso sulla porta con un’espressione sbalordita in faccia, “siate gentile, controllate che i nostri amici di Scotland Yard abbiano avuto la buona grazia di presentarsi all’appuntamento.”
Holmes raccolse il libriccino da terra e me lo porse. “Credo che questo ti appartenga, amico mio” annunciò, con un’ombra della vecchia scintilla di trionfo che faceva una breve apparizione nel suo sguardo e poi si dileguava. Riposi il taccuino dentro la tasca della giacca.
Holmes si voltò verso Lestrade che, immobilizzato contro il pavimento, aveva smesso di dimenarsi ma non di profferire insulti e maledizioni alla sua volta. “Vi assicuro che consegnarvi alla giustizia non mi dà alcuna gioia, signore” disse piano il mio amico. “Questo, almeno, potete crederlo. Oh, ecco i vostri colleghi.”
Ci fu un robusto tramestio su per le scale, poi un altro ispettore di Scotland Yard e quattro agenti invasero la stanza.
“Marshall! Aiutatemi, mi hanno aggredito!” gridò disperatamente Lestrade. Chiusi gli occhi per un istante, cercando di rimuovere dalla mente ogni connessione tra il tenace e integerrimo Lestrade che avevo imparato a rispettare ai tempi di Baker Street e questa patetica imitazione d’uomo che era sangue del suo sangue.
“Signori, se avrete la cortesia di ammanettare questa persona” disse Holmes in tono di profondo disgusto, “sarò ben felice di spiegarvi tutta la storia dal principio.”
“No!” gridò Lestrade, e si divincolò in maniera tanto improvvisa e feroce che Mr. Wooster fu colto di sorpresa e perse la sua stretta su di lui. Rimettendosi in piedi, Lestrade corse alla finestra e montò sul davanzale con l’intento di scendere per la stessa via da cui era salito, ma Mr. Wooster lo afferrò alla gamba con una tenacia che non gli avrei mai sospettato, e in uno degli istanti più terribili della mia vita li vidi volare entrambi giù dalla finestra, nel vuoto sette metri più in basso.
In Afghanistan ho visto cose terribili, ma poche cose al mondo sono più atroci del rumore di ossa umane che si spezzano.
Holmes aveva creduto di prendermi in giro definendo Mr. Wooster il mio “figlio adottivo”. Quando mi chinai su di lui e vidi il sangue e lo tirai fuori con mani tremanti dal groviglio di arti in cui si era intrecciato con il corpo di Lestrade, per un momento mi parve di estrarre di nuovo mio figlio, morto, dal corpo tiepido di sua madre.
Tuttavia Mr. Wooster respirava, e mi occorse un istante per capire che il sangue non era il suo.
“Sto morendo?…” gracidò.
“No, non state morendo, ragazzo. Non dite sciocchezze.”
“Bene” sospirò Mr. Wooster. “Non sarebbe stato tanto male… voglio dire… una bella morte eroica e tutto il resto. Ma va bene… è meglio così.” E mi svenne tra le braccia.
L’ispettore Gregory Lestrade morì senza riprendere conoscenza. Qualunque fosse stata la natura del suo gesto, la sua fu archiviata come una morte accidentale; a tutt’oggi in coscienza non so dire se l’uomo abbia solo tentato di fuggire e l’intervento di Mr. Wooster gli abbia fatto perdere l’equilibrio, o se si sia trattato di un suicidio e Lestrade abbia coscientemente trascinato Mr. Wooster con sé. Confesso che cerco di interrogarmi sulla questione il meno possibile.
Mr. Wooster, da parte sua, se la cavò con una frattura alla gamba, una leggera contusione alla testa e qualche livido. Ancora incosciente fu portato a Brinkley Court, la tenuta di sua zia Dahlia a Market Snodsbury. Fonti attendibili mi dicono che l’incidente ebbe almeno un risvolto positivo: Mrs. Travers, felice di vedersi restituito il nipote scagionato da tutte le accuse e commossa dal racconto del suo atto di eroismo, lo volle con sé a Brinkley Court per tutto il tempo della riabilitazione, aggiungendo all’opera della natura l’affetto familiare e i manicaretti di un certo chef francese.
Temo che due dei miei tre lettori non abbiano avuto modo di assistere alla spiegazione delle deduzioni di Holmes, al contrario degli agenti della stazione di polizia di Market Snodsbury che hanno avuto il privilegio di assistervi per ben due volte nella stessa giornata. Il discorso, a onor di cronaca, andò più o meno così:
“La prima cosa di cui mi sono reso conto è stata che Lestrade non aveva dormito a casa. Mi parve strano. Osservai ad alta voce che Lestrade era stato impegnato per tutta la notte con il caso; la macchia di unto sul colletto sembrava confermarlo, e lo confermò lui stesso. Ma la cosa non era del tutto sensata. In primo luogo, la casa era già stata setacciata da cima a fondo il giorno del delitto e la mattina seguente - ieri mattina, per intenderci - come Lestrade stesso mi aveva rivelato durante la mia ispezione, e come ulteriore conferma avevo la consistenza delle impronte di fango dentro casa, vecchie di almeno ventiquattro ore. In secondo luogo, Mr. Wooster era il solo sospettato dell’omicidio, e poiché tutto sembrava propendere in direzione della sua colpevolezza, nessun’altra ricerca era stata fatta per trovare un colpevole alternativo. Dunque Lestrade - il più convinto sostenitore di questa tesi - non avrebbe certamente passato la notte a cercare indizi che potessero demolirla.
“Ho detto che tutte le impronte dentro casa erano vecchie di almeno ventiquattro ore. Mi correggo: tutte le impronte erano vecchie di ventiquattro ore tranne un’interessante serie in camera da letto, che con sufficiente evidenza partiva dalla finestra anziché dalla porta. La scala era stata ripiegata e allontanata dal muro, ma sotto la finestra si potevano ancora vedere i due solchi prodotti dall’affondare dei piedi della scala nel terriccio.
“A questo aggiunsi altri due dettagli: cenere di sigaro della giusta marca e, piuttosto strano, quelli che sul momento mi parvero capelli ma a uno sguardo più attento si rivelarono peli d’animale. Il bordo inferiore della giacca di Lestrade era leggermente scucito, e in particolare presentava una serie di graffi verticali simili a quelli lasciati dai gatti domestici quando si affilano le unghie sulla mobilia - e su qualsiasi cosa trovino di loro gusto.
“Alcune delle deduzioni inserite in quel mucchio di scempiaggini che ho recitato per provare la colpevolezza di Mr. Jeeves sono in effetti corrette: Lestrade si sarebbe insospettito se avessi trascurato di menzionare pure ovvietà, come il fatto che Mr. Brinkley conosceva il suo assassino o che il suo assassino era decisamente più alto di lui. Ma il profilo di persona fredda e razionale che si attagliava così bene a Mr. Jeeves perdeva senso attribuito al nostro uomo, che con ogni probabilità aveva sì pianificato di trovarsi solo con Brinkley ma non di ucciderlo. Non si premedita un assassinio prevedendo di usare come arma un pezzo della mobilia della casa dell’assassinato. Brinkley e il suo assassino avevano evidentemente avuto un alterco di qualche tipo, e l’uomo l’aveva aggredito alle spalle in un impeto di collera. Morto Brinkley aveva forzato la serratura dello scrittoio (che era ancora intatta quando Mr. Wooster l’aveva lasciato, ma non più così dopo il suo arresto) ma non aveva trovato ciò che cercava.
“Ciò che cercava si trovava accuratamente nascosto dentro un buco nella parete del camino, che a ragione non veniva mai acceso: un grosso fascicolo contenente i documenti più importanti, quelli che Brinkley usava per ricattare i suoi ‘clienti’ più ricchi, e tra le altre certe carte che, se diffuse, sarebbero costate a Lestrade la carriera e la reputazione. In tutto era poca roba; non è stato troppo arduo sfogliare i documenti e trovare il nome di Lestrade su uno di essi. L’agendina, naturalmente, non è mai esistita.
“Il resto, come si suol dire, è storia.”
Nota
Questo racconto ha richiesto un tempo di gestazione molto più lungo del solito. I racconti di Baker Street, poveri di stile quali sono, sono sempre stati originati dal desiderio di rendere noti a un pubblico il più vasto possibile il nome e le imprese di Sherlock Holmes. Questo racconto, seppure ugualmente povero di stile, è nato da un’esigenza completamente diversa: quella di ricordare a me stesso e al mio pubblico di tre lettori una storia che è stata - di questo non ho il minimo dubbio - incredibilmente importante per tutti e quattro, sebbene per le ragioni più diverse. Questa diversa esigenza, unita a un silenzio letterario lungo un decennio, ne ha determinato la difficoltà.
Mr. Wooster, Mr. Jeeves, Il caso di Market Snodsbury è anche e soprattutto un mio modesto regalo per voi. So dai nostri scambi epistolari che, per parafrasare una citazione molto amata da Mr. Wooster, Dio è nel suo Paradiso e tutto va bene in Berkeley Mansions. Permettetemi quindi di concludere con un breve augurio, senza dubbio pregno di quello sciocco sentimentalismo che Holmes mi rimprovera ogni volta che può: vi auguro con tutto il cuore una vita lunga e felice, e che nessun imprevisto, nessuna confusione, nessuna malignità o intrusione sopraggiunga mai a disturbare questa felicità.
E poiché devo ancora a Mr. Wooster una risposta: Sì, ho pensato di mandarlo al diavolo. In effetti l’ho fatto, e più d’una volta; in un’occasione ho pensato che sarebbe stato per sempre. Ma sono sempre tornato. Non c’era nessuna fede nuziale a costringermi; l’ho fatto ugualmente. Questo è tutto ciò che posso dirvi e, credo, quello che volevate davvero sapere.
In fede,
John H. Watson
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Il corposo manoscritto fu appoggiato sul tavolo del salotto con la massima delicatezza. C’era una macchiolina più scura in un angolo della copertina, dove si era versata una goccia di tè.
Bertie si allungò verso il tavolo, riempì un bicchiere di whisky e poi un altro, poi si appoggiò indietro sul divano, allargando le braccia sopra lo schienale. La sigaretta continuò a fumare tra l’indice e il medio, l’orlo incandescente intento a divorare la carta morso dopo morso.
Un delicato colpo di tosse lo distolse dalla contemplazione del soffitto.
“Signore?”
Bertie si rabbuiò come un bambino a cui avessero annunciato che è arrivata l’ora di andare dal dentista. “Dobbiamo proprio, Jeeves?”
“Sì, signore.”
“Potremmo… non lo so. Magari…”
“Ne abbiamo già discusso, signore.”
Bertie mandò giù un sorso di whisky e sospirò. “Sì. Hai ragione tu, come sempre. Procedi, Jeeves.”
Mentre il fuoco crepitava divorando l’unica copia esistente de Il caso di Market Snodsbury, Jeeves raggiunse Bertie sul divano. Bertie si mosse di lato per fargli posto, senza distogliere lo sguardo dal fuoco.
“Che dici, ne avrà per un bel po’?” chiese Bertie, facendo tintinnare il proprio bicchiere mezzo vuoto contro quello di Jeeves.
“Non credo, signore. La carta brucia con eccezionale rapidità. Data la mole, direi non più di quindici o sedici minuti.”
Sedettero per qualche minuto in silenzio.
“È triste, non è vero, Jeeves?” sospirò Bertie. “Come se se ne andasse un pezzo della tua vita. Puff. In cenere.”
“Sì, signore.” Jeeves posò il bicchiere sul vassoio, poi si alzò in piedi. Come inseguendolo, Bertie prese la sua mano e se la accostò alla guancia.
“Suggerirei di ritirarci per la notte, signore” disse Jeeves con voce lenta, sfiorandogli uno zigomo col dorso delle dita, “se non avete nulla in contrario.”
“Oh?” fece Bertie, abbandonando finalmente il fascino ipnotico del fuoco per alzare lo sguardo su di lui. “Sì. Sì, mi pare un’ottima idea, Jeeves.” Sorrise. “Arrivo subito.”
Rimase un altro paio di minuti a contemplare lo scoppiettare delle braci di carta, poi si alzò con un gesto risoluto. La porta della camera da letto si richiuse alle sue spalle senza fare rumore.
Fine