Titolo: Gli uomini preferiscono le bionde
Fandom: Jeeves & Wooster
Pairing: Bertie/Vince (OMC/OMC)
Rating: PG
Conteggio Parole: 1100 (W)
Scritta per:
Challenge estemporanea "Stereotipo" (4. Il fan e la celebrità di turno) @
CriticoniNote: Più la leggo e più sono convinta di aver già letto questa (oggettivamente per nulla originale) trama altrove. E vabbè XD
Che Bertie non l’avesse riconosciuta non era strano. Non era un appassionato di cinema; in tutta la sua vita, doveva esserci andato otto o dieci volte in tutto, e con una predilezione netta per le pellicole storiche o i classici della letteratura. Niente commedie brillanti o musicali. E poi, per lui una cascata di riccioli biondi valeva l’altra - certo, purché si facesse eccezione per quelli di Vince, di cui conosceva a menadito forma, taglio, peso e colore - e allo stesso modo si assomigliavano due paia di fianchi o di caviglie di donna, sia pure particolarmente sottili e aggraziate come in questo caso, e così braccia, spalle, labbra, seni. Quanto al neo sulla guancia, be’, era solo un neo sulla guancia. Qualsiasi donna ne ha uno. Anche sua madre ne aveva uno.
Ma Vince l’aveva riconosciuta subito, anche a dispetto del foulard sulla testa e dei grossi occhiali scuri. A Bertie, sul momento, la cosa era parsa divertente. Vince aveva iniziato ad agitarsi sulla sedia, allungando e torcendo il collo per seguire ogni movimento di lei come una gru in amore.
“Marilyn chi?”
Bertie aveva riso alla sua faccia oltraggiata.
“Marilyn Monroe. Parla piano.”
“Cos’è, una specie di attrice?”
“Una specie di… Mi pigli in giro?”
Bertie corrugò la fronte al tono di Vince, leggermente troppo aggressivo per la circostanza. “Perché dovrei pigliarti in giro?”
“Gli uomini preferiscono le bionde?”
“Meglio per loro” borbottò Bertie, “ma che c’entra?”
“È il titolo di un suo film. Come sposare un milionario. Matrimoni a sorpresa. Andiamo, Bertie, ne hai visto almeno uno. Tutti ne hanno visto almeno uno.”
“No, Vince” rispose Bertie, iniziando rapidamente a stancarsi dell’argomento. “Non ne ho visto nemmeno uno.”
“Sei serio?” disse Vince. “Sei serio” ripeté, lentamente. “Non la conosci davvero.”
“No, e allora? Non conosco Marilyn Monroe, va bene, sopravviverò.”
“Ma tutti la conoscono.”
Bertie sospirò. Attese quasi un minuto, ma l’attenzione di Vince rimase fermamente concentrata sulla donna. “Torniamo in albergo? Ho bevuto troppo.”
Vince non lo stava ascoltando. La donna che forse era Marilyn Monroe si era seduta a un tavolino in fondo al bar; il cameriere le aveva appena servito un Martini. “È bellissima, cazzo.”
Bertie guardò meglio, ma tra il foulard, il trench e gli occhiali scuri non si distingueva quasi nulla. Il neo, certo, e le labbra. Belle labbra, questo sì. Se ti piacciono le donne.
“Quando lo racconto ai ragazzi non ci crede nessuno” mormorò Vince, emozionato e incredulo.
“Non sanno che sei qui.”
“Ah, dannazione.”
Era stato un regalo dello zio, quel viaggio a New York. “Vince?”
“Mmm?”
“Torniamo in albergo?”
“Ora? Stiamo ancora un po’, dai.” Gli gettò uno sguardo. “Perché non te ne prendi un altro, eh?” disse accennando al terzo bicchiere vuoto. Gli diede un buffetto sulla guancia, come a un bambino. “Poi quando hai finito andiamo.” Gli sorrise, ma gli occhi erano già tornati sulla donna infagottata nel suo trench, su Marilyn.
“Non ho voglia di bere” replicò Bertie. “Ho voglia di…”
“È lei. È lei, sicuro come la morte. Dici che me lo firma un tovagliolo?”
“Che te ne fai di una firma su un tovagliolo?”
“Non lo so. La mostro in giro. La vendo. Ce l’ho.”
“E come glielo spieghi?” ribatté Bertie. Iniziava seriamente a scocciarsi. “’Ero giù a Londra a comprare un cappello quando improvvisamente è apparsa Come-Si-Chiama. Così mi sono fatto firmare un tovagliolo del”, consultò l’angolino stampato, “King Blues Bar di New York, che casualmente avevo con me perché…”
“Oh, piantala” sbottò Vince.
“… in realtà ero a New York col mio amante, ma dimenticatevene pure, come ho fatto io.”
Vince lo guardò perplesso. “Si può sapere che hai? Sei più avvelenato di tua zia.”
Bertie prese il portafogli dalla tasca della giacca ed estrasse due banconote americane, che fermò sotto l’orlo del bicchiere. Poi si alzò e marciò in silenzio fuori dal bar.
Aveva ogni intenzione di chiamare un taxi e tornare in albergo, lasciando Vince libero di gestire il resto della sua serata come più gli aggradava, con Marilyn, senza Marilyn, con uno stuolo di ragazze americane ossigenate in foulard e trench, ma per la verità il sollievo gli riscaldò il cuore quando si sentì afferrare il braccio steso e tirare via dal bordo del marciapiede.
“Sei geloso” disse Vince, trascinandolo lontano dall’ingresso del locale. “Sei maledettamente geloso. E sei un idiota.”
“Nient’altro?” ribatté, drizzando la testa. “No, ti prego, continua.”
“Sei geloso di Marilyn Monroe.”
“Non sono…”
“Sei geloso, geloso proprio come una mogliettina.”
“Vai al diavolo, Sadler” mormorò Bertie, gli occhi chiusi.
Vince rimase in silenzio abbastanza a lungo da indurlo a riaprirli. Sorrideva. Sorrideva, il bastardo.
“Dammi un buon motivo per non cancellarti quel sorriso imbecille a pugni” sibilò Bertie.
“Non sai fare a pugni. E ti tengo le mani.”
“Lasciami e ti faccio vedere.”
Vince appoggiò la guancia sulla sua, poi le labbra sul suo collo. “Mi piaci così. Perché non sei così più spesso?”
“Arrabbiato? Mi vuoi arrabbiato?”
“Geloso. Mi piaci geloso. Non sei mai geloso.” Gli baciò il mento. “Perché non sei mai geloso?”
“Vince, per l’amor di Dio, siamo in mezzo alla strada.”
“Perché non sei mai geloso?”
“Vincent Sadler, mi lasci andare, per cortesia? Vorrei poterci tornare in questa città, in futuro.”
“Rispondi e ti lascio andare.”
Bertie sospirò, frustrato. “Sono sempre geloso. Tutti i giorni, tutte le ore, tutto il tempo. Contento? Lasciami.”
Fedele alla parola, Vince gli lasciò le mani, ma non prima di avergli chiuso la bocca con un bacio al quale Bertie rifiutò di sottomettersi per un totale di secondi tre e tre decimi; poi, semplicemente, si rassegnò a lasciarlo fare, e infine scoprì di non essere più tanto sicuro del perché avessero litigato.
“Torniamo in albergo” mormorò Vince.
“E… Come-Si-Chiama? Marilyn Monroe?”
“Ah” ribatté Vince, facendo spallucce. “Sarà per un’altra volta. Andiamo?”
“… sì.” Vince si fece indietro per lasciarlo camminare. “No. Aspetta. Aspettami qui” borbottò Bertie, e scomparve di nuovo dentro il locale.
Tornò dopo cinque minuti. Senza parlare, appoggiò sul palmo di Vince un tovagliolo del bar con uno sbiadito bacio di rossetto e la firma, sottile e spigolosa, con le emme tutte curve.
“Ma come diavolo hai fatto?” boccheggiò Vince.
“Le ho detto: ‘mi scusi, Mrs. Monroe, ma il mio amante è un suo ammiratore e se non gli faccio avere il suo autografo si lamenterà per tutta la notte invece di fare l’amore’. Andiamo?”
“Non le hai detto così.”
“Sì che l’ho fatto.”
“No che non l’hai fatto.”
“Hai la mia parola d’onore.”
“E lei cosa ha detto?”
“Abbiamo convenuto che il mio amante è un idiota. È simpatica, la tua Marilyn Monroe. Taxi!”