Titolo: A blaze of light
Fandom: Jeeves & Wooster
Pairing: Bertie/Jeeves, Bertie/Vince (OMC/OMC)
Rating: PG
Conteggio parole: 841 (W)
Scritta per: Prima settimana (gen) @
WWF di
fiumidiparole (prompt: voyeur)
Note: Sto lavorando a una timeline per rendere tutto ciò vagamente comprensibile XD
primavera 1977
Bertie aveva paura che, lasciato solo, lo zio sarebbe incorso in qualche assurdo incidente come inciampare nelle gambe delle sedie e rompersi la testa contro uno spigolo, o peggio, che si sarebbe lasciato morire di fame.
Vince era tornato all’appartamento. Aveva dapprima proposto di portarlo a casa con loro - ma Bertie sapeva che lo zio sarebbe stato irremovibile - e si era poi offerto di raggiungerli anche lui a Berkeley Mansions. Ma anche a questa seconda proposta Bertie aveva detto di no. Lo zio e Vince erano come parenti, ma, cocciuto com’era Bertram Wooster, aveva già dovuto faticare a imporgli la propria presenza. Non c’era bisogno di complicare ulteriormente le cose.
“Metto a posto la mia roba e poi ci facciamo qualcosa da mangiare, va bene, zio?” gli disse occupando senza chiederlo la stanza degli ospiti.
“Sei molto gentile, Al, ma non ho fame” rispose lo zio dalle profondità della poltrona. Al funerale aveva avuto l’aria dignitosa e sofferente del vedovo, ma adesso sembrava solo imbambolato e stanco, come se già continuare a esistere gli costasse un’enorme fatica. Bertie lasciò la valigia in camera e lo raggiunse, sedendo sul divano.
“L’ultima volta vi ho quasi avvelenato, ma giuro che in vent’anni il brodino ho imparato a farlo” scherzò, appoggiando una mano sulla sua.
“Non è…” Qualunque cosa volesse dire, lo zio vi rinunciò. Bertie vide il suo pomo d’Adamo fare su e giù con grande sforzo. “Non ti offendere, ragazzo mio” mormorò debolmente, dopo vari minuti di silenzio. “Sei molto gentile. E lo so che sembro più rincitrullito del solito. Ma mi devi lasciar stare per un po’, mi devi lasciar fare quello che mi sento di fare. Da bravo.”
“Ma certo” disse Bertie, dando una breve stretta affettuosa alle sue dita magre. “Non ti starò in mezzo ai piedi. Vince si lamenta già abbastanza che sto sempre in mezzo ai suoi.” La battuta, come la precedente, non suscitò reazioni. Bertie si alzò. “Vado a sistemare la valigia. Sono proprio qui accanto, mm?”
Ma poi si accostò la porta alle spalle e si limitò a sedere sul bordo del letto senza fare nulla. Aveva un peso in mezzo al petto, un macigno inamovibile che quasi gli toglieva il respiro. Aveva parlato di pranzare, ma capiva il rifiuto dello zio: il solo pensiero del cibo gli faceva salire un conato di vomito. Anche qualche minuto prima era entrato in casa senza gettare un’occhiata alla cucina. La cucina era il regno di Jeeves.
Si rimproverò la sua debolezza. Era un uomo adulto: piangere era totalmente fuori questione. Con questa volontà si staccò dalla porta e si diede a svuotare la valigia, sistemando ogni cosa in ordine perfetto, così perfetto che Jeeves stesso non vi avrebbe trovato nulla da ridire. Soddisfatto, si raddrizzò e ricordò che aveva detto a Vince che avrebbe chiamato non appena si fossero sistemati. Il telefono era in salotto.
Aprì la porta per uscire, ma subito la richiuse, allarmato da un rumore che sul momento non seppe decifrare. Lo zio era dove l’aveva lasciato: da dietro la porta ne aveva una visione chiarissima. Aveva il viso tra le mani. La luce si rifletteva debolmente sulla pelle liscia e lucida del cranio, contornata da due ali rade di capelli bianchi, dandogli un’aura vagamente sacrale. Tutto era così immobile e soffuso, così delicato, così in penombra, come un quadro fiammingo.
Bertie spostò il peso da un piede all’altro, senza sapere se muoversi o restare dov’era, quando il rumore finalmente si chiarì nelle sue orecchie. Era un debole lamento continuo, più grave di un pianto - quasi un ululato, se solo non fosse stato così umano. Il lamento si spezzò in una brusca inspirazione, e Bertie vide le spalle dello zio sussultare.
Si sentiva una specie di guardone, ma non riuscì a chiudere la porta e smettere. Il dolore dello zio era tutto quello che non si era aspettato da lui: era quieto, composto e immobile. Nella sua completa mancanza di eccentricità, era la cosa più straziante che Bertie avesse mai visto. Non era da lui. Se le parti fossero state invertite, forse Jeeves avrebbe sofferto così-ma non lo zio. Era altrettanto assurdo quanto immaginare Jeeves che faceva una scenata.
Gli ci vollero dieci minuti buoni per capire che era la sua presenza a impedire allo zio di soffrire in santa pace. Che stava soffocando la voce per non farsi udire. Dopo, si sentì ancora peggio. Aspettò qualche secondo, poi uscì dalla stanza e senza neanche voltarsi afferrò la giacca dall’appendiabiti con una mano, la maniglia con l’altra.
“Zio, vado a fare un po’ di spesa” disse senza voltarsi. “Non ci metto molto. Se ti serve qualcosa, Vince è a casa. Mi ha detto di dirti, un colpo di telefono e arriva. Va bene?” Non aspettò la risposta per non obbligarlo a schiarirsi la voce cosicché suonasse normale. In un secondo era già nell’ascensore.
Non voleva pensare a Vince, non in quel modo, ma tentare di non farlo era peggio. Si asciugò gli occhi prima di uscire dalla cabina al piano terra.