Titolo: Ordine
Fandom: DC Comics
Beta:
izzieannePersonaggi: Raven(/Jericho),
kid!AllanRating: PG
Parole: 802
Prompt: Disordine
it100 (ma, uhm XD ci sono cinquecento paroline di troppo X°D) +
35. determination dcu_freeforallDisconoscimento: Tranne Allan (mi piace ripeterlo, già) no mio, no soldi, sì divertimento
Avvertimenti: Alla lovva
izzieanne sono caduti tutti i denti sul finale per quanto è fluff questa fanfic *__* vi ho avvisati ù_ù
Note: Future!Fic dove Joey e Raven sono sposati, lui è un pittore e lei una traduttrice ed hanno un bambino ò__ò
Raven e il disordine non sono mai andanti d’accordo. Più che altro, prima di arrivare sulla Terra, non aveva mai avuto modo di scontrarsi con questa pratica così diffusa, nel mondo degli esseri umani - riscontrata più che altro nel sesso maschile.
Ad Azarath era tutto perfettamente organizzato - per le strade, al palazzo - che non riusciva a ricordare nessun particolare fuori posto: le sedie, i libri, le case, le persone; tutto si trovava dove era giusto che fosse. Per riflesso, forse, Raven aveva sempre sistemato i suoi giocattoli, i suoi vestiti, anche cambiando dimensione.
Era rimasta stranita dal fatto che i suoi coinquilini, al contrario, sembravano provare un grande amore per il caos, ma l’aveva presa come l’ennesima stranezza umana, limitandosi a far in modo che nella sua stanza nulla venisse preso d’assalto - e i Titani parevano averlo capito in fretta, mai una volta che non abbiano restituito un libro o preso il suo tè. Nessuno entrava nella sua camera senza permesso, e quando lei li invitava si guardavano bene dallo spostare qualsiasi oggetto.
Sembrava quasi che provassero ammirazione per l’ordine, o forse paura, considerando che facevano di tutto pur di non ritrovarselo nelle loro vite.
Il matrimonio con Joey era un po’ diverso. Avevano comprato insieme la casa, di conseguenza ogni singola stanza era loro, e se alla Torre poteva sopportare la confusione nel salotto - poiché territorio comune e quindi neutro -, sapere che c’era un giubbotto sul divano e non sull’attaccapanni le impediva di concentrarsi su qualsiasi altra cosa, perché i giubbotti vanno sugli attaccapanni, gli esseri umani sulla Terra e i demoni all’Inferno.
Questo è ordine.
Di conseguenza lei non vede di buon occhio quello che Joey chiama disordine creativo, in cui lo studio è perennemente immerso, tra foto, quadri, tempere, libri e fogli sparsi ovunque.
Potrebbe anche farsene una ragione se lo studio fosse solo di Joey - perché, appunto, diventerebbe il suo luogo di lavoro e il suo incomprensibile ma accettabile disordine creativo - invece è lì che Raven deve rifugiarsi per fare le sue traduzioni, è in quella biblioteca che ha sistemato tutti i dizionari delle varie lingue e i vocabolari, lì c’è la sua - perfettamente ordinata, finche Joey non ci mette sopra le mani - scrivania, e il suo computer.
Sospirando, toglie dalla sua - una volta perfettamente organizzata - scrivania tutti i pennelli, appoggiati lì dal marito, costretto dal disordine creativo. Uno addirittura ha creato una macchia verde sulla sua - una volta perfettamente pulita - scrivania, e questo aumenta ancora di più il malumore di Raven.
Suo figlio la guarda stranito, forse percependo l’emozione.
“Nulla, Allan.” Mormora. “Piuttosto, che ne dici di scendere così la mamma riesce a calmare la sua nevrosi?”
In risposta il bambino posa nuovamente la testolina bionda sul suo petto, gli occhi semichiusi. Si è svegliato di pessimo umore, deciso a farsi tenere in braccio il più a lungo possibile.
“Voi Wilson mi farete impazzire.” Afferma, portando una mano ai capelli - conscia che la cocciutaggine non è una prerogativa dei Wilson, perché loro si adattano e aspettano il momento migliore per colpire; è nella sua famiglia che si fa un gran chiasso e si sbattono i piedi per terra pur di avere ciò che si desidera, anche quando non c’è la minima speranza, che si voglia distruggere il mondo, salvarlo, o sistemare una stanza con un bambino di due anni in braccio.
Ore dopo la camera è perfettamente pulita e la sua schiena a pezzi, praticamente si lascia cadere sulla poltrona davanti alla scrivania, cercando di sistemare Allan, che nel frattempo è riuscito ad addormentarsi, e no, non ha la minima intenzione di portarlo nel suo lettino, vuole tenerlo vicino così da poter avvertire la sua paura nel caso abbia un altro incubo e modificare le sue emozioni - è insopportabile che stia così male, cercherà di fare qualunque cosa per aiutarlo.
È proprio quando ha trovato una posizione semi-decente che nota nuovamente la macchia verde. La guarda quasi con astio. Dovrebbe alzarsi, rischiare di svegliare Allan, andare in cucina, prendere il necessario per pulire il tavolo facendo varie contorsioni con il bambino in braccio, pulire la macchia sempre con tanto di contorsioni, riportare tutto in cucina e tornare ancora nello studio. È talmente seccante che nemmeno ci prova, si limita a prendere il libro da tradurre e ad accendere il computer.
È così che è cominciata - una macchia verde. Poi sono arrivati i quadri sparsi per casa, le magliette mai nei cassetti giusti, i preservativi che doveva mettere a posto Joey e di conseguenza Leonor, Leonor, gli amici di Allan, le chiavi - di casa, dell’auto - che non si trovano mai.
Certe volte, accettare di aver perso contro quella parolina tremenda è davvero fastidioso. Ma è anche bello sapere che il Paradiso è un luogo talmente disordinato da aver permesso ad una mezzo demone come lei di entrarvi.