Titolo: Perfetta
Autrice: Namida
Beta:
cialy_girlFandom: Originale
Rating: PG14
Genere: Drammatico, dark
Parole: 777
Disclaimer: Tutto mi appartiene.
Bando:
Ricorsivo -
CriticoniNote: I ringraziamenti sono dovuti, a tutta la gentaglia che è stata costretta a leggere in anteprima questa fanfic °_° vi amo tutte, una per una.
- Ho odiato il mio bando *_* ma tanto. Tantissimo. Ad un certo punto speravo che prendesse forma umana per potergli fare del male. Non sto scherzando.
- Astrazione è una parola che... che... AHHHHHHHHHHHHH. Ecco. Prego gli Dei di aver reso bene.
- 111 - 222 - 444, questa è la divisione, in totale 777 parole.
- Ringraziamento speciale a
waferkya. L'amo alla follia çOç
- Ecco, questa fanfic è stata scritta pensando ad una certa tipologia di persone. Non so, in ogni classe in cui mi trovavo c'era sempre la ragazza-meraviglia, quella brava in ogni materia-sport che a cercare dei difetti non ne trovavi. Non che io abbia nulla contro la categoria, eh, però mi lasciano sempre perplesse queste tipe, a considerare la pressione che devono sopportare. Ovviamente ho esagerato, io esagero sempre. E poi c'è il rapporto genitori-figli, marito-moglie, il maschilismo nell'atto del matrimonio e nella società in generale, omofobia... e basta, credo XD
Hai sempre cercato di essere perfetta. In realtà, lo sei sempre stata. Eri la bambina che ad un anno sapeva già parlare, la più brava a scuola, la cocca della maestra, la ragazzina che durante l’ora di ginnastica tutti vogliono nella propria squadra, la bellissima al primo banco - pronta ad ascoltare attentamente qualsivoglia lezione -, quella dal sorriso perfetto, la rappresentate di classe, l’amica dolce e sincera - ma odiata e invidiata da tutte le altre -, quella con gli amici giusti, il ragazzo a dodici anni e il sesso a sedici - come impone la legge italiana.
Hai sempre cercato di essere perfetta. Lo sei sempre stata.
Ma questo non basta.
Ti sei sposata a ventidue anni, non troppo giovane da essere considerata una puttanella rimasta incinta, non troppo vecchia perché la gente prenda il tuo neo-marito per pazzo.
Lui, a proposito di età, ha dieci anni più di te, un lavoro sicuro e decisamente ben retribuito, un appartamento in città e una bellissima casetta in campagna che, per inciso, grazie a chissà quale errore giudiziario, ti sei tenuta tu dopo il divorzio. Ora vive dalla sua amante, dieci anni in meno di te e nemmeno qualcosa di simile alla materia grigia dentro il cervello (ma sai cosa? È innamorata, lei).
Da lui - e solo ed esclusivamente da lui, sei mica una donna facile, tu - hai avuto due bambini. Un’amica (una di quelle invidiose e sempre pronte a bacchettare la tua perfezione, come se avessi bisogno di un’opinione diversa dalla tua) ti aveva avvisato alla nascita del primo: “Un figlio non è un trofeo.”
Mentre il tuo adorabile primogenito - dichiaratosi omosessuale all’età di tredici anni, creandoti una marea di complicazioni, considerando che ogni progetto sulla sua vita futura è semplicemente andato a farsi fottere - ti punta la pistola contro, urlando a squarciagola tutto l’odio che prova per te, non puoi fare a meno di darle ragione: i trofei almeno se ne stanno buoni in un angolo, senza provocare tutto questo inutile trambusto.
La pistola è un simbolo fallico adoperato da gente con seri problemi di autostima, può rivelarsi letale e incute terrore nella maggior parte delle persone; ma in diciassette anni non ti sei mai lasciata mettere i piedi in testa da tuo figlio, e non hai alcuna intenzione di incominciare adesso.
“Potresti essere meno rumoroso, Derek? I vicini sentono.”
“Me ne frego!” urla anche più forte, questo ti innervosisce.
Il tuo secondogenito è in un angolino, si mangia le unghie e tiene la testa bassa, terrorizzato. Lui fa parte della maggior parte della gente, tutti i tuoi tentavi per renderlo speciale sono miseramente falliti.
“Ora ti ammazzo, mamma. Ora ti ammazzo.” Negli occhi di Derek c’è una luce strana, qualcuno la definirebbe inquietante, ma non tu: sospiri e lo guardi con pietà.
“Sto aspettando.”
Aspetti, e non accade nulla.
“Posso sapere perché vuoi uccidermi?”
Finalmente il ragazzo pare scuotersi, ricomincia ad urlare e a camminare per la stanza, furioso, ti rinfaccia tutti quelli che lui ritiene sbagli, la tua freddezza, il tuo voler dominare la sua vita come se ti appartenesse di diritto, la tua incapacità di accettarlo, il tuo non amarlo. È lì che scatti.
“E cosa avresti fatto per meritare il mio amore?” il ragazzo spalanca gli occhi, vacilla. “Sono tuo figlio…” prova a replicare, ma la risposta non lo aiuta a sentirsi più sicuro.
“Un mio errore.” Lo correggi prontamente. “Volevo che ti sposassi, che avessi dei bambini. Che avessi una carriera. E invece… guardati, Derek. Guardati per un solo istante. Perché dovrei amarti?”
“È-è la.. mia vita… non puoi…” lacrimoni da moccioso cominciano a bagnargli le guance.
Ti avvicini, porgi una mano. “Dammi la pistola.” Ubbidisce, si accascia contro il muro. Gli punti contro l’arma: “E adesso dimmi perché non dovrei ucciderti.”
“MAMMA!” urla la vocina del tuo secondogenito, da un angolo nella stanza.
La situazione è completamente ribaltata per finire a tuo vantaggio, succede sempre così. I figli non se ne rendono conto, ma sono loro i primi a dare ai genitori le armi per distruggerli.
La luce che prima potevi intravedere nei suoi occhi si sta lentamente spegnendo, fino a renderli vacui, come quelli di una bambola di cera. Non prova nemmeno a risponderti.
Pulisci l’impugnatura della pistola con la tua gonna, gliela restituisci.
“Se prendi una decisione, fammi il favore di mantenerla.”
Porta la pistola alla bocca, spara. Sempre fissandoti. Sei l’ultima cosa che ha visto.
Il rumore dello sparo porta il tuo attualmente unico figlio ad urlare, e il sangue ti schizza addosso e sul viso.
L’unico pensiero che riesci a produrre è vedendo la tua immagine riflessa in un vetro: anche sporca di sangue sei così perfetta.