Titolo: If it never ends then when do we start?
Fandom: DC Lovvoverse
Personaggi: Serenity Kent,
Lena LuthorRating: PG16
Parole: 1.362 (works)
Note: Titolo da Sweetest Goodbye dei Maroon 5.
- Per Linda, che aveva chiesto una Serenity/Lena <3
- Ambientata post-cattura di Lena: dopo la morte di Allan ha fatto scappare i suoi figli e Mario e si è lasciata rinchiudere ad Arkham.
Lì, Serenity Kent, figlia di Clark Kent e Lois Lane, va a trovarla.
Disclaimer: No lucro, qualcosa non mi appartiene qualcosa è mio e delle lovve, in ogni caso nessun guadagno <3
Va a trovarla ogni giovedì, una volta a settimana, per un’ora. Hera scherza, con un tono un po’ preoccupato, dicendo che si è presa una cotta, e certe volte Serenity si trova a desiderare che lo sia davvero. Che quello che la lega a Lena sia molto più semplice e meno dannoso.
In realtà va a trovarla ogni giovedì - lo stesso giorno della settimana in cui andava a trovare la mamma - per controllare che sia ancora in prigione, che non sia scappata, che sia ancora lei. Ha il terrore che, se non la tenesse d’occhio, potrebbe scappare o commettere chissà quale azione crudele. Ha un bisogno costante della conferma della sua prigionia. È terrorizzata. Vedere il mostro in gabbia la tranquillizza, ma tempo sette giorni e già il bisogno di un’ulteriore garanzia preme, impedendole di pensare o agire in modo lucido.
Utilizza sempre il costume, entrando ad Arkham. Poi le lasciano sole in una stanza, un fragile vetro a dividerle, spengono le telecamere e aspettano che Supergirl esca, quasi le dovessero quel favore.
La prima volta è stata tra le più imbarazzanti e spaventose. All’epoca Lena era costretta ad indossare una camicia di forza, la guardava con astio tutta imbacuccata, i capelli in disordine - proprio lei, di solito così perfetta -, scomposta sulla sedia, gli occhi fissi come a volerla uccidere. Si era tolta la maschera, allora, nella speranza che quell’azione smorzasse almeno un po’ l’atmosfera, ma così non era stato. Lena quel gesto sembrava non averlo neppure notato; forse si stava chiedendo che cosa ci facesse lì, se volesse sbatterle in faccia la sua sconfitta… e se lo domandava pure Serenity. Ma no, non desiderava deriderla o cercare di farle capire quali fossero stati i suoi errori nel tentativo di riportarla sulla Giusta Via. Solo aveva bisogno di vederla lì, al di là del vetro, di sapere che non le avrebbe mai più fatto del male. Solo questo.
Così aveva cominciato a parlare. Le aveva detto cosa stava combinando la sua banda, fuori, di come fossero diventati più violenti, dell’Infinity Inc. che era diventata una JLA migliore, della politica, dei crimini commessi a Metropolis.
Lena non aveva risposto nemmeno una volta. Continuava a fissarla con odio.
La seconda volta l’odio era sparito per lasciare posto alla perplessità. L’osservava con la fronte corrugata mentre chiacchierava, la maschera posata vicino al vetro. Alla terza pareva aver capito tutto ed accettava quella presenza estranea, e, con grande sollievo di Serenity, cominciò a risponderle.
Ora le racconta la vita ad Arkham, si lamenta del cibo e degli altri detenuti, fa strane osservazioni sugli psicologi che la seguono, il tutto con una calma e un’indifferenza che le dà i brividi. A volte parla anche degli altri criminali, di quelli che la vanno a trovare (“Sembra che nessuno riesca a liberarsi di me. Che cosa assurda. Eh eh…”), altre è talmente intontita dai farmaci che può solo guardarla e tentare di capire quello che le sta dicendo.
Fuma, è riuscita a farsi procurare sigarette e un accendino, da quando le hanno tolto la camicia di forza. Spesso appena la guardia esce e le lascia sole si alza, le volta le spalle e accende al sigaretta. C’è qualcosa di bello nel vederla così, di profilo, mentre aspira, e sembra in pace con il mondo intero.
Mai che cerchi di attaccarla o di litigare. Nemmeno Serenity la provoca, i rapporti sono talmente pacifici da rasentare il ridicolo.
“Perché ti sei fatta catturare?” la domanda gliela fa su due piedi senza che l’abbia minimamente prestabilito. Lena si volta verso di lei, sorpresa, e anche Serenity lo è. Non pensava glielo avrebbe mai chiesto, non sapeva nemmeno di avere questo quesito irrisolto, in realtà.
Lena si prende un po’ di tempo per controllarla, assicurarsi che non ci siano fregature di sorta nella risposta che potrebbe darle. Poi avvicina la sigaretta alle labbra, senza smettere di guardarla fisso, come ai primi tempi, e infine: “In che senso, scusa?”
La sta prendendo in giro, ovviamente. Serenity respira pesantemente e spiega: “Ti sei lasciata catturare. Saresti potuta scappare a Zandia con i tuoi bambini. O difenderti dalle accuse. Dio, avresti potuto costruire un esercito di cyborg e combattere contro il mondo intero! Invece…” si stringe nelle spalle.
L’avevano avvisata per tempo - Anonymous, con ogni probabilità -, e lei aveva mandato via tutto il personale, spedito Mario con i suoi bambini lontano, aveva distrutto tutti i documenti che implicavano altre persone e tenuto quelli che riguardavano lei e i suoi crimini. Gli uomini della polizia erano entrati urlando in una casa vuota, trovando solo Lena Luthor, seduta su una sedia, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa bassa. L’aveva costretta a rialzarsi in malo modo, l’avevano spinta verso l’uscita. I fotografi e i giornalisti li aspettavano fuori e la bombardarono di foto, uno la colpì in faccia con il microfono, ma lei non disse mai nulla, non fece un gesto. La fecero sedere nel furgone con quel labbro insanguinato e lo sguardo vacuo.
“Tu mi avresti trovato.” Risponde, alzando le spalle. Serenity comincia ad innervosirsi.
“Questo non ti ha mai fermato, mi sembra.”
“Che c’è, Superwoman?” la chiama così da quando è entrata nel manicomio, mai una volta che abbia usato il suo vero nome, come se lo avesse dimenticato o non avesse più importanza: “Ti brucia che non sia stata tu a sbattermi in galera? Che siano stati degli sporchi umani?”
Ovviamente non ha nemmeno provato a colpirla. Sta solo scherzando, ma Serenity non può fare a meno di pensare che, se volesse, potrebbe tranquillamente farle del male. La conosce. L’ha studiata. L’ha in pugno.
“Rispondimi, per favore.”
Improvvisamente il ghigno sarcastico scompare dal suo viso, fissa per terra. Con un gesto fa cadere la cenere dalla sigaretta.
“Ho paura. Dopo la morte di Allan, sai, ho paura.” Soffia. “Lui è morto per salvare sua nipote. C’è stato un casino con la Chiesa di Sangue e Leonor, niente che voi eroi dovreste sapere o potreste capire.” Fa un cerchio con la mano. “Insomma, dopo il mio giurare vendetta contro chiunque fosse stato il responsabile della morte del mio amore, arriva Leonor, con in braccio una bambina… me la mette davanti, mi dice che è sua figlia e che Allan è morto per lei. Che è morto per salvarla.” Aspira dalla sigaretta: “E mi chiede cosa voglia fare. Uccidere la bambina, uccidere Leonor stessa, e magari anche tutta la loro famiglia già che ci sono… e, vedi, io lo avrei fatto. Le avrei uccise. Avrei distrutto con le mie stesse mani quello per cui Allan aveva lottato fino alla morte. Una cosa che avevo già fatto, sai, mi sono ricordata in un solo istante di quello che ho fatto alle persone che amavo e che amo, a cosa li ho costretti, alle loro morti. Ho pensato ai miei bambini. A mio padre.” Si prende una lunga pausa, osservando il vuoto: “E mi sono chiesa fino a dove potevo arrivare. È stato questo.” Di nuovo rimane in silenzio. “Voglio stare qui. Voglio impedire a me stessa di… beh, fare qualunque cosa sarei capace di fare. Perché, sai, ora ne ho paura. Ma so che agendo non ne avrei, che non proverei alcun rimpianto. Questo è il motivo per cui ho lasciato che mi catturassero. E non è nemmeno la cosa peggiore.” Schiaccia la sigaretta sul vetro, e finalmente guarda Serenity.
“La cosa peggiore è che un giorno cambierò idea. Lo sappiamo entrambe.”
Il suono della sirena mette fine all’incontro. Serenity recupera la maschera e la indossa, Lena riprende quell’atteggiamento apatico. Guarda Lena mentre due guardie si avvicinano per accompagnarla fuori, il modo in cui si tengono a distanza di sicurezza e con le mani vicino alle pistole. Nessuno ha smesso di temerla.
Fuori si concede di volare sopra Arkham e lanciarle un’ultima occhiata. È tentata di utilizzare i raggi X per sapere cosa stia facendo, ma alla fine si allontana. Vuole solo tornare da Hera e baciarla, dimenticare le parole di Lena e vivere bene quei sei giorni che le restano lontano da lei. Quella manciata di settimane, mesi o anni che le restano da passare prima del suo ritorno.