Titolo: Senza Orrore
Fandom: DC Comics
LovvoverseBeta:
cialy_girlPersonaggi:
Allan Wilson,
Lena Luthor (nominati: Jim Kuttler, Mar'i, Ibn, il gruppo di Titans)
Rating: PG14
Parole: 1.367 (works)
Note: Il titolo è dalla poesia Al lettore di C. Baudelaire
- Questa fanfic è un sequel della meravigliosa
There’s a dark side in us all di
cialy_girl- E' ambientata, quindi, dal 2023 al 2025 [
timelineDisclaimer: Non ci guadagno, non mi appartengono, mi diverto.
La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia
Occupano gli spiriti tormentando i corpi
E noi alimentiamo gli amabili rimorsi
Come i mendicanti nutrono i loro insetti
Caparbi i peccati, fiacchi i pentimenti
Ci pagano lautamente le nostre confessioni
E sul sentiero di fango ritorniamo lieti
Credendo che vili lacrime lavino ogni colpa
Sul guanciale del male Satana Trismegisto
Culla a lungo lo spirito incantato
E il ricco metallo della nostra volontà
È svaporato da qual sapiente chimico.
Tiene il Diavolo i fili che ci muovono!
Scopriamo un fascino nelle cose ripugnanti;
ogni giorno d’un passo, col fetore delle tenebre,
scendiamo verso l’Inferno, senza orrore.
Al lettore, C. Baudelaire
Era ormai un mese che vagava a zonzo di città in città, facendo vari lavoretti per vivere - il commesso, il cameriere, il tuttofare, qualunque cosa - restando giusto il tempo di racimolare il denaro necessario alla prossima fuga (a volte meno, se qualcuno se ne usciva con un: «Ehi, ma sai a chi somigli? A quel tipo che faceva parte dei Titans, quello che se n’è andato perché stava con la Luthor!»). Vagabondare così non aveva senso e non portava da nessuna parte, ma non aveva voglia di ritrovarsi intrappolato in una vita troppo umana, piena di emozioni che non avrebbe potuto provare e di segreti che non sarebbe riuscito a condividere - non aveva voglia di cercare di conquistarsela, una vita normale, nemmeno lo desiderava, forse.
Lena si era fatta rivedere due settimane prima, in un ristorante a Metropolis, smagliante come poche cose.
«La divisa ti sta benissimo.»
«Cosa ordina?»
«Di tornare con me.»
«Posso suggerirle il dessert? Abbiamo la torta alle more.»
«Sono allergica alle more.»
«Lo so.»
Senza sbattere ciglio aveva rincarato la dose: «Stai buttando via il tuo tempo, Allan. Il tuo comportamento è infantile. Dovresti pensare a cose serie, trovarti un vero lavoro.»
Il ragazzo roteò gli occhi e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
«Perché ho il sospetto che tu me ne abbia già trovato uno?»
«Non sarai sotto il mio comando, anzi. Io, effettivamente, non c’entro nulla. Ho solo degli agganci, piuttosto vaghi in realtà.»
«Sto già lavorando, Luthor. Dimmi cosa vuoi ordinare.»
Il sorriso di Lena si era ghiacciato - le poteva contare sulle dita le volte in cui Allan l’aveva chiamata Luthor - e si era alzata.
«Credo proprio che me ne andrò in un altro ristornate, Wilson.» e aggiunse, a voce appena più alta: «Il servizio qui fa schifo.»
Non gli servì percepire l’irritazione del gestore per sapere che era licenziato.
Dopo quell’episodio, però, aveva avuto la decenza di girare al largo - o forse era troppo presa dai tentativi di convincere Jim Kuttler a passare dalla sua parte per pensare a lui.
E neanche Allan aveva avuto abbastanza tempo per valutare con obbiettività la proposta di Lena. Intento com’era a seguire da lontano i Teen Titans e la loro fine, sentendosi come se ne fosse l’unico responsabile. Le poche notizie su quello che era capitato ai membri della sua squadra erano piuttosto vaghe, ma abbastanza preoccupanti: Leonor aveva cominciato ad uscire con un tizio strano (Myers, Allan avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco), Sylar e Richard erano sul punto di finire come i loro genitori - fallire, quindi, nel tentativo di essere migliori -, Nicholand’r si stava facendo prendere da una guerra che avrebbe potuto distruggerlo, di Bri e Slade sembrava non esserci più traccia, Zach e Lily, invece, dovevano essere al sicuro dai rispettivi genitori, almeno loro.
La preoccupazione diventa difficile da gestire, ed è questo, principalmente, che gli fa venir voglia di ricontattarli, di convincerli a restare amici, se proprio non potevano essere più un gruppo. Ma rivederli sarebbe stato troppo rischioso, avrebbe finito con il rovinare la loro carriera se qualcuno fosse venuto a conoscenza del fatto che continuavano a frequentare lui. Ogni giorno speso lontano dal suo team, però, faceva sempre più male - un dolore a cui piano piano si stava abituando, quasi come si trattasse di un lutto.
A Gotham non ci voleva andare, ma si era ritrovato praticamente costretto. Doveva passare la notte lì per poi scappare di nuovo, in un’altra città. L’idea di rivedere lei - o peggio, molto peggio, di rivedere lui - era insopportabile. Non sapeva come avrebbe reagito né come avrebbe dovuto reagire - non sapeva, e anche questo era insopportabile.
Aveva semplicemente cercato riparo dalla pioggia vicino ad un ristorante - pessimi posti, non si era mai accorto di quanto fossero odiosi - e li aveva visti.
Erano agli ultimi tavoli, lontani. Mar’i rideva e teneva la mano sul suo polso, sembrava raggiante come una sposa. Ibn pure, con il suo mezzo sorriso e il modo che aveva di guardarla. Erano belli, insieme.
Mar’i non era un’idiota, doveva aver già scoperto tutto da tempo, ed erano passati solo pochi mesi dall’avvenimento. E si era ripresa bene. E lo aveva perdonato.
Senza nemmeno rendersene conto era tornato a camminare sotto la pioggia. Poi era andato al telefono più vicino, per chiamare Lena.
Lo aveva accolto, ovviamente. Con un sorrisone e allegria - tanta allegria -, gli aveva detto che tutto sarebbe andato alla grande, che sarebbero stati felici. Per sempre.
Non le aveva creduto - si era accorto già da un po’ di non esserne più in grado - ma l’aveva lasciata fare.
Il lavoro era buono, e con quello evitava certi pensieri; appena trovata una sicurezza economica aveva abbandonato la casa di Lena per restare in un appartamento fuori mano, anche se i contatti con lei non furono mai persi. Ed erano tornate a galla tutte le cose belle del loro rapporto, tutto quello che lui aveva amato di lei, tutto quello che gli era mancato da morire, una volta arrivato in America, oltre alla loro non-rottura (perché non si erano mai realmente lasciati, e questo era sempre stato chiaro). Si trascinavano a furia di flirt e scherzi, senza il bisogno di dare un nome a quello che c’era - e non era come con Mar’i, quando lui avrebbe preferito mettere in chiaro ogni cosa -, ma il reale bisogno che avevano l’uno dell’altra si fece strada tra la marea di sentimenti e piani per il futuro.
Così, la sera in cui venne detto il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, Allan era tra il pubblico a guardarla da lontano trionfare. E non era riuscito a non sentirsi fiero.
Due giorni dopo si era fatto trovare a casa sua.
«Adesso,» aveva iniziato lei, il tasso alcolico forse troppo alto: «Proverai l’ebbrezza di scoparti la Presidente, Wilson.»
Non aveva programmato nulla quando rispose: «E se invece ti sposassi?»
Lei aveva spalancato gli occhi e lo guardava incredula: «Davvero vuoi sposarmi?»
«Purtroppo per me.»
Non si era tolta di dosso l’espressione sconvolta, ma lo aveva baciato - il che poteva essere considerato un sì.
Durante la notte, quando il respiro di Lena diventava regolare contro il suo petto, Allan faceva il resoconto della giornata appena passata - della vita, a volte -, rintracciando con precisione tutti gli errori che l’avevano portato a finire nel letto della Luthor - nel posto sbagliato - quando avrebbe dovuto passare quel che restava dei suoi giorni insieme a Mar’i o a qualche brava ragazza di Azarath. Li trovava sempre, gli sbagli, spesso anche più di quanti in realtà non fossero, li analizzava e si rendeva conto che, potendo, li avrebbe commessi ancora e ancora.
(A causa della sua natura, forse, d’altra parte è questo che è, perseverare)
Non era cominciata quando si era fidato di Ibn, la tela del ragno era sempre stata lì, bella tesa, davanti alla luce che lui desiderava raggiungere, con Lena che ghignava all’interno, attendendo le prede, senza rendersi conto di quell’enorme ragno nero alle sue spalle, che prima o poi avrebbe divorato pure lei se avesse abbassato la guardia.
Lena, effettivamente, non si rendeva conto di essere in pericolo - o comunque sottovalutava la cosa - e restava sempre lì, aspettando di essere la prima preda
(o di essere salvata)
Era stato uno dei pochi ad averla avvertita dalle presenza dell’animale - suo padre ci aveva provato, sembra, così Mario e Jim, gli amici fidati e sempre al suo fianco -, ma se gli altri avevano ricevuto una dose di indifferenza quasi letale
(per lei)
lui era stato vagamente ascoltato, e adesso, continuando a tessere le sue reti, Lena badava bene di non rimanerci intrappolata a sua volta. D’altra parte, certamente non poteva liberarsi del ragno.
Certamente, non poteva migliorare se stessa.
Ogni volta che tentava di dare un senso alla loro relazione (che comunque distruggeva i canoni comuni, in quanto priva di eroi senza macchia e principesse da salvare) lei, con un tempismo perfetto, si svegliava, o mugolava qualcosa nel sonno, interrompendo il flusso dei suoi pensieri per un’altra notte.
(Distruggendo, quindi, la possibilità che lui aveva di capirli)