Titolo: We know where we go
Fandom: DC
lovvoverseBeta:
cialy_girlPersonaggi:
Allan Wilson,
Lena Luthor (Nominati: Mar'i, Ibn, Serenity, Leonard. Appaiono anche Wendy e Lionel).
Rating: Pg13
Parole: 1.435 (W)
Prompt:
Desiderio svelato @
FWNote: Ambientata tra il 2024 e il 2030 nel
Lovvoverse- Titolo da All Of This dei Blink 182
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, scrivo solo per divertimento, non ci guadagno :D
Una volta erano felici. C’era stato un tempo in cui erano davvero, incredibilmente, felici, tutto era meraviglioso e il degrado, il dolore, l’odio che in futuro li avrebbe presi di mira non li spaventava. Nulla riusciva a spaventarli.
Erano giovani e assolutamente sciocchi, e quello che avevano - così bello e confortante - era una relazione che Lena avrebbe voluto mantenere integra per tutto il resto della sua vita. Anche Allan voleva lo stesso, ne era certa. Andare avanti, cercare altre persone sapendo che, al confronto con ciò che era stato, chiunque sarebbe sembrata inutile e noiosa non era un’alternativa concepibile.
Per riaverlo aveva fatto l’impossibile, anche se una parte di lei l’aveva sempre pensato, che comunque non era abbastanza.
“Allan, fermati.”
Nemmeno la stava ascoltando. Camminava a passo spedito per i corridoio del laboratorio sotterraneo e Lena dovette cominciare a correre per stargli dietro - cosa non facile, visti i tacchi.
“Allan, ti ho detto di fermarti!” strillò un’ultima volta, afferrandogli la manica della maglietta.
Non si aspettava che lui si girasse così velocemente, né che i suoi occhi fossero così rossi.
“Perché?” sibilò, e nella sua voce c’era qualcosa di non umano: “Come hai osato… come ti sei permessa?”
Lena non vacillò. Rimase ben dritta e sostenne il suo sguardo: “Pensavamo che potesse farti piacere. Leonard ha fatto un ottimo lavoro con il siero, e poi-”
“Quella roba ha ucciso mio zio. Quella roba ha quasi fatto impazzire mia zia.”
“Noi l’abbiamo migliorato.” Ripeté: “E comunque, quella roba ha reso immortale tuo nonno.”
Allan fece una risata amara, arretrando.
“Quella roba lo ha reso più forte,” continuò Lena, imperterrita: “Gli ha dato la possibilità di utilizzare il 90% del suo cervello e-”
“Allora perché non te la inietti tu nelle vene, eh, Lena?”
La donna si zittì solo per pochi secondi.
“Dovresti fidarti della tua fidanzata.”
“La mia fidanzata è l’ultima persona al mondo di cui mi dovrei fidare.”
Un mese dopo si iniettò il siero sul letto, mentre lei gli baciava il collo e gli giurava che tutto sarebbe andato bene. Lui rimase in silenzio per tutto il tempo.
Tre giorni dopo il matrimonio, Allan si sottrasse al suo tocco.
La campagna elettorale continuava senza sosta, non aveva un secondo di tempo libero e l’assenza del marito, così impegnato alla DEO, non rendeva la cosa più sopportabile. Tuttavia, era contenta che Allan si tenesse da parte, non voleva certo che venisse a conoscenza dei suoi metodi poco leali. Quel poco che aveva visto di lei a lavoro, nelle rade collaborazioni con l’Injustice League, le bastava e avanzava.
Per una volta che staccavano allo stesso orario, si era proposta di dargli un passaggio. Allan era entrato nella limousine sussurrando un “Ciao”, e per tutta la durate del viaggio, aveva sfogliato dei fascicoli. Lena, invece, restava appoggiata al sedile, con gli occhi che minacciavano di chiudersi. Era esausta.
Appena la limousine si era fermata, quasi distrattamente, aveva cercato di posare una mano su quella del marito.
Allan era stato talmente veloce ad aprire lo sportello e ad uscire fuori che per un attimo le balenò in mente l’assurda idea che non avesse mai fatto il viaggio con lei, che fosse stato sempre lì, ad aspettarla per aprirle la portiera.
“Non scendi?”
Cominciare un litigio dopo una lunga giornata di lavoro non era esattamente il massimo delle sue aspirazioni, per non parlare del fatto che avrebbe potuto nascondersi dietro ad un “Non ti ho vista.”. Il che era plausibile. Probabilmente non ci aveva fatto caso, tutto qui.
Aveva portato i piedi fuori dalla macchina senza dire una parola.
Le aveva stretto la mano durante il parto, le aveva carezzato la testa e detto di amarla, ma, quando gli diedero la bambina in braccio, Allan sembrò scordarsi della sua presenza.
Effettivamente, sembrò scordarsi dell’esistenza del resto del mondo, la guardava con un tale affetto che per un secondo Lena si chiese se suo padre l’avesse mai osservata così.
Con le mani in grembo, senza riuscire a distogliere gli occhi da quei due, si godette per un po’ quel momento di pace.
“Siete bellissimi.”
“Lei di sicuro.”
Fece per alzare la mano, voleva solo sfiorargli la fronte e toccare quei suoi capelli biondi, ma Allan si alzò di scatto, aumentando la distanza tra loro. Lena rimase per un secondo con la mano a mezz’aria.
“Quindi non posso nemmeno accarezzare mio marito, adesso?” domandò, con una nota isterica.
Allan la fissò attentamente.
“Scusami. Mi è venuto spontaneo. Ho avvertito solo il rumore delle coperte e non le tue emozioni.”
Non riuscì a credergli nemmeno per un istante.
Allan si chinò a baciarla sulle labbra, ma continuò a non farsi toccare.
“Dov’è. Mia. Figlia.”
Stava tremando. Nella sua voce c’era un misto di disperazione e furia.
Allan rimase in silenzio, appoggiato allo stipite della porta. C’erano solo loro due nello studio.
Lena era sul punto di scoppiare a piangere, per lo stress, per il dolore, per la rabbia.
“Tra una settimana torneremo a casa entrambi.”
Prese un respiro profondo e cercò di tenere a mente che amava l’uomo che aveva di fronte, lo amava davvero tanto.
“Voglio solo essere certa che stia bene.”
“Anch’io. È per questo che la rivedrai tra qualche giorno.”
“È per i Centri.” Ringhiò. “È perché ho rinchiuso i tuoi amici.”
Allan scosse piano la testa, e le parole che disse furono come delle coltellate, per lei.
“No,” affermò, con una strana calma: “Io questo da te me lo aspettavo.”
Lena sapeva che gli eroi sarebbero riusciti a liberarsi dai Centri. Ne era assolutamente certa, ma non si aspettava che Serenity reagisse in modo così furbo, non pensava di rivederli sul campo, pronti a spaccarle il culo, così presto. E fece fatica a digerire il fatto che alcuni dei suoi avessero partecipato alla liberazione.
A causa di vergognose debolezze avevano messo a rischio la sua carriera e il suo successo: era difficile da perdonare, difficile non vederlo come un affronto.
Eppure, avrebbe dovuto immaginarlo.
“I tuoi amichetti sono tornati.”
Lo osservò mentre si toglieva la camicia.
“Sì, l’ho sentito dire.”
“Ne sarai felice.”
Allan si voltò.
“Ne sono felice, infatti.”
Fu Lena ad alzarsi, facendo uno scatto.
“Certo. Certo. Sarai ben felice di sapere che quella puttana è di nuovo in circolazione. E dimmi, hai per caso festeggiato con lei il ritorno a casa?”
Se si fosse stupito vedendo Lena perdere il suo contegno non lo diede a vedere.
“Beh, c’è chi ha dovuto aspettare la liberazione per potersi scopare la gente rinchiusa laggiù.”
Lena sbiancò. La sua bocca si aprì leggermente, come per dire qualcosa.
“Ho sfiorato Ibn.” Si spiegò, guardandola negli occhi.
Il volto di Lena tornò ad essere duro.
“Tu,” sibilò: “Mi avevi fatto del male. Non ti meritavi altro.”
Allan si portò dall’altra parte del letto, scostò le coperte e: “Bene. Allora ti basteranno due conti per capire cosa ti meriti tu.”
Quando facevano l’amore lo stringeva sempre con più forza del necessario, gli graffiava la schiena e gli lasciava dei segni sul collo. Nel momento in cui lui si addormentava, cosa che non capitava mai all’epoca in cui erano felici davvero, restava con la testa appoggiata sul suo petto ad ad ascoltargli il cuore. Le dava l’impressione che fosse solo suo.
Aveva sentito qualcosa di leggero sfiorarla, ed era stato questo a svegliarla, ma aveva faticato ad aprire gli occhi. Si era alzata di malavoglia e l’aveva trovato davanti alla culla di Lionel, mentre lo teneva in braccio. C’erano dei borsoni lì vicino.
“Vai da qualche parte?”
“Sì.” Aveva dato un bacio al bambino e lo aveva riposto dolcemente nella culla.
“E te ne vai così? Di notte, senza nemmeno salutarmi?”
“Ho salutato te per prima, a dire il vero.”
Afferrò i borsoni e Lena lo seguì per i corridoi bui e vuoti.
“Posso sapere almeno dove diavolo pensi di andare?”
“Zandia, devo fare un lavoro laggiù.”
“Zandia?! Cosa diavolo hai da fare a Zandia?”
“Lena, sveglierai tutti.”
“E cosa me ne importa!”
Si fermò sospirando, quasi rassegnato all’idea di doverne parlare.
“Mi dispiace. Ho già preso i biglietti, avvisato sul lavoro e parlato con tuo fratello.”
“Allan, io voglio sapere perché stai andando in Europa nel bel mezzo della notte, cazzo.”
“Per nessun motivo che approveresti.”
“Dimmelo! Hai un’altra? Stai andando a salvare il mondo con i tuoi amichetti? Vuoi giocare a fare il supereroe un’ultima volta?”
Il fatto che non rispondesse non fece altro che aumentare la rabbia.
“Certe volte,” disse, e lo stava realizzando lei per prima: “Certe volte vorrei che tu fossi morto.”
Allan inclinò la testa: “Non esprimere i desideri ad alta voce, Lena. Non si realizzano.”
Note finali: Beh ._. Lena non ha tradito Allan nei centri, ma quello che ha avvertito Allan non era del tutto sbagliato: Lena e Ibn combineranno qualcosa dopo la Liberazione (mentre nei Centri si sono limitati ad avere uno scatto di pseudo-affetto). E' complicato XD
Allan ha potuto avvertirlo perché il siero gli sfasa i poteri ._.
* Sono un mostro.