[Originale] Tre foglie nel vento / Capitolo 16

Jan 09, 2012 16:21

Titolo: Tre foglie nel vento
Autore: haruka-lantis
Fandom: originale
Rating: NC-17
Note: ambientanta in Giappone, nel 1687, ovvero durante l'era Tokugawa, ad Edo (l'attuale Tokyo). Chiari riferimenti a rapporti omosessuali anche con minori (ma era una prassi comune a molte civiltà del passato e avere sedici anni nel XVII secolo non è come averli al giorno d'oggi)
anni nel XVII secolo non è come averli al giorno d'oggi).
Scritta per: la mia tabella su 24ore, prompt Ore 20:00 Sotto la superficie
Disclaimer: mia l'idea, miei i personaggi, mia la storia, siete pregati di ricordarvelo, nel caso fosse in cerca di ispirazione!



Anno 1687, maggio
Uji, palazzo del governatore
Ora del Cane

La presenza del giovane attore era di dominio pubblico nel palazzo, come in città: Sato Masanori era elogiato sia come ottimo comandante sia come uomo di qualità: poeta, calligrafo e amante raffinato, tanto da aver conquistato il cuore di uno degli attori più belli e quotati di Yoshiwara. Ranmaru conduceva una vita quasi eremitica: si vedeva solo talvolta al tramonto che andava a pregare al tempio, non passava le serate con i samurai, né si esercitava con le armi la mattina. Gli uomini ad Uji facevano a gara per riuscire a vederlo: sorprenderlo di ritorno dai bagni o dal tempio era diventata una sfida a cui samurai, mercanti o semplici pellegrini si sottoponevano, sperando così di poter raccontare, una volta a casa, di aver rubato uno sguardo, un sorriso al giovane amante di Sato-sama. Alcuni dei soldati del seguito sapevano che il ruolo di wakashu era ricoperto da Sojiro da prima che lasciassero Edo, ma nessuno trovava strano che Masanori avesse spezzato il patto di fedeltà con quel ragazzo silenzioso per unirsi ad un uomo la cui bellezza era già leggenda. Sojiro così era stato relegato, o si era relegato spontaneamente, nel ruolo di comparsa e aspettava che la passione che bruciava il maestro si esaurisse o che essa li conducesse alla rovina. Non desiderava la morte del maestro né di quel ragazzo, non era nella sua natura voler il male, ma l’attesa lo logorava. Gli incubi che lo affliggevano a Chiyoda erano ricominciati non appena Masanori aveva smesso di dormirgli accanto e i ricordi legati alla notte della festa del Serpente si facevano sempre più offuscati, i dettagli si confondevano: una volta gli sembrava che Asahi-san indossasse un kimono rosso, altre volte che nella stanza ci fosse più di una persona. Le uniche altre persone che sapevano la verità o erano morte o erano sparite: restava solo lui a conoscenza di quel segreto, ma se era l’unico sopravissuto, poteva ben dire che quel evento del passato esisteva solo nella sua memoria, nella sua testa, quindi poteva anche aver immaginato tutto, no? Chi lo avrebbe più sconfessato? Dalla facilità con cui il kagema si univa al maestro, o dalla frivolezza con cui gli altri samurai parlavano del sesso, poteva dedurre che fosse una cosa piacevole e naturale da fare, allora perché a lui era riuscito quasi impossibile congiungersi con Masanori-san, nonostante lo desiderasse tantissimo? Era legato a ciò che gli era accaduto quella notte, gli aveva spiegato paziente il maestro, ma se quella notte era solo frutto della sua immaginazione, quale scusa gli rimaneva per non esser stato in grado di accontentare le necessità di Sato? Non era forse stato lui a spingere il maestro tra le braccia di un altro uomo? Di cosa si lagnava adesso?

Questi erano i pensieri che affliggevano Ito Sojiro nella sua stanza silenziosa, quando le ombre della sera si allungavano e il cielo si colorava di tante sfumature del rosso fino a farsi scuro. Allora la camera di Sojiro veniva inghiottita dalle tenebre, la lampada accesa solo se uno dei servi se n’accorgeva, e il ragazzo restava immobile davanti agli shoji spalancati a fissare la sera avanzare, cercando di tenere lontano i demoni che lo tormentavano: gelosia, paura, invidia, non erano sentimenti degni dell’animo puro di un guerriero, ma a quell’ora non sapeva come ribellarsi alla loro schiavitù. Durante il giorno era impegnato in mille modi diversi e la sua testa non aveva tempo per rivangare il passato, ma la sera, quando restava solo, non riusciva ad evitarsi di ripensare alle cose brutte che gli erano occorse da quando aveva lasciato la casa di Oda-sensei. Più volte aveva iniziato una lettera per sua madre, ma le parole non ne volevano sapere di scendere dalla penna e abbandonava il foglio al solito incipit “Cara madre, spero che questa mia vi trovi in salute. Io sto…” Non sapeva se doveva mentirle o se scriverle la verità, ma come si scriveva quello che gli era accaduto? Quali erano i segni da usare per descrivere l’inquietudine del suo cuore? E poi aveva il diritto di rovesciare il suo dolore sul cuore della sua povera madre, che non aveva alcuna possibilità di essergli d’aiuto? La donna avrebbe pianto per lui e non voleva che il viso della mamma si rigasse di lacrime a causa sua.

Esternamente il suo umore non aveva subito grossi cambiamenti: era più silenzioso di un tempo, preferiva rimanere in disparte nelle gare di poesia o nei dibattiti politici, ascoltava e meditava. La sua bellezza infantile sfioriva per lasciar spazio ai lineamenti adulti: la prima ombra di peluria sul viso, la voce più bassa, la statura che aumentava. Era stato un bel bambino, per anni non aveva dimostrato la sua vera età, ora invece si sentiva una creatura ibrida: il viso di un adulto sul corpo di un infante, dimostrava a stento i suoi quindici anni, ma il volto tradiva i segni dei traumi, delle esperienze vissute. Quando si specchiava in una pozza d’acqua vedeva un essere ripugnante e riteneva che anche il resto della società civile fosse dello stesso parere. In realtà il suo corpo, crescendo, stava perdendo le dolcezze dell’infanzia: era in trasformazione, come il bruco che si chiudeva nella sua crisalide per trasformarsi in farfalla. Masanori aveva già visto questo processo sul corpo di molti altri giovani, lo aveva provato sulla sua stessa pelle e sapeva che era un periodo difficile per ogni ragazzo. Avrebbe voluto fargli un discorso rassicurante, come quello che Oda-sensei aveva fatto a lui a suo tempo, ma la sera veniva letteralmente rapito dai baci e dalle carezze di Ranmaru e posticipava al giorno seguente la conversazione.

Anche quella sera, l’odore dei ciliegi e dei pruni ad invadere le stanze, Masanori si stava recando da Ranmaru per il loro incontro notturno. Passò, come ogni altra sera, davanti alla stanza di Sojiro, gli shoji appena scostati lasciavano intravedere una sagoma all’interno, si avvide che neanche quel giorno il ragazzo si era preso la briga di accendere le lampade. Un servitore gli aveva detto che il ragazzo restava lì anche un’ora di seguito senza far nulla e che talvolta lo rimproverava se osava chiudere le imposte. Il vento, attraversando i rami carichi di germogli, faceva sibilare le foglie nuove e un tramonto cangiante infuocava la porzione di cielo visibile dalla stanza: la primavera invadeva con prepotenza i sensi degli uomini. Masanori fece scorrere lentamente la porta lungo il battente: il ragazzo dava le spalle all’ingresso e fissava un ramo di gelso che si protendeva verso l’alto. Doveva aver fatto da poco il bagno, i capelli erano sciolti sulle spalle, di un nero lucente con riflessi rossi dovuti dagli ultimi raggi del sole morente. Lo yutaka era lento e cadeva sulle spalle lasciando scoperta una porzione di collo, un piccolo triangolo bianco tra le ciocche scure. Masanori attraversò i tatami lentamente, scivolando i piedi sulle stuoie e s’inchinò a lasciare un delicato bacio su quella zona così invitante: la punta della lingua toccò appena la pelle tesa. Sojiro si voltò di scatto portandosi una mano al collo e fissò il maestro come se potesse incenerirlo con il solo contatto visivo.

“Che fate?” Le gote avevano assunto una tonalità scarlatta e le labbra quasi fremevano per l’indignazione; l’abito, aperto sul petto, metteva in risalto il collo bianco e le clavicole, sulle quali si poggiavano, come ali di un corvo, i capelli lucenti. Non aveva mai pensato che Sojiro potesse essere così seducente, nell’assoluta mancanza d’intenzioni maliziose: quella visione non era per lui, né per altri. Lo aveva colto in un momento d’intimità in cui non era il benvenuto: gli occhi nocciola lo dardeggiavano. Masanori trovò irresistibile tanta verecondia: afferrò il ragazzo per la nuca, strattonando leggermente la chioma fluente, gli impose di gettare il capo all’indietro e lo baciò. Gli erano mancati terribilmente quei baci rubati, quello sguardo disorientato e i gesti buffi con cui Sojiro cercava di divincolarsi dalle sue avances. Con Ranmaru era tutto ben studiato e collaudato, il ragazzo sapeva sempre come rispondere, anzi il più delle volte anticipava le sue mosse. Sojiro invece era sempre incerto sul da farsi, così sprovveduto da infondergli tenerezza.
“Mi dicono che gli incubi sono ricominciati, Sojiro-kun”
“Non vi riguarda”
Masanori ignorò quell’atteggiamento difensivo e lo abbracciò forte, imponendosi di non lasciare la presa finché il ragazzo non si quietò e accettò quel contatto fisico inaspettato.
“Restò con te, questa notte. Vedrai che, se ci sono io, non farai brutti sogni”
Sojiro cercò di resistere più che poté, ma le lacrime gli bruciavano a lato degli occhi e scesero senza che potesse impedirlo: il maestro, la sua gentilezza, gli erano mancati più di quanto non avesse ammesso anche a se stesso.

24ore, tre foglie nel vento, originali

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