Titolo: Tre foglie nel vento
Autore:
haruka-lantisFandom: originale
Rating: NC-17
Note: ambientanta in Giappone, nel 1687, ovvero durante l'era Tokugawa, ad Edo (l'attula Tokyo). Chiari riferimenti a rapporti omosessuali anche con minori (ma era una prassi comune a molte civiltà del passato e avere sedici anni nel XVII secolo non è come averli al giorno d'oggi)
anni nel XVII secolo non è come averli al giorno d'oggi).
Scritta per: la mia tabella su
24ore, prompt Ore 19:00 Amara solitudine
Disclaimer: mia l'idea, miei i personaggi, mia la storia, siete pregati di ricordarvelo, nel caso fosse in cerca di ispirazione!
Anno 1688, maggio
Edo, quartiere di Yoshiwara
Ora del Cane
Mancava da Edo da un anno ma non avrebbe perso la rappresentazione del nuovo dramma di Chikamatsu-sensei per nessun motivo al mondo. Si era messo in viaggio tre giorni prima, dopo aver chiesto il permesso all’abate del monastero di Kotoku-in, e a dorso di un misero mulo aveva risalito il Paese fino ad Edo. Era passato accanto a Chiyoda-jo e con un sospiro aveva tirato avanti diretto a Yoshiwara; lì aveva acquistato un biglietto e preso posto nel grande teatro nel settore destinato al popolo: nonostante la sua famiglia appartenesse alla classe dei samurai, lui aveva preso i voti e viveva come un monaco. Aveva tagliato i capelli, indossato un saio e chiuso le spade in fondo ad un baule, ma gli occhi allungati erano ancora quelli del ragazzino che solo un anno e mezzo prima era arrivato in città per completare il suo apprendistato. Nessun oramai lo avrebbe riconosciuto, era cresciuto, aveva un aspetto diverso, aveva compiuto già sedici anni e aveva un solo desiderio: vedere come Ranmaru-kun avesse deciso di raccontare il loro dramma. Aveva sentito parlare di quell’opera dai pellegrini al tempio come del grande ritorno del più bell’attore dello Yoshiwara, e tutti sostenevano che Chikamatsu-sensei avrebbe messo in scena proprio il pettegolezzo più chiacchierato di Edo: l’amore, la fuga e il misterioso ritorno di Sasaki Ranmaru.
La notte scendeva lentamente e le lampade furono accese: lo spettacolo ebbe inizio. S’intitolava “Tre foglie nel vento”: era la storia del tutto convenzionale di un uomo diviso tra due donne, una geisha e la legittima moglie.
Ranamru-san fece il suo ingresso mezz’ora dopo l’inizio, che già in molti vociavano che uscisse fuori, vestito come la più bella e la più aggraziata delle geisha: la platea scoppiò in un boato di applausi, fischi e grida. Sojiro, quasi invisibile in mezzo a quella folla calorosa, rimase immobile e lo fissò intensamente come se l’onnagata potesse notarlo in mezzo a quella marea di volti solo per l’intensità del suo sguardo.
Alla fine, Ranmaru aveva fatto morire tutti: per sé, naturalmente, si era riservato la parte più emozionante, un suicidio sotto la luna che illuminava un albero di camelia; per la moglie fedele, alias Sojiro, aveva scelto una morte per parto; qualcuno del pubblico si era appassionato al personaggio della moglie fedele e aveva protestato per quella fine dolorosa, specie le donne, ed infine aveva fatto suicidare anche il marito fedifrago, ovvero Masanori-san: una cosa che quel bastardo non avrebbe mai fatto.
Probabilmente il finale era stato imposto da Chikamatsu perché riflettesse la tradizione, perché discostava, non solo dal resto dell’opera, ma anche dalla realtà dei fatti da cui era tratto.
Sojiro rimase seduto in platea mentre il pubblico scemava fuori; non voleva andare via: per una sera aveva rivissuto la sua vita, il suo amore, aveva rivisto Ranmaru, cosa che stranamente lo fece sentire a casa, e aveva ricordato quei giorni lontani. Si sentiva solo nel grande teatro vuoto, si sentiva solo spesso da quando era partito da Uji, nonostante avesse scelto da sé quella condanna alla solitudine, a volte l’amaro gli saliva dallo stomaco fino alla gola e gli dava la nausea. Fissò il palco dove gli inservienti stavano smontando la scenografia finché questi non finirono, poi un uomo si accostò a lui: inizialmente pensò al custode che lo invitava ad uscire, ma come alzò il capo verso lo sconosciuto, ebbe un colpo al cuore.
“Sono così invecchiato, Sojiro-kun?”
“Maestro?”
“Sei diventato grande” disse sedendosi al suo fianco “I tuoi capelli” sussurrò accarezzando il capo rasato, secondo l’usanza dei bonzi “Non importa, ricresceranno” sorrise infine.
“Maestro, vi sapevo al nord a sedare una sommossa di contadini”
“Sono ad Edo in incognito. Tokugawa-sama mi vuole parlare: se tutto va come prevedo, stasera alla festa di Yanagisawa-sama, mi conferirà ufficiosamente il feudo di Akaoka”
“Le mie congratulazioni, maestro!”
“E voi verrete con me”
“Voi?”
“Tu e Ranmaru-kun. Ho lavorato come un matto un anno intero, ho brigato, ho lottato, sono stato lontano da casa e dai miei figli tutti questi mesi solo per avere la possibilità di stare tutti e tre assieme. Non avrebbe senso se uno dei tre mancasse. Parlerò anche di questo con lo shogun: dei tuoi voti, che naturalmente vanno cancellati, e della somma da pagare per affrancare Ranmaru”
“Avete pensato a tutto, vero?”
“Non vuoi venire con me, Soji-chan?” chiese Masanori sollevandogli il mento con la mano.
“Stare senza di voi è stato peggio che stare con voi”
“Bene, allora è deciso” Masanori si sporse appena in avanti e lo baciò a fiori di labbra.
La sensazione di amaro sparì dalla bocca di Sojiro: il tempo della solitudine era finito.
Note dell'autrice: Siamo quasi giunti alla fine di questa triste storia, al più presto posterò i due capitoli conclusivi.