Titolo raccolta: Motion Picture Soundtrack.
Titolo capitolo: Track #1
Fandom/Pairing: RPF (Robert Downey Jr/Jude Law)
Rating: Giallo.
Numero Parole: 1099
Genere/Note:
~AU, slash, tentato fluff (perché, essendo io la scrittrice, non lo è davvero).
~nata per il prompt Lenzuola della prima
RDJ Challenge, la mia tabellina
qui.
~per il titolo (della raccolta) vanno ringraziati i sempre amati Radiohead.
~gli ovvi ringraziamenti alla mia Troglie che mi sopporta. Pure quando la bombardo di paranoie.
Mattina.
Mattina? Probabilmente prime ore del pomeriggio, considerando la spiacevole sensazione di aver dormito per anni interi.
Non filtra nessuna luce dalle tapparelle abbassate delle poche finestre, Jude sta ancora dormendo ed il torpore che sente sulla pelle - quello dato dalle lenzuola, dal corpo vicino al suo, dal sonno - lo intontisce. Tutto sommato gli piace anche, pare quasi cullarlo, tanto che resterebbe così per sempre.
Allunga la mano verso il telefono poggiato per terra ed il movimento sembra svegliare Jude - che forse non stava dormendo davvero, magari era bloccato in quello stesso limbo, magari stavano vivendo insieme quel momento di stasi.
Il pensiero non lo sconvolge, si limita a mormorare uno stanco: «Buongiorno.»
«Che ore sono?» Risponde l'altro, senza gentilezze, senza alcun tono: la sua anima pare spenta quando dalla notte al giorno non mostra nessuna emozione né alcun cambiamento; un difetto che Robert ha imparato a conoscere abbastanza presto.
«Tardi, le Due e qualcosa.»
«Aw.»
Jude si solleva, mettendosi a sedere, cercando forse la lampada o forse il pacchetto di sigarette più vicino - che sia suo o di altri non importa, in questo momento la nicotina non è altro che formalità.
Viene da una buona famiglia, lui, quel genere di famiglia che sa darti ogni cosa almeno finché non cresci. Lo stesso genere di persone pronte a trattenerti se provi a staccarti almeno un po': le stesse che vuoi intorno ma che prendi quasi a detestare quando nasce la voglia di vedere il mondo.
Ed è con questa voglia che è arrivato in città la prima volta, inseguendo sogni sbagliati ed immerso in quella patina di sfortuna che lo caratterizza in ogni sguardo.
È in questa che si è riconosciuto Robert quando lo ha visto la prima volta seduto al bar vicino l'università: un quaderno con sopra una penna scarica, una maglia grigia, l'aria di chi sta facendo qualcosa controvoglia. Si è rivisto talmente tanto da costringersi a raggiungerlo, fermarsi per qualche minuto al suo tavolo e chiacchierare - il muto "ti capisco, anch'io mi aspettavo qualcosa di diverso."
Da quel momento in poi non si sono fatti problemi: hanno passato tantissime colazioni insieme, innumerevoli ore di discorsi e fin troppi interessi; superficialmente non hanno nulla in comune, ma quando sono soli si svestono anche delle apparenze.
Jude non è il suo fidanzato, il trovarsi nel suo letto non vuol dire niente. Non crede né di amarlo e non desidera nulla da lui che non sia la sensazione di appartenenza: è un viziato che ha rinunciato ai suoi vizi, Robert può aggrapparsi a ciò che è rimasto.
«Mentre tu continuavi a dormire, io ho fatto il caffè.» Borbotta il succitato viziato e forse Robert si è riaddormentato davvero, visto che non si è accorto dei vari movimenti: non ha notato l'altro alzarsi - mezzo nudo, perché un altro suo difetto è il non essere particolarmente affezionato ai vestiti - per dirigersi verso la zona del suo appartamento dedicata alla cottura, accendere la luce e preparare una ostentata colazione.
Invece eccolo lì, intento a versare il caffè in due tazze scoordinate.
«Bravo,» si complimenta, fingendosi indifferente e mantenendo gli occhi chiusi, «saresti anche così carino da portarmelo? Senza lanciarmelo in testa possibilmente.»
«No.»
«Sei davvero gentilissimo,» ridacchia, «ed ho fame.»
«Mh...»
«Non c'è niente di commestibile qui?»
«Possiamo mettere insieme qualcosa...»
«"Mettere insieme qualcosa"? Ti ricordo che sono il tuo migliore amico e tu non dovresti tentare di ammazzarmi. Non in modi così subdoli, almeno.»
Jude non risponde, rimane silenzioso per qualche secondo prima di mormorare - e recuperare in questo modo una strana tonalità: «Non siamo più "Migliori amici".»
«Come mai? Hai trovato qualcuno di più simpatico? O che condivida con te la passione per i meravigliosi anni sessanta?»
«Sai di che parlo... Non tratto i miei amici come tratto te.»
«Anche perché loro non te lo permetterebbero.»
«Solo perché non abbiamo ancora dormito insieme.»
«...Mi fa piacere.»
«E non li ho -» si ferma, per scrutarlo o forse sorseggiare un po' di caffè, «- oh, che importa?, tanto mi stai solo provocando.»
Robert ridacchia di nuovo, pienamente soddisfatto, «Infatti,» risponde mentre apre gli occhi, «ed amo farlo.»
Si sente leggero e lontano, ancora nascosto fra le coperte calde, ancora in compagnia di qualcuno che lo comprende senza dover portare maschere, «Visto che non hai niente in casa e dobbiamo prendere una decisione, perché non vieni qui?»
Lo ha chiesto davvero e non se ne vergogna. Stare con Jude è un sollievo: serve a bruciare la solitudine, a farlo sentire meno strano; lui non lo giudica, malgrado le occhiatacce contrariate che riceve spesso.
Ed il suo corpo ha ancora quel sapore di Giusto.
Una parte di Robert sa che l'altro prova lo stesso, che la loro relazione può rimanere in questi termini per sempre e continuare a funzionare, gli basta osservarlo mentre si avvicina per capirlo, sorridergli mentre si stende di nuovo al suo fianco per confermarlo.
«Ti chiedo scusa.» Gli sussurra. Ora che sono vicini può tornare ad essere se stesso, senza bugie o risate.
«Davvero?»
«Sì.»
«Certe volte sai davvero sorprendermi.»
«Ed altre?»
«Altre no, sei più prevedibile.»
Robert si stringe a lui, come se sentisse quelle parole come un pericolo. Si stringe a lui perché quella semplice constatazione può dividerli per sempre.
«Son-» ma si interrompe, perché non c'è niente che potrebbe davvero dire senza far traboccare quel senso di inadeguatezza, «sono contento che questo non sia uno di quei momenti.»
«Lo eri ieri sera.»
«Devi proprio dirmelo?»
«Anch'io mi diverto nel distruggere le tue certezze.» Ma nonostante questo ricambia la stretta, respirando tranquillo sulla sua pelle.
E dovrebbero prendere una decisione, come avevano premesso, forse una di più. Restare insieme, stretti in quella morsa, troppo forte per essere casta ma troppo leggera per renderli amanti.
«Parlavi sul serio prima?» Chiede Robert, una domanda semplicemente mormorata, «O era solo un modo per rispondere alle mie battute?»
«Non lo so...»
«E non li tratti come me? I tuoi amici intendo.»
Jude sa che cosa intende, per questo risponde con un bacio. Puro, dal leggero sapore di fumo e caffè, quanto privo di parole - e queste non contano quando possono restare così, al buio, immersi nella semiluce della lampada vicino al letto, racchiusi fra le lenzuola e le mura scure di quel minuscolo appartamento fuori centro.
Non c'è bisogno di terzi o di altri motivi: va bene anche così.
«Puoi stare tranquillo.»
«Sì? Non ti annoio poi così tanto?»
«Parlavo del cibo, veramente. Non ti lascerò morire di fame.»
Ma non intendeva solo quello e saperlo fa bene per più ragioni.
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