The Appearance of What We Need - Prima Parte

May 17, 2011 20:19

Fandom: Doctor Who/Supernatural.
Pairing/Personaggi: Eleventh Doctor, Conton, Rory/Amy (Mr. & Mrs. Pond ♥), Castiel/Dean, Sam.
Rating: Pg-13.
Beta: koorime_yu .
Character: 1/2.
Genere: Angst, Comico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Crossover, Pre-Slash, Spoiler!
Words: 4814/8354 (fiumidiparole ).
Summary: Post Doctor Who 6x02/Supernatural 6x15 - Dean e Sam stanno investigando sulla scomparsa di tre persone che non hanno nulla in comune, tranne il fatto che nei luoghi dove sono sparite sono presenti delle statue di angeli piangenti. Mentre indagano, appare davanti a loro una strana cabina blu.
Note: Scritta su questo prompt richiesto da lady_house  per il Festival del Crossover di destiel_italia .

DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù

The Appearance of What We Need
Prima Parte

«Non battere ciglio. Se lo fai sei morto. Non voltare mai le spalle. Non distogliere lo sguardo. E non chiudere mai gli occhi. Buona fortuna». [1]

29 Aprile 2011, Concordia, Kansas - America; ore 8,03 A.M.

Il cielo era azzurro, gli uccellini cinguettavano e i bambini giocavano nelle altalene. Sembrava proprio una giornata normale, in un parco normale, di una minuscola cittadina normale. E questo a Dean non piaceva neanche un po’, sentiva puzza di bruciato lontano un miglio.
«Che ne pensi?» domandò, voltandosi all’indirizzo del fratello, seduto accanto a lui, sul sedile del passeggero dell’Impala.
«E tutto molto normale» osservò Sam con una smorfia, poco convinto quanto lui.
«Già, sembra la fottuta Pleasantville. Cos’è quello?» [2] domandò poi il maggiore.
«Uno stagno per le anatre?» considerò l’altro perplesso.
«E allora perché non ci sono anatre?» rintuzzò Dean.
«Non lo so» replicò Sam confuso.
«Visto? Non poi così normale» asserì il fratello convinto, facendogli alzare gli occhi al cielo.
«Facciamo il punto della situazione, ti spiace?» sbuffò il minore. «Qualcosa ha fatto scomparire tre persone: una bambina, un adolescente e una ragazza di venticinque anni. Nessuna di loro apparentemente è legata all’altra, sono di età differenti, di ceti sociali diversi, abitano perfino lontano l’una dall’altra» riepilogò diligentemente.
«Giusto, quindi non può trattarsi di un serial killer, no? Deve essere qualche schifezza soprannaturale, ma non abbiamo trovato tracce di zolfo o di attività spiritica, la luna piena non è ancora arrivata e questo non sembra il genere di posto che un branco di vampiri sceglierebbe».
«Mutaforma? Skinwalker? Qualche nuova schifezza creata dalla Madre?» propose Sam.
«Non abbiamo trovato tracce di pelle mutata, ma non potrei giurare sull’ultima opzione» replicò guardandosi attorno. «Questo è il parco in cui è scomparsa la bambina, vero?» aggiunse.
«Sì. Dorothy White, sei anni. La madre ha detto che l’ha portata qui ieri pomeriggio e l’ha lasciata a giocare sugli scivoli, si è voltata un attimo per parlare con un’amica e la figlia è scomparsa» confermò il minore.
Ma Dean non lo stava ascoltando, il suo sguardo era fisso sulla statua posta nell’angolo più buio del parco: un angelo piangente. Perché metterla in un punto così nascosto?
«Ehi» richiamò l’attenzione del fratello «non ce n’era una del genere anche nei luoghi dove sono scomparsi il ragazzino e l’altra tizia?»
Sam si accigliò, cercando di ricordare. Non ci aveva fatto molto caso, ma se non sbagliava ce n’era una nella casa abbandonata in cui David Kent ed i suoi amici si erano intrufolati, ed una all’ingresso della chiesa dove era scomparsa Martha Pescaro, la ragazza di venticinque anni.
«Sarà un soggetto molto comune, no? È solo un angelo» replicò poco convinto.
«Sì, avrai ragione tu» assentì il maggiore, ma sembrava distratto. Continuava a fissare la statua come se si aspettasse di vederla muovere da un momento all’altro.
Sam sorrise divertito. «È da un po’ che Cas non si fa vivo, vero?» osservò, apparentemente senza motivo.
«Già, e quindi? È occupato» si accigliò Dean.
«No, niente» sviò il fratello. «Andiamo a fare colazione?» aggiunse per distrarlo, ricevendo in cambio uno sguardo entusiasta.

*°*°*°*°*

26 Novembre 1969, Washington D.C., Virginia - America; ore 6,18 P.M.

Una musichetta noiosa ronzava nell’aria, quasi del tutto soppressa dal borbottio seccato dei clienti. Conton sospirò esausto, ponderando di estrarre la pistola e farsi strada con la forza; se c’era una cosa che odiava, era la fila alla cassa del supermercato.
Venne distratto da una bambina che correva da una parte all’altra e gli sbatté contro le gambe, crollando a terra di sedere, in un morbido tonfo. Aveva capelli biondi e ricci, una salopette un po’ troppo maschile per una femminuccia, sotto una giacca troppo leggera per quella stagione, e calzava un paio di stivaletti rossi. Non poteva avere più di sei anni, stimò lui.
«Tutto bene, Dorothy?» le chiese, lasciando il carrello ed infilandole le mani sotto le ascelle per tirarla in piedi.
«Come fa a sapere il mio nome, signore?» chiese stupita la bambina. «Lei è un mago?»
«Ti chiami davvero Dorothy?» chiese divertito l’agente dell’F.B.I. «Sai, io lo dicevo per via della bambina di ‘Il Mago di Oz’, le somigli molto. Quasi mi aspettavo che dicessi “Ho l’impressione che non siamo più in Kansas”».
«Ma noi siamo in Kansas. Quindi tu sei il Mago di Oz?»
«No, siamo a D.C., ed io non sono un mago» chiarì Canton, evitando di spiegarle che quello della celeberrima fiaba era un truffatore. «Sono uno dei buoni, vedi?» spiegò, tirando fuori il distintivo.
«Con-ton E-ve-ret-t De-la-wa-re III» lesse la piccola, ancora un po’ sillabante. «Che nome lungo. Allora sei un principe? I principi hanno nomi lunghissimi e strane cifre alla fine. Ma non hai l’aspetto di un principe» osservò petulante.
«Grazie, Dorothy, molto gentile da parte tua» ironizzò il Mago-barra-Principe. «Dov’è la tua mamma?»
La piccola s’intristì immediatamente. «L’ho persa» sospirò «ero al parco e poi all’improvviso mi sono ritrovata qui» spiegò e le orecchie di Conton si drizzarono.
«Ah, ma posso chiamarla!» esclamò Dorothy, tirando fuori dalla tasca della giacchetta uno strano aggeggio.
Lui l’aveva visto solo un’altra volta in vita sua, non molto tempo prima. Era un videofonino - qualunque cosa un videofonino fosse, non gli avevano spiegato molto bene come funzionasse.
«Da dove hai detto che vieni, tesoro?» le domandò, cominciando ad essere colpito da un sospetto.
«Kansas» sbuffò la bambina, come se avesse a che fare con un adulto molto ottuso.
«E in che anno siamo?» continuò l’uomo.
«Nel 2011, naturalmente. Si prende gioco di me perché sono bassa? Non è carino, sa?» s’indispettì la piccola.
«Credimi, l’altezza è l’ultimo dei tuoi problemi, dolcezza» asserì.

*°*°*°*°*

29 Aprile 2011, Concordia, Kansas - America; ore 8,33 A.M.

La tavola calda dove Dean e Sam si fermarono per la colazione era allegra ed affollata. Il profumo dei pancake si spandeva nell’aria, mentre una vecchia televisione trasmetteva il meteo locale, preannunciando temporali improvvisi.
I due cacciatori presero un tavolo defilato sulla destra, per poter parlare in santa pace, mentre il maggiore aspettava la propria ordinazione con l’acquolina in bocca e l’altro sorseggiava il proprio caffè facendo qualche ricerca sul computer.
Dean guardò distrattamente le prime gocce di pioggia imperlare la vetrina del locale, poi il suo sguardo venne attirato da qualcos’altro. «Ehi, guarda là» richiamò il fratello, indicando la sommità dell’edificio di fronte, su cui erano poste due statue.
«Di nuovo gli angeli piangenti» notò Sam con moderata sorpresa.
«Ecco qui, ragazzi» li interruppe la cameriera, portando le loro ordinazioni.
«Senta, quelle statue significano qualcosa di particolare? Ne abbiamo trovate diverse in città» le domandò allora il più giovane.
«Quali statue?» chiese lei perplessa.
«Come quali? Quelle, no?» esclamò Dean, riportando lo sguardo sull’edificio dirimpetto alla tavola calda.
Ma le statue erano scomparse.
«Eh?» chiese la ragazza stranita, con lo sguardo sospettoso di chi teme di avere a che fare con due svitati.
Il maggiore dei Winchester le rivolse il suo sorriso più affascinante. «Nulla, devo essermi sbagliato» rispose concedendole una bella mancia per togliersela dai piedi.
La cameriera gli sfiorò la mano nel prenderla, infilandogli tra le dita un foglietto col suo numero, prima di fluttuare via con passi ticchettanti, ma lui aveva già perso interesse nei suoi confronti, intento a rivolgere un’occhiata grave e significativa al fratello.
«Penso sia ora di fare una telefonata» asserì Sammy.
«E una preghiera, già che ci siamo» convenne Dean.

*°*°*°*°*

9 Maggio 1883, Kyoto - Giappone; ore 5,12 P.M.

La musica lenta e malinconica degli shamisen fluttuava nell’aria, insieme al profumo delle varie misture di tè. Rory si guardò di nuovo attorno, ancora un po’ a disagio, mentre sua moglie si agitava sulle punte dei piedi, accovacciata in una posa che sembrava scomodissima.
«Dottore, quando ho detto che mi sarebbe piaciuto vedere il Giappone di una volta, prima del terremoto…» cominciò Amy in un sibilo che preannunciava tempesta «non intendevo questo!» finì a voce più alta, attirando l’attenzione degli altri avventori della casa da tè, che le lanciarono occhiate scioccate per i suoi modi così barbari.
«Potrei aver confuso una cifra o due» ammise il Dottore, aggiustandosi nervosamente il papillon ed accostandosi al viso la propria tazza di tè. «Ah, il tè della Lanterna Verde! Non ha paragoni, te lo assicuro» asserì prendendo un sorso. Lo risputò nella tazza subito dopo, tirando fuori la lingua disgustato, poco attento a non attirare di nuovo gli sguardi dei presenti. «Che schifo! Non era così che lo ricordavo» gemette sommessamente.
«Bocca nuova, regole nuove, eh?» lo sbeffeggiò la compagna di viaggio, ora decisamente di umore migliore.
«Se può consolarti,» bisbigliò Rory accostandosi al suo orecchio «sei molto sexy con questo kimono».
«Sono seduta nella posizione più scomoda dell’universo, quindi: no, non mi consola. Facile per voi maschi che state seduti a gambe incrociate» s’imbronciò la ragazza.
«Oh, in realtà conosco almeno un centinaio di posizioni più scomode. Su Nuovo Giappone, nel cinquantesimo secolo…» cominciò il Dottore, però venne prontamente tacitato da un’occhiataccia di Amelia. «Ma forse non vi interessa» borbottò allora, aggiungendo un cucchiaino enorme di miele al proprio tè.
«Comunque, non capisco» intervenne l’infermiere. «Non dovrebbero essere più diffidenti verso gli occidentali e vederli con cattivo occhio?» mormorò all’indirizzo del Signore del Tempo.
«Non ora» dissentì, questi. «Siamo nel 1883, l’anno scorso Ito Hirobumi è salito al governo come Primo Ministro, adottando numerose istituzioni occidentali - e più nello specifico britanniche - come un sistema legale e parlamentale più moderno, nonché un nuovo esercito» [3] spiegò, parlando così veloce da far girare la testa al povero Rory.
«D’accordo Wikipedia, grazie per la lezione di storia» lo fermò Pond, prima che potesse continuare.
Il Dottore stava per replicare qualcosa, quando venne di nuovo interrotto, stavolta dal cellulare di Amy, che iniziò a squillare.
«Come fa a prendere la linea, in questo posto?» chiese il marito perplesso.
«Il Dottore l’ha sistemato tempo fa» spiegò spiccia Amelia.
«E non l’hai mai usato per chiamarmi, mentre viaggiavate da soli?» replicò oltraggiato.
«Eri al tuo addio al celibato» tentò la moglie, in una scivolosa arrampicata sugli specchi.
«Ma per te erano passati giorni!» obbiettò «Mesi!»
«Sai che anche tu stai molto bene con quel kimono?» ritentò Amy.
«Ragazzi… ragazzi, non vorrei interrompervi, ma il cellulare sta ancora squillando e attirando l’attenzione. Potreste finire di flirtare più tardi?» li richiamò il Signore del Tempo, spazientito.
Quindi Amelia si decise ad aprire la chiamata e portarsi il telefonino all’orecchio. «Pronto? Ehilà, Conton! Come va, in quei tempi?» domandò allegra, non appena riconosciuto l’interlocutore.
«Salve, Mrs. Pond. Abbastanza bene, ho appena preso casa con il mio ragazzo. Il Dottore è lì con voi?» le arrivò la voce dell’amico, attraverso lo spazio-tempo.
«Sicuro. Te lo passo» replicò lei. «E congratulazioni per il trasloco!» aggiunse, prima di offrire il cellulare all’alieno.
«Conton. Everett. Delawar. III!» esclamò il Dottore, prendendo la chiamata. «Adoro questo nome, te l’ho mai detto? Come stai, vecchio mio?»
L’agente dell’F.B.I. si chiese distrattamente cosa avessero tutti con il suo nome, prima di rispondere: «Ho qualcosa per te, Dottore» e fornire all’amico una serie di coordinate.
«Vieni con noi?» domandò il Signore del Tempo.
«C’è bisogno di chiedere?» replicò e udì in sottofondo uno scalpicciò di piedi, poi un rumore distintivo e familiare cominciò a materializzarsi dell’aria accanto a lui, spedendogli un brivido d’eccitazione su per la schiena.
«Certo che no!» concluse il Dottore, il cellulare ancora attaccato all’orecchio, spalancando le porte del TARDIS di fronte a Conton e ad una estasiata Dorothy.

*°*°*°*°*

29 Aprile 2011, Concordia, Kansas - America; ore 9,13 A.M.

Una brezza fresca arruffava l’erba del parco, ormai quasi deserto dopo l’ingresso dei bambini a scuola. Aveva smesso di piovere e solo un paio di anziani restavano ad occupare le panchine in fondo, asciugando le ossa al sole primaverile.
Dean parcheggiò e scese dall’Impala, dirigendo subito i propri passi verso il punto in cui aveva scorto la scultura.
Sparita, naturalmente.
«Che diavolo sta succedendo?!» esclamò, seguito senza fatica dai passi lunghi del fratello. «Da quando delle statue vanno a spasso da sole?»
«Possessione spiritica, forse?» azzardò Sam «Come quei manichini, ricordi?» tirò fuori l’aggeggio per misurare il campo elettromagnetico, ma non c’era alcuna traccia di attività sopranaturale in quel punto. Proprio come nella chiesa, dove erano passati strada facendo; anche lì l’angelo piangente era scomparso.
«No, sarebbero troppo pesanti per degli spiriti, non credi? Un conto sono dei manichini di plastica o una bambola gonfiabile. Perfino una macchina non è difficile da muovere, avendo dei circuiti elettrici. Ma la pietra?» osservò il maggiore scettico. «Hai trovato qualcosa su internet?»
«Niente. Nemmeno Bobby mi ha saputo dire nulla di concreto. La cosa che si avvicina di più a questa follia sono le leggende sui gargoyle» rispose l’altro storcendo le labbra.
«Gargoyle? Come in ‘Il Gobbo di Notre Dame’?» [4] ironizzò Dean ed il fratello scrollò le spalle, perplesso quando lui.
«E va bene, ne ho abbastanza, ci servono un paio d’ali di un altro tipo» concluse il maggiore, prima di prendere un respiro profondo e chiudere gli occhi. «Castiel… abbiamo a che fare con qualcosa di davvero bizzarro, potresti portare le tue pallide chiappe piumate qui, per favore?» pregò a voce alta, prima di socchiudere una sola palpebra e sbirciare attorno. Ma niente, non c’era traccia del loro angelo.
«Sarà occupato…» ragionò Sam. Fece per aggiungere qualcosa, ma all’improvviso uno strano rumore ritmico ed ansimante cominciò a gonfiare l’aria accanto a loro, proprio dove poche ore prima si trovava l’angelo piangente, e uno strano vento si sollevò lì attorno, costringendoli ad alzare le braccia per proteggersi gli occhi dalla terra smossa.
«Ma che diavolo… ?» iniziò il maggiore dei Winchester quando qualcosa di blu cominciò a materializzarsi in quel punto.
Una cabina blu. Un enorme - be’, non tanto enorme, ma era apparsa dal nulla, diamine! - cabina blu della polizia.
«Molte bene!» [5] esclamò una voce, quando le porte della cabina si spalancarono per lasciar spuntare una faccia giovane e appuntita da elfo. «Oh, abbiamo spettatori… Salve» li salutò quel ragazzo dall’aria decisamente troppo svampita, uscendo da lì seguito immediatamente da una riccioluta bimba bionda. «Avanti Dorothy, sbatti tre volte i tacchi e dì: “Non c’è posto migliore di casa”» [6] istruì la bambina, mostrandole cosa fare.
Uno scappellotto lo raggiunse subito alla nuca. «Ma che problema hai tu con le favole? Non usciamo tutti da storie per bambini, sai?» lo apostrofò una ragazza dai lunghi capelli rossi, vestita in kimono. Perché diavolo indossava un kimono, poi?
«Le favole non sono affatto storie per bambini, Amy» obiettò lui.
«Ha ragione, sai?» intervenne un secondo ragazzo, anche lui in kimono e con la faccia - se possibile - ancora più appuntita ed idiota. E un naso enorme, davvero enorme. «Le fiabe vengono dalle più spaventose storie popolari. Credimi, io c’ero mentre si formavano» continuò imperterrito, senza badare alla presenza dei due cacciatori che li fissavano allibiti.
«Ragazzi, abbiamo compagnia, ve ne siete accorti?» osservò finalmente un’ultima voce, fin troppo familiare per loro, tanto che i due Winchester sentirono un brivido inerpicarsi su per la schiena.
«TU!» ruggì Dean, estraendo la pistola e puntandogliela in fronte prima ancora di ragione. Quello che non si aspettava era di trovarsene un’altra immediatamente puntata al costato.
«Io non lo farei fossi in te, dolcezza» osservò l’uomo, premendogli più forte la canna tra le costole. «Minacciare un agente federale è illegale».
Agente federale?, si chiese il cacciatore perplesso. E da quando Crowley portava una pistola? «Tu eri morto» asserì guardingo.
«Non mi risulta» rispose l’altro serafico. «Be’, forse in questo tempo sì…» considerò poi.
«No, no. Sei vivo» lo rassicurò la rossa.
«Amy!» la rimproverò il tizio con il papillon. Un papillon, sul serio?
«Ops… spoiler, vero?» ridacchiò lei.
All’improvviso, però, una mano familiare si posò sulla spalla del cacciatore, trattenendolo. «Non è lui, Dean» gli sussurrò all’orecchio una voce rassicurante apparsa dal nulla - l’ennesima. Ma almeno stavolta era una voce amica.
«Ce ne hai messo di tempo, Cas! E come sarebbe a dire non è lui?» replicò l’interpellato, senza perdere d’occhio l’uomo che teneva sotto mira.
«È umano, Dean» confermò il suo angelo, sorvolando sul rimprovero.
«Da dove diamine è arrivato?» esclamò qualcuno, forse il tipo col nasone.
«Avrà un manipolatore vortex» [7] osservò l’altro ragazzo. Dean non si soffermò nemmeno a chiedersi di che diavolo parlasse.
«Certo che sono umano. Ho la faccia da alieno, forse?» replicò il sosia di Crowley. «Posso anche dimostrarvelo» asserì rinfoderando con attenzione la pistola, facendo prima mostra di aver reinserito la sicura, ed estraendo il distintivo dalla tasca interna della giacca.
«Agente Canton Everett Delawar III» lesse «Che razza di nome è?» era quasi più assurdo di quelli che usavano loro. «Un momento… qui c’è scritto che sei nato nel 1922! Mi prendi per il culo?!»
«Più tardi, magari» ironizzò Conton. «Si chiamano viaggi nel tempo, figliolo» lo canzonò ancora.
«Dunque cosa sarebbe, esattamente? Il povero bastardo che Crowley ha posseduto?» domandò Dean all’indirizzo di Castiel.
«Non credo. Un antenato, forse» intervenne suo fratello. «Hai figli?» chiese al diretto interessato.
«No, e dubito che ne avrò mai» lì rassicurò Conton con un sorriso - fin troppo familiare, Cristo! - che la diceva lunga.
Intanto il tizio con il papillon si mise in punta di piedi per cercare di guardare negli occhi Sam, poi gli girò attorno, come se lo stesse studiando, e gli puntò addosso una strana bacchetta metallica con la punta luminosa, che emise un basso ronzio.
«Interessante, molto interessante» borbottò tra sé, sotto lo sguardo stranito del minore dei Winchester, che si sentì una specie di fenomeno da baraccone -  e non era lui quello uscito da una cabina blu, insomma!
«Che cosa, Dottore?» l’interrogò l’amica.
«Questi due» spiegò lui, indicando i due cacciatori con la sua bacchetta ronzante «Hanno qualcosa che non va. Lo spazio si annoda attorno a loro, sono punti fissi nel tempo, e non ho mai visto persone che sono punti fissi. Gli eventi sono punti fissi, i luoghi sono punti fissi, non le persone. Se li spostassimo, la realtà crollerebbe» asserì parlando così veloce che occorse loro quasi un minuto intero per comprendere cosa accidenti avesse detto.
«Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando» replicò Sam.
«Avete sventato qualche catastrofe o salvato qualche vita?» chiese spiccio il Dottore.
Dean sbuffò un accenno di risata, abbassando la pistola, anche se non la rimise nella fondina. «Solo qualche?» ironizzò.
«Chi siete voi?» chiese allora il tizio con il papillon.
«Dovremo essere noi a fare questa domanda» replicò accigliato il maggiore dei Winchester, ma il fratello richiamò la sua attenzione.
«Dean, è la bambina che era scomparsa» gli fece notare, indicando la piccola che dal basso si godeva la scena come se stesse guardando uno show televisivo.
«Siete stati voi a prenderla?» domandò allora l’altro cacciatore, ma a dire il vero suonava più come un’accusa, facendo per sollevare di nuovo l’arma.
«No, l’abbiamo solo riportata indietro, idiota!» rispose la rossa «Non avreste dovuto nemmeno accorgervi che era scomparsa, dovevamo riportarla indietro a pochi secondi da quando era sparita» chiarì, voltandosi poi verso l’amico con sguardo accusatore. «Sei arrivato di nuovo in ritardo, non è vero?»
«Ops…» bisbigliò l’interpellato, guardando a destra e a sinistra con l’aria di un topo in trappola, prima di infilare di nuovo in tasca la sua bacchetta. «Bene, passiamo al motivo per cui Dorothy è stata spedita nel 1969, okay? Avete per caso visto in giro degli angeli piangenti?» domandò ai due cacciatori, che subito si scambiarono uno sguardo sorpreso.
«Tu che ne sai?» chiese allora Sam, ma la sua voce venne surclassata da un’altra.
«Gli angeli non piangono» affermò Castiel orgogliosamente, rimasto per tutto il tempo zitto ed immobile accanto a Dean, tanto che gli altri si erano quasi dimenticati di lui.
«No, hai ragione, non lo fanno» confermò il Dottore raggiungendolo in due lunghe falcate. «Non per davvero… Non ho mai visto occhi tanto antichi» mormorò, fissando quelle iridi di un blu impossibile. Solo i suoi, quando si guardava allo specchio. «Chi sei?»
«Sono un angelo del Signore» dichiarò lui con fierezza.
«Un angelo?» chiese l’altro, pungolandolo con la sua bacchetta, tirata di nuovo fuori con rapidità magistrale. «Impossibile, in novecentootto anni di vita non ho mai visto un vero angelo, solo cose che lo sembrano».
«Ci sono cose più antiche di te, Theta» replicò Castiel, in un sussurro udibile solo a lui, che lo fece irrigidire da capo a piedi.
Il Dottore lo guardò con aria seria e grave, quasi impaurito, poi sollevò le mani per avvicinarle alle sue tempie. «Permetti?» domandò, sfiorando quei punti e, quando l’altro acconsentì con un cenno del capo, chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, pochi attimi dopo, fece due passi indietro con aria terrorizzata, andando a sbattere contro Conton.
«Tutto bene?» gli domandò questi, e allora lui si stirò i lembi della giacca e si aggiustò il papillon, cercando di riprendere un minimo di contegno.
«Cosa si fa in questi casi?» domandò a Castiel. «Ci si inginocchia e si chiede perdono per i propri peccati?»
«Dio manca da Settimo Cielo da un bel po’ di tempo, amico» intervenne allora Dean. «Lui è solo Cas» continuò, ricevendo un’occhiata non troppo felice del suo angelo per quel “solo Cas”. «E noi siamo Dean e Sam Winchester» fece le presentazioni. «Sembra che stiamo indagando sulla stessa cosa».
«Bene!» esclamò l’interpellato. «Io sono il Dottore, loro sono i Pond: Amy e Rory, e lui è Canton» ricambiò la cortesia.
«Ma chi siete voi?» chiese quindi Sam. «Siete usciti da una cabina blu, in cinque. E tu hai detto di avere novecentootto anni» sottolineò.
«Viaggiatori del tempo» spiegò il Dottore. «Amelia e Rory sono vostri contemporanei. Conton viene dal 1969 - l’anno dello sbarco sulla luna! - ed è stato lui a trovare Dorothy, ma non viaggia con noi molto spesso».
«E tu?» domandò ancora Sam.
«Io sono l’ultimo di una razza chiamata Signori del Tempo, proveniente dal pianeta Gallifrey» rivelò con voce grave ed una certa teatralità.
«Sì, sì. Ora smettila di vantarti» intervenne Amy, dandogli una leggera spallata. «Piuttosto, hai parlato di angeli piangenti, Dottore».
«Gli angeli non…» cominciò Castiel.
«Non quel tipo di angeli, amico» lo interruppe Dean.
«Non sarebbe il caso di andare a prendere River?» continuò Mrs. Pond.
«No, no. Decisamente no» l’ammonì l’amico.
«Hai paura di qualcosa?» insinuò lei.
«No, Amy. Okay, magari un po’, sì» ammise «Ma il problema è che il nostro passato è il suo futuro, quindi se la portassimo con noi e le rivelassimo ciò che già sappiamo sugli angeli…» spiegò.
«Spoiler!» cantilenò la ragazza come faceva sempre la Professoressa Song.
«Esatto» confermò il Dottore.
«Quindi, cosa sapete sugli angeli piangenti? Che diavolo sono quelle statue?» li richiamò Dean.
«Non sono statue. Solo un secondo…» replicò il Dottore, prendendo la chiave del TARDIS da una tasca e chiudendolo con il tipico beap-beap della chiusura centralizzata di una macchina, prima di farlo scomparire. «Sfasato di un secondo nel futuro, o quei cattivoni degli angeli cercheranno ancora di rubarmelo» spiegò.
«Ma cosa sono gli angeli piangenti?» chiese per l’ennesima volta Sam, prima che suo fratello potesse saltare al collo di quel tizio e soffocarlo con il suo stesso papillon. «Hai detto che non sono statue».
«Infatti, non lo sono. Gli angeli piangenti sono con ogni probabilità le creature più pericolose ed antiche dell’universo; esistono da sempre. E questo perché hanno la difesa migliore. Sono quantisticamente bloccate: possono muoversi molto velocemente se inosservate, ma si pietrificano se vengono viste. Non dipende da loro, è la loro biologia, quando vengono viste da una qualunque creatura vivente diventano letteralmente di sasso» spiegò «E non si può uccidere la pietra. La difesa suprema, impenetrabile. Non si coprono gli occhi perché piangono, ma perché non possono guardarsi nemmeno tra loro. Creature davvero tristi gli angeli piangenti».
«Ma cosa vogliono?» chiese allora Conton.
«Quello che vogliamo tutti: sopravvivere. Si cibano di energia, più precisamente del tempo sottratto alle persone che spediscono altrove. Più una persona è giovane,» spiegò osservando Dorothy «più tempo le portano via. Ecco perché ho dovuto nascondere la mia nave, è piena di energia e, se la ottenessero, sarebbe una catastrofe».
«Aspetta un attimo… quella è una nave? Una nave spaziale?!» esclamò Dean.
«Certo!» confermò il Dottore, quasi oltraggiato che avessero potuto pensare il contrario.
«Ehm… scusate,» li interruppe una vocina e Dorothy tirò una manica di Sam per attirare la sua attenzione «posso tornare a casa, adesso?»
«Oh, giusto. Dovremmo inventarci una storia, non possiamo certo lasciarti dire che hai viaggiato nel tempo» osservò, studiando la piccina.
«Perché no?» domandò lei.
«Perché penserebbero che non hai tutte le rotelle apposto, Riccioli d’Oro. Lo so per esperienza» intervenne Amy, chinandosi di fronte a lei ed accarezzandole i capelli chiari.
«Allora dirò che non ricordo nulla. Racconterò che l’Agente Conton mi ha trovata al supermercato e mi ha riportata a casa» decise saggiamente la piccola, mostrando una spiccata intelligenza.
«Ottima idea, Dorothy. E questo resterà il nostro piccolo segreto, eh?» propose Mrs. Pond facendole l’occhiolino ed offrendole il mignolo per giurare.
«Possiamo accompagnarti Dean ed io. Siamo già stati a casa dei tuoi genitori» sorrise Sam.
«In qualità di cosa?» chiese Conton con un sogghigno.
«Ehm… agenti dell’FBI» rispose il cacciatore.
«O gli standard sono molto cambiati, o voi non siete affatto miei colleghi» asserì questi, inarcando un sopracciglio. «Gridate truffa da tutti i pori».
«Senti chi parla, M.I.B.» [8] sbuffò Dean, ricevendo in cambio uno sguardo perplesso.
«Bene, allora voi accompagnerete Dorothy e noi inizieremo a cercare gli angeli» stabilì il Dottore. «A proposito, avete idea di quanti siano?» li interrogò poi.
«Calma, cowboy. Noi non lavoriamo con gli estranei. A Hugo, Victor e Laverne ci pensiamo noi» [9] obbiettò il maggiore dei Winchester.
«Gli angeli piangenti non si possono affrontare a colpi di pistola. Nessun’arma può scalfirli» asserì il Signore del Tempo con voce ferma e dura, invadendo il suo spazio personale in un modo che gli era spiacevolmente familiare, finché non poté puntare nei suoi quegli occhi chiarissimi ed antichi, incastonati in un volto troppo giovane. «Non puoi guardarli negli occhi e non puoi battere ciglio. Se lo fai, sei morto. Non puoi voltargli le spalle. Non puoi distogliere lo sguardo. E non puoi mai - mai, per nessun motivo - sbattere le palpebre» spiegò, scandendo bene le parole. «Pensi di poterli affrontare da solo, Dean Winchester?»
Il cacciatore deglutì a fatica, trovando quasi assurdo venire trattato come un moccioso da un tizio con quella faccia da ragazzino. «Ma noi abbiamo un’arma segreta» ghignò, poi.
«Arma segreta? Quale arma segreta?» chiese il Dottore scettico.
«Qualcuno che non ha bisogno di sbattere le palpebre» spiegò Dean, voltandosi all’indirizzo di Castiel. «Angeli piangenti Vs. angelo del Signore. Secondo te chi l’avrà vinta?»
«Oh, brillante!» esclamò l’alieno entusiasta. «Bene, allora, che stiamo aspettando? Andiamo!» sorrise, facendo riapparire il TARDIS ed aprendo le porte con uno schiocco di dita.
«Col cavolo! Non lascio qui la mia bambina!» sbottò il maggiore dei Winchester.
«Quale bambina?» replicò perplesso il Signore del Tempo.
«La mia macchina» chiarì Dean indicando l’Impala.
«Oh, ma è bellissima!» gli occhi del Dottore s’illuminarono e corse incontro all’automobile. «Una Chevrolet Impala! Del… vediamo un po’…» controllò leccandosi un indice e passandolo sulla carrozzeria.
«Ehi!» gridò il ragazzo oltraggiato.
«…1967? Alla fine degli anni ’50 erano molto di moda. “Un’automobile di prestigio alla portata del cittadino medio americano”» l’altro recitò il motto commerciale come se niente fosse. «Ti inviterei a portarla dentro, ma poi la mia bambina potrebbe offendersi» si scusò.
«Portarla dentro? In quella cabina?» ribatté Dean scettico.
«Ehi, non usare quel tono. Lei è molto sensibile» lo rimproverò il Dottore.
«E va bene, va bene. Lascia solo che parcheggi meglio la macchina. Ma tu…» asserì, puntandogli un indice contro «… leccala di nuovo e io ti infilo il papillon su per il tuo culo alieno, chiaro?»
Sam alzò gli occhi al cielo e Amy borbottò qualcosa che somigliava sospettosamente a: «Uomini e macchine. Attraverso il tempo e lo spazio non cambiano mai».
«Avranno qualcosa da compensare» le bisbigliò Conton a bassa voce.
«Probabile» convenne Rory.
«Tecnicamente non l’ho leccata» obbiettò il Signore del Tempo, ma decise che fosse più saggio lasciar perdere, quando il cacciatore si accigliò e gli rivolse un’occhiata decisamente cupa. «Ti verranno le rughe, sai?» aggiunse allora, indicandosi la fronte, in corrispondenza del punto in cui quella dell’altro si aggrottava, e Dean ringhiò. «Molto bene, andiamo?» concluse, fuggendo con discrezione dentro il TARDIS.
Gli altri lo seguirono dappresso e i Winchester si fermarono non appena misero un piede all’interno.
«Uoh! Mi prendi per il culo?» ansò Dean a bocca aperta e Sam boccheggiò.
«È… è…» smozzicò.
«Sì, è più grande all’interno che all’esterno» li anticipò il Dottore. «Rory, chiudi la porta. Ci pensi tu, a loro?»
«Perché sempre io?» replicò questi oltraggiato.
«Sei l’ultimo arrivato» gli ricordò Amy.
«Veramente è Canton» precisò il marito.
«In realtà, è Dorothy» concluse quest’ultimo.
Castiel era l’unico tranquillo, si guardava attorno con aria curiosa ed inespressiva; al Signore del Tempo non piacque molto.
«Avete finito?» sbuffò. «Dorothy, il pulsantone blu» le indico poi. «Reggetevi!» ordinò infine, e la nave si mise in moto, sballottandoli qua e là.
Indifferenti - e ormai abituati - Amy e Rory si diressero verso l’enorme guardaroba per cambiarsi, mentre gli altri si aggrappavano alla prima cosa a portata di mano e il Dottore e la bambina saltellavano attorno ai comandi.
Atterrarono dopo pochi minuti e Dean si precipitò letteralmente fuori, abbastanza verde in faccia.
«Qualcosa non va?» chiese Canton, mentre Sam batteva gentilmente una mano sulla spalla del fratello e Castiel si chinava per vedere meglio il volto del ragazzo, piegato in due per la nausea.
«Soffre il mal d’aereo» spiegò il minore dei Winchester.
«Non è vero!» obbiettò l’altro, ma il tono gli uscì semi-soffocato.
«Ha paura» spiegò allora in labiale il più piccolo, all’indirizzo dell’angente federale, mentre il loro angelo sfiorava la fronte di Dean per aiutarlo a riprendersi.
«Ci siamo davvero spostati» notò infine Sam. Si trovavano davanti a casa dei White, i genitori di della bambina scomparsa.
Dorothy si slanciò verso la porta, picchiandovi i pugni contro con impazienza, e lui la seguì, suonando il campanello. Sorrise quando Mrs. White aprì la porta e strinse la piccola tra le braccia, ringraziandolo tra le lacrime di sollievo.
Era bello riuscire a sistemare qualcosa per il verso giusto, una volta ogni tanto.

1. Doctor Who: 3x10 - Colpo d’occhio.
2. Pleasantville (1998).
3. Giappone Moderno.
4. Il Gobbo di Notre Dame - Disney (1996).
5. «Molto bene!» è in corsivo perché, anche in originale, il Dottore lo dice in italiano.
6. Il Mago di Oz (1939).
7. Per i non-addetti-ai-lavori: si tratta di un bracciale con meccanismo di teletrasporto usato dagli Agenti del Tempo, come quello del Capitano Jack Harkness.
8. Men in Black (1997).
9. I tre gargoyle di “Il Gobbo di Notre Dame”.

Capitolo sucessivo: Seconda Parte.

Potete trovarla anche su:
EFP;
 

crossover, destiel_italia: festival del crossover, supernatural, doctor who

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