Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean - Mr.Gennaio&Prof.Novak ‘verse.
Rating: NC17.
Beta: nessuna, causa tempo tiranno /o\
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Food!Play, Sesso descrittivo, Slash, Spin-off.
Words: 3355 (
fiumidiparole).
Summary: Una domenica mattina a casa, una torta ed una chiamata inopportuna.
Note: Spin-Off di
“I just want you to know who I am” e
“When Everything Feels Like the Movies”. Il titolo della fic, come quelli della storie che la precedono, è un verso di
“Iris” dei Go Go Dolls.
DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù
And all I can Breathe is your Life
Alle volte, perdere il tuo equilibrio per amore
è parte stessa del vivere una vita equilibrata.[1]
Era una domenica mattina di fine estate, afosa e sonnolenta. Dalla finestra spalancata, una lieve brezza - a malapena percettibile sulla pelle nuda - sospirava nell’aria torrida. Dean si contorse sul divano, innervosito; una molla del vecchio sofà gli stava perforando i reni. Annoiato, continuò a fare zapping ed il televisore gli offrì al meglio una pubblicità di analgesici, il trailer di un nuovo film di Woody Allen e la telecronaca di una partita di rugby. Sbuffò e lo spense, considerando l’idea di farsi una doccia ed uscire per combinare qualcosa di utile, tipo la spesa.
In quel momento, dalla cucina provenne una voce morbida che intonava qualche verso di una canzone dei Queen - A Keend of Magic, possibile? - e che, come al solito, gli fece rotolare un brivido caldo giù per la schiena. Cristo, la vera magia era quella voce.
Rovesciando la testa sul bracciolo del divano, riuscì a scorgere, oltre la penisola del tavolo, la figura sottile di Castiel, intento a preparare qualcosa ai fornelli. Il suo ragazzo - Dio, si sarebbe mai abituato a quella definizione? - l’aveva diffidato dal mettere piede lì; Dean bruciava dalla voglia di scoprire che diavolo stesse combinando.
E da quand’era che il professorino dettava legge anche nel suo appartamento? Due mesi, due fottutissimi mesi, e c’era roba di Cas un po’ ovunque - uno spazzolino in bagno, il familiare trench beige appeso all’attaccapanni, qualche cambio nei suoi cassetti - e lui non era nemmeno più padrone di mettere piede nella propria cucina.
Si passò una mano sulla faccia, sconsolato. Una parte di lui sapeva che doveva essere seccato, o quantomeno preoccupato, della situazione - le cose stavano progredendo troppo in fretta e tutte insieme -, l’altra semplicemente se ne infischiava. La verità era che Castiel aveva fatto irruzione nella sua vita investendolo come un treno e - no, aspetta, quello era il pullman da cui il suo angelo l’aveva salvato per un pelo -, in un punta di piedi, si era fatto strada nella sua routine, fino a diventarne parte integrante. Adattandosi ai suoi ritmi o facendosi inseguire, a seconda del caso, dell’umore di Dean o della situazione, quell’uomo lo seduceva ogni giorno e tutto da capo. Più cercava di capire cosa diavolo lo colpisse tanto di lui, più si rendeva conto che era tutto speciale.
Fregato, Dean Winchester, sei fregato, lo canzonò una vocina che suonava fastidiosamente simile a quella del suo fratellino Sammy. Vaffanculo, Samantha, pensò scivolando giù dal divano e gattonando silenziosamente sino alla penisola, per poi fermarsi lì dietro, in agguato.
Castiel stava rimestando qualcosa in una terrina. Nell’aria c’era odore di zucchero e scorza di limone, e la frusta produceva un ritmico clack-clack contro il fondo di plastica del contenitore. Era scalzo, le sue gambe lunghe e sottili erano nude e, a metà coscia, andavano a nascondersi sotto l’orlo scolorito di una vecchia maglietta azzurra; anche se non poteva vederla bene, Dean era certo che fosse quella con la stampa sbiadita di Pacman sul davanti - l’adorava.
Flessuoso come un felino, i jeans che frusciavano a malapena contro le mattonelle del pavimento, lo raggiunse e tirò l’orlo della maglia tra i denti.
Castiel sobbalzò e si voltò a guardarlo da sopra una spalla. «Che ci fai là sotto?» domandò, accigliandosi appena in quell’espressione perplessa che lo faceva sembrare un bimbo troppo cresciuto.
In risposta, Dean schiacciò il petto nudo contro le sue gambe e gli abbracciò la vita, poggiando una guancia sui suoi reni. «Mi stai facendo una torta?» lo interrogò, alzando su di lui due occhi entusiasti. Una torta, una torta fatta in casa tutta per lui!
«Forse» rispose il compagno, voltandosi per nascondere un sorriso divertito.
«Torta» Dean sollevò la maglia e gli morse una natica, ammirando quel sedere perfetto incellofanato nei boxer blu. Castiel lo ignorò. «Torta!» esclamò lui di nuovo, strusciando il viso contro la sua schiena.
Il clack-clack s’interruppe. «Cosa ti fa credere che sia per te?»
L’entusiasmo di Dean si sgonfiò e la sua bocca s’incurvò all’ingiù. Posò la fronte contro i suoi reni, deluso. Il suo angelo sbirciò da sopra la propria spalla e sorrise appena. Stronzo, s’imbronciò lui.
«Mi dai una mano?» propose Cas.
«Cosa ci guadagno?»
«Ti faccio assaggiare l’impasto» offrì il compagno, immergendo un dito nella terrina e porgendoglielo.
Dean catturò l’indice affusolato tra le labbra, lasciando che la dolcezza del miscuglio gli esplodesse sulla lingua. Mugolò estasiato; già si preannunciava una delizia. «Okay» si arrese, comprato a buon prezzo, e si rialzò in piedi - non prima di aver dato un’ultima palpata al suo sedere, però.
«Continua a mescolare e aggiungi la farina lentamente» lo istruì Castiel, mettendogli in mano la frusta ed indicandogli il piatto con la farina già pesata. «Io, intanto, imburrerò la teglia e sbuccerò le mele. Ah, aspetta, manca questa!» aprì una piccola bustina di vanillina e la versò nel composto, prima di allontanarsi di qualche passo.
Ad ogni aggiunta di farina, l’impasto diventava sempre più denso e mescolarlo manualmente era davvero noioso. Dean ricordò che sua madre usava sempre le fruste elettriche, ma chiaramente lui a casa non aveva nulla del genere.
«Se ti sembra che diventi troppo pesante, aggiungiamo un po’ di latte» disse il compagno, dopo aver preparato la teglia, osservando la sua espressione corrucciata.
«Non ho idea di che consistenza debba avere» sbuffò lui.
Castiel sbirciò nella terrina. «Per adesso va bene» decretò, poi gli scivolò alle spalle. «No, aspetta, fa così» spiegò, coprendo la mano che impugnava la frusta e correggendo il suo movimento circolare in uno che andava dal basso verso l’alto. «È rilassante, no?» sussurrò al suo orecchio dopo un po’, posando un bacio all’angolo della sua mascella.
Dean rabbrividì, sopprimendo la tentazione di poggiarsi contro il suo petto. «Non sapevo fossi bravo in queste cose» osservò, tanto per dire qualcosa.
«Ho imparato quand’ero ragazzino» rispose il professore, poggiando il mento sulla sua spalla.
«Fammi indovinare: boyscout?»
Castiel ridacchiò. «Non solo, aiutavo mia madre quando preparava dolci per beneficenza».
«Dio, la tua era davvero una vita da apple pie, eh?» sogghignò. E quella non era proprio una torta di mele? [2]
«Uhm… sì, per un po’» ammise il compagno, cingendogli la vita ed attirandolo contro di sé.
«Poi cos’è successo?» domandò intuendo il ma omesso nella frase.
Il suo uomo sospirò. «Ho fatto coming out» spiegò «Mio padre non l’ha presa molto bene. Sai, pastore protestante e tutto il resto… così sono andato via».
«Oh…» mormorò Dean, mordicchiandosi un labbro. Lui non aveva ancora avuto il coraggio di parlarne con sua madre, l’unico a conoscenza di quella relazione era Sammy, il massimo che Mary Winchester sapesse era che lui non saltava più da un letto ad un altro come una volta; più che abbastanza per incuriosirla. «Sì, immagino che nemmeno mio padre avrebbe fatto i salti di gioia» considerò. Per usare un eufemismo, concluse tra sé.
John Winchester era stato l’uomo più dedito alla famiglia del mondo: era andato in guerra, aveva aperto un’officina da meccanico ed aveva tirato su due splendidi marmocchi; l’emblema del perfetto padre americano. Il problema era che Dean non si era mai sentito abbastanza, aveva sempre avuto l’impressione di dovergli dimostrare qualcosa e le uniche buone qualità che pensava di aver ereditato da lui erano aspetto fisico e fegato da vendere. Il che, nella sua famiglia di super dotati, non era poi un granché. Sua madre, ancora oggi, era ai suoi occhi la donna più bella che conoscesse, suo padre era stato uno sciupafemmine finché lei non l’aveva accalappiato, ed il suo fratellino era un genio alto due metri con due occhi da cucciolo ed il sorriso da Mentadent; roba da far venire l’ansia da prestazione perfino a Jean-Claude Van Damme.
Quando aveva rinunciato al college - che davvero non gli era mai interessato; proprio non si sentiva tagliato per quello - ed era entrato all’accademia dei vigili del fuoco, era stato probabilmente il giorno in cui aveva reso suo padre più fiero di lui in tutta la sua vita.
«Ma tu continui a credere in Dio» osservò poi, perché Castiel aveva una fede davvero singolare, qualcosa che probabilmente lui non avrebbe mai capito.
«Il Signore è infallibile, perciò sono arrivato alla conclusione di essere esattamente come lui mi vuole» scrollò le spalle con una serenità da monaco tibetano.
«Ora mi dirai che Lui ha un piano per tutti noi?» ironizzò Dean.
«Perché no? È un caso che abbia comprato un calendario in cui posavi per la raccolta fondi dei pompieri, Mr Gennaio? Ed è sempre un caso che ti abbia raccolto dalla strada due mesi fa? Forse, ma preferisco pensare che ci fosse qualcosa di più grande all’opera. Lo trovò rassicurante» spiegò, come se stesse tenendo una delle sue lezioni di teologia all’università. Posò un bacio sul suo collo, poi immerse di nuovo il dito nell’impasto per assaggiarlo.
«A me sembra inquietante» obbiettò lui e Castiel gli infilò l’indice in bocca, zittendolo con i rimasugli del miscuglio. Un attimo dopo, lo sospinse a girare il viso il più possibile e sostituì la piccola intrusione con le sue labbra.
Dean perse la presa sulla frusta, lasciandola cadere nell’imbasto fino al manico; Castiel aveva questa capacita, quella di fargli piegare le ginocchia con un solo bacio. Si ritrovò a voltarsi e poggiare i fianchi contro il bancone della cucina, in modo da godersi più agevolmente quelle attenzione, lasciando che la sua lingua gli riempisse la bocca e facesse un po’ quel che voleva.
«Non hai ancora messo il lievito, vero?» domandò il compagno sulle sue labbra e lui dovette concentrarsi per ricordare e scuotere la testa in un cenno di diniego. «Bene» decretò il suo angelo ed un attimo dopo allontanò il contenitore dell’impasto e portò le mani sotto il suo sedere, per incitarlo a saltare sul banco, scivolando poi tra le sue gambe.
Un lungo brivido rotolò lungo la schiena di Dean. Quando voleva, Castiel poteva abbandonarsi totalmente al suo volere, diventando una creature morbida, sensuale e lasciva, ma era questo - questo - che più di tutto gli faceva perdere la testa: la sua capacità naturale di prendere il comando e ridurre lui ad una gelatina tremolante. Non aveva nulla a che fare con chi stesse sopra o sotto, semplicemente quegli occhi blu si oscuravano in un modo pericoloso ed incrollabile che gli diceva che - da quel momento in poi - non aveva alcuna voce in capitolo, e Dean si ritrovava completamente alla sua merce.
Le mani di Castiel gli ghermirono i fianchi, attirandolo contro il suo bacino, mentre si appropriava di nuovo della sua bocca. Lui intrecciò le dita tra i suoi capelli scuri, soffici come piume, adorando la frizione ritmica tra i loro membri ancora imprigionati nella stoffa, che diventavano sempre più duri. Impaziente, il compagno gli slacciò i jeans e li tirò giù insieme all’intimo, lasciandoli ad ammonticchiarsi attorno ad una delle sue caviglie per passare a liberarsi dei propri boxer. Quando fece per togliersi anche la maglietta, però, Dean lo fermò.
«Tienila addosso» ansò, cingendogli la vita con le gambe nude e sollevando il tessuto sdrucito il tanto sufficiente ad accarezzargli l’addome e permettere ai loro uccelli di toccarsi.
Castiel si spinse di nuovo contro di lui, stavolta pelle su pelle, e la frizione bollente fece crollare indietro la testa del ragazzo, dandogli libero accesso al suo collo. Lui tremò e gemette, quando i denti del compagno gli affondarono nella giugulare. Sì, così, proprio così.
La lingua di Castiel rotolò giù fino alla sua clavicola, tracciandone il profilo, poi scese sullo sterno. Intanto una delle sue mani si allungò a recuperare la frusta scivolata nell’impasto, facendo cadere qualche goccia sul banco e ben più di qualcuna sul torace di Dean, sul suo bacino e perfino sul suo inguine. Questi trattenne il fiato, immaginando cosa sarebbe accaduto da lì ad un attimo, e lo rilasciò in un sospiro tremante quando la bocca di Castiel si chiuse su uno dei suoi capezzoli, ripulendolo dal composto.
Labbra, denti e lingua si rincorsero sul petto di Dean e sul suo addome, raccogliendo le tracce dell’impasto e lasciando al suo posto una scia di marchi rossi. Il compagno gli allargò le gambe, incastrandone una sopra la propria spalla ed affondò due dita nel piattino del burro; l’altro tremò in anticipazione, quando comprese le sue intenzioni, e ridacchiò.
«Potevi dirmelo che avevi intenzione di usarla così, tutta questa roba» ansò senza fiato, mentre Castiel posava un bacio sulla piega del suo inguine e sfiorava il solco tra le sue natiche.
«Non devi venire a provocarmi quando sei mezzo-nudo. Sai come va a finire» gli rispose lui, con voce ancora più roca del solito, prima di mordere forte il suo interno coscia, succhiando la pelle candida per lasciarvi l’ennesimo segno.
Dean gemette e si inarcò, rischiando di scivolare giù dal banco. Gli venne ancora da ridere, in modo un po’ sopraffatto. Due mesi e sembrava che a Cas non fosse ancora passata la voglia di sbatterlo sulla prima superficie a disposizione; il letto lo usavano, sì e no, tre volte su dieci.
Un dito affondò dentro di lui, spezzando la sua risata e sostituendola con un gemito, quando la bocca di Castiel si chiuse sulla punta del suo membro. Dean si aggrappò al bancone e chiuse gli occhi, mordendosi un labbro quando si rese conto che il piccolo fastidio di quella intrusione non faceva altro che eccitarlo di più - quando era diventato così?
Un palmo spinse gentilmente sul suo petto, incitandolo a stendersi, ma il massimo che lui fece fu puntellarsi sugli avambracci; la bocca di Castiel attorno al suo uccello era uno spettacolo troppo allettante per perderlo. Pacman sta per mangiarmi, pensò con grande coerenza. Un’altra falange s’intrufolò nel suo corpo e Dean ansimò, lasciando ricadere indietro il capo. Intrecciò le dita tra i capelli sottili del suo angelo e lo obbligò a staccarsi da lui, o non sarebbe durato due minuti di più, e non era così che voleva venire. Lo attirò a sé e catturò le sue labbra, e la lingua di Castiel gli riempì la bocca nel momento esatto in cui trovò la sua prostata, spezzandogli il respiro.
«Datti una mossa» ringhiò Dean, il piacere che si inerpicava lungo la sua schiena, esplodendogli nella testa. E Castiel non se lo fece ripetere; rimosse quelle intrusioni solo per affondare in lui con un’unica lenta spinta, mentre il compagno gli piantava i denti su una spalla, strattonando il collo della maglietta sdrucita.
Fu in quel momento che un cellulare iniziò a squillare. Entrambi lo ignorarono, ma il rumore improvviso servì a restituire a Dean un briciolo di coscienza. Di colpo, si rese conto che avevano dimenticato il preservativo ed avrebbe voluto riuscire a dire qualcosa, davvero, ma la sensazione bollente di Castiel dentro di lui, senza quell’affare a frapporsi, era nuova e - Cristo! - incredibile.
«Non hai messo…» fu tutto ciò che riuscì a smozzicare, mentre il suo angelo si muoveva con sicurezza, incendiando il suo corpo, ed il telefonino continuava a squillare.
«Lo so» fu tutto ciò che rispose il compagno, leccando la curva sudata del suo collo.
Dean si lasciò ricadere sul bancone, privo di forze, ma gli cinse la vita con le gambe, attirandolo ancora di più dentro di sé. Le mani di Castiel, forti ed affusolate, gli ghermirono i fianchi, sollevandoli ed inclinandoli, riuscendo a scoparlo chissà come ancora più a fondo e raggiungendo quel punto perfetto, che gli fece esplodere i fuochi d’artificio dietro le palpebre chiuse.
Il cellulare si zittì. Dean si inarcò, andando incontro ai suoi movimenti, e le mani dell’amante risalirono sul suo petto, pizzicandogli i capezzoli. Poi fu il turno del telefono fisso di iniziare a squillare.
«Ma che cazzo…?» ansò il padrone di casa, fissando l’apparecchio poggiato sul tavolo, a due braccia da lui. Castiel ridacchiò e spinse più forte, facendogli dimenticare perfino il proprio nome, figuriamoci l’esistenza del telefono. Peccato che avesse dimenticato anche quella delle segreteria.
Ci fu un bip acuto, poi una voce familiare arrivò dall’apparecchio. «Ehilà, Mr. Gennaio! Sei in casa?»
«Non ci credo» soffiò il professore, passandosi una mano tra i capelli sudati, che gli si erano incollati alla fronte, e rallentando inconsciamente il ritmo, con disappunto di Dean.
«Dovresti esserci, no? Perché Cassey non è in casa e non mi risponde al cellulare. È lì da te, vero?» continuò il seccatore.
«Cristo! Ma dove lo hai trovato, questo qui?» ringhiò Dean ed avrebbe voluto continuare ad ignorarlo, ma l’idiota non la smetteva più di ciarlare di una qualche festa, di champagne e di una soprano, e lui non ne poteva davvero più. Allungò una mano ed arraffò il cordless, quasi troncandolo in due per il nervoso. «Balthazar, quando qualcuno non ti risponde al telefono, di solito ci sono due buone ragioni: o non è in casa, o ha di meglio da fare che parlare con te!» abbaiò ed il tono gli sarebbe venuto fuori molto più minaccioso, davvero, se solo Castiel non avesse scelto quel momento per afferrare il suo uccello e ricominciare a scoparlo.
«Ops! È un brutto momento?» domandò l’amico d’infanzia del suo ragazzo e Dean quasi riusciva a vedere il sogghigno divertito nascosto nelle sue parole; fottutissimo spaventapasseri impiccione.
«Balthazar?» ansò.
«Sì?» cinguetto lui soave.
«Vaffanculo» concluse, chiudendo la chiamata e strappando il filo del telefono dalla parete, prima di mandare il cordless a schiantarsi contro il muro.
Castiel si chinò su di lui, un sorriso appena accennato su quelle labbra da infarto, e gli afferrò i polsi, portandoli sopra la sua testa. «Mi piaci quando ti arrabbi» sussurrò, sottolineando il concetto con un movimento fantastico che sciolse Dean come il burro sul piattino.
«Scopami» replicò lui «Scopami e basta, cazzo».
E Castiel non lo deluse, spingendosi in lui così in profondità che Dean ebbe l’impressione di sentirlo fin dentro la testa. Lottò contro la sua presa, volendo mettersi seduto, ma lui non glielo permise.
«Fermo» ordinò il suo angelo «Ti voglio così. Non ti renderò le cose facili». E solo la punta di minaccia nascosta nella sua voce fu sufficiente a farlo gemere. Poi Castiel affondò in lui ancora, ancora ed ancora, sempre più veloce, e tutto quello che Dean poté fare fu andare incontro alle sue spinte - sì, così! - e prenderle tutte
Castiel si chinò e lo morse su un fianco, poco sotto il costato, in quel punto sensibile dove soffriva perfino il solletico, e poi Dean stava venendo, imbrattandogli il collo ed il suo stesso ventre, la schiena che si piegava in un arco quasi doloroso. L’amante continuò a spingere in lui più gentilmente, accompagnando gli ultimi strascichi del suo piacere, finché i tremiti del suo corpo non si acquietarono, poi si fermò, facendogli spalancare gli occhi.
Dean poteva sentirlo ancora duro e bollente dentro di sé e grosse gocce di sudore rotolavano lungo le tempie di Castiel, giù per il suo viso cesellato. Teneva le palpebre serrate e sembrò fare violenza a se stesso quando si costrinse a lasciare il suo corpo; la maglietta azzurra era fradicia e perfino Pacman sembrava terribilmente frustrato.
«Che succede?» biascicò il ragazzo ed il suo angelo socchiuse gli occhi e lo tirò su per i polsi, con delicatezza, aiutandolo a rimettersi seduto. Lo abbraccio, schiacciando il suo sesso tra i loro corpi, e gli prese il viso tra le mani, baciandolo lentamente, mentre si strusciava su di lui, sul suo ventre già macchiato di seme.
Intuendo le sue intenzioni, Dean lo strinse di più a sé, artigliando le sue natiche. «Sì, angelo, vienimi addosso» bisbigliò al suo orecchio, godendo del tremito che riuscì a scatenare. Baciò quel punto delizioso appena sotto la sua mascella e Castiel soffocò un gemito contro il suo collo.
Dean gli accarezzò le labbra morbide con un dito, spingendolo poi tra di esse; lo sostituì con la propria bocca poco dopo, mentre affondava quella piccola intrusione dentro di lui, ingoiando i suoi gemiti. Poi Castiel gli morse un labbro, facendolo sanguinare, ed il suo piacere si sparse tra i loro ventri.
Dean lo cullò tra braccia e gli piantò una scia di morsetti dispettosi su una spalla, attraverso il cotone della maglia, mentre il suo compagno riprendeva a respirare.
«Scusa» sospirò il suo angelo, leccando via la traccia di sangue dalla sua bocca, prima di abbandonare la testa sul suo petto.
Dean ridacchiò, per niente seccato. «Dobbiamo cucinare insieme più spesso» replicò, e Castiel iniziò a ridere sommessamente, nascondendosi contro il suo torace, tutto il suo corpo scosso da sussulti, facendolo sorridere come un idiota.
Sì, era proprio fregato.
FINE.
[1] “Mangia, Prega, Ama” di Elizabeth Gilbert.
[2] Apple Pie Life è un modo di dire anglofono, l’equivalente del nostro vita da mulino bianco.
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EFP.