I'll Take the Rain

Dec 27, 2011 12:00


Fandom: Merlin.
Pairing/Personaggi: Arthur/Merlin, confidente designato Lancelot, nominati un po’ tutti.
Rating: NC17;
Beta: koorime_yu e neera_pendragon.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Reincarnation!AU, Adulto/minore, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 2793 (fiumidiparole).
Summary: La vita di Arthur è assolutamente normale, ma un certo Professor Emrys viene assunto come supplente di chimica e le cose cominciano a farsi bizzarre.
Note: Scritta per Come Ti Trombo Il Prof di maridichallenge, sul prompt Fermata dell’autobus della mia cartellina per la Maritombola 3, sempre di maridichallenge, e per il prompt Studenti della mia Tabellina Generale presa da auverse.
Il titolo è lo stesso dell’omonima canzone degli R.E.M.

DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù

I'll Take the Rain

Arthur era un ragazzo normale. Aveva una folta cricca di amici, gli piaceva giocare a football, il sabato sera usciva per ubriacarsi e provarci con le ragazze - non necessariamente tutto insieme o in quest’ordine -, ed era uno studente nella media. Come ogni diciassettenne che si rispetti riteneva di sapere la verità sul mondo e la sua più grande preoccupazione era non far scoprire a suo padre - il Giudice Uther Pendragon, o il Re del Foro, come lo avevano soprannominato i colleghi - che non aveva alcun interesse per la giurisprudenza.
Tutto questo fino a quando il Professor Emrys era stato assunto come supplente di chimica. Da quando quel tizio era arrivato, Arthur provava delle strane sensazioni. C’era qualcosa di incredibilmente familiare nella sua figura sottile, in quei grandi occhi blu, nei suoi sorrisi scanzonati, e - soprattutto - in quelle sue enormi orecchie a sventola.
Il problema era che lui era ragionevolmente sicuro di non averlo mai visto prima; insomma, si sarebbe ricordato di un trentenne con quella faccia da idiota e delle parabole che gli spuntavano dai capelli, se lo avesse già incontrato.
Poi iniziarono i flashback, e Arthur capì di essere appena uscito fuori di testa. Completamente.

*°*°*°*°*

«Pendragon, quella soluzione sta bollendo. Pensi di riuscire a tirarla giù dal fornello, prima che esploda?» lo richiamò il Professor Emrys.
Arthur per poco non rispose: «Rivolgiti di nuovo a me con quel tono, Merlin, e ti metterò alla gogna per il resto dei tuoi giorni». Si trattenne appena in tempo.
«Pendragon?» lo richiamò il docente, mentre il composto iniziava a fumare - un fumo nero e acre, che puzzava di uova marce - e dovette allungarsi a spegnere il fornello al suo posto. «Non so davvero che fare con la tua testa di legno, Pendragon» sospirò.
Il ragazzo alzò il viso, trovando quello dell’altro ad una spanna di distanza, e gli occhi gli caddero sulle sue labbra, come calamitati da una volontà superiore. Sentì l’istinto d’infilare le dita tra quei capelli - che sapeva essere folti e morbidissimi - e premerle sulle proprie.
Impallidì.
«Mi dispiace, Signore. Mi fa male la testa» disse con voce rauca, e non era nemmeno tanto una bugia.
Il Professore sembrò prendere la sua parole per buona, perché ordinò: «Lancelot, accompagnalo in infermeria, per favore» rivolgendosi al suo compagno di banco.
Emrys, forse anche perché era così giovane, chiamava sempre gli studenti per nome di battesimo, a meno che non dovesse rimproverarli. Il fatto che Arthur fosse quello che chiamava più spesso per cognome era tutto dire.

*°*°*°*°*

Più tardi, alla fermata dell’autobus, quando si furono lasciati indietro il resto del gruppo e non c’era Gaius, il medico della scuola, a ronzargli intorno, Lancelot gli chiese finalmente: «Ehi, cos’è successo stamattina? Sembrava che avessi appena visto un fantasma».
Una pioggerella sottile ingrigiva la strada, tamburellando sul tetto di plastica della pensilina e lasciando lunghe striature trasparenti in mezzo alla polvere che la copriva. Arthur seguì il corso di una goccia finché non precipitò giù dall’orlo e poté acchiapparla con una mano.
«Niente, solo un’emicrania, te l’ho detto» sviò.
«Deve essere molto frequente, in quest’ultimo periodo, allora» osservò l’amico, con apparente innocenza, poggiandosi con una spalla contro il pannello laterale destro.
Se Lancelot non fosse stato la persona più gentile e a modo di questo mondo, lui l’avrebbe già mandato al diavolo da un bel pezzo, perché era davvero troppo inopportunamente sveglio.
«Se te lo dicessi, non ci crederesti» sbuffò quindi Arthur.
«Mettimi alla prova» lo sollecitò l’altro, dandogli un colpetto su un fianco con il manico dell’ombrello.
«Hai presente il Ciclo Arturiano?» esordì lui, fingendo di controllare se l’autobus stesse arrivando. Una macchina passò davanti a loro, proprio sopra una pozzanghera, sollevando una piccola onda d’acqua e costringendoli a fare un salto indietro per non bagnarsi. Arthur attese finché l’amico annuì, poi concluse: «È tutto una farsa, ed io ci sono appena caduto dentro».
Lancelot non gli diede dello psicopatico, dopo che gli parlò dei dejà-vu, dei sogni e dei ricordi che continuavano ad assalirlo da quando il Professor Emrys era comparso. Rimase zitto e ci rifletté per qualche minuto, gli occhi scuri che scrutavano nei suoi senza pregiudizi.
«Ti credo» decretò alla fine.
«Sul serio?» replicò Arthur sorpreso.
«Sì, hai presente come il nostro gruppo si è unito? Posso capire te e tua sorella Morgana con Gwen ed Elyan, che sono vostri amici d’infanzia. Ma Percival, Gwaine ed io? Ci siamo avvicinati a voi, e tra noi, non appena ci siamo ritrovati tutti insieme. Come se fosse normale - naturale - e ci conoscessimo da tutta la vita» osservò Lancelot, pensoso, e lui non poté che dargli ragione.
«Ma allora perché sta succedendo solo a me? Perché tutti voi non state ricordando il passato?» sbuffò.
«Perché tu sei Arthur. Conosci la leggenda, no? Il Re di oggi e di domani, destinato a tornare quando l’Inghilterra avrà di nuovo bisogno di lui» rispose il compagno dopo un altro momento di riflessione, come se fosse ovvio, allungando un braccio per richiamare l’attenzione del autobus, finalmente spuntato da dietro l’angolo.
Forse, dopotutto, era Lancelot quello fuori di testa.

*°*°*°*°*

Il problema non erano solo i ricordi, ad ogni modo. Il problema… era che Arthur non era gay, okay? Gli erano sempre piaciute le ragazze - gli piacevano ancora, accidenti! - e scoprire all’improvviso di provare qualcosa per un uomo… insomma, sogno o follia, sempre di lui che voleva sbattersi il suo professore - maschio - si trattava. Arthur era abbastanza onesto da riconoscerlo con se stesso.
Non aveva mai avuto particolari pregiudizi sull’omosessualità, non pensava che fossero malati o contro natura, ecco. Anche se magari si era comportato un tantino da deficiente nei loro confronti, ma mai in modo pesante, davvero! Giusto qualche battuta su quanto fossero delle mammolette, d’accordo? Lo faceva perché erano effeminati, non perché erano gay. Capiamoci, sono due cose diverse. Arthur era abbastanza coerente da prenderli in giro anche se fossero stati etero ed effeminati; non era razzista.
Il punto, comunque, era che Arthur non era gay, né aveva pregiudizi, però era un po’ spaventato.
Alla fine dei conti, si trattava sempre di prenderlo, e se anche - per qualche insperato colpo di fortuna, visto che Merlin aveva trent’anni, in questa vita, e Arthur era abbastanza intelligente da capire come sarebbero potute andare le cose - non fosse stato lui a riceverlo, come poteva essere sicuro di non fargli male? E forse tutto questo era affrettato, visto che per il novantanove percento delle probabilità lui non aveva chance, ma non poteva fare a meno di pensarci. Soprattutto la notte. Con una mano infilata nelle mutante, sì.
Quindi in effetti non stava dormendo un accidenti e sembrava sempre di più uno zombi. Probabilmente era come diceva Morgana: pensare non gli faceva bene. E, no, non avrebbe mai ammesso davanti a lei che gli aveva dato ragione anche solo nella propria testa, no. Oppure era quello il primo vero segno di follia: credere a quello che gli diceva sua sorella.
In sintesi: Arthur era fottuto.
Non ancora letteralmente, per fortuna.

*°*°*°*°*

Arthur si sporse dalla scala per leggere i titoli sullo scaffale più alto. Dopo un momento, trovò The Once and the Future King, lo sfilò da mezzo a due volumi molto pesanti e molto polverosi, e soffiò via la lanugine accumulata sulla copertina. Cinque scalini più sotto, qualcuno starnutì.
Abbassò lo sguardo per incontrare due occhi blu che si erano appena alzati su di lui.
«Arthur» esclamò sorpreso il Professor Emrys «Ecco qualcuno che proprio non mi aspettavo di trovare in biblioteca» osservò divertito.
«Avevo un’ora buca» rispose lui a mo’ di spiegazione, scendendo i gradini. «Le ho gettato la polvere addosso, mi spiace. Non l’avevo sentita arrivare».
Il docente lo osservò come se avesse appena visto qualcosa di interessante. «Sei molto più sopportabile quando sei lontano dai tuoi compari, Pendragon» asserì.
Arthur si accorse con disappunto di essere un po’ più basso di lui. Nei suoi ricordi non era affatto così, ma lì avevano la stessa età; suppose che nei prossimi anni sarebbe cresciuto il tanto che gli mancava per raggiungere i suoi occhi e per superarli perfino un po’. E comunque, era sempre più muscoloso di Merlin, che era eternamente troppo magro.
«Arthur?» lo richiamò quest’ultimo, sventolando una mano davanti al suo viso «Ti eri imbambolato».
«Stavo pensando. Chi ha un cervello ogni tanto lo fa, sai?» rispose, prima di riuscire a trattenersi. «Io… uhm… mi scusi» borbottò poi. Dio, era così stupido, accidenti. Distolse lo sguardo e contrasse la mascella. Doveva smetterla di vivere nel passato, maledizione.
«Il corvo che dice nero alla cornacchia» lo canzonò il Professore, sorprendendolo.
Arthur si voltò di nuovo per scoprire che Emrys non sembrava affatto scocciato, non davvero almeno, anche se aveva un sopracciglio inarcato con aria divertita. E la sua faccia doveva essere particolarmente idiota, perché un sorriso contagioso si allargò sul viso di Merlin, tracciando due profonde virgole ai lati della sua bocca incorniciata dal pizzetto.
Arthur si sentì arrossire ed abbassò lo sguardo. Spiò il suo fisico, immaginando la morsa in cui quelle gambe lunghe gli avrebbero stretto la vita, poteva quasi sentire sulla lingua il sapore della sua pelle bianchissima, proprio lì, in quel punto del suo collo sottile che lo faceva rabbrividire da capo a piedi. Il ricordo fu così vivido da farlo barcollare.
Merlin lo afferrò per le spalle con una fermezza insospettabile, sorreggendolo, ed il suo profumo era troppo intenso, troppo vicino. Arthur non riusciva a respirare.
Sì aggrappò ad una mensola per tenersi su, la faccia affondata nel petto ossuto dell’altro, la testa leggera come un palloncino gonfiato ad elio.
«Arthur, ti senti male?» gli chiese il Professore, chinando il capo e sussurrandogli quasi le parole all’orecchio.
Alzare il viso e baciarlo fu la cosa più naturale del mondo, e lui non stava pensando, non davvero, ma sapeva alla perfezione come far schiudere quella bocca. Merlin si irrigidì ed il piccolo gemito che fece in risposta, quando intrufolò la lingua tra le sue labbra, suonava impotente.
Durò poco, perché i baci che durano minuti interi si trovano solo nei film Disney ed Emrys si scostò quasi subito, ma Arthur ebbe l’impressione di non aver fatto altro per tutta la vita.
«Cos’era questo?» ansò l’altro, non appena le sue labbra furono di nuovo libere.
Per un attimo il ragazzo non riuscì a rispondergli, troppo intento a fissare quella bocca tutta rossa e gonfia, poi si accigliò. «Davvero non ricordi nulla, Merlin? Almeno tu…» disse, con voce che suonava lamentosa perfino alle proprie orecchie.
«Cosa dovrei ricordare?» chiese lui, perplesso.
Le spalle di Arthur si incurvarono. «Nulla. Non importa» sospirò. Certo, cosa si aspettava, di rompere l’incantesimo con un bacio, come nelle fiabe? Si accorse, però, di aver lasciato cadere il libro a terra e di avere le mani attorno al suo collo, e nemmeno allora smise di accarezzargli il viso con i pollici.
«Questo non va bene, Pendragon. Se qualcuno ci avesse visto, alla meglio ora avrei perso il lavoro» lo rimproverò il Professore, afferrando i suoi polsi per allontanarlo.
«Il mese prossimo sarò maggiorenne» rispose lui.
«Non è questo il punto».
«Non ti ha dato fastidio. Non davvero, o mi avresti spinto via» sostenne Arthur, fissandolo negli occhi non determinazione, ed avanzando di mezzo passo per schiacciarsi contro di lui.
Emrys si ritrovò con le spalle contro gli scaffali ed il suo corpo completamente premuto addosso. «Mi farai arrestare» riuscì a dire, prima che la bocca del ragazzo si avventasse sul suo collo, e tutto quello che gli uscì in seguito fu un gemito.
«Allora basta non farci beccare, non credi?» Arthur sorrise contro la sua gola, allentandogli la cravatta per avere più spazio, più pelle, più tutto. «Qui non viene nessuno, a quest’ora» aggiunse per rassicurarlo.
Merlin ansimò e lui gli tappò la bocca con un bacio. «Shhh» sussurrò sulle sue labbra, prima di schiuderle di nuovo con la lingua. Il Professore tremava - e Arthur non era da meno, in effetti - ma gli strinse i fianchi, quando lui fece scivolare un ginocchio tra le sue gambe.
«A-Arthur» ritentò Emrys, con voce incerta.
Questi si fermò un attimo, poggiando la fronte contro la sua. Non voleva forzarlo, accidenti. «Dimmi che non mi vuoi, e me ne vado» sospirò, guardando dritto nei suoi occhi.
Merlin aprì la bocca, ma nessun suono uscì da essa. Lui lo prese come un buon segno.
Portò una mano alla sua camicia, sfilandola dai pantaloni, poi si intrufolò sotto di essa, accarezzando la pelle liscia del ventre e i fianchi ossuti. Emrys deglutì pesantemente ed Arthur riprese a baciarlo. Lasciò scorrere i palmi sulla sua schiena, su e giù, poi gli afferrò le natiche a piene mani, schiacciando il suo corpo contro il proprio.
Le dita del professore risalirono da prima sulle sue spalle, aggrappandosi a lui, poi ai suoi capelli.
Le immerse tra di essi, accarezzandoli e strattonandoli, mentre il ragazzo gli mordeva le labbra, le succhiava e vi affondava con prepotenza la lingua in mezzo.
Arthur cominciava ad avere terribilmente caldo, il cuore gli rimbombava nelle orecchie, assordandolo, e avrebbe voluto liberarsi della giacca rossa della squadra di football, ma non riusciva a lasciare Merlin e la sua pelle, non mentre lui iniziava a rispondere ad ogni tocco, ad ogni bacio, trasformandolo in una guerra per la supremazia.
Si staccò brevemente dalla sua bocca, respirando contro la sua guancia, e slacciò la cintura dei suoi pantaloni, con gesti goffi ed impacciati dall’eccitazione. Imprecò sottovoce contro passanti e bottoni - maledizione, cos’era, una cintura di castità? -, finché quasi fece saltare la zip, ed infilò una mano nei suoi boxer. Emrys singhiozzò al suo orecchio e spinse nel suo palmo, e Arthur si allontanò di qualche centimetro per vedere meglio il suo viso, arrossato e contratto: uno spettacolo.
Era strano toccare qualcun altro in quel modo, ma non troppo diverso dal farlo su se stesso, e di sicuro molto più semplice che con una ragazza; sapeva istintivamente come muoversi e quanta forza usare. Dopotutto, forse Morgana aveva ragione: gli uomini sono tutti uguali.
Merlin ansimò quando lui fece passare il pollice sulla cappella, stuzzicando con l’unghia cortissima il taglio del glande, e Arthur riprese a baciare il suo collo, risalendo fino a giocare con una delle sue buffe orecchie, mentre accelerava il ritmo. Si pressò contro il suo fianco, strusciandosi istintivamente contro di lui - aveva l’impressione che l’uccello stesse per esplodergli - e solo allora il Professore pensò bene di darsi una mossa e ricambiare il favore.
«S-sei… sempre troppo lento, Merlin» ansimò, soffocando un gemito contro la sua camicia, quando l’uomo strinse le dita attorno al suo sesso e cominciò subito ad accarezzarlo energicamente, togliendogli il fiato.
«Silenzio, Testa di Legno» sibilò lui, attirandoselo di più addosso e chiudendo entrambi i loro membri nella sua mano, masturbandoli assieme.
Arthur gemette e si avventò di nuovo sulle sue labbra, lasciandolo fare e stringendogli con forza i fianchi, mentre si spingeva contro di lui e nella sua mano. Diamine, era una sensazione fantastica. Non aveva mai immaginato che toccare un altro pene con il proprio potesse essere così.
Gli ci volle davvero un tempo irrisorio per concludere, tanto che probabilmente si sarebbe vergognato, se Emrys non avesse scelto proprio quel momento per affondare i denti nella sua spalla e venirgli addosso.
Rimasero immobili per minuti interi, sorreggendosi l’uno all’altro, respirando pesantemente. Poi delle voci giunsero dall’ingresso e sussultarono entrambi, affrettandosi a rivestirsi.
Arthur si portò un dito davanti alla bocca, facendo cenno a Merlin di tacere, poi lo prese per un polso e lo trascinò fino all’uscita secondaria della biblioteca, che dava sul cortile interno della scuola, deserto a quell’ora del pomeriggio.
Una volta alla luce del sole, si fissarono imbarazzati, con i vestiti tutti storti e le guance accese di calore. Il ragazzo si schiarì la voce, poi, guardando in un punto imprecisato, propose: «Posso offrirle un caffè, Professore?»
Merlin si passò nervosamente un mano tra i capelli, tentando di ravviarli. «I-io… no. Kilgharrah… cioè, volevo dire, il Preside… mi aspetta» smozzicò, prima di girare sui tacchi ed allontanarsi a lunghe falcate.

*°*°*°*°*

La mattina dopo si sparse subito la voce che il Professor Emrys si era licenziato.
«Problemi personali» rispose Gaius, quando Arthur andò a cercarlo per chiedergli spiegazioni, sapendo che il vecchio era stato il mentore di Merlin.
Lui non riusciva a credere che se ne fosse andato - fuggito - via così, senza dirgli una parola. Diede un pugno all’armadietto e quasi divelse il lucchetto, mentre tentava di aprirlo per lanciare i libri - di chimica, guarda caso - all’interno. Ma, appena riuscì a spalancare lo sportello, un foglietto svolazzò a terra.
Lo raccolse accigliato, leggendo la scrittura sottile e sgangherata che gli sembrava vagamente familiare:

Ci vediamo tra un mese, se ancora vuoi.
Magari potremo prendere quel caffè.
Questo è il mio numero:
+44-787XXXXXXX

Non era firmato, ma Arthur non aveva dubbi su chi l’avesse lasciato.
«Un mese, eh?» sorrise divertito.
Tra un mese sarebbe stato maggiorenne, quindi probabilmente non avrebbe più potuto pestare il suo ex-Professore per essere scomparso alla chetichella, o sarebbe stato arrestato. Oh, be’, avrebbe trovato un altro modo per punirlo. Forse da qualche parte vendevano ancora delle gogne.

FINE.

Potete trovarla anche su:
EFP.

maridichallenge: maritombola!, merlin, maridichallenge: come ti trombo il prof, auverse: tabella generale

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