There is an Egg between Us - Capitolo 7

Aug 23, 2012 14:34

Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Balthazar, Bobby, Original Character, Sam.
Rating: NC17.
Charapter: 7/10.
Beta: koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Angst, Fluff, EGGPREG (o Egg-Fic, come preferite), Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 4104/41160(fiumidiparole).
Summary: Madre Natura - o Dio, visto il contesto - vuole che più sia grande una creatura, più tempo sia necessario per la gestazione; come le elefantesse, che restano gravide per due anni. E se la creatura in questione è grande “approssimativamente quanto il Crysler Building”, quanto potrebbe volerci? Diciamo… quattro anni? Più o meno il tempo che passa da quando Dean viene “salvato dalla perdizione” al momento in cui recupera l’anima di Sam, sì.
Note: La storia nasce grazie e si ispira a questa dolcissima fan-art: Vedere il mondo in un granello di sabbia di ai_sellie. Il titolo della fic - adorabile e crack e… ho già detto adorabile? XD - è un suggerimento di koorime_yu

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

There is an Egg between Us
Capitolo 7.

Dean voleva bene a suo fratello, sul serio, avrebbe dato la vita per lui e tutto il resto, ma a volte pensava che avesse davvero un tempismo di merda.
«Mi dispiace non essermi fatto sentire per un po’, trovare il segnale qui in Tibet è complicato» stava dicendo Sam, e lui rabbrividì mentre le labbra di Castiel insistevano a torturargli l’orecchio libero.
«Non c’è problema, amico» riuscì a rispondere con voce relativamente normale, nonostante il crescente imbarazzo per la situazione.
Le braccia dell’angelo si strinsero di più attorno alla sua vita, e Dean avrebbe potuto giurare che tutta quella faccenda lo divertisse.
«Questo posto è davvero rilassante, sai? Ma dubito che ti piacerebbe. Tutto bene a casa?» chiese il minore dei Winchester.
«Oh, sì» si lasciò sfuggire l’altro in un sospiro, quando l’amante trovò il suo punto preferito sul collo «Una favola» aggiunse, in tono più decente, schiarendosi la voce.
Castiel sorrise contro la sua pelle; dannato cosino piumoso.
«E tra te e Cas, come vanno le cose?» continuò Sam.
«T-tra me e Cas? Che intendi dire?» fece il maggiore, preoccupato.
«Siete riusciti a parlare?»
«P-parlare, sì, certo» smozzicò Dean, mentre le mani dell’angelo si avventuravano ad aprire la zip dei suoi jeans.
«E che ti ha detto? Come se la cava, lassù?» insistette il minore.
«Uhm…» fece lui, puntellandosi sul tavolo con una mano, mentre Castiel sfregava l’inguine contro il suo sedere «Be’, sai, è complicato» fu l’unica cosa che riuscì a tirare fuori, sentendosi orribilmente simile all’amante.
«Credi abbia qualche chance?» gli domandò Sammy.
«Sì…» sospirò, quando le dita del compagno s’intrufolarono nei suoi boxer «Ha uno o due assi nella manica».
«Bene. Vorrei poter fare di più per lui» confessò il suo fratellino.
Anche io, un sacco di cose di cui non ho intenzione di parlare con te, pensò Dean, né ora né mai. «Già. Uhm… senti, amico… d-devo proprio andare, ho…» le dita di Castiel si strinsero attorno al suo sesso «Ho della roba sul fuoco e, sai… ci sentiamo» concluse bruscamente, chiudendo la chiamata e lasciando cadere il cellulare sul ripiano. «Ah! Cazzo, sei… sei proprio un figlio di puttana» gemette e l’angelo ridacchiò contro l’orecchio in cui Sam parlava fino ad un attimo prima, accaldato dal contatto col telefonino.
«Mi sei mancato» gli sussurrò poi.
Dean si ritrovò ad inarcare un sopraciglio. «Lo sento» ironizzò, riferendosi all’evidente rigonfiamento premuto contro il suo culo.
Era passata, quanto, una settimana dalla loro prima volta? E Castiel, lungi dall’essere soddisfatto, sembrava ancora più incapace di mantenere le mani - e anche tutte le altre parti, a ben vedere - lontane dal suo corpo. Non è che Dean non apprezzasse - o capisse; era stato vergine anche lui, tanto tempo fa - tutto quell’entusiasmo, ma non era più un adolescente, e soprattutto cominciava a sospettare che l’amante stesse cercando di distogliere la sua attenzione da questioni più pressanti.
«Come va ai piani alti?» domandò in prova, rigirandosi a fatica nello spazio ristretto tra il tavolo ed il corpo dell’angelo.
Castiel ne approfittò subito per cercare le sue labbra. «Uhm… bene» mormorò su di esse.
Dean si scostò per riuscire a guardarlo negli occhi. «Bene?» ripeté, inarcando di nuovo un sopraciglio con aria scettica.
Il compagno inclinò la testa da un lato. «Io… suppongo potrebbe andare peggio» articolò.
«Supponi?» rincarò il cacciatore «Sei passato a vedere il pulcino, prima d’infilarmi le mani nelle mutande?»
Castiel ebbe il buon gusto di arrossire, poi strinse le labbra, seccato. «Pensavo fosse con te».
«È un po’ troppo grosso per portarmelo addosso, non l’hai notato? O lo stavi cercando nei miei pantaloni?»
L’angelo si accigliò ed indietreggiò di qualche passo, alzando lo sguardo al cielo in cerca di qualcos’altro su cui focalizzare la propria irritazione. Tuttavia, riuscì ancora a mantenere un tono controllato quando chiese: «Ho fatto qualcosa di sbagliato?»
«Credo che tu sia un po’ troppo distratto, negli ultimi giorni. La prima cosa che fai, quando ci vediamo, è saltarmi addosso. Giusto per il tempo di una sveltina e poi voli via. Non sono una puttana, amico» sbottò Dean, pestando una mano sul tavolo.
«Una puttana? Non ti ho mai considerato una prostituta, Dean Winchester, nemmeno quando fornicavi con ogni creatura che camminasse su due gambe» rispose Castiel con voce bassa e pericolosa, avanzando di nuovo verso di lui «Tu ed il piccolo siete la mia unica preoccupazione, la mia unica mezz’ora di libertà, e non hai idea…» calcò, arrivando ad una manciata di centimetri dal suo viso «di quello che devo fare ogni giorno per guadagnarmela».
«Allora sfruttiamola, dannazione» ringhiò il ragazzo, chiudendo le mani sul bavero del suo trench «Non escludermi dal resto della tua vita».
«Sto cercando di sfruttarla al meglio» replicò l’angelo con voce esile, esasperata.
«No, no» sospirò Dean, poi poggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi «Vivere ogni attimo come se fosse l’ultimo, bruciando il poco tempo che abbiamo, non ci sarà d’aiuto. Alla fine ci lascerà senza niente in mano».
«Pensavo lo volessi anche tu» soffiò Castiel, circondando le sue spalle con fare esitante «Dean, per favore, non voglio rimuginare sui miei problemi anche quando sono qui, quando vi vedo voglio solo… respirarti e chiudere tutto fuori» confessò «Ti prego».
Lui sfiorò le sue labbra con le proprie e schiuse gli occhi per incontrare i suoi. «Dobbiamo gestire meglio le tue ore di libertà, moccioso» decretò con gentilezza; non voleva angosciarlo ancora di più, ma non poteva nemmeno permettersi di passare tutto il tempo a scopare, senza curarsi del casino in cui erano invischiati. «D’accordo?» chiese, accennando un mezzo sorriso.
«Non sono un moccioso» protestò vagamente Castiel.
«Oh, sì che lo sei» sbuffò Dean, tirandolo di più a sé. Il mio moccioso.

*°*°*°*°*

L’acqua scrosciava allegra, precipitando nella vasca in volute di vapore fumose e soffici bolle di schiuma. Dean sorrise, testando la temperatura, prima di aggiustarla leggermente.
In quel momento, era molto soddisfatto di aver lasciato la conformazione del bagno così com’era quando aveva comprato la casa; l’aveva fatto pensando che in futuro sarebbe stato comodo avere una vasca per fare i bagnetti al bambino, ma in effetti potevano esserci anche altri interessanti utilizzi.
«Dean, non credo sia necessario. Non ho bisogno di-» Castiel tentò nuovamente di protestare, ma lui lo interruppe prima che potesse finire.
«Certe cose non si fanno perché sono necessarie, Cas» sospirò, come se stesse spiegando la faccenda ad un bambino, mentre scioglieva il nodo della sua cravatta «Si fanno semplicemente perché è bello farle» concluse, attaccando i bottoncini della sua camicia.
Il trench e la giacca erano già stati appesi dietro la porta, quindi il ragazzo s’inginocchiò per slegargli le scarpe e sfilargli i calzini, mettendoli velocemente da parte, prima di portare le mani alla sua cintura. L’angelo lo guardò dall’alto con quegli occhi blu e limpidi, e lui poggiò un bacio sotto il suo ombelico, facendo scivolare giù i pantaloni insieme all’intimo.
«Pensavo avessimo cambiato piani» osservò Castiel.
«Infatti, ma il bagno lo si fa nudi, moccioso» disse il cacciatore, alzandosi in piedi. Sì levò la maglia in un unico movimento fluido, scalciò via le scarpe, poi sgusciò fuori dai jeans.
«Dean, perché nella tua vasca ci sono delle paperelle di gomma sorridenti?» gli domandò il compagno, inclinando la testa nella sua solita posa buffa.
Il ragazzo si mostrò molto impegnato a riporre nel cesto della roba sporca gli ultimi indumenti intimi che aveva ancora addosso. «Le avevo prese per il pulcino» rispose in tono vago.
«Vuoi fare il bagno anche a lui?» chiese quindi l’angelo, sempre con quel tono perplesso.
A dire il vero quello non rientrava nei piani di Dean, ma ormai era questione di salvare la faccia. «Perché no? A questa temperatura non può certo cuocere alla coque» considerò, scavalcando la vasca ed accucciandosi dentro. Stese un braccio per invitare l’angelo a raggiungerlo e lo aiutò a trovare una posizione comoda, finché Castiel poggiò la schiena contro il suo petto, poi si chinò a prendere l’ovetto dalla cesta lasciata ai piedi della vasca e lo mise tra le braccia del compagno. Infine, Dean allungò le braccia sui bordi della vasca, reclinò la testa e chiuse gli occhi, godendosi il calore dell’acqua schiumosa. Il silenzio durò circa una manciata di secondi, poi l’angelo si contorse contro il suo corpo, nervoso, sfregando senza volerlo il bacino sul suo.
«Cas» lo richiamò, aprendo un occhio solo «Rilassati».
Lui si fermò, ma allo stesso tempo divenne rigido come un blocco di marmo, facendo sospirare il cacciatore.
Quest’ultimo si rimise un po’ più dritto, si bagnò le mani nella vasca e passò le dita umide tra i capelli di Castiel, divertendosi a modellarli in forme astratte. Poi acchiappò il flacone di bagnoschiuma da una delle mensole e ne versò una generosa dose sulle sue spalle, iniziando a spalmarla come se fosse olio per massaggi, nel tentativo di sciogliere i suoi muscoli.
«Si può sapere perché sei così teso?» borbottò, posando un bacio sulla sua nuca.
L’angelo chinò il capo, imbarazzato, e mosse leggermente le gambe, sfiorando le sue caviglie con le proprie. «Troppo contatto fisico. E non posso toccarti» smozzicò.
Dean inarcò le sopraciglia, poi ridacchiò. «Certo che puoi toccarmi. Il punto è proprio quello» chiarì, abbracciandolo alla vita per tirarselo di nuovo contro «Questo, caro il mio pennuto, si chiama: contatto fisico senza secondi fini. O, come preferiscono chiamarlo le ragazze, coccole».
«Coccole?» chiese Castiel, poggiando la testa contro la sua spalla e voltandosi come poteva per incontrare il suo sguardo.
«Uh-uh» annuì il compagno «Ma se lo dici ad anima viva - o trapassata - ti spiumo con le mie stesse mani» lo avvertì, tirandogli una ciocca di capelli.
«Non lo dirò a nessuno» promise lui, cercando le sue labbra con le proprie.
«Bravo moccioso» mormorò Dean su di esse, premiandolo con un bacio morbido ed intenso, che lasciò entrambi un po’ scombussolati. «Allora,» gracchiò poi, schiarendosi la voce «com’è andata la tua giornata?»
Le bocca di Castiel si arcuò in una triste piega all’ingiù. Dean la imitò, un po’ perché era troppo buffa, un po’ per prenderlo in giro, ed un po’ solo per spingerlo a sorridere, e l’angelo sbatacchiò le ciglia, sorpreso, facendolo ridacchiare.
Cas scosse il capo. «Non dovresti prenderti gioco di me, ho avuto delle discussioni difficili, oggi» s’imbronciò - sì, era proprio un broncio, anche se ovviamente lui non lo sapeva.
«Ah, sì? A proposito di… ?» gli diede l’imbeccata il cacciatore.
Lui si strinse di più l’uovo al petto, tirando su le ginocchia e chiudendosi attorno ad esso, come a proteggerlo o a trarne conforto. «Le anime del Paradiso» disse, poggiando una guancia sulla sommità del guscio «Ricordi che ti parlai dell’energia che ogni anima racchiude?» domandò e, quando l’amante annuì, continuò: «Balthazar ha suggerito di usarle come armi per sconfiggere Raphael».
«Ma questo è…» boccheggiò Dean, incredulo «Figlio di puttana» sbottò poi, accigliato.
Castiel sospirò. «È meschino. Noi dovremmo proteggerle, non sfruttarle» convenne «Ma su una cosa Balthazar aveva ragione: siamo in guerra e Raphael non si farebbe nessuno scrupolo ad usarle contro di noi».
Il ragazzo serrò i denti e si chinò sulla schiena dell’angelo, schiacciando il proprio petto contro di essa, chiudendosi attorno a lui come Castiel aveva fatto con l’ovetto.
«Non voglio scendere al livello di Raphael» mormorò lui «Le anime del Paradiso sono in pace. Che senso ha prevenire una nuova Apocalisse svuotando i Cieli?»
Nulla in guerra ha mai senso, Baby, la guerra non ne ha, pensò Dean, ma non lo disse, perché Cas lo sapeva meglio di lui. Avrebbe voluto trovare qualche suggerimento utile, qualcosa che lo confortasse - era per questo che l’aveva spinto a parlare dei suoi problemi, no? -, ma non c’era nulla da dire, in quel caso.
«Tu cosa faresti, al posto mio?» gli domandò l’amante «Tu sei l’Uomo Giusto» asserì, mettendo in quel appellativo più fiducia di quanto Dean meritasse.
Il cacciatore ci pensò in silenzio per qualche secondo, poi disse in tono duro, incolore: «Farei ciò che è necessario» e l’angelo sussultò tra le sue braccia. «Ascoltami,» insistette lui, parlando contro il suo orecchio, con voce bassa e tesa «finché puoi, fino all’ultimo, cerca di non fare nulla di cui potresti pentirti. Ma se dovrai trovarti a scegliere tra la tua vita e la sua - tra giusto e sbagliato, tra le anime del Paradiso e la tua anima, tra vincere e perdere -, non lasciare nulla d’intentato» lo scosse leggermente «Okay? Questo, Cas, questo…» calcò, indicando loro e l’uovo «viene prima di tutto. La Famiglia».
Castiel annuì, amareggiato, e chiuse gli occhi. Se avesse potuto piangere, Dean era certo che lo avrebbe fatto.

*°*°*°*°*

Stava rifacendo il letto, quando accadde. Balthazar apparve nel bel mezzo della stanza, puntò lo sguardo sulle lenzuola sporche gettate in un angolo, macchiate in modo inequivocabile, ed inarcò le sopraciglia con aria saputa. Dean si rifiutò di arrossire.
Lo spaventapasseri alato passava di là almeno una volta alla settimana, per i soliti controlli all’ovetto, quindi lui si era ormai abituato alla sua presenza e non vi faceva quasi più caso. Gli indicò la cesta del pulcino, prima di rimettersi a cambiare le federe.
«Non sono qui per quello» lo informò Balthazar, in tono sorprendentemente serio «Dean» lo apostrofò, quando si rese conto che il cacciatore non lo stava guardando, e c’era qualcosa nel modo in cui disse il suo nome - o forse nel semplice fatto che lo disse; Dean non ricordava che lo avesse mai chiamato, al massimo diceva «Ragazzi» in quel suo modo irritante, quando si riferiva a lui e Sam - che lo spinse a bloccarsi, colpito da una brutta sensazione.
Si voltò lentamente nella sua direzione, un orribile presentimento ad uncinargli lo stomaco.
«È cominciata» annunciò l’angelo, con insolita delicatezza, e lui chiuse gli occhi.
«Cosa?» domandò contro ogni buon senso, anche se non c’era alcun bisogno.
«L’ultima battaglia» specifico Balthazar, confermando i suoi sospetti. «Castiel non può spostarsi, ma mi ha pregato di venire ad informarti. Sa che non ti piacciono gli adii, ma è certo che se gli succedesse qualcosa, e tu non fossi nemmeno a conoscenza di quello che sta facendo, non glielo perdoneresti mai» aggiunse, accennando un mezzo sorriso ed aprendo le braccia in un gesto impotente.
Dean non trovò nulla da dire, rimase immobile, stringendo spasmodicamente il cuscino tra le mani. Pensò a Castiel steso tra le sue braccia, appena la notte prima. Sapeva già che sarebbe successo? Dobbiamo gestire meglio le tue ore di libertà, moccioso, gli aveva detto lui. E ora non c’era più tempo.
Balthazar gli rivolse uno sguardo pieno di compassione - partecipe, reale, non meschina ed indesiderata pietà - che per la prima volta gli permise di scorgere in lui qualcosa di simile al suo amante. «Vuoi che gli dica qualcosa?» gli chiese con gentilezza.
«Non farti ammazzare» gracchio il ragazzo, con voce ruvida. Deglutì, cercando di rimettere in funziona la bocca asciutta. «Solo: non farti ammazzare».

*°*°*°*°*

Dean non seppe mai come trascorse il resto di quella giornata. I minuti sgocciolavano via lenti, mentre lui vagava per la casa, senza davvero riflettere su quello che stava facendo. Il suo sguardo si soffermava su punti apparentemente casuali - la tinta della camera del bambino, la culla, la vasca da bagno, il tavolo della cucina - ma la sua mente non ne registrava sul serio il motivo. Stava cercando qualcosa? Stava dicendo addio a qualcosa?
Quella casa, tutto ciò che era contenuto tra quelle mura, era un sogno fragile che rischiava di infrangersi da un momento all’altro. Niente Cas uguale niente uovo, niente uovo uguale niente casa. Semplice.
Ad un certo punto, forse a metà del pomeriggio, sedette sul divano col pulcino sulle ginocchia. E si limitò a rimanere lì, in silenzio, mentre fuori lentamente scendeva il buio. C’erano delle cose che avrebbe dovuto fare - mangiare, ad esempio, o chiamare Bobby, avvisare almeno Sam - ma gli sembravano questioni distanti, pensieri alla periferia della sua mente vuota.
L’uovo sotto le sue mani era liscio e caldo, come sempre. Se qualcosa fosse andato storto, se la vita all’interno si fosse spenta, se a Cas fosse successo qualcosa… lui l’avrebbe capito, vero? Non era questo che dicevano le persone, che lo avresti sentito quando qualcuno d’importante sarebbe venuto a mancare? O erano solo racconti romantici, cazzate a cui la gente si aggrappava per impedirsi di pensare che avessero perso le persone più importanti della loro vita senza accorgersene?
A terra c’erano i cocci di una lampada infranta. Era stato lui a lanciarla? Quando aveva avuto quello scatto d’ira?
Solo in quel momento Dean si accorse di quanto ci avesse creduto - in Castiel, nel fatto che sarebbe diventato padre, in tutto -, di quanto si fosse impegnato. Eppure c’erano troppe cose che non aveva fatto. Non aveva ancora scelto un lampadario per la camera del pulcino, ad esempio, e non aveva sfogliato una sola di quelle stupide riviste sui bebè che gli aveva portato Sammy l’ultima volta che si erano visti.
Non avevano mai pensato ad un nome, lui e Cas; c’erano state cose più importanti di cui preoccuparsi. Se il suo angelo fosse morto, non avrebbe avuto un corpo da seppellire e suo figlio - mai nato - non avrebbe avuto nemmeno un nome.
La notte scese e Dean non si preoccupò di accendere le luci. Sollevò il volto ad osservare le linee fosforescenti delle trappole per demoni disegnate sul soffitto; non una sola minaccia in quasi - quanto? - cinque mesi che abitava in quella casa. Era davvero riuscito a renderla così sicura, o perfino i cattivi avevano cose più interessanti da fare che preoccuparsi di due cacciatori scomparsi?
Gli mancava quella vita? No, a dire il vero no. Avrebbe ripreso la caccia, se le cose fossero di nuovo cambiate? Sì. Perché quella era la sua vera vita e non c’era nulla che sapesse fare meglio.
Si chiese quando, nella sua testa, quest’esistenza - lui, un uovo e una casa - fosse diventata ciò che voleva. Era partita semplicemente come qualcosa che doveva fare; qualcosa di improbabile, qualcosa di tanto assurdo da rifiutarsi di crederlo. Quindi quando, per l’esattezza, quella situazione folle era diventata reale? Quand’era che fare da padre ad un uovo aveva smesso di essere la più grande inculata che Dio gli avesse propinato - in quella vita già di per sé piena di stronzate - ed era diventata il più grande miracolo che il Destino gli avesse mai concesso? Quando Cas aveva detto che erano una famiglia, o forse quando l’aveva baciato, o magari fin dall’inizio e lui aveva solo cercato di illudersi che non fosse tutto reale per cercare di prendere tempo.
E tutto questo ovviamente non c’entrava un cazzo e lui preferiva esaminare se stesso, piuttosto che pensare di star perdendo il suo angelo senza poter muovere un dito per aiutarlo.
Il telecomando del televisore si schiantò contro il muro e stavolta Dean fu ben cosciente di averlo lanciato, così come fece con la cornice che ritraeva lui e Sam da ragazzi, con la custodia dell’ultimo DVD che aveva comprato, con tutti i cuscini del divano, e infine con il tavolino di vetro - che andò in mille pezzi, producendo un suono molto soddisfacente, ma che non era ancora nemmeno lontanamente abbastanza.
Ansimando come un mantice, crollò di nuovo sul divano ed osservò stranito, come se non lo vedesse davvero, l’ovetto affossato nell’altro angolo; aveva avuto la lucidità mentale di spostarlo lì, prima di dare di matto? Non lo ricordava. Possibile che l’istinto di protezione fosse radicato a tal punto, dentro di lui? O magari il suo pulcino aveva ben pensato di fare un voletto lontano dal Papà Psicopatico N°1, prima di finire spiaccicato a terra come una frittata.
Un sorriso amaro gli inclinò un angolo della bocca e Dean la coprì con una mano, nel momento in cui sentì una risatina isterica sgorgare da essa, prima che questa si trasformasse in qualcosa di più simile a singhiozzi. Si schiacciò i palmi sulle palpebre, il torace ancora scosso da quei singulti, e fece qualcosa che non avrebbe mai immaginato di fare in tutta la sua vita: iniziò a pregare. Verso chi o cosa non lo sapeva, era un’invocazione molto semplice, un pensiero ritmico e ossessivo: Torna a casa, ti prego fa che torni a casa, non permettere che gli venga fatto del male, riportalo da me, torna a casa, torna a casa, torna a casa, torna a casa, torna a casa, torna a casa.
Forse fu per questo che, un lasso imprecisato di tempo dopo, il rumore di un battito d’ali e di qualcosa che crollava a terra lo fece trasalire. Cercò a tentoni l’interruttore della lampada, poi ricordò che era finita in pezzi, quindi trovò quello della luce.
In ginocchio, sul pavimento coperto da frammenti di vetro, c’era una figura sanguinante in trench.

*°*°*°*°*

Scivolando sulle schegge - quando si era alzato? - Dean si lasciò cadere davanti a lui. «Cas? Cas…» mormorò concitato, prendendo il suo viso tra le mani.
«È finita» soffiò l’angelo.
«N-no, no. Non è finita» smozzicò lui, in preda al panico, con una voce che suonò patetica alle sue stesse orecchie.
«La guerra è finita» chiarì allora Castiel, facendo uno sforzo evidente per parlare «Raphael è morto» concluse, accennando un sorriso, ed il pugnale insanguinato che stringeva in mano - del quale il cacciatore non si era nemmeno accorto - cadde a terra con un tonfo metallico.
Dean lo osservò rotolare via e fermarsi tra i pezzi di vetro, portando altro sangue nel soggiorno della loro casa. «Stai bene? T-tu stai bene?» esclamò allora, stringendogli le spalle. Il compagno riuscì ad annuire, ma lui lo stava già tastando con cautela per controllarlo. «Stai sanguinando» rilevò, trovandosi le mani impiastricciate; dov’era ferito? Dove? Perché non guariva?
«Non riesco a rigenerarmi» ammise l’angelo, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Perché?» sbottò il ragazzo, terrorizzato.
«Sono troppo stanco» sospirò Castiel, provando di nuovo a sorridere «Dean, ti dispiacerebbe farla finita ed abbracciarmi? Ora, possibilmente» sussurrò quindi, chiudendo gli occhi e poggiando la fronte sul suo petto.
Lui lo raccolse tra le braccia, chiudendolo per bene nel suo trench e tirandoselo in grembo.
«È finita» bisbigliò ancora Cas, come per rassicurare entrambi, e Dean annuì, schiacciando il volto tra i suoi capelli.
«Ci penso io a te, adesso. Andiamo a letto, moccioso».
«Non posso» obbiettò l’altro, con una voce sottile sottile.
«Che vuol dire che non puoi? Se pensi di tornare lì a sistemare qualunque casino sia rimasto in sospeso, giuro che te lo impedirò con la forza. Ti annoderò le ali, se sarà necessario» ringhiò il cacciatore.
«No, è solo che… non credo di riuscire ad alzarmi in piedi. Mi dispiace» spiegò, quasi in un pigolio, stringendo le labbra per l’imbarazzo.
Dean si scoprì a sorridere. «Tutto qui il problema?» chiese, ma non era una vera domanda. Si allungò a prendere l’ovetto dal divano e lo mise in grembo a Castiel «È arrivata la carrozza, Principessa» annunciò, passandogli un braccio sotto le ginocchia e sollevandolo con facilità.
«Tieniti forte» gli raccomandò, portandolo su per le scale, perché sollevare un uomo alto un metro e ottanta non era comunque uno scherzo. «E non prenderci l’abitudine» aggiunse, varcando la soglia della camera da letto come due sposini.
L’angelo fu abbastanza furbo - e abbastanza sfiancato - da non dire niente e si limitò ad arricciarsi attorno al pulcino, non appena Dean li posò sul letto.
«Ehi, ehi. Non così in fretta» borbottò quest’ultimo, spostandosi brevemente in bagno per prendere la cassetta del pronto soccorso. «Fammi vedere» ordinò, iniziando a spogliarlo con delicatezza.
Il labbro superiore di Castiel era spaccato ed anche il naso aveva l’aria di aver sanguinato, nonostante l’emorragia fosse già cessata. Dean gli sfilò con attenzione il trench strappato e macchiato, poi passò a sbottonargli la camicia, che non era certo in condizioni migliori. Il petto era una fioritura di graffi e contusioni, ma la maggior parte del sangue veniva da un grosso squarcio sul fianco, che ancora sanguinava leggermente; se si fosse trattato di un umano, sarebbe già stato morto dissanguato, invece tutto ciò che ora stillava dalla ferita erano sottili rivoli rossi.
Il ragazzo cominciò a ripulirla con una garza sterile imbevuta d’alcool e Castiel sussultò, soffocando un sibilo.
«Bambino» lo rimproverò Dean con un mezzo sorriso «Riuscirai a guarire, appena sarai più riposato, vero?» L’angelo annuì e lui decretò: «Bene. Altrimenti avrei dovuto metterti un bel po’ di punti, e non sono esattamente un bravo sarto» prima di iniziare a fasciargli il torace.
Una volta finito, gli sfilò i pantaloni e le scarpe, poi sollevò le coperte e lo incitò a scivolare sotto. Castiel rimase in sua attesa, con le lenzuola rimboccate fino al naso, fissandolo con quegli occhi grandi e blu. Dean si liberò a propria volta della maggior parte dei vestiti e sgusciò alle sue spalle, fino a tirarlo contro di sé.
L’angelo chiuse gli occhi e rabbrividì, rigido come un blocco di marmo, stringendosi l’uovo al petto.
«Ti ho fatto male?» gli chiese Dean, accarezzandogli una spalla.
Lui fece cenno di no, poi afferrò il suo braccio e se lo avvolse bene attorno, prendendosi l’abbraccio che gli doveva. Allora Dean, capendo il messaggio, lo strinse forte, fino a schiacciarlo tra il suo torace ed il pulcino, tanto da impedirgli quasi di respirare. Solo allora Cas iniziò a rilassarsi, sciogliendosi lentamente nel loro calore.

Spazio Autore: Un po’ di tempo fa, mentre scrivevo la storia, ho fatto un disegnino della scena nella vasca. Potete vederlo QUI. L’uovo è volutamente più grande di come è scritto nella fic, o non si sarebbe visto in confronto ai chibi XD

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Potete trovarla anche su:
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long: there is an egg between us, supernatural

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