There is an Egg between Us - Capitolo 9

Sep 06, 2012 21:30

Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Balthazar, Bobby, Original Character, Sam.
Rating: NC17.
Charapter: 9/10.
Beta: koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Angst, Fluff, EGGPREG (o Egg-Fic, come preferite), Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 5314/41160 (fiumidiparole).
Summary: Madre Natura - o Dio, visto il contesto - vuole che più sia grande una creatura, più tempo sia necessario per la gestazione; come le elefantesse, che restano gravide per due anni. E se la creatura in questione è grande “approssimativamente quanto il Crysler Building”, quanto potrebbe volerci? Diciamo… quattro anni? Più o meno il tempo che passa da quando Dean viene “salvato dalla perdizione” al momento in cui recupera l’anima di Sam, sì.
Note: La storia nasce grazie e si ispira a questa dolcissima fan-art: Vedere il mondo in un granello di sabbia di ai_sellie. Il titolo della fic - adorabile e crack e… ho già detto adorabile? XD - è un suggerimento di koorime_yu

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

There is an Egg between Us
Capitolo 9.

Dean infilò la testa nel frigo, grattandosi una caviglia con un piede nudo, mentre decideva cosa mangiare per colazione. In realtà avrebbe di gran lunga preferito restare a letto con Castiel, ma dopo il sesso favoloso il suo stomaco aveva ben pensato di ricordargli con un ruggito che non mangiava da più di ventiquattro ore.
«Hai fame?» domandò, voltandosi a mezzo per incontrare lo sguardo dell’angelo.
Cas era poggiato con i fianchi al tavolo della cucina, le mani abbandonate pigramente sul bordo, vestito solo di un paio di boxer scuri e di una vecchia maglietta scolorita degli AC/DC. Aveva dovuto far sparire le ali, perché muoversi con quelle attraverso casa era assolutamente impossibile - aveva rischiato di sfondare l’armadio della camera da letto e di incastrarsi nel vano della porta, al primo tentativo - e lui l’aveva convinto ad infilarsi qualcosa di più comodo, anziché i soliti vestiti costipati, dato che non aveva nessuna intenzione di farlo volare via.
Ora, però, se ne stava un tantino pentendo. Per qualche motivo vederlo vestito con i suoi abiti lo rendeva la visione più sexy del mondo; Dean avrebbe voluto sollevare l’orlo della maglia, leccare la linea della ossa iliache ed infilargli la lingua nell’ombelico. Fu un desiderio così violento ed improvviso - l’immagine di se stesso che compiva quelle azioni così vivida - da fargli serrare la presa sull’anta del frigo.
«Gli angeli non hanno bisogno di mangiare, Dean» gli ricordò Castiel, risvegliandolo da quelle fantasie.
«Uhm… già» borbottò lui «Quindi non ti va di farmi compagnia?»
L’angelo inclinò la testa da un lato, in quella sua solita posa buffa e curiosa, poi annuì. «Cosa preparerai?»
«Dolce e salato» rispose il ragazzo, iniziando ad impilare l’uno sull’altro uova, bacon e latte, prima di chiudere il frigo con un piede e posarli sul bancone della cucina. Accese la caffettiera elettrica e mise a soffriggere i primi due ingredienti, mentre sbatteva l’impasto per i pancake.
Castiel si accostò per osservare il suo lavoro, sbirciando da sopra la sua spalla. Dean riusciva a percepire la sua presenza calda a pochi centimetri dalla propria schiena nuda e rabbrividì - in modo tutt’altro che spiacevole - quando sentì quelle mani posarsi sui propri fianchi, appena sopra l’orlo dei jeans, che ricadevano più in basso del solito senza il cinto a reggerli, e quelle labbra posarsi sulla curva del suo collo.
Allungò un braccio per smuovere le uova ed il bacon con un mestolo, stando attento che non si appiccicassero al fondo della padella, ed il compagno poggiò il petto contro la sua schiena, aderendo completamente a lui.
«Cas» lo rimproverò il cacciatore.
«Dean?»
«Siediti da qualche parte» ordinò burbero.
«Perché?» domandò l’altro, e - anche se non lo stava guardando - lui era sicuro che avesse aggrottato la fronte in quella sua solita espressione confusa.
Il cacciatore borbottò qualcosa a proposito di stupidi mocciosi che non sapevano quando era il caso di tenere le mani apposto, ma non tentò di scacciarlo di nuovo. La verità era che, semplicemente, non era ancora abituato a tutto quel contatto fisico gratuito e, in quel momento, Castiel lo distraeva non poco; voleva evitare di mandare a puttane la colazione, ecco tutto.
I palmi dell’angelo scivolarono su e giù lungo il suo petto, prima di tornare sulle sue anche ed attirarlo contro di sé, premendolo ancora di più contro il suo bacino, mentre strusciava una guancia ruvida di barba contro il marchio sulla sua spalla.
Dean trattenne il fiato e quasi gli sfuggì la presa sulle fruste da impasto. L’olio in cui soffriggevano le uova iniziò a scoppiettare in modo esagerato e si affrettò a spegnere il fornello, grugnendo con disappunto. Voltò il viso quanto poteva nella presa dell’angelo, lo afferrò per la nuca e lo attirò a sé, infilando con prepotenza la lingua nella sua bocca, solo per lasciarlo andare stordito mezzo minuto dopo. «Siediti» ordinò ancora e stavolta Castiel ubbidì senza fare domande, ritraendosi lentamente.
Nonostante tutto, Dean continuò a sentire lo sguardo del compagno su di sé, mentre finiva di miscelare l’impasto. Quando sì voltò per portare sul tavolo i piatti con le uova ed il bacon, scoprì l’angelo seduto lì, con l’ovetto tra le braccia.
Castiel alzò il viso su di lui e Dean ebbe un flash vividissimo di suo padre seduto al tavolo della cucina, con Sammy stretto al petto, che faceva la medesima cosa e della mamma che si chinava a posare un bacio sulle sue labbra prima di lasciare i piatti sul ripiano. Fu un ricordo così vivido ed improvviso da fargli tremare le mani.
Cas sfilò con gentilezza la colazione dalla sua presa precaria e la poggiò sul tavolo, prima di accarezzargli un braccio nudo con apprensione. «Stai bene, Dean?»
Lui annuì esitante e si lasciò cadere sulla sedia accanto alla sua, a capotavola. Sì sfregò nervosamente la bocca, attanagliato per un momento dalla sensazione di gelo del giorno prima; la felicità non durava mai a lungo - non la sua, perlomeno.
Non crogiolarti in questa situazione, idiota, è troppo fragile. Non abituarti, si disse, potrebbe andare in pezzi da un momento all’altro. Lo sai, l’hai visto succedere milioni di volte, fin da quando avevi quattro anni.
«Dobbiamo trovargli un nome» sussurrò, seguendo la cupa scia di pensieri del giorno prima.
«Un nome…» mormorò il suo angelo «Come si sceglie un nome?»
Il cacciatore inarcò un sopraciglio, perplesso dalla domanda bizzarra. «Che intendi dire? Pensi a quelli che ti piacciano di più, li proponi e ne scegliamo uno che metta entrambi d’accordo, no?»
«Non lo so» rispose l’altro con franchezza «Quando sono nato un fratello più grande mi ha detto: “Castiel, tu veglierai sul giovedì” ed io ho saputo che quello era il mio nome e che il giovedì era uno dei giorni creati dal Padre. Dio aveva già un piano per tutti noi».
«Wow» borbottò Dean.
«Significa questo scegliere un nome: ideare un piano?» gli domandò l’angelo.
«No» rispose lui, aggrottando la fronte «Voglio dire… i genitori fanno sempre dei piani sui propri figli, cercano di indirizzarli secondo la strada che credono migliore per loro, perché i bambini non hanno abbastanza esperienza per scegliere da sé. Ma alla fine, quando crescono, fanno sempre quello che vogliono, e ci si deve rassegnare a questo. Scegliere un nome è…» Dean si leccò le labbra, in cerca delle parole giuste, poi scrollò le spalle «lo sai, necessario. Serve a dargli un’identità, a riconoscerlo come qualcosa di presente, di reale. Tutto e tutti hanno un nome. Come fai a chiamare una cosa o una persona, se non ha un nome? Non possiamo certo chiamarlo pulcino per sempre».
Castiel annuì, d’accordo. «Hai già qualche idea?»
«A dire il vero, no» ammise il ragazzo «Abbiamo avuto cose più importanti di cui preoccuparci e, in ogni caso, non posso scegliere il nome di tuo figlio al tuo posto».
«Nostro figlio» lo corresse lui.
«Nostro, sì» confermò Dean «Non è una cosa che posso fare da solo».
«Ci penseremo più tardi. Ora mangia» gli ricordò Castiel.
Il cacciatore osservò il proprio piatto con un certo stupore, come se avesse dimenticato che erano lì per mangiare, ma dopo una manciata di secondi attaccò le uova. L’altro lo osservò per qualche attimo, studiando i suoi movimenti o forse controllando che stesse davvero mangiando, tanto che lui finì per alzare lo sguardo, infastidito.
«Cosa?» sbottò seccato, con le guance gonfie di cibo.
Castiel prese la forchetta in mano con un po’ di circospezione, prima di provare a copiare i suoi movimenti e pungere un pezzetto di uova strapazzate per portarselo alla bocca. Dean lo osservò divertito, non aveva pensato che le posate potessero dare problemi all’angelo, anche se effettivamente doveva essere la prima volta che ne impugnava una; prima di allora l’aveva visto mangiare solo cibi che si prendevano con le mani.
Cas masticò con attenzione e si leccò le labbra, prima di pungere un altro pezzettino.
«Che ne pensi?» gli domandò il ragazzo, curioso.
«Preferisco gli hamburger» fu la prevedibile risposta.
«Aspetta di provare i pancake» replicò Dean ammiccante.
L’altro lo fissò interessato, con le labbra unte e la forchetta tra i denti come un moccioso, e lui ridacchiò senza nessun vero motivo, semplicemente felice.
Castiel si innamorò dei pancake al primo assaggio.

*°*°*°*°*

Dean avrebbe dovuto immaginare che sarebbe stato tutt’altro che semplice, perché lui e Castiel avevano gusti completamente diversi, quindi figurarsi se sarebbero riusciti a mettersi subito d’accordo su una cosa importante come quella.
«Abel?» propose l’angelo, sfogliando il libro che lui gli aveva messo tra le mani.
Siccome Sam era Sam, tra tutte le riviste per mocciosi che gli aveva portato non poteva certo mancare quello: il Libro dei Nomi. Perciò, per la prima volta da quando tutta quella robaccia sdolcinata era entrata in casa, Dean aveva aperto il cassetto in cui l’aveva nascosta e aveva messo il volume tra le mani dell’amante.
Ed ora erano lì, stravaccati sul letto - magicamente pulito grazie agli abracadabra piumosi di Castiel - da quasi un’ora.
«No, niente Abel, Adam, Luke, Mark, Simon, o qualsiasi altro nome biblico. Risparmiameli, okay? Ci saranno già troppe stronzate simili nella vita di questo bambino» decretò Dean.
«Non possiamo chiamarlo Eastwood» replicò l’angelo, in un tono che voleva essere ragionevole, ma che in realtà suonò categorico tanto quanto quello del compagno. «Né Patrick» lo placcò, quando lo vide aprire bocca.
«Clint? Clint è carino, è breve e facile da imparare» tentò.
La sola risposta di Castiel fu uno sguardo duro ed inflessibile. Il cacciatore alzò gli occhi al cielo.
«Stiamo pensando solo a nomi maschili» osservò l’angelo, aggrottando la fronte «Dovremmo pensare a nomi che vadano bene per entrambi i sessi».
Dean emise un gemito disperato, poi rotolò sull’altro lato del letto, stendendosi a pancia in giù, ed affondò la faccia nel materasso. Un ulteriore criterio di ricerca? Impossibile. Era semplicemente impossibile trovare un nome, in quel modo.
L’amante sospirò in silenzio, chiuse il libro con attenzione e lo poggiò sul comodino, poi scivolò accanto a lui, addosso a lui, ed accarezzò con le labbra la curva del suo collo. Dean contrasse le spalle per il solletico e mugugnò infastidito, prima di alzare il volto e poggiarlo sulle braccia, imbronciato.
Castiel si puntellò su un gomito, spalmato sul suo fianco come una seconda pelle, ed infilò le dita sottili tra i suoi capelli, ravviandoli lentamente. Lui rimase fermo lì, rilassato, a scrutare i suoi occhi blu, respirando la sua presenza. Cas era ancora vestito solo di quella sua vecchia maglia scolorita e dei boxer scuri, ed era più umano e rilassato di quanto fosse mai stato.
Dean osservò l’accenno di sorriso dipinto su quelle labbra e seppe esattamente cosa l’angelo stava pensando - poteva leggerglielo sul viso - ed il suo stomaco fece una specie di dolorosa capriola all’indietro.
Ma quello che Castiel disse, quando aprì bocca, non furono le parole che lui tanto temeva.
«Ho trovato il nome».
«Uhm?» mugugnò il ragazzo, sorpreso.
«Joel» sussurrò lui, posando un bacio sulla sua spalla «Jo come John, tuo padre, ed -el è il suffisso della maggior parte dei nomi angelici, come il mio». [1]
Dean socchiuse la bocca, senza parole. «È perfetto» riuscì a dire alla fine, deglutendo a fatica. Non era qualcosa di riciclato, qualcosa che imponesse ad un bambino un retaggio troppo pesante da portare, era nuovo, era originale, eppure conteneva tutta la loro storia; era unico. «Perfetto».
Era quello. Era il loro nome, ne era certo.
Castiel sorrise sulle sue labbra, prendendolo tra le braccia.

*°*°*°*°*

I vetri scricchiolarono a terra, smossi dalle frange della scopa, mentre Dean li ammucchiava per raccoglierli con la paletta. Era un vero peccato, quel tavolino gli piaceva ed era costato un bel po’ di soldi.
Castiel si era offerto di rimetterlo a posto, ma lui non aveva voluto. Doveva raccogliere quei pezzi e gettarli via, personalmente e a modo suo.
L’angelo era acciambellato sul divano, le gambe nude tirate su per non intralciare il lavoro di Dean e l’ovetto tra le braccia. I suoi occhi blu seguivano i movimenti della scopa con l’attenzione di un gatto pronto ad allungare una zampa per giocarci; il ragazzo era quasi tentato di cercare un gomitolo e fargli ballonzolare un filo sul naso, solo per vedere se Cas avrebbe cercato di artigliarlo.
Un familiare battito d’ali lo riscosse da quelle fantasie e sollevò lo sguardo per incontrare quello del suo spaventapasseri non-preferito.
«Ehi, ragazzi» li salutò Balthazar, osservando con interesse la loro mise decisamente casalinga.
Castiel si alzò con un movimento fluido e lo raggiunse in pochi passi felpati. «Stai bene?» domandò, poggiandogli una mano sulla spalla.
Il fratello risalì con quegli strani occhi chiari le sue gambe, dai piedi nudi fino all’orlo dei boxer aderenti, dedicando un sorriso d’apprezzamento al suo inguine. «Ma guarda un po’ quanto ben di Dio nascondeva quel trench stropicciato» sussurrò ammiccante, facendo piegare da un lato la testa dell’altro angelo.
Dean incrociò le braccia al petto ed alzò il mento in segno di sfida, rivolgendogli uno sguardo tutt’altro che amichevole.
«Tranquillo, Winchester, se avessi voluto farmi Cassie avrei avuto miliardi di occasioni nei secoli trascorsi» gli fece presente Balthazar; la qual cosa non rassicurò Dean nemmeno un po’.
«Sei qui per un motivo ben preciso o sei solo venuto a rompere le palle?»
«Sono qui accertarmi che il Boss stia bene» rispose l’interpellato con un sogghigno «Non era conciato benissimo, ieri, quando è volato via».
«Nemmeno tu» replicò Castiel «Sono felice di vederti in salute, fratello».
Balthazar roterò gli occhi a quel tono eccessivamente formale. «Allora,» esclamò, facendo comparire una bottiglia di champagne «festeggiamo?»

*°*°*°*°*

Le settimane scivolarono via e la loro vita si assestò in una routine che lasciava Dean ogni giorno più perplesso. Andava avanti con la distinta impressione che prima o poi qualcosa sarebbe andato in pezzi, perché non avrebbe mai scommesso un solo centesimo sul fatto che un’ipotetica e pacifica convivenza tra lui e Castiel potesse funzionare, e invece in qualche modo stava andando alla grande.
I lavori di ristrutturazione della casa erano ormai ultimati, tutto ciò di cui si stava occupando erano gli ultimi fronzoli: la scelta dei lampadari, delle tende, dei piatti, dei quadri. E, no, Dean non voleva riflettere su quanto tutto questo fosse effeminato, grazie.
Cas partecipava con quella sua innata curiosità verso il genere umano che gli faceva ciondolare la testa come un gufo perplesso. Sotto sua insistenza aveva perfino acquistato qualche nuovo vestito, ed il ragazzo probabilmente non si sarebbe mai abituato a vederlo in jeans e camicia, perché in qualche modo quel moccioso riusciva ad essere una visione vergognosamente sexy senza fare, be’… niente.
Ormai indossava i vecchi abiti solo per svolazzare in Paradiso a fare qualche controllo - cosa che non mancava mai di far sogghignare Dean, perché sapeva davvero tanto di impiegato che usciva la mattina per andare in ufficio - e per il resto del tempo gironzolava per casa mezzo nudo o con addosso solo i suoi vestiti. La serenità di Castiel nei confronti della nudità non mancava mai di imbarazzarlo ed eccitarlo.
Certo, non mancavano le discussioni o i silenzi rabbiosi, perché erano pur sempre due uomini che tentavano di relazionarsi in un paesino di campagna grande quanto un bottone, e l’ingenuità di Castiel creava situazioni non sempre piacevoli, ma erano attriti che si risolvevano - alla peggio - in qualche ora.
Il litigio più spiacevole avvenne quando l’angelo lo scoprì - in realtà lo vide, perché non è che lui si stesse nascondendo, semplicemente aveva cominciato in un momento in cui Cas non era a casa - a consultare gli annunci lavorativi.
Dean aveva speso forti somme per rimettere in sesto la casa, mancava poco perché l’uovo si schiudesse e crescere un bambino implicava un mucchio di spese. Ciononostante, Castiel non capiva.
«Perché?» insistette.
«Ci servono soldi».
«Posso procurarci io tutto il danaro di cui avremo bisogno» gli assicuro l’angelo.
Dean sospirò e chiuse il laptop sul quale stava consultando gli annunci. «Non si tratta solo di questo, Cas. Ho bisogno di fare qualcosa».
«Quando nascerà Joel saremo entrambi molto impegnati».
«Lo so» convenne il ragazzo, riaprendo il computer.
«Dean» lo rimproverò l’altro.
Lui sollevò gli occhi solo per rivolgergli uno sguardo esasperato. «Senti, Cas, è questo che fanno le persone. Le persone normali» scandì «Si guadagnano il pane. Ed io voglio che questo bambino viva una vita il più normale possibile, non voglio che pensi che può procurarsi i soldi come gli pare, non è corretto».
«Ma lui non sarà un bambino normale, Dean» insistette l’angelo. «Avrò bisogno di te al mio fianco, non so come gestire tutte le questioni umane. Devi esserci tu».
«E ci sarò. Te lo promisi ancora prima di convincermi che fosse mio figlio» gli ricordò.
«Allora lascia perdere».
«Non posso» rispose, portando di nuovo lo sguardo sullo schermo.
«Dean».
«Cas, ho bisogno di qualcosa che non riguardi voi, okay?» sbottò, alzandosi in piedi, le mani ancora puntellate sul tavolo «Che non sia anche tua, o del moccioso. Ho bisogno di uno spazio che sia solo mio».
Castiel serrò i denti e distolse lo sguardo. Se non se ne andò sbattendo la porta fu solo perché preferì volare via, portandosi dietro la cesta dell’ovetto.
Dean sospirò e si sfregò la bocca, nervoso. Avrebbe voluto dire che gli dispiaceva, ma la verità era che era assolutamente convinto di tutto ciò che aveva detto. Però di certo non avrebbe fatto schifo utilizzare un altro tono, ammise a se stesso. Quasi sentì la voce di suo fratello rimproverarlo e quella sua stupida occhiata di sbieco, che sembrava sempre dire “Ti stai comportando come un ragazzino”.
«Fanculo» borbottò, rivoltò alla sua Sammy-coscienza, dando un calcio alla gamba del tavolo. Sapeva benissimo anche lui che con Castiel era meglio usare il tono paziente di chi spiega le cose ad un bambino.
Arraffò le chiavi dell’Impala ed imbucò la porta di casa; c’era bisogno di fare la spesa e lui aveva decisamente necessità di prendere una boccata d’aria.
Quando rientrò, con il cofano pieno di buste e la testa gonfia di pensieri, c’era già un’altra auto sul vialetto di casa.
Dean la osservò perplesso. Non ricevevano spesso visite - visite umane, perlomeno - e quella monovolume aveva tutto l’aria di essere a nolo.
Riuscì ad aprire la porta di casa senza fare rumore, tenendo le buste della spesa sotto un braccio. Alla sua destra, dalla porta socchiusa del soggiorno, provenivano delle voci molto familiari.
«Ti trovo… davvero meglio, Sam» stava dicendo Castiel.
Dean accostò la testa allo stipite per sbirciare meglio, giusto in tempo per notare che erano entrambi seduti sul divano e per vedere suo fratello annuire.
«Ero certo che tu te ne saresti accorto subito, Cas. Avevo… bisogno di ritrovare la pace, sai. Ho scoperto una guida spirituale e, anche se non posso dire di aver riscoperto la fede, ho recuperato… non so, la voglia di andare avanti, suppongo. Ho imparato degli esercizi per trovare la serenità e… mi stanno aiutando».
Cas accennò un sorriso. «Posso vederlo. La tua anima ha un’aura molto più chiara, adesso».
«Tu riesci a vedere la mia aura?» chiese Sammy stupito.
Che diavolo è un’aura?, si domandò, invece, Dean.
Il suo angelo annuì. «Ti confesso che ero piuttosto preoccupato, da quando tuo fratello ha recuperato la tua anima. Non ero certo che ce l’avresti fatta» ammise senza tanti fronzoli, come suo solito. «Ho sottovalutato ancora una volta la tenacia di voi Winchester».
Sam ridacchiò - quella sua risata grassa e calda che non era mai cambiata da quando era un bambino - e Castiel gli strinse gentilmente un braccio.
«Mi dispiace di non aver potuto fare di più per te».
«So che eri molto occupato, Cas. A proposito, ho sentito che le cose si sono risolte per il meglio».
«Sì, è finita». C’era una certa soddisfazione nel tono di Castiel.
«E quindi ora sei tu il ranger dei piani alti, eh? Mi fa ancora un po’ strano vederti senza trench» Sam sorrise, dandogli una pacca su una spalla.
L’angelo si allisciò la camicia come faceva qualche volta con i lembi del soprabito. «Oh, l’ho dimenticato in camera, stanotte» disse quasi tra sé, facendo sbiancare Dean, ancora nascosto dietro la porta.
In casa c’era una sola camera da letto, a parte quella del bambino, quindi…
«In camera? Quella di Dean, intendi?» Sam fece velocemente due più due, aggrottando la fronte con aria confusa.
Castiel annuì, distratto e candido come un bambino, e Sam emise una specie di squittio, quando le parole camera e stanotte cominciarono ad avere un senso molto chiaro.
Dean decise che era arrivato il momento di correre ai ripari. Tornò indietro facendo meno rumore possibile e sbatté la porta d’ingresso, come se fosse appena rientrato.
«Sarebbe utile una mano» gridò, imbracciando meglio le buste.
Subito la figura enorme di suo fratello sbucò dal soggiornò, con un sorrisone stampato in faccia; nascondeva davvero bene lo shock, non c’era che dire.
«Sammy?» fece Dean, fingendosi dovutamente sorpreso. In effetti, per quanto ne sapeva lui fino a cinque minuti prima, il suo fratellino era ancora in Tibet in mezzo a monaci calvi e capre di montagna.
«Sorpresa!» esclamò lui, spalancando le braccia per stringerlo al proprio petto, con buste della spesa e tutto il resto. Poi prese parte del suo carico e lo aiutò a portarlo in cucina.
«Quando sei arrivato?» chiese il maggiore, davvero curioso.
«Non più di quindici minuti fa. Non ti dispiace, vero?» replicò, come se gli fossero appena venuti degli scrupoli.
Dean gli diede una pacca sulla spalla. «Non dire stronzate. Siamo una famiglia. Mi casa es tu casa, Sammy».
Suo fratello sorrise, ma le sue labbra tremarono incerte quando spostò lo sguardo in direzione della porta. Lui si voltò, sorpreso, seguendo la direzione dei suoi occhi, e scoprì Castiel sulla soglia della cucina.
Dean capì alla prima occhiata che la loro discussione non era risolta, ma al momento c’erano questioni più urgenti da affrontare: era chiaro che Sam dovesse ancora processare ed accettare la loro relazione, e venire a scoprirlo così non doveva certo essere stato d’aiuto.
«Una birra?» propose al minore, per rompere il ghiaccio, sicuro che Cas - da padrone di casa inesperto qual’era - non gli avesse ancora offerto da bere.
«Sarebbe fantastico» rispose Sam, infatti.
«Ehi, Cas, perché non porti qui il pulcino?» propose, mentre apriva il frigo.
L’angelo non rispose, ma si voltò per dirigersi verso le scale, lasciandoli soli.
Dean sospirò e passò al fratello una bottiglia, facendola tintinnare contro la sua, dopo che le aprirono entrambe.
«Allora, che succede? Credevo saresti rimasto tra i santoni pelati ancora per un po’».
«La mia guida spirituale mi ha assicurato che ero pronto per tornare a casa. E il tempo dell’uovo sta per scadere, quindi ho pensato, sai…» Sam scrollò le spalle «… che sarei stato più utile qui».
Il maggiore dei Winchester annuì, prendendo un sorso di birra.
«Quindi… tu e Cas?» domandò l’altro.
Dean tentò malamente di non affogarsi con la birra. «Uhm… già» tossicchiò «È un problema?»
«Cos- no, no! È solo che, sai… immagino che avrei dovuto aspettarmelo, insomma non è che siate mai stati molto… però tu sei… e non credevo davvero che… sì, insomma, okay» blaterò lui, facendo aggrottare la fronte al fratello.
«Sam? Sammy? In inglese, per favore».
Questi buttò giù mezza birra in lungo sorso. «A-avrei dovuto aspettarmelo, no? Con questa storia del bambino e tutto il resto. Voglio dire… il vostro rapporto è sempre stato piuttosto bizzarro» osservò.
E Dean si ritrovò ad imbronciare le labbra in una smorfia pensosa ed annuire. «Sì, non era esattamente la più sana delle amicizie» concesse.
«Già. Se si fosse trattato di chiunque altro avrei pensato che fosse solo questione di tempo, ma tu sei… uhm… sai, tu e le donne. E Cas è nel corpo di un uomo, perciò non credevo che sareste davvero riusciti a…» Sam gesticolò in modo strano con le mani «Ma è okay. Se sei felice, per me è tutto a posto» gli assicurò. «Basta che evitiate le smancerie davanti a me» aggiunse poi, come per un ripensamento «Mi sono bastati quattro anni di sguardi carichi di tensione sessuale».
«Ehi!» protestò il maggiore.
«Cosa? Non vi siete mai osservati dall’esterno. Siete una roba imbarazzante» disse l’altro, aggrottando la fronte.
Dean gli schiaffeggiò la nuca. «Puttana» borbottò.
«Fesso» replicò il minore, ravviandosi i capelli.
«Allora, com’era il Tibet?» chiese, prendendo posto al tavolo.
Sam iniziò a raccontare, con il classico entusiasmo di quando qualcosa lo appassionava davvero, e Dean si lasciò coinvolgere dal suo sorriso e dai suoi occhi luminosi - quella passione che non vedeva in lui da troppo tempo - anche se dell’argomento gli fregava meno di zero. Forse fu per questo che ci mise un po’ ad accorgersi che Castiel non era ancora tornato.
Alzò lo sguardo al soffitto, là dove sapeva esserci la camera del bambino, e si accigliò. Dal piano di sopra non proveniva nessun rumore.
«La temperatura è così fredda la notte. Non si direbbe mai, da quello che si vede in TV, sai? E tutti quei monaci sembrano quasi non sentirla. Le prime notti pensavo che sarei morto congelato…» stava dicendo Sam.
«Ehi, senti, devo controllare una cosa su» lo interruppe Dean «Intanto puoi iniziare a sistemarti in soggiorno. Il divano è tuo per tutto il tempo che vuoi» asserì dandogli una pacca sulla spalla, prima di alzarsi.
Suo fratello lo occhieggiò perplesso, ma non discusse, e lui si affrettò ad imbucare le scale.
Si affacciò alla cameretta con una certa circospezione. Castiel era lì, le mani poggiate sulla culla, la schiena rigida sotto la stoffa a scacchi blu della camicia.
Lui lo raggiunse con pochi passi silenziosi e gli poggiò le mani sulle spalle, cercando di sciogliere la tensione con movimenti gentili. «Ehi» sussurrò a mo’ di saluto.
Cas non rispose e si voltò, scivolando via dalla sua presa. Gli era di fronte, ma teneva lo sguardo basso, lontano dal suo.
«Sei ancora incazzato con me» dedusse Dean.
«No, non sono arrabbiato» rispose l’angelo; non portava mai rancore a lungo. «Sono… deluso, suppongo».
«Oh, perfetto» borbottò lui «Davvero perfetto». Avrebbe di gran lunga preferito essere preso a pugni. «Senti, Cas… ho bisogno di fare qualcosa, di socializzare con qualcuno che non sia tu, o Sam, o - qualcuno mi salvi - Balthazar. Non posso vivere la mia vita solo in funzione tua e del bambino, non è… sano. Ho già fatto una cosa del genere, okay? E non è finita bene» tentò di spiegare, pensando a suo padre e suo fratello.
«Non capisco» ammise Castiel.
«Tu hai il Paradiso, hai qualcosa da fare al di fuori di tutto questo. Perché non posso averlo anche io?» tentò il cacciatore.
«Il Cielo è la mia casa, eppure tutte le volte che sono lì, io non desidero altro che tornare qui, da voi».
«Ed è quello che voglio io, okay? Lo faccio anche per questo. Non voglio darvi per scontato, non voglio che stare con voi diventi un dovere, come se fosse un lavoro. Voglio che questo-» si interruppe, aprendo le braccia, come a voler stringere tutta la casa «sia il mio premio a fine giornata».
L’angelo sospirò, le spalle curvate in una linea sconfitta. Le sue mani si aprivano e chiudevano i gesti nervosi, il suo intero corpo vibrava, come se stesse lottando contro se stesso per non toccarlo; a volte continuava ad avere queste esitazioni, quasi non riuscisse a credere - o a capire - che gli fosse concesso di fare ciò che voleva.
Dean lo afferrò per la camicia e se lo tirò rudemente addosso. Castiel poggiò la fronte sul suo petto e chiuse una mano sulla sua maglietta, artigliando la stoffa con tanta violenza da graffiargli un fianco attraverso il tessuto.
«Mi dispiace» mormorò.
«Di cosa?».
«Sto sbagliando qualcosa. Credevo di conoscerti, invece non ti capisco. Continuo a fare errori» disse a denti stretti, frustrato.
«Ehi… ehi» bisbigliò Dean, scostandolo da sé per incontrare i suoi occhi «È normale, okay? Non esiste l’armonia assoluta, in tutte le relazioni si litiga. Ed è meglio così. Sarebbe una palla, altrimenti, no?» tentò un mezzo sorriso «Se mi conoscessi troppo, diventerebbe tutto terribilmente scontato» Non voleva che si stancasse di lui troppo presto.
«È impossibile che mi stanchi di te» gli assicurò, leggendogli dentro come un libro aperto «A volte vorrei prenderti a pugni, ma comunque non mi stanco mai di te».
Dean ridacchiò, concedendogli un punto. «Meglio così, no?» sussurrò poggiando la fronte contro la sua.
Castiel annuì. «Quando arriva il momento in cui fai silenzio e mi baci?»
E lui rimase molto, molto zitto.

*°*°*°*°*

In piedi di fronte al barbecue, intento a rigirare due belle bistecche sulla graticola, Dean ruotò le spalle, a disagio. Sentiva lo sguardo di Sam, seduto al tavolo di plastica del giardino, fisso sulla propria schiena, e non era affatto una sensazione piacevole.
«Sono quasi pronte» disse, sperando che l’interesse del fratello fosse rivolto unicamente al cibo.
Questi mugugnò qualcosa in assenso, ma non smise di fissarlo, così lui si risolse a voltarsi e sbottare: «Cosa?» pulendosi le mani su uno strofinaccio.
Il tavolo era già apparecchiato e la cesta con l’ovetto era proprio al centro, le torce erano accese e l’insalata tagliata. Insomma, mancava solo Cas, che era svolazzato in Paradiso per accertarsi che fosse tutto apposto. Quindi erano soli.
«Scusa» borbottò Sam, distogliendo lo sguardo e piluccando con aria assorta l’insalata. «È solo che…» aggiunse dopo un po’ «tu e Cas, non riesco ancora a realizzarlo, nemmeno mentre ti guardo fare la massaia».
«Ehi!» protestò Dean.
«Da quanto…? Sai…» tentò il minore.
L’altro si voltò di nuovo verso il barbecue, con la scusa di controllare le bistecche. «Poco dopo che sei partito per il Tibet? Già dall’Inferno, forse? Non lo so. È come se ci avessimo girato intorno per un sacco di tempo» ammise.
«Poco dopo la mia partenza?» esclamò Sam «Quindi sono già… quasi quattro mesi?» calcolò incredulo «Perché non me l’hai detto?»
Dean sbuffò e lanciò lo strofinaccio da una parte. «Che cosa avrei dovuto dirti, uhm?» Si voltò verso di lui e chiuse una mano, lasciando aperti solo pollice e mignolo, prima di portarsela all’orecchio come fosse un cellulare. «Ehi, amico! Hai presente il nostro angelo? Sì, quel moccioso sfigato ed eternamente arruffato. Be’, me lo porto a letto! Non è un problema per te, vero?» mimò, prima di spalancare la braccia in un gesto impotente «Non suona esattamente come il genere di conversazione da avere al telefono».
Sam fece una smorfia imbarazzata e si tirò indietro i capelli in un gesto nervoso. «Già, forse hai ragione. D’ora in poi eviterò le improvvisate» promise con un sorrisino teso.
Il maggiore scrollò le spalle. «È tutto okay, sul serio… Almeno per me» aggiunse dopo un ripensamento «Siamo okay, vero?»
«Sì sì, certo. Devo solo farci l’abitudine» gli assicurò. «Quindi tra di voi è tutto a posto, ora?»
«Definisci “a posto”» suggerì Dean. «Ci stiamo lavorando. Anche oggi abbiamo avuto una bella discussione, ma… sai… è normale, suppongo».
«A proposito di cosa?» chiese Sammy, drizzando le orecchie come una comare.
«Lavoro. Io voglio trovarne uno, Cas preferirebbe che vivessi di rendita. Ma ci siamo chiariti e credo abbia capito il mio punto di vista» rispose lui distratto, tornando a controllare la cottura.
«Uhm…» mugugnò il suo fratellino, in un modo che non preannunciava nulla di buono. «Sai, anche io sono a corto di denaro, dopo questi viaggi, quindi mi servirà presto un lavoro. Magari potremmo aprire un’attività insieme, qualcosa di tranquillo, che non faccia preoccupare Cas e ci permetta di fare turni che ti siano comodi per il bambino» propose infatti.
«Ad esempio?» lo assecondò Dean, anche se poco convinto, perché non riusciva a pensare a nessun lavoro che potesse piacere o in cui fossero bravi entrambi, a parte la caccia.
Sam scrollò le spalle. «Non lo so» ammise meditabondo, poi gli si illuminarono gli occhi di una luce che poteva voler dire solo Eureka! e di cui lui aveva il sacrosanto terrore. «Un bar, ad esempio. Un bar per cacciatori, come la Road House. Ci permetterebbe di restare nel campo, però senza esserne davvero coinvolti» disse precipitosamente.
Il maggiore lo fissò incredulo. «Suona come un piano. Un buon piano» osservò stupito. «Possiamo affittare un locale con i soldi che ci restano e Cas potrebbe procurarci tutte le licenze del caso. Se tutto va bene, potremmo aprire tra qualche mese» stimò a bocca aperta.
«Sì!» esclamò Sam, entusiasta, e poi chissà come Dean se lo ritrovò davanti e venne stritolato da uno dei suoi abbracci da Bigfoot.
Stavano ancora ridendo e dandosi delle pacche sulle spalle, quando Castiel tornò.
«Mi sono perso qualcosa» giudicò, fissandoli da lontano con la testa inclinata.
Dean sorrise e lo raggiunse in tre falcate, gli prese il viso tra le mani e stampò un bacio sulle sue labbra. «Abbiamo un piano» annunciò.
E Sam era così contento che, quando lui si voltò a guardarlo - rendendosi conto che forse aveva appena valicato il limite proprio davanti ai suoi occhi -, non mostrò alcun cenno di imbarazzo, solo un sorrisone speculare al suo.

[1] Joel significa letteralmente Dio è Dio, ma avendolo scelto per la radice del nome John, gli si può anche dare il significato di quest’ultimo: Dono di Dio.

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long: there is an egg between us, supernatural

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