Fandom: Merlin;
Pairing: Artù/Merlino;
Rating: NC17;
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico;
Warning: Slash, Sesso descrittivo;
Summary: Il primo Beltane che Artù, Merlino, Morgana e Gwen passano insieme.
(Per il compleanno di
Valuz)
Note: Questa fic è nata ascoltando una canzone tante di quelle volte, da aver cominciato a vaneggiare ed essere stata costretta a mettere nero su bianco i miei deliri. Vi consiglio, perciò, di ascoltarla in sottofondo, mentre leggete. Il brano è “
Busindre Reel” di Hevia.
Per una volta ci tenevo a scrivere una storia in cui i nostri amati personaggi fossero solo loro stessi, dei ragazzi di vent’anni che si divertono, quindi potrebbero forse risultarvi un po’ OOC.
Per chi non sapesse cos’è
Beltane, si tratta di uno dei quattro grandi sabba della Religione Antica e si festeggiava solitamente il primo Maggio. Durante questa festività venivano celebrati dei riti, atti a propiziare l’abbondanza, e quindi non era raro che il popolo finisse ad amoreggiare di nascosto. I bambini che venivano concepiti in occasione di tale ricorrenza, erano comunemente considerati magici ed intoccabili.
Vale, cucciolina, non potevo evitare di farti questo regalino in onore del giorno in cui sei nata, per ringraziarti di tutto il tuo affetto *--* Sei una persona dolcissima e straordinaria, più ti conosco e più ti adoro! ♥ Buon Compleanno e 100 di questi giorni!
Fuochi Fatui
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all’Isola Che Non C'è. *
La sala dei banchetti risuonava di voci allegre ed il vino scorreva a fiumi, felice conclusione della giornata di tornei e giostre con i quali Re Uther aveva cercato di distrarre il proprio popolo. Quella notte, infatti, si celebrava una delle più grandi festività pagane: il sabba di Beltane.
Era stata una giornata intensa, perciò Merlino non si stupì quando Morgana annunciò di volersi ritirare ed Artù fece altrettanto, poco dopo.
Solo quando reincontrarono la protetta del sovrano appena fuori dal salone, in compagnia dell’immancabile Gwen, ed il Principe chiese a lui: «Sei pronto?» il Mago si accorse che ci fosse qualcosa d’insolito.
«Pronto per cosa?» domandò perplesso.
«Andiamo Merlino, non vorrai davvero restare al castello per tutta la notte!» ironizzò l’Erede al trono, passandogli un braccio attorno alle spalle ed incamminandosi con lui e le due fanciulle verso l’esterno della corte.
No, certo che lo Stregone non voleva; era tutto il giorno che sentiva la magia fremere dentro di sé e l’aria tra lui ed Artù sfrigolare come tizzoni ardenti. Bastò quel lieve contatto tra i loro corpi per infiammare il potere dentro di lui e cancellare ogni sua resistenza.
Coperti da mantelli leggeri per non farsi riconoscere, i quattro fuggiaschi sorpassarono anche la città bassa e si diressero verso i campi. I meleti erano rischiarati dai falò e le note della musica giungevano lievi fino ai ragazzi, trasportate dal vento. Fu in quel momento, quando Merlino vide i sorrisi esaltati dei suoi compagni d’avventura, che comprese fino in fondo cosa stesse accadendo.
Il popolo ballava attorno ai fuochi ed ogni gola era innaffiata dall’idromele, che veniva generosamente offerto da graziose fanciulle ornate di fiori; dei musici suonavano brani vivaci e dei giocolieri si esibivano con fiaccole o corde infuocate.
Morgana ed Artù si gettarono nelle danze, e la complicità con cui si guardarono, diede idea allo Stregone che quello non fosse di certo il primo anno in cui intraprendevano una simile “fuga”.
Il suo sguardo confuso cercò quello di Gwen, che confermò tacitamente i suoi sospetti: «Può non sembrare, ma sono cresciuti insieme e nutrono l’uno per l’altra un grande affetto. Sono certa che Sua Altezza preferirebbe sposare la mia signora, piuttosto che una qualsiasi principessa sconosciuta» ed il valletto comprese che il suo padrone era lì sia per salvaguardare la virtù della propria sorellastra, che divertirsi senza pensieri, una volta tanto. Lo intuì dalla scintilla euforica e predatrice nei suoi occhi che, prima d’allora, aveva scorto solo in occasione di una battuta di caccia particolarmente soddisfacente.
La gente comune non sembrava riconoscerli o, meglio ancora, pareva non curarsi della loro identità: in mezzo ai fuochi ed alla musica erano tutti uguali.
Il Mago sentiva la magia fremere nell’aria, innalzarsi dalla terra, agitarsi nelle fiamme ed ascendere al cielo. Quando vide Morgana danzare, sensuale e bellissima, libera come mai lo era stata prima, comprese che anche per lei fosse lo stesso. Tutto il suo essere venne improvvisamente attirato da quella figura flessuosa e candida, splendida e maliziosa proprio come una Fata.
Nel momento in cui si ritrovò al suo cospetto ed iniziarono a ballare, sentì la magia fluire da lei ed in lei e poi, quando la giovane gli sorrise, capì che anch’ella poteva avvertire il suo potere.
Merlino percepì la magia scaldare i propri occhi, rivelandosi alla Veggente e, per la prima volta, vide le iridi verdi di Morgana incendiarsi d’oro.
Come in risposta a quella manifestazione spontanea di potere magico, le fiamme dei falò si elevarono ancora più in alto ed eccoli lì, Strega e Stregone, finalmente allo scoperto, finalmente complici.
Giovinezza, idromele e magia. Un miscuglio che dava alla testa e che fece dimenticare ad entrambi ogni convenzione sociale ed ogni ruolo prestabilito.
Come calamitato, Merlino si voltò a destra, incontrando lo sguardo del proprio Principe. Notò che il suo mantello e la sua giacca erano già scomparsi chissà dove e, con addosso la sola casacca, mentre scolava l’ennesimo calice, stava avanzando nella sua direzione.
La Veggente andò alla ricerca della propria ancella, trascinandola con sé nelle danze sfrenate, e Merlino si ritrovò da solo, preda del sorriso ferino di Artù.
L’Erede al trono lo raggiunse e lo placcò senza alcuna pietà, stringendolo a sé e sollevando il suo corpo leggero tra le braccia, come se pesasse meno della sua sorellastra. Ed il Mago rise e pensò “Asino esibizionista” sentendosi a casa, quasi fosse di nuovo ad Ealdor.
Non c’era sua madre a quei festeggiamenti, ma c’erano Gwen e Morgana.
Non c’era Will, ma Artù occupava altrettanto degnamente il suo posto.
Il Principe sembrava entusiasta quanto lui, talmente lontano dall’immagine che dava solitamente di sé, che il suo servo faceva fatica a riconoscerlo. Mai l’aveva visto così libero e spensierato, in quel momento non era altro che il ragazzo di vent’anni che solitamente gli era proibito essere… era solo Artù.
Ed anche lui si sentiva finalmente sé stesso: non il Valletto Reale, ma il giovane Mago Merlino.
Nel momento in cui il biondo, ridendo con lui, lo posò a terra, lo Stregone alzò le braccia al cielo, danzando con questi tra il calore dei fuochi, inconsapevole che la luce delle fiamme sulla propria figura sottile ed alabastrina, lo facesse apparire come un elfo o un demonio tentatore.
«Non credevo che foste interessato alle feste popolari ed ai riti pagani, vostro padre è contrario» esordì di punto in bianco.
«Io non lo sono, penso sia giusto che il popolo creda negli dei che preferisce. Guarda questa gente… come potrei andare tra loro e spezzare tanta felicità? Amo queste feste, perché le persone sanno chi io sia, ma non ne sono interessati. Mi accolgono come se fossi uno qualunque, come se fossi uno di loro» l’alcool rendeva il suo parlare più scorrevole e cadenzato, mettendo in mostra un lato di lui che di solito rimaneva celato. A cena aveva bevuto una discreta quantità di vino e probabilmente questo, unito all’idromele, aveva creato un miscuglio ben poco salutare.
«Da quanto tempo venite a questi sabba?» chiese il valletto curioso.
L’Erede al trono sbuffò, cercando di ricordare: «La prima volta io dovevo avere circa dodici anni e Morgana tredici. Un paio d’anni dopo prese Ginevra al proprio servizio… da allora anche lei si è unita a noi ed io mi sono sentito libero di perdere d’occhio per un po’ la protetta di mio padre, sapendo che comunque non sarebbe rimasta mai da sola».
Le loro amiche li raggiunsero nuovamente ed, abbandonato il solito contegno, Gwen saltò in spalla a Merlino e lui se l’accomodò meglio addosso, facendo una giravolta su sé stesso e saltellando per farla divertire.
Quando più tardi, ebbri e con gli abiti stropicciati ed in parte scomparsi, crollarono tutti a terra sotto le fronde di un melo, Merlino pensò di non essersi mai sentito così felice e così parte di un gruppo.
Artù poggiò la testa sul suo petto nudo - aveva perso la tunica in un momento che non riusciva a ricordare - e lui gli scostò i capelli sudati dalla fronte. A causa delle fiamme del falò sembravano quasi rossi e, grazie ad uno strano gioco di luce, per un attimo i suoi occhi turchesi gli parvero divenire dorati, in risonanza con la propria magia che rifluiva in ondate tra loro. Ma era un’idea assurda ed ebbe quasi il timore di averlo incantato, dato il suo potere fuori controllo.
Il Principe evidentemente era abbastanza ubriaco per accarezzarlo con disinvoltura, come mai aveva osato prima di allora, credendo con tutta probabilità di avere sotto le mani chissà quale fanciulla ed incurante che vi fossero due dame accanto a loro, che scrutavano ogni suo gesto.
Il Mago fremette a quel tocco, incapace di respingerlo, ed arrossì quando incontrò il sorriso malizioso di Morgana.
«Oh, non fate caso a noi» sussurrò quest’ultima, prima di baciare Gwen su una guancia e portarla via con sé.
Merlino cercò di richiamarle, ma quando Artù sussurrò il suo nome, posandogli subito dopo le labbra sul collo, ogni pensiero evaporò dalla sua mente. Reclinò il capo, mentre il suo signore gli leccava una scia bollente dall’incavo tra le clavicole sino a dietro l’orecchio, strappandogli un ansito. La sua testa vorticava, non capiva più niente e, in una sorta di spirale onirica, vide sprazzi d’immagini confuse, forse visioni del passato e del futuro, dovute sicuramente alla magia che esalava dalla terra e riverberava fra di loro.
Artù coprì il suo corpo con il proprio e Merlino sentì il calore del potere invadere entrambi, come se le due parti della mela fossero state finalmente riunite… Le due facce di quella dannata moneta perfettamente sovrapposte. Gli sembrò di udire in lontananza la risata del Drago, mentre i fuochi si alzavano nuovamente in una sfavillante vampata, quasi volessero raggiungere il tappeto di stelle e la luna nel cielo.
La bocca del Principe catturò la sua e lo Stregone la schiuse docilmente, gustando con bramosia il suo sapore unito a quello dell’idromele.
I rami dell’albero si piegarono, come se volessero gentilmente schermarli dal mondo intero, nascondendoli agli sguardi della gente.
Le mani dell’Erede al trono s’intrufolarono nei calzoni dell’amante, cercando il suo membro, ed il suo servo gli strattonò la casacca, sfilandogliela con qualche difficoltà.
Merlino aveva sempre sospettato - o forse sperato - che il Destino li avrebbe guidati l’uno fra le braccia dell’altro, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe accaduto così. L’alcool e la magia di quella notte, però, erano forse ciò che occorreva ad entrambi per abbandonare le inibizioni ed abbattere il muro di convenzioni sociali che li divideva.
Si spogliarono con frenesia, cercando l’uno l’eccitazione dell’altro e sfregandosi licenziosamente. Merlino avvolse le gambe attorno ai fianchi dell’Erede al trono e le loro erezioni vennero a contatto, strusciandosi con lussuria e strappando loro intensi gemiti.
Il Mago ebbe quasi l’impressione di veder scintillare la magia tutt’intorno, senza alcun freno ed euforica, come se anch’essa avesse un umore e fosse lieta di quell’unione.
Artù ansimò nuovamente il suo nome, gli accarezzò le labbra con due dita, invitandolo silenziosamente a leccarle, e sorrise compiaciuto quando l’altro eseguì; poi portò quelle falangi più in basso, sino al suo punto più intimo, preparandolo lentamente senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Merlino s’inarcò in maniera spudorata, desiderando di più e, quando il compagno entrò finalmente in lui, boccheggiò senza fiato. Gli sembrò quasi che il mondo si fosse capovolto, che non vi fossero più un “sopra” ed un “sotto” tangibili e, quasi per ritrovare un punto fermo in quella girandola di sensazioni, si aggrappò alle spalle larghe di Artù, mentre le sue spinte gli portavano via anche l’ultimo barlume di coscienza, trascinandolo in un fluttuante senso d’irrealtà.
Ebbe la curiosa impressione che il calore di quell’amplesso stesse sciogliendo le ultime barriere che li separavano, trasfigurandoli in ciò che sarebbero stati in futuro e, quando il loro seme bagnò il terreno, seppe - anche se non era certo del come o del perché - che il raccolto della prossima stagione sarebbe stato il più abbondante degli ultimi vent’anni.
Il Principe crollò al suo fianco con un’aria esausta, ma evidentemente soddisfatta, mantenendo un braccio stretto intorno alla sua vita in un gesto possessivo, ed il servo lasciò passare in silenzio interi minuti, accarezzandogli pigramente la schiena, senza distogliere l’attenzione dai suoi occhi socchiusi e brillanti.
«Non ho mai condiviso questo giorno con nessuno» mormorò Artù ad un soffio dal suo viso, mentre ambedue erano ancora placidamente stesi sull’erba morbida.
«Invece sì, con Lady Morgana e Gwen» gli ricordò l’amante e l’altro storse le labbra in una smorfia.
«Loro sono un’altra questione» sbuffò, come se stesse spiegando l’ovvio, e Merlino sorrise, illuminando la notte più dei falò di Beltane.
«Grazie» replicò semplicemente.
«Non sarà l’ultima volta» gli assicurò il Principe, riferendosi in modo esplicito a quell’avventura, ma implicitamente a molto di più.
«Certo, non ho intenzione di perdermi l’unico giorno dell’anno in cui abbandoni la tua consueta boria» lo sbeffeggiò l’altro allegramente, per alleggerire l’atmosfera.
Artù lo spintonò, fingendosi offeso: «Sei proprio un idiota, Merlino, lo sai? » ribatté, alzando teatralmente gli occhi al cielo quando il suddetto idiota si mise a ridacchiare.
E ti prendono in giro
se continui a cercarla
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te.*
FINE.
*La strofa d’introduzione e quella conclusiva sono tratte da “L’Isola Che Non C’è” di Edoardo Bennato.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;