Il Maestro Meccanico

Jun 04, 2010 08:37

Fandom: Originale (Soft Nightmare) - Racconto Sovrannaturale/Steampunk.
Pairing: Skandar/William;
Personaggi: l’Androide Skandar, il Vampiro William Blackwood, il Demone Melanchor;
Prompt: 1870-1880: Seconda Rivoluzione Industriale @ Nightmare Table di snightmare ; 
Rating: NC17;
Genere: Erotico, Romantico, Sovrannaturale, Steampunk;
Warning: Slash, Sesso descrittivo, Vampirismo;
Beta: Narcissa63;
Summary: L’amore tra un umano ed il suo maestro androide, un sentimento tanto puro da spingere il primo a diventare un Vampiro per stargli sempre accanto.
Dedica: A Leli(leliwen ) e Zephan(zephan82 ), che mi hanno incoraggiata tantissimo dopo aver letto il profilo dei personaggi su snightmare, e a darkayesha , che oggi compie gli anni. Tanti auguri, cara! Buon Compleanno e 100 di questi giorni!

DISCLAIMER: Personaggi, luoghi citati e quant’altro appartengono a me, quindi serve il mio esplicito consenso per usarli; sono tutti miei,  tranne Melanchor che è di proprietà di melancholia, la quale ne detiene i pieni diritti e me l’ha “prestato” per l’occasione.

Il Maestro Meccanico

Se dovessi scegliere tra il tuo amore e la mia vita,
sceglierei il tuo amore,
perché è la mia vita.*

Londra riposava placida in una coltre di nebbia, in bocca sentiva ancora il sapore del sangue dell’umano, che aveva abbandonato in un vicolo buio. Più tardi avrebbe dovuto mettersi in contatto con il proprio Master, per ricevere nuovi ordini.
William passò la chiave magnetica nell’apposita fessura e la porta si aprì con un sibilo, rivelando la rampa di scale che portava alla Cripta. In lontananza, il suo udito finissimo percepiva il rumore delle ventole dell’aria centralizzata ed il gocciolio dei canali di scolo, ma ogni rumore venne zittito dal suono cadenzato dei suoi passi sugli scalini di marmo.
Raggiunse il piano sotterraneo e, come d’abitudine, si accostò alla bara di cristallo che campeggiava al centro della stanza. Al suo interno, il corpo bianchissimo di un giovane dai capelli fulvi giaceva pigramente, perfetto come se fosse addormentato, eppure immobile.
“Troverò il modo di riportarti in vita, amore mio. Abbiamo attraversato insieme un secolo, in questo o nel prossimo riuscirò a risvegliarti” pensò il Vampiro, chinandosi per baciare il freddo vetro sopra le labbra del suo amante.

Correva l’anno di grazia 1886 quando William lo vide per la prima volta. Era l’8 dicembre di un inverno gelido e nevoso, l’intero paesaggio era coperto da una spessa coltre bianca e suo padre, il Dottor Blackwood, era rientrato intirizzito e stanco, ma non da solo.
Accanto a lui sostava un ragazzo alto e magro. La luce calda delle lampade a gas ne illuminò la figura sottile, fiammeggiò sui lunghi capelli fulvi, accese di riflessi screziati i suoi occhi d’argento e delineò ogni curva della sua pelle alabastrina. Era vestito con abiti modesti, antiquati ed impolverati, ma due gemme d’onice gli ornavano le orecchie, svelando ciò che era: un androide.
«Ti presento il tuo nuovo maestro. E’ il tuo regalo di compleanno» annunciò suo padre. In seguito gli spiegò che il proprietario della Steam Corporation - l’azienda più prospera ed all’avanguardia del secolo - era un suo caro amico e quell’automa, rimasto per lungo tempo sul fondo di un polveroso magazzino, era una delle loro prime produzioni. Non era mai stato utilizzato, infatti, sin da subito, era stato scartato perché troppo umano - sia nell’aspetto, che nell’indole - e non in linea con le richieste del mercato, che prediligeva articoli dall’aspetto più singolare e dal carattere più docile. Stava per essere rottamato, ma il Dottor Blackwood l’aveva notato ed il proprietario, dato che non sapeva che farsene, glielo aveva ceduto più che volentieri. Suo padre l’aveva ritenuto perfetto come regalo per il suo diciassettesimo compleanno; un maestro che non avrebbe mai dovuto stipendiare, né sostenere, e per il quale non aveva sborsato un soldo.
Will ne rimase immediatamente affascinato, tese la mano a quel dono, invitandolo a seguirlo e lo portò a fare un giro della loro tenuta.
L’automa aveva l’aspetto di un ragazzo poco più grande di lui, era taciturno, intelligente e gentile. Si guardava attorno con curiosità, porgendogli occasionalmente delle domande, per avere più chiaro quale sarebbe stato il suo compito da quel momento in poi.
Il giovane Blackwood era certo che fosse ben felice di occuparsi dell’istruzione di un signorotto, piuttosto che giacere in un ripostiglio. Poi si rese conto che non aveva un nome e fu proprio lui a battezzarlo: «Skandar… ti piace questo nome? Ti chiamerò così!» dichiarò con entusiasmo, sorridendo al volto perplesso e divertito dell’androide.
Skandar si rivelò un maestro esemplare e rigoroso. Spiegava tutto con chiarezza e pazienza, ma non scusava la pigrizia o la distrazione, e William lo preferiva a tutti i precettori che aveva avuto sino a quel momento, perché non gli metteva mai fretta e gli concedeva una pausa se lo vedeva troppo stanco. Era premuroso, anche se esigente, e non alzava mai la voce. Rendeva ogni materia interessante ed all’improvviso studiare era divenuto piacevole, persino divertente!
Vedendo finalmente risultati così fruttuosi e, soprattutto, suo figlio tanto interessato alla cultura, anche suo padre -solitamente incontentabile - rimase soddisfatto.
In breve tempo Skandar divenne non solo il suo insegnante, ma il suo principale punto di riferimento; un confidente ed un amico.
William era figlio unico, poiché sua madre era morta dandolo alla luce e suo padre, che l’aveva amata profondamente, non si era mai risposato e si era buttato a capofitto nel lavoro. Era stata la signora McGregor, la loro fidata governante tentacolare, a crescerlo.
Vivevano alla periferia di Londra - il Dottor Blackwood raggiungeva il suo studio nella City con la carrozza a vapore - e Will aveva sempre studiato privatamente. Capitava molto raramente, quindi, che avesse compagnia.
Tutto ciò contribuì a rendere la vicinanza del suo docente androide ancor più speciale; con il suo aspetto, le sue parole, i suoi modi, la sua voce… Skandar catturava tutta la sua attenzione, al punto che il giovane Blackwood non sapeva più chi, tra loro due, fosse il padrone. Si sentiva una piccola falena attratta dalla vivida fiamma che era quell’automa e non aveva idea di quando avesse iniziato a desiderarlo con tanto fervore… forse sin dal primo momento.
Visti gli impegni di suo padre e le faccende in cui era occupata continuamente la governante, erano quasi sempre soli a casa. Blackwood Manor era il loro regno indiscusso e William non desiderava interferenze da parte di altre persone. Eppure, quando non avevano nessuno attorno, si sentiva sempre più spesso a disagio.
Era confuso, il suo maestro era un androide e per di più aveva l’aspetto di un ragazzo… era normale quello che provava? Era sbagliato che il suo cuore battesse più forte ad ogni suo elogio, che sentisse il bisogno di toccarlo e si ritrovasse a spogliarlo con gli occhi, ad immaginare cosa si celasse sotto i suoi vestiti, e si chiedesse se il suo corpo fosse sensibile quanto il proprio?
Skandar gli apparteneva, a tutti gli effetti Will poteva disporre di lui a proprio piacimento, eppure a volte temeva persino l’idea di allungare una mano ed accarezzare il suo viso. Se la signora McGregor li avesse visti, cosa avrebbe pensato? E se il Dottor Blackwood si fosse accorto di qualcosa, cosa sarebbe successo?
Eppure quell’automa era l’unica presenza costante nella sua vita e riempiva le sue giornate, era la ragione per la quale la mattina caracollava giù dal letto, pronto ad incontrarlo e seguire ogni sua lezione, ed il motivo per il quale la notte si ritirava nella propria stanza tanto fremente d’aspettativa, da riuscire a prendere sonno solo ad orari impossibili.
Era inutile negare quei sentimenti e quel desiderio, che lo travolgevano con prepotenza sempre maggiore, al punto che ormai faticava a trattenersi. Il desiderio di toccarlo, di scoprirlo e farlo suo era divenuto un pensiero fisso, quasi un’ossessione. Inconsapevolmente, cominciò a provocare l’amico con piccoli gesti, in maniera sempre più sfacciata, che però Skandar - essendo un androide - non coglieva nel modo corretto.
«Skandar, che ne dici di una passeggiata a cavallo?» propose Will una splendente mattina di maggio.
«Non se ne parla, Signorino, ha una versione di latino da terminare» rispose severamente l’interpellato, richiamandolo ai suoi doveri.
«Ma è sabato!» protestò l’adolescente, indignato.
«Il sabato non è forse un giorno come gli altri?» replicò l’insegnate, inarcando un sopracciglio sottile.
Il ragazzo, però, non lo ascoltò affatto e gli si appese al collo: «Ti prego» lo supplicò, affondando il viso tra i suoi capelli. 
«Più tardi, forse, se avrà finito il suo compito» concesse il maestro, sollevandolo con la sua forza sovrumana e portandolo di peso in salone.
«Non ho alcun modo per convincerti?» sussurrò William al suo orecchio.
«Ne dubito, Signori…» cominciò Skandar, ma venne interrotto da due labbra morbide, che si posarono con autorità sulle sue «Cos’era questo?» domandò incerto, subito dopo.
«Un bacio» rispose con sfacciataggine l’allievo. Semplicemente non aveva resistito, quella bocca rossa, piccola e succosa sembrava chiamarlo e reclamare le sue attenzioni.
«Perché?» chiese allora il docente, mentre l’altro gli si stringeva di più addosso e scioglieva la treccia in cui erano legati i suoi lunghissimi capelli, facendoglieli ricadere sulle spalle come un velo ramato.
«Perché lo desideravo da tanto… sei così bello, Skandar» mormorò l’adolescente, portandosi al viso una ciocca fulva e respirandone il profumo dolce.
«Sono un androide e ho un aspetto maschile» gli fece allora presente, ma nemmeno stavolta il suo padroncino lo ascoltò; già da tempo era venuto a patti con sé stesso.
«Non m’importa» ribatté infatti, dopo di che catturò di nuovo la sua bocca e lo sospinse verso il divano, su cui crollarono scompostamente l’uno sull’altro.
L’automa fremette, indeciso se abbandonarsi o meno a quel contatto caldo ed ignoto. Lui non capiva… per anni il tempo gli era scivolato addosso; le ore, i giorni, i mesi, gli anni, non avevano significato. Poi quel ragazzo era entrato nella sua “vita” - o forse lui era entrato nella vita di quel ragazzo - ed ogni istante era diventato importante, luminoso, colorato… cosa significava?
Avvertendolo irrigidirsi, William si scostò affranto: «Non ti piace» constatò, ma quando cercò il suo sguardo, si rese conto che il suo insegnante era solo stupito e smarrito, non disgustato o chissà che altro.
«Se sento una stretta qui…» chiese Skandar, indicandosi il torace «è normale?»
Ed il giovane Blackwood sorrise raggiante, poi annuì, prima baciarlo ancora una volta. Convinse quella bocca invitante a schiudersi per lui e la blandì con la propria lingua, appropriandosene ed inghiottendo i suoi sospiri. Scese sul suo collo, succhiando la giugulare e poi ancora più in basso. Le sue mani presero a slacciargli la camicia, liberandolo da essa, dal gilet e dalla giacca, e gli ricoprì il petto asciutto di morsi e baci.
«Aspetta… per favore, fermati» ansimò il maestro, sopraffatto da quelle sensazioni sconosciute e dalla frenesia del suo padrone, ma quest’ultimo giocò brevemente con i suoi capezzoli e gli slacciò i pantaloni, facendoli sparire in men che non si dica.
Will si concesse qualche attimo per osservare quel corpo nudo, bianchissimo ed alla sua totale mercè, coperto unicamente da quelle lunghe ciocche rosse che si spargevano sul divano ruvido e sulle sue spalle solide. Poi s’insinuò tra le sue gambe e, nel momento in cui ingoiò il suo sesso, l’androide s’inarcò, cercando un maggiore contatto.
«Ti piace?» lo interrogò il ragazzo e l’altro poté esalare solo un “sì” tremante, artigliando la fodera del sofà. Quando lo riprese in bocca e spinse piano un dito dentro di lui, percepì il suo corpo rilassarsi ed accoglierlo con una facilità ben superiore a quella umana. Lo preparò brevemente, ma con efficienza, tuttavia, quando fu pronto a penetrarlo, esitò: «Posso… davvero posso..?»
«Che aspetti..? Io ti appartengo» replicò Skandar perplesso, e quelle parole, alle orecchie di William, per la prima volta suonarono completamente diverse. Allora lo prese, spingendosi in lui con tanta decisione e bisogno che sembrò volesse possederlo non solo fisicamente, ma ad un livello ancor più profondo, conquistando ogni cosa di lui, sino alla fibra più intima.
L’amico cedette sotto il suo assalto e gli si concesse totalmente, abbandonandosi sul divano. Andò incontro ad ogni suo affondo e si ancorò alla sua schiena; quelle sensazioni, troppo vivide e bollenti, sembravano accavallarsi l’una sull’altra, travolgendogli il corpo e la mente. Infine, qualcosa parve implodere dentro di lui, per un attimo si tese contro il corpo del compagno e poi ricadde sul sofà, privo di energie.
Il ragazzo naufragò in lui ancora ed ancora, sino a perdersi completamente e marchiarlo come proprio. Gli crollò addosso e lo senti rabbrividire sotto di sé; una creatura sottile, innocente, fragile e persa. Lo raccolse nel proprio abbraccio e lo coprì con il proprio fisico - più muscoloso del suo -sentendolo accucciarsi maggiormente accanto a sé, come alla ricerca di un rifugio.
Il docente nascose il viso contro il suo petto e Will udì un mormorio, da qualche parte vicino al proprio stomaco: «Sei riuscito a farmi dimenticare la versione di latino».
Una risata cristallina sgorgò dalle sue labbra. «Ti amo» confessò tra i suoi capelli, posandogli un bacio in cima alla testa. Non si era mai sentito così bene in vita sua, felice, appagato e… no - si rese conto - non c’era davvero nulla di male in tutto ciò. Quelle due parole erano tracimate fuori dalla sua bocca, ma non se ne pentiva affatto, né se ne vergognava.
Il loro rapporto divenne ancora più intimo, non c’era momento della giornata che William con trascorresse con Skandar o luogo in cui non se lo portasse dietro. Quando non erano impegnati sui libri, uscivano per delle lunghe passeggiate, sia nei campi della tenuta - dove spesso andavano anche a cavallo - che nella City.
Niente avrebbe potuto convincere il giovane Blackwood a separarsi dal suo insegnante, cosa che cominciò ad infastidire suo padre; non era normale, secondo lui, che un ragazzo trascorresse tanto tempo libero con un automa. Perciò, spesso suggeriva a suo figlio di intrattenersi in città, frequentare il teatro o qualche club dove avrebbe potuto farsi delle amicizie vere ed all’altezza del suo status sociale.
Ma, per quante sere uscisse, per quante persone incontrasse, Will non trovava nessuno più interessante di Skandar e, quando rientrava, era ancora più avido della sua vicinanza e del suo contatto. Il desiderio che provava nei suoi confronti, lungi dall’essere soddisfatto, era cresciuto ulteriormente, tanto che perfino quando non erano soli faticava a tenere le mani a posto. La lussuria lo colpiva con un’intensità ed una frequenza di cui quasi si vergognava; voleva prenderlo ovunque ed in qualunque modo, immaginava il suo viso puro, corrotto dal piacere, e fremeva dall’eccitazione.
Un pomeriggio d’estate, mentre studiavano nel giardino all’ombra di un salice piangente, il ragazzo si lasciò completamente distrarre dai polsi sottili e scoperti del suo docente, che facevano bella mostra di loro stessi, sotto le maniche rimboccate delle camicia. Ne seguì i movimenti fluidi, mentre l’androide gli illustrava una qualche teoria chimica e, prima ancora di rendersene conto, catturò uno di essi e posò un bacio asciutto sulla parte interna e tenera.
Sakandar s’interruppe di colpo e lo scrutò accigliato: «Che sta facendo?» domandò a mo’ di rimprovero e, quando il suo alunno si spostò in avanti, posandogli le labbra sul collo, lo afferrò per le spalle e lo scostò da sé con decisione. «Questo non è il momento adatto».
«Non ti va?» replicò innocentemente il suo padroncino.
«A differenza sua, Signorino, io non ho degli ormoni che necessitino d’essere sfogati» ribatté incolore, e sussultò quando William chiuse il libro di colpo, per poi alzarsi ed allontanarsi da lui a grandi passi. L’androide rimase immobile per un momento, evidentemente troppo preso alla sprovvista per processare quell’evento e reagire adeguatamente. Possibile che se la fosse presa tanto per un rifiuto? Poi scattò in piedi e lo raggiunse in un battito di ciglia, afferrandolo per un gomito.
«Dove crede di andare? Ha, davanti a lei, almeno un’altra ora di studio» lo ammonì.
Il giovane Blackwood cercò di scrollarsi di dosso la sua presa, ma era come tentare di liberarsi da delle tenaglie. Il suo volto incupito rivelava chiaramente quanto fosse infuriato e, con il suo solito temperamento focoso, sbottò: «Credi davvero di essere questo per me, un mero sfogo?!» ed il silenzio con cui l’amante accolse quel quesito lo innervosì ancor di più. «Allora vieni a letto con me solo perché sono il tuo padrone?!» Non poteva sopportare quell’idea, per lui Skandar non era un oggetto, era il suo bene più prezioso.
«Non capisco cosa voglia dire, io sono un androide» ribatté semplicemente quest’ultimo.
«Questa non è una risposta. Perché vieni a letto con me, solo perché sono io a volerlo?»
«Non la capisco» l’insegnante scosse il capo con frustrazione «Perché dovrei farlo, se non per il suo volere?»
«Allora se ti ordinassi di concederti a qualcun altro, ubbidiresti?» lo interrogò con freddezza ed una punta di cattiveria, ma si sentì subito in colpa, quando vide l’automa sgranare gli occhi con l’innocenza di un bambino.
«I-io… se questo potesse renderla felice… forse lo farei» mormorò abbassando il capo e lasciando il suo braccio, per cingersi il corpo in una posa difensiva.
Si stava proteggendo da lui, realizzò il giovane.
«No, non ne sarei affatto contento, come non lo sono di sapere che non t’interesso affatto» dichiarò mestamente, passandosi con nervosismo una mano tra i capelli «Non ti toccherò più, allora».
«Io non ho mai detto che lei non mi interessi, cosa le viene in mente?!» esclamò il maestro.
«Cosa devo pensare, dunque? Se il tuo padrone non fossi io, ma mio padre, non faresti l’amore con me, giusto?» replicò esausto.
«Sì, invece, lo farei. Se lei mi volesse comunque, io lo farei» sussurrò Skandar, con quella che parve quasi timidezza e, se non fosse stato un essere artificiale, probabilmente sarebbe arrossito.
«Perché?» domandò William, avvicinandosi a lui con una flebile speranza.
«Perché voglio vederla felice» pigolò l’androide «Voglio che lei sia sempre felice, che diventi una persona colta, speciale e responsabile, che tutti ammireranno. Una persona desiderata da tutti, così quando un giorno si sposerà e non avrà più bisogno di me…»
«Io non mi sposerò e avrò sempre bisogno di te»
«Quando si stancherà di me e mi metterà da parte…»
«E’ impossibile che mi stanchi di te e non potrei mai metterti da parte»
«Allora saprò di aver fatto qualcosa di buono e di non essere stato inutile» concluse Skandar, ignorando tutte le sue interruzioni, e finalmente il suo padroncino lo abbracciò, stringendolo a sé come se non volesse lasciarlo più.
«Tu non sei inutile, non sei un oggetto, sei il mio tesoro e niente, per me, conta di più al mondo. Voglio solo te al mio fianco» soffiò al suo orecchio, immergendo il volto tra i suoi capelli ramati
«Lei è un umano… un giorno dovrà sposarsi e avere dei figli, come tutti quelli della sua specie» affermò il docente, artigliandogli la camicia.
«Non voglio né moglie, né figli e non m’importa che tu sia un automa. Io ti amo. Lo capisci questo? Solo tu mi rendi felice» replicò, posando la fronte sulla sua, per poi catturare le sue labbra soffici.
«Hmpf… no, potrebbero vederci» ansimò Skandar, tentando di scostarsi.
«Non può vederci nessuno» lo rassicurò, senza lasciarlo andare.
«Se la signora McGregor si affacciasse ad una finestra…» tentò ancora il docente.
«Si godrà lo spettacolo» lo interruppe beffardo il suo passionale allievo, poi lo baciò ancora e lo fece indietreggiare, premendolo contro il tronco dell’albero più vicino.
«Mi ami?» domandò con urgenza.
«Sono un androide!» gli ricordò per l’ennesima volta. Possibile che quel ragazzo non volesse capire?!
«Questo non c’entra affatto» lo tacitò William.
«Come può dire… io non la capisco, non so dove stia cercando di arrivare» gli posò il capo su una spalla, con frustrazione crescente.
«Un uomo ed un animale non sono uguali, giusto? Sai perché?»
«Perché l’uomo sa ragionare, l’animale è puro istinto» rispose l’insegnante, non capendo cosa c’entrasse quell’argomento con la loro discussione.
«Anche un androide sa ragionare, e la ragione costituisce ciò che qualcuno preferisce chiamare “anima”. In questo non sei diverso da noi umani, Skandar» sorrise, posandogli un bacio sulla fronte.
«Allora mi spieghi cosa vuol dire “amare”» replicò quest’ultimo.
«L’hai detto poco fa. Perché vuoi stare con me?»
«Perché voglio vederla felice»
«Per quale motivo?»
«Voglio significare qualcosa per lei»
«Sì, ma perché?» insistette ancora.
«Perché…» mugugnò l’automa, senza riuscire a giungere ad una risposta.
«Perché… mi ami..?»
«Io… sì» ammise infine, un po’ per l’esasperazione, un po’ perché era riuscito a recepire il concetto, e William rise - la stessa risata serena e scrosciante della prima volta che avevano fatto l’amore - e s’impossessò nuovamente della sua bocca deliziosa.

Una bassa risata lo riscosse ed il Vampiro William Blackwood riemerse dai propri ricordi, voltandosi all’indirizzo di quel suono.
Nella penombra della stanza fiammeggiò un tizzone rossastro, illuminando per un attimo due occhi d’ametista, ed una figura longilinea emerse dalle tenebre, coperta da un lungo cappotto scuro, con in mano una pipa sottile che esalava una scia di fumo nebbioso.
«Dopo un secolo, sei ancora fedele al tuo amore?» lo schernì la voce melliflua del Demone Melanchor, dolce ed appiccicosa come caramello.
«Ho giurato che sarebbe stato per sempre. Per questo ho stretto un patto con te, per vivere con lui in eterno, e non m’importa che la sua energia vitale si sia esaurita, io troverò il modo per ricaricarlo» rispose, riportando lo sguardo su Skandar, addormentato in quella bara trasparente.
Il dono di una vita eterna per creare, in cambio, il caos. Una scelta incurante fatta in nome dell’amore.
«Allora sarà il caso che tu porti a termine il tuo prossimo compito, mio caro. Chissà, forse nella nuova città troverai una fabbrica che abbia ancora i mezzi per aggiustarlo» sussurrò il Master al suo orecchio, accarezzandogli lascivamente i capelli scuri.

FINE.

*La frase d’introduzione è di Jim Morrison.

Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;

serie: soft nightmare, original, snightmare: nightmare table

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