Carnival of Rust

Mar 09, 2011 18:57

Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean.
Rating: NC17.
Beta: leliwen .
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: AU, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 2544 (fiumidiparole ).
Summary: Adattamento medievale ed un po’ incasinato della quarta stagione.
Note: Scritta sul prompt 01. “Fino a quando voci umane non ci sveglieranno” preso dal mio set di syllablesoftime , per la quarta settimana della COW-T di fiumidiparole  e maridichallenge , Missione 2: “cavaliere” - Team Maghi.
Le strofe tradotte all’inizio ed alla fine della fic sono tratte dall’omonima canzone dei Poets of the Fall che da titolo alla storia.
Ringrazio leliwen  (e il macellaio lì vicino XD sorvolate, questa la capirà solo lei) per il betaggio attento a rapidissimo che ha dedicato a questa follia ♥


DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

Carnival of Rust

Sussurri il nome del tuo redentore nel momento del bisogno
e assapori il peccato perché ti ricorda il desiderio
dell’implicazione, dell’insinuazione e della malevolenza, fino a che non potrai più giacere tranquillo
in tutto questo caos, prima che il cavaliere armato ti stringa d'assedio per ucciderti.

Riccioli di nebbia s’addensavano sul terreno spoglio, coprendo le strade come un tappeto bianco, nonostante il sole fosse appena calato dietro le montagne. Sulla via del mercato, i popolani osservavano con sguardo sospettoso i due stranieri a cavallo, che risalivano quella contrada portandosi la foschia d’appreso.
Correvano voci su due uomini maledetti - cacciatori di draghi, si mormorava - fratelli raminghi perseguitati dal demonio, che andavano di paese in paese, portando via la sfortuna che si annidava negli angoli e prendendola su di sé. Si diceva che il primo viaggiasse tronfio su uno stallone nero ed il secondo, tanto imponente d’aspetto - quasi un gigante! - quanto mite di modi, chino su un più umile cavallo marrone: proprio come i due nuovi arrivati. E le dicerie sul loro conto erano diventate ancora più insistenti da quando il maggiore era passato a miglior vita per poi venire risputato dall’Inferno sei mesi dopo.
Ciò che la gente aveva dimenticato, era che Dean e Sam Winchester non erano affatto degli stranieri: erano originari di quella città. John, il loro padre, una volta possedeva la prima bottega sulla Via dei Fabbri ed era un buon diavolo sposato ad una bellissima donna. Una notte, però, un incendio era scoppiato nella loro casa, portandosi via la luce dei suoi occhi. Quella stessa mattina, John Winchester se n’era andato, portando con sé i suoi bambini per dare la caccia - narravano le voci più fantasiose - al demonio stesso, che gli aveva strappato la sua bella moglie.
In realtà, Dean e Sam non davano la caccia ai draghi - non solo perlomeno - ma a qualunque creatura oscura calcasse quelle terre: anime che avevano smarrito la strada per l’oltretomba, mutaforma, nosferatu, dei pagani, uomini più bestiali che umani, perfino demoni. Era questo ciò a cui li aveva educati il loro padre, e lo facevano senza chiedere nulla in cambio, guadagnandosi da vivere scommettendo ai dadi, o in tornei e prove di valore.
I due fratelli smontarono da cavallo, facendo sbatacchiare contro i polpacci le spade che portavano al fianco, e slegarono le sacche dalle rispettive cavalcature prima di legarle fuori da una taverna ed entrare a prendere una stanza per la notte. L’oste rivolse loro un burbero grugnito di saluto e la cameriera gli sorrise timidamente, nascondendo un rossore virginale dietro al vassoio che stava portando. Dean la ricordava: alcuni anni prima si erano nascosti insieme nel fienile sul retro. Le sorrise ammiccante, facendola sgattaiolare via con una risatina frivola e Sam gli scoccò un’occhiataccia di rimprovero.
Avevano viaggiato per gran parte della giornata, quindi al momento erano stanchi ed affamati. Dopo aver ordinato una lauta cena, si accomodarono ad uno dei tavoli e, non appena vennero serviti, si gettarono sul cibo con voracità.
Il maggiore scrutò istintivamente l’ambiente, sentendosi osservato, e sbuffò infastidito. «Guarda questi sciocchi: l’Apocalisse è alle porte e loro pensano che la cosa più pericolosa siano due volti nuovi in città».
«Dean, sei proprio sicuro di volerlo fare?» gli domandò invece l’altro.
«C’è un menestrello che canta storie sulle nostre vite, tu che dici? Ti pare che possiamo lasciarlo fare? Come minimo dobbiamo indagare per scoprire come fa a sapere tante cose sul nostro conto».
«Potrebbe…» iniziò Sam, abbassando la voce e piegandosi di più sul tavolo quando notò che un impiccione a quello accanto stava tendendo le orecchie verso di loro. «Potrebbe essere una trappola» bisbigliò accigliandosi in un modo che significava una sola cosa: demoni.
«Be’, di qualunque cosa si tratti, dobbiamo farla smettere» osservò Dean, convinto che fasciarsi la testa prima di cadere fosse inutile quanto gettarsi alla cieca in un’impresa.
«D’accordo» sospirò il fratellino prima di soffocare uno sbadiglio. «Ma domani» concluse.
«Oh, sì, sono assolutamente d’accordo» convenne lui; di solito avrebbe sfidato qualcuno - con tutta probabilità il più grosso nella sala - a braccio di ferro per racimolare qualche moneta o una pinta di birra, ma quel giorno era davvero troppo stanco. «Non mi sento più le natiche dopo tutto quel cavalcare» si stiracchiò sulla scomoda sedia, prima di alzarsi e dirigersi verso le scale che portavano alle camere in affitto.
Sam lo seguì quasi subito e, una volta toccato il letto, Dean si assopì in pochi minuti. Al contrario, l’altro raccolse il mantello pesante e la propria spada, poi lasciò la camera.
Il maggiore dei Winchester dormì un sonno agitato: i ricordi dell’Inferno - perché dopotutto, qualcosa di vero le voci lo dicevano: vi era effettivamente stato - e delle torture che aveva subito ed inferto, lo tormentavano. Si destò all’improvviso, percependo una presenza al proprio fianco e, senza aprire gli occhi, frugò sotto il cuscino alla ricerca del pugnale che vi nascondeva sempre, per poi voltarsi di scatto e puntarlo alla gola dell’intruso.
Non era raro subire aggressioni nelle taverne: uomini disperati o briganti s’introducevano nelle camere altrui per cercare di derubare i malcapitati, ma la persona che si trovò davanti non apparteneva a nessuna delle due categorie e non fece una piega alla sua mossa; si limitò a fissarlo con sguardo intenso.
Perfino nel buio della stanza, Dean distinse il volto dai lineamenti regolari, incorniciato da capelli scuri ed arruffati, e quegli occhi unici, di un blu impossibile, che ormai gli erano divenuti familiari. Seduto con compostezza accanto a lui, sull’altro lato del letto, vi era la creatura che l’aveva tirato fuori dall’Inferno: l’angelo Castiel.
Come al solito vestiva un mantello da viaggio beige e sobri abiti scuri, né troppo costosi né troppo dimessi e, come tutte le volte che gli era vicino, il ragazzo sentì formicolare la spalla sinistra, nel punto in cui l’angelo l’aveva afferrato per riportarlo nel mondo terreno, bruciandogli la pelle con il suo palmo. A differenza del sigillo per evitare le possessioni demoniache - che lui e Sammy si erano marchiati addosso di loro propria volontà - sembrava che quell’ustione non fossero mai guarita del tutto.
«Cas, cosa fai qui?» domandò il maggiore dei Winchester, abbassando l’arma e cercando istintivamente suo fratello con lo sguardo. Però, quando individuò nell’oscurità la sagoma del suo letto, lo trovò vuoto e ciò lo fece incupire. Doveva essere di nuovo con quella puttana di Ruby, un demone nel corpo di una sensuale fanciulla, che ultimamente era la sua compagnia preferita. Non ebbe difficoltà ad immaginarli nascosti in qualche angolo buio della città bassa a fornicare, mentre lei si lasciava dissanguare per accrescere i poteri latenti di Sam. Ma tali facoltà non erano normali: erano il frutto corrotto con il quale il demone che aveva ucciso la loro madre l’aveva avvelenato, e quello sciocco continuava a nutrirsene.
«Non sei ancora riuscito a fermarlo» replicò l’angelo, tornando ad essere il fulcro della sua attenzione e facendolo rabbrividire. Già una volta l’aveva avvisato che, se non avesse riportato suo fratello sulla retta via, ci avrebbero pensato loro a sistemare la situazione e lo avrebbero fatto in maniera radicale.
Dean gli rivolse uno sguardo esausto. Si sentiva stanco, stanco di dover sempre sistemare gli errori di tutti - i suoi, quelli di suo padre, quelli di suo fratello, quelli del Paradiso stesso -, stanco della propria vita. Avrebbe voluto urlargli “Ci ho provato!” e chiedergli “Cosa devo fare, Cas?”, ma non poteva, perché da quando gli altri angeli avevano trascinato nuovamente Castiel in cielo, lui era cambiato ed il ragazzo aveva la sensazione di non conoscerlo più o di non averlo mai conosciuto veramente. Il legame che avevano sempre avuto, che li portava a confrontarsi, capirsi ed aiutarsi, sembrava essere stato reciso.
«Perché sei qui?» gli chiese ancora, tentando di cambiare discorso.
«Dovete lasciar stare il menestrello» lo avvertì categorico.
«Cosa? Perché?! Quello scrive sonetti sulle nostre vite! Se si tratta di un demone o di magia nera, mi sembra il minimo che cerchiamo di fermarlo!» s’infervorò subito il ragazzo.
«Non è nulla di malvagio. È un profeta del Signore. Un giorno le sue opere saranno conosciute come “Il Vangelo dei Winchester”» gli svelò l’angelo.
«Un profeta? Quell’omino ridicolo che scrive filastrocche in rima baciata? Sul serio?» replicò lui stralunato.
«Avresti dovuto vedere Luca» rispose Castiel e per un attimo - un secondo solo in cui i loro occhi s’incontrarono - Dean ebbe l’impressione che tra loro fosse tutto come prima. Poi l’altro distolse lo sguardo e asserì atono: «Faresti bene ad andare a cercare tuo fratello» prima di far cenno d’alzarsi.
Il cavaliere gli afferrò il polso senza quasi rendersene conto, temendo che potesse volare via da un momento all’altro, e l’angelo abbassò lo sguardo sulla presa che lo tratteneva, come se non riuscisse a capacitarsi che un umano potesse osare tanto e, al contempo, ne fosse terrorizzato.
«Aspetta» lo richiamò il ragazzo con urgenza, ed avrebbe voluto che suonasse più intimidatorio, anziché in quel modo: come una preghiera.
Cas rimase lì dov’era, attendendo davvero, e all’improvviso Dean si ritrovò senza parole. Avrebbe soltanto voluto riuscire a dirgli che non gli piaceva vederlo così freddo e distante, che rivoleva il suo angelo, quello che aveva intravisto poco prima ed in cui - per la prima volta nella sua vita - aveva iniziato ad avere fede, nonostante non avesse mai creduto in Dio. Ma non ci riusciva ed il suo corpo si mosse d’istinto, spinto dalla necessità, cercando di sopperire la mancanza. Gli posò un palmo sulla nuca e premette le labbra sulle sue, in un contatto morbido e deciso, nel tentativo di trasmettergli quel sentimento a cui non riusciva a dare voce.
Gli occhi di Castiel si spalancarono sorpresi e fece per ritrarsi, socchiudendo le labbra per respirare o forse per dire qualcosa, ma il cavaliere ne approfittò subito per approfondire il bacio. E, quando l’angelo artigliò la stoffa della tunica sulle sue spalle, sfiorando la pelle che aveva marchiato e trasmettendogli un lungo brivido bollente, fu certo che avesse davvero capito cosa voleva dirgli.
«Resta» soffiò Dean nella sua bocca, attirandolo più vicino, quasi addosso a sé.
L’angelo inseguì quel contatto come se non potesse farne a meno, ma poi cercò di scuotere il capo ed allontanarsi. «Non posso» bisbigliò «Potrebbero vederci».
«Allora fa qualcosa» lo incitò il ragazzo, baciandogli una guancia e poi il collo, senza riuscire a smettere. «Nascondi questo posto».
«Se ne accorgerebbero» ansimò lui, cercando di mantenere lucidità, che sembrava evaporare rapidamente, soffocata dalla moltitudine di quelle sensazioni calde ed incomprensibili che non aveva mai sperimentato prima.
«Non andare» mormorò ancora Dean, intrecciando le dita ai suoi capelli, soffici come piume, e catturando di nuovo le sue labbra in un bacio ancora più lascivo ed avido.
E l’angelo cedette, vedendo crollare miseramente non solo i propri intenti, ma anche il suo stesso corpo, che scivolò tra le braccia del cavaliere come se non avesse senso trovarsi in qualunque altro luogo. Questi riuscì a slacciare il fermaglio che gli chiudeva il mantello, liberandolo da quell’ingombro, poi attaccò la cintura che teneva ferma la tunica ed i calzoni. Castiel non si disturbò ad attendere tanto e con uno strattone lacerò i suoi vestiti, denudandogli il petto.
In un’altra occasione, il ragazzo gli avrebbe fatto osservare che la stoffa si pagava a caro prezzo, però in quel frangente i gesti impazienti dell’angelo non fecero che eccitarlo di più. I pantaloni e la calzamaglia fecero una fine molto simile, ma Dean non riusciva a concentrarsi su altro che quelle mani, le quali, con evidente inesperienza e curiosità, studiavano con attenzione ogni pollice delle sue membra. Abituato a sedurre fanciulle, si sarebbe aspettato più preliminari, ma Cas non era una donna e, a ben vedere, non era nemmeno un uomo; non nel senso stretto del termine.
Scivolò tra le sue gambe, scrutandolo con uno sguardo che sembrava puntarsi dritto nella sua anima, e il ragazzo si tese per l’apprensione ed il desiderio. Osservò il suo angelo portarsi due dita alla bocca, inumidendole a dovere prima di farle scivolare giù, nel suo interno coscia e nel suo punto più intimo. Dean le sentì fare breccia dentro di sé, lentamente, una per volta, distendendolo con attenzione estenuante. S’irrigidì per il fastidio, ma una mano di Castiel fu subito sul suo viso a scostargli i capelli sudati dalla fronte.
«Rilassati» sussurrò ed il cavaliere sentì la tensione abbandonare il proprio corpo e quelle intrusioni scivolare più a fondo, sino a toccare qualcosa che lo fece contorcere per l’improvviso ed inaspettato piacere. Quando scomparvero per venire sostituite da qualcosa di decisamente più consistente, tutto ciò che provò fu un’incontenibile sensazione di pienezza e di calore, che lo portò ad aggrapparsi alla schiena dell’amante e ad ansimare contro il suo collo.
Oh Cristo, sì, era questo che voleva! Essere certo che fossero entrambi lì, tenere legata a sé l’unica creatura di cui ancora riusciva a fidarsi - quando perfino suo fratello si comportava in modo incomprensibile - e dimenticare tutto insieme a lei, tutti gli orrori che aveva vissuto e tutti gli obblighi che dovevano ancora compiere.
Cas doveva avergli fatto un incantesimo, non c’era altra spiegazione, perché nemmeno per un istante sentì dolore, mentre si spingeva con forza nel suo corpo. In genere, per uno scherzo simile gli avrebbe spiumato le ali, ma in quel momento era semplicemente grato che ad ogni affondo riuscisse a colpire quel punto capace di fargli perdere il senno. Si sentiva ubriaco - piacevolmente ubriaco - e tutto ciò che riusciva a fare era guardare in quegli occhi blu e scoprire tutto ciò che l’angelo aveva cercato di nascondergli: le incertezze sul proprio compito, la contrarietà per gli ordini che era costretto ad eseguire, il terrore per quei sentimenti che stava iniziando a provare e che non capiva; tutte cose che lo stavano portando a perdersi, a cadere. Ed ora era caduto proprio lì, tra le sue braccia, nel suo letto.
«Mi dispiace, Cas» mormorò colpevole. Avrebbe voluto dirgli che sarebbe stato più corretto di chiunque altro, che non lo avrebbe deluso o obbligato a fare nulla, ma chi era un misero cavaliere mortale a confronto del Paradiso? Eppure era per lui che quell’angelo aveva spiccato il suo ultimo volo.
Questi accennò un sorriso, facendo a pezzi l’espressione austera che indossava sempre, e posò le labbra morbide su quelle del ragazzo, in un contatto impacciato, ma pieno di gentilezza.
Dean ansimò su di esse e gli cinse il collo, tenendo premuta la fronte sulla sua. «Di più» lo incitò. Di più di tutto: più bocca, più forza, più velocità, più calore… più tempo. E Castiel lo accontentò, conducendolo lentamente verso il piacere più intenso che avesse mai provato, prima di lasciarsi andare dentro di lui, coprendogli gli occhio quando esplose in una bolla di luce che incendiò tutte le candele della stanza.
Giacquero lì per minuti interi, sfatti e stravolti, ma più vicini di quanto fossero mai stati prima, tranne - forse - quand’erano usciti insieme dall’Inferno. L’angelo teneva gli occhi chiusi e la mascella serrata come se stesse cercando di dominare un dolore enorme, ed il cavaliere gli accarezzò i capelli preoccupato.
«Stai bene?» gli domandò cercando il suo sguardo.
Lui annuì piano, socchiudendo le palpebre e rilasciando un sospiro tremulo. «In milioni di anni, non mi sono mai sentito così vivo» confessò con l’espressione smarrita di un bambino.
Dean non disse nulla, osservando il cielo che si rischiarava ad oriente preannunciando il giorno e, probabilmente, il ritorno di suo fratello. «Quanto tempo abbiamo?» domandò infine.
«Fino a quando voci umane non ci sveglieranno» osservò Castiel.
«Ancora un po’, allora» concluse il ragazzo ed era tutto ciò che voleva, mentre posava di nuovo le labbra sulle sue.

Vieni, nutri la pioggia,
perché sono assetato del tuo amore mentre danzo sotto il cielo della lussuria
Sì, nutri la pioggia,
perché senza il tuo amore la mia vita non è niente se non questo lunapark di ruggine.

Non andar via, non andar via, oh, il mondo sta bruciando.
Non andar via, non andar via, oh, il mio cuore ti desidera.

FINE.

Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;

syllablesoftime: set sfuso, maridichallenge: cow-t, supernatural

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