Dec 26, 2009 00:56
Era iniziata come una stupida discussione sugli elfi. Sì, sugli elfi. In mezzo a ragazzini che scartavano regali ed adulti che cercavano di comportarsi civilmente gli uni con gli altri - solo perché era la Vigilia, non perché volessero davvero sorridersi a vicenda ed augurarsi il meglio - uno dei cugini più piccoli gli aveva chiesto se i folletti che aiutavano Babbo Natale fossero andati tutti via, e cosa facessero, e mille altre cose a cui non aveva la minima voglia di rispondere - se non fosse stato che avrebbe fatto scorrere più velocemente il tempo e che si sarebbe ritrovato in macchina dei suoi molto prima del previsto, diretto verso casa -. Aveva aperto bocca per far uscire le storie farcite di fronzoli che aveva inventato nel giro di dieci secondi, quando una voce l’aveva interrotto.
“Non sono folletti, sono elfi.”
Sia lui che il bambino avevano sollevato lo sguardo sulla ragazzina che li guardava con aria saputa, quella stessa ragazzina che lo aveva fissato per tutto l’arco della cena e che gli stava dando altamente sui nervi, con la vocetta che sembrava stizzita.
“Gli elfi sono tutt’altra cosa, veramente. Quelli che aiutano Babbo Natale sono folletti.”
Lo aveva fulminato, e lui s’era reso conto solo allora che era venuta apposta per attaccare briga e trovarsi qualcosa da fare, anziché stare in mezzo - come lui, d’altronde - a scartare regali dei quali non le importava assolutamente nulla, in mezzo a gente della quale avrebbe fatto volentieri a meno. Doveva avere massimo diciassette, diciotto anni, ed indossava un qualcosa che doveva essere un maglione abbastanza lungo da coprirle le natiche ed i pantacollant, cosa che non riusciva molto bene a fare. Scacciò un pensiero oltremodo fuori luogo e ricambiò l’occhiata, sfidandola.
“Gli elfi sono dei tizi immortali e superfighi, per quanto ne so io. I folletti sono piccoli e…”
“Non capisci proprio un cazzo.”
Giulio tacque, squadrandola. Sì, avrà avuto diciotto anni, glielo poteva concedere, piccola strafottente e piena di sé. Avrebbe voluto zittirla, peccato non fosse realmente preparato in materia per cui non poteva ribattere come avrebbe voluto. Si limitò a sorridere, falsamente affabile.
“Scommetto che ne sai molto più di me, sì. Peccato che non gioco più con le bambole e non m’interesso degli aiutanti di Babbo Natale. Ho cose più interessanti alle quali pensare.”
Aveva visto come inarcava un sopracciglio, quasi dubbiosa e subito dopo incazzata. Aveva visto come stringeva le mani a pugno ed aveva ridacchiato, profondamente divertito che fosse così facile prenderla in giro, soprattutto quando aveva sibilato a denti stretti.
“Per esempio?”
- Non gli importava che li sentissero - Dio, facevano talmente tanto casino ai piani inferiori che dubitava qualcuno si sarebbe reso conto della loro assenza - ma si era comunque assicurato che la porta di quella camera in fondo al corridoio fosse ben chiusa a chiave, dopo che erano entrati e lei - la ragazzina degli elfi, sì - si era seduta sul letto, come se sapesse ed aspettasse. Gli arrivava una strana musica di sottofondo, mentre le toglieva le calze prendendosi più tempo del dovuto, sentendola sospirare al che le sue dita fredde le toccavano le cosce. Con un gesto agile si era tolto la maglietta - i pantaloni erano caduti a terra quasi subito - e le aveva bloccato le cosce con le braccia, andando a soffiare sulla pelle calda dell’inguine. Aveva avvertito che quel maglione lungo era stato lanciato da qualche parte ai piedi del letto, e aveva inalato l’odore della sua pelle nuda e calda. Era calda, fin troppo calda, e aveva preso a baciarla per cercare di sedare la propria voglia. La ragazzina aveva iniziato a gemere, tentando di liberarsi dalla sua presa al che la penetrava con la lingua, fin troppo delicatamente per i propri gusti, e si avvicinava, leccandola, sentendo il suo sapore e volendone di più. L’aveva stretta, le braccia che le impedivano di muoversi mentre veniva fra le sue labbra, assaporandola e andando più a fondo prima di scostarsi e morderle quel nucleo, quel fulcro di terminazioni nervose e sensibilità quasi con violenza, i pensieri che avevano vagato per la sua mente fino ad allora spazzati via con un colpo di spugna. Le aveva strappato un gemito decisamente più udibile, le aveva strappato il suo nome - quando lo aveva imparato? -, poi aveva continuato a giocare con le labbra e la lingua, volendo annegare in quel calore che gli dava alla testa, quando lei era riuscita a sollevarsi appena, fremendo ancora una volta e sibilando.
“Giulio…” no, si era sbagliato, non era sibilare, era quasi una richiesta. Gli stava chiedendo di fermarsi?
Il ragazzo si era scostato, alzando gli occhi su di lei mentre si puliva le labbra con il dorso della mano. Marta - ecco come si chiamava - ansimava leggermente, un braccio a coprirsi gli occhi, scomposta come una marionetta. Era soddisfatto del risultato finora raggiunto, c’era voluto così poco… La liberò, posizionandosi sopra di lei, mordendole il collo con troppa foga, il suo respiro che si faceva ancora una volta veloce. Le morse una clavicola, scendendo, ghermì con le labbra un capezzolo, succhiando senza gentilezza. Sentì la voce rotta di lei, risalì con le labbra fino al suo orecchio, penetrandola e guardando il suo corpo inarcarsi verso di lui, le mani che gli afferravano i fianchi ed il bacino che si sollevava, quasi volesse fondersi con il proprio corpo o volesse sfondarlo. Le morse il lobo, ascoltò il suo respiro affannoso e trovò la forza di dire, spingendosi ancora più a fondo, perdendo la cognizione dello spazio e della stanza attorno a loro.
“Scommetto sia meglio di qualsiasi elfo tu abbia mai potuto immaginare."