Romeo baciò Giulietta ingerendo il veleno per la millesima volta e cadde, morendo.
Un applauso stanco gli arrivò dagli spalti, al quale si alzò e s’inchinò, sorridendo soddisfatto.
“Sì, sì, bravo bravo. Sappiamo tutti come finisce e ci siamo stancati. Datti una mossa, ormai è tardi.”
Il ragazzo di Verona sbuffò, mentre Giulietta si alzava in piedi e guardava lo spettatore, torva.
“Se tanto ti fa schifo potresti anche evitare di venire, eh. Ormai sono secoli che ripetiamo questa scena, ma a quanto vedo ci sei sempre, quindi piantala di lamentarti. Come se la tua fosse migliore, poi!”
Amleto sogghignò, avvicinandosi al palco e scacciando la donna con una mano, quasi fosse un insetto fastidioso. Giulietta si finse stizzita e, salutando i due in fretta, se ne andò verso i camerini.
“Almeno io sono pazzo.”
Romeo si libero della pesante maglia e rimase in camicia, sotto la luce delle lampade. Lo sguardo che lanciò all’altro era scettico e poco divertito.
“Ma muori comunque, quindi… Pazzo e schiattato, non vedo cosa ci sia di meglio nella tua tragedia.”
“Ovviamente non hai orecchie, fratello. I miei dialoghi sono decisamente più interessanti.”
Romeo emise una specie di verso di sprezzo, sedendosi sul bordo del palco.
“Seh, come no. ‘Essere o non essere…’ Ti giuro, dopo un solo decennio mi sono stancato a sentirtelo ripetere.”
Amleto roteò gli occhi, esasperato. Poi si assicurò che non vi fosse rimasto nessuno, in teatro, prima di avvicinarglisi. Le labbra sfiorarono il suo orecchio, lentamente.
“Questo è il problema…”
Romeo sospirò, reprimendo un fremito impercettibile. Si allontanò leggermente, fissandolo.
“Non ho voglia, dai. Va bene che a Giulietta non gliene frega niente, ma…”
L’altro lo fece tacere, baciandolo, le mani che gli afferravano il viso, impedendogli di muoversi. Quando lo lasciò andare, appariva senza fiato, scomposto e riluttante a troncare quel contatto.
“Sì?”
Non aspettando risposta, Amleto gli baciò il collo e poi scese, strappando senza molto riguardo la camicia dell’amico. Lo udì sospirare e poi fremere non appena le sue labbra si posarono sul petto e poi più in basso, appena sopra l’orlo della calzamaglia.
“Penso che sia veramente orribile. Non potresti vestire in modo decente, ogni tanto?”
Romeo rise, un suono quasi stridulo, mentre si liberava dell’indumento preso in questione.
“Senti, principe di Danimarca, io sono squattrinato.”
Il ragazzo scosse la testa, sorridendo a quelle parole mentre le labbra schiuse sfioravano l’altro nel punto più sensibile. Lo udì mugugnare qualcosa d’incomprensibile e non se ne curò, schiudendo le labbra ed impossessandosi di lui.
Non molto tempo dopo si rialzò, andando a stenderglisi di fianco sul duro legno. Si puntellò su di un gomito, osservando il corpo nudo del Montecchi, il viso arrossato, il respiro che tornava regolare, lo sguardo soddisfatto e rilassato.
“Allora? Dopo secoli, vedo che continua a piacerti.”
Romeo aprì gli occhi, guardandolo. Sorrise appena, poi si infilò la camicia di malagrazia, mentre lo spintonava via con fare divertito.
“Figurati, il mio monologo era migliore.”