Il Signore è il mio padrone, non manco della frusta. Perchè la cinghia mi piace. A chi non piace. E' divertente sentirla quando schiocca sulla schiena e i tagli si aprono. Più un taglio è profondo più capisci. E c'è l'anoressia dietro la porta. Dei sentimenti, della carne. Può darsi, ma io non vomito in bagno. E fino a che l'UomoCane non mi porterà con se beh, l'aridità non è compiuta. E tutto è semplice e complicato. Come scrivere perchè agli altri piace. E così si continua a sognare. Ci sono i luoghi dove si giocava da piccoli, le frustrazioni, le paure. Le teste nei tombini. E tutto ciò collima alla perfezione. E le correzioni blu e rosse, e gli strani simboli. Un prete grasso distribuisce dei fogli. Ha delle foto sul computer, sono donne nude. E' compiaciuto. Gli piacciono le labbra grosse. Anche a me. Non in una donna. "Ora che ti hanno chiesto scusa devi perdonarli" l'apparecchio acustico del prete faceva un vago ronzio e le cicale assordavano. "No" non c'era segno di civiltà lì vicino, la casa grigia aveva dei rampicanti. Si dormiva tutti assieme in una stanza piena di letti a castello. E io avevo lo sguardo di uno che andava al macello. Il torpedone si allontanava da tutto ciò che odiavo ma che non volevo lasciare. "Devi chiedere scusa, perchè Gesù perdonava sempre". Tutti pensano che uno stupro si possa compiere solo coi fatti. E invece no. C'è la tragedia di fare una torta, ma è ben altra cosa. Sono le piccole cose quelle più terribili o più importanti. E in quel giorno io persi la purezza, semmai l'avessi avuta. "Vi perdono" con gli occhi colmi di chi non capisce il perchè. E tutte le bestie ululavano perchè sentivano l'ingiustizia. E per voi c'è solo il lago di fuoco. Fuori pioveva come non mai. E mi girai con il sesto senso animalesco di chi si sente gli occhi sulle spalle. Biondo e bellissimo mi guardava attraverso il vetro. Tutto bagnato. Dopo non c'era più. Non era entrato. Non seppi più niente di lui. "Per me sei perfetto". E le macerie rotolano laggiù, in un contorno di enormi palazzi e di un cielo viola. E le sbarre alle finestre. I muri che urlano come non mai. Perchè quando qualcosa crolla anche loro sanguinano. Non si può ritrovare la giovinezza negli altri. Ed è ben diverso dall'essere infantili. Forse un giorno prenderò un fucile e fine delle stronzate. Perchè tanto niente conta, crolla. "Come dici?". Le persone camminano in fila indiana e sono come formice. Non distinguono i sogni dalla realtà. Anche io sono così. Un nano proietta un ombra più dura e aguzza del legno in cui è scolpito.
L'ombra dell'orologio a pendolo si fermò aguzza sul tavolo di vetro. Sopra c'era un oggetto bianco, piatto e gonfio.
"...dico soltanto che preferisco uno che scopi bene piuttosto che uno che non scopi bene. Tu scopi bene, ad esempio"
"Stamattina ti è arrivata una lettera"
"Una lettera?"
"Sì, è sul tavolo"
E la lettera c'era, sul tavolo di vetro, indicata dall'ombra dell'orologio a pendolo. Era sporca di terra e stropicciata. Nessun mittente, nessun destinatario. La aprì col coltello, con la cautela tremolante che si dedica alle cose che non si conoscono. La lama luccicò della pallida luce che traspariva attraverso le tende, e che quando le aveva comprate pensò che dessero un tocco angelico alla casa. Non comprese perchè la lettera fosse sporca di terra, soprattutto sugli angoli. Gli ricordava i giochi che faceva da bambino, nella terra, e i quaderni che di conseguenza venivano imbrattati. La busta era leggermente gonfia, come se contenesse qualcos'altro, oltre a una lettera. Quando estrasse lentamente la lettera scorse alcune parole scritte a mano, in blu. Sul tavolo di vetrò cadde con uno schianto un oggetto. Un qualcosa che era uscito dalla lettera. Una foglia, sembrava. Forse qualche romanticheria di un antico spasimante. No, era la miopia che tradiva. Era un orecchio, reciso alla base. Un orecchio di un cane. Triangolare, non troppo spesso, abbastanza lungo e marrone. Scivolò così, leggero, sul tavolo. Si va sempre avanti quando si cerca di trattenere l'orrore. Così quella lettera fu aperta. Tra le parole in blu vi era un'evidente macchia, una striscia rossastra, che percorreva il foglio in diagonale. Il posto dell'orecchio. C'era scritto più o meno questo: "Il Signore è la mia frusta. A me piace. Mi piace sentire la carne che si lacera e la comprensione che ne deriva. A te non piace la comprensione? E divento arido di sentimenti, e dimagrisco come non mai. Ma detesto vomitare nel bagno. E l'UomoCane mi porta con se, e un po' sono io. 2612203042567290"
"Cosa c'è scritto?"
Difficile staccare gli occhi. "Mh?"
"Cosa c'è scritto" disse cercando di dominare la polverina bianca che si era sparsa un po' ovunque.
"Farneticazioni"
"Quell'orecchio di cane è molto concreto però" disse inalando fortemente.
"Ci sono scritte cose senza senso, farneticazioni, e un numero a mh, sedici cifre"
"Sedici cifre?"
"Sedici cifre. Non so, forse è qualcosa tipo t9, un indovinello"
"Ti nove?"
"Il metodo di scrittura veloce col cellulare"
"Ah" prese il foglio e lo esaminò. "Non è qualcosa che c'entri col cellulare. E' un numero di telefono".
Tra le mani tremanti stringeva la cornetta grigiastra, un po' vecchia. Era uno di quei telefoni con il quadrante rotondo, e i numeri all'interno di piccoli cerchi. Ci vuole un sacco di tempo per telefonare.
"Pronto?"
"Ciao" una voce inumana. Profonda. Ostile.
"Chi sei?"
"Lo sai"
"Chi sei?"
"L'alfa e l'omega. Il primo e l'ultimo. L'inizio e la fine"
"Non significa nulla"
"Significa tutto, invece"
"No. Chi sei?"
"Possibile che non riesca a ricordare?"
"Dove sei? C'è così tanto silenzio"
"Una torre. Il lugo dell'infanzia, lo sai bene dove sono"
La comunicazione si interruppe.
La macchina procedeva lungo la costa. Gli scogli erano appuntiti, pesanti, gravi. Il mare si scagliava fragorosamente su di essi, e non era per niente calmo. Il sole però c'era. All'orizzonte si stagliava una figura alta fino al cielo. Minacciosa e grigia. Con un'ingrossatura all'apice, e un lungo palo senza bandiera. Le vetrate erano rotte e il luogo in disuso da tempo. Era un faro. Da bambino ci andava a tirare i sassi giù dalla scogliera. E da ragazzo ci andava a scopare. Non c'era un solo filo d'erba, solo terra battuta per centinaia e centinaia di metri. Da bambino era sempre sporchissimo, ci si rotolava per ore con gli amici. Chissà che fine avevano fatto. "Diventerete tutti notai!" gridava qualcuno. Beh forse era vero, forse lo erano diventati. Ma non ricordava un solo volto, neanche una sofferenza. Però ricordava le feste di pochi giorni prima. E il parlare di vestiti e di vino. E ridere a sproposito. Era quello che gli piaceva.
Parcheggiò la macchina sotto al faro. Scese e si mise in piedi sulla riva del dirupo che dava sul mare. Sarebbe così semplice saltare. E uccidersi per una cosa da poco. Per un orecchio di un cane. Aspettò che qualche ricordo gli tornasse alla mente. Ma l'infanzia era sparita. O così sembrava. Ai piedi del faro c'era una botola di ferro. Sembrava quasi che fosse rimasta sepolta in quella landa terrosa per anni, e di recente riaperta. Si avvicinò. L'aprì. Gli si presentò una piccola scaletta di ferro che dava verso il buio più totale. La scala era stretta, quindi dovette scendere di schiena. I corrimani erano pieni di ragnatele trasparenti, all'interno tantissimi ragni con il corpo piccolo e le zampe lunghissime. Era la sua unica fobia. Gli venne voglia di urlare, ma dalla bocca non uscì alcun suono. Giunto alla fine della scala notò una pallidissima luce che proveniva da una fonte ignota. Di fronte a lui una figura di spalle.
"Chi sei?" chiese.
"Lo sai chi sono" ancora quella voce disumana.
"Chi sei?"
"Possibile che non riesca a ricordare?"
"Non capisco cosa ci faccio qui"
"E' la torre. Il luogo dell'infanzia. Lo sai bene dove sei"
"Io non so niente"
La figura di spalle si girò. Prima che potesse esprimere l'orrore per quello che stava vedendo un boato lo fece prima sussultare e poi cadere a terra. Aveva un ginocchio completamente spappolato. E la terra era raggrumata in minuscole goccioline scure. La figura si avvicinò, e venne parzialmente illuminata dalla luce. Era un uomo massiccio, alto. Ma la testa non era umana. Aveva una testa canina. "E l'UomoCane mi porta con se, e un po' sono io" pensò. Quegli occhi castani e senza espressione non erano paragonabili a niente di esistente.
"Possibile che tu non riesca a ricordare?" ripetè l'UomoCane con quella voce inumana.
"Non ricordo nulla"
L'UomoCane gli indicò con una mano il lato destro del suo lungo muso. Lui lo percorse con lo sguardo e notò che gli mancava un orecchio.
"Possibile che tu non ricorda quello che mi hai fatto?" ripetè indicando l'orecchio.
"Io non ho fatto niente. Io non ricordo..."
Un boato.
Un boato mi ha fatto svegliare. E' il ventisei aprile. E' l'una di notte passata. Ho sentito solo un rumore assordante. Mio marito dorme dall'altra parte del letto. La bambina è di là, credo. Ho sentito ho sentito un rumore. Così assordante. Mi sono affacciata alla finestra e un vento fortissimo mi ha scompigliato i lunghi capelli biondi. C'è gente. Per strada. Ed è ferma, non sembrano formiche. Guardano tutte in aria e aspettano forse un giudizio, un senso. No, sono ingenua. Guardano una nube nera e gigantesca, ad alcuni chlometri di distanza. E i corvi volano via. E la bambina è di là. Ho voglia solo di stringerla. E' sveglia e non capisce, neanche io d'altra parte. La stringo al seno, perchè la amo così tanto. Perchè è mia. Nata dal sangue che mi è sgorgato fuori urlante. E a volte ami le cose così tanto da volerle distruggerle. Vorrei vorrei soffocarla con un cuscino e sentirla dibattersi vorrei che dormisse tranquilla questa notte. Non so quanto potrà giocare ancora nel prato laggiù. E magari andare al faro, con gli altri bambini. Perchè c'è una nube che avanza, e io non so cosa fare. La gente è immobile, sono spettri ambulanti e lo sono sempre stati. Quando ho sposato mio marito ho pensato che fosse carino. Mi piace tenere le cose in ordine. La casa è perfettamente pulita. L'altro mio figlio è già via di casa. A lui piacciono molto le ragazze. Mi piace tenere in ordine per mio marito. Lui non si accorge. A volte torna a casa e cerca di scopare. A me non va, mi giro dall'altra parte. Si masturba, penso. O andrà con qualche puttana. Sì, pensavo fosse carino. Non è quasi più il ventisei aprile. Mio marito è in bagno da un'ora. Ha tolto il fucile da caccia dall'armadio e si è sparato in bocca. L'ha trovato la bambina. Io l'ho stretta a me. Aveva dei debiti, penso. Diceva sempre: "Forse un giorno prenderò il fucile e fine delle stronzate". Lo ha fatto. Il soffitto gocciola di pezzi di cranio. Ne ho anche un po' sul vestito che ho lavato ieri. Mi siedo con la bambina a guardare il tramonto nucleare. Il nostro cane scorrazza in giardino. Dopo che ha perso l'orecchio destro in una rissa con altri cani non è più lo stesso. Forse forse devo andare via di qua.