[Slam Dunk] Our life is gonna change (15)

Feb 01, 2015 16:27

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Si sbatté la porta alle spalle e vi si poggiò contro, scivolando lentamente sul legno, fino a sedersi sul pavimento. Respirava affannosamente e aveva gli occhi lucidi: la testa gli faceva molto male, sentiva il proprio respiro rimbombargli nel cervello e il battito del cuore fargli eco nel petto.
Come se fosse stato svuotato di ogni forza, privato di tutte le energie: si sentiva un vero schifo!
Aveva litigato con Rukawa e tra loro erano volate parole veramente amare e cattive. Non gli era mai successo di provare una simile sensazione di disagio e tristezza: cosa gli era successo? Perché erano arrivati a quel punto? Cosa li aveva spinti a tanto?
"Hanamichi qui il problema sei tu! Da quando sei arrivato per me sei stato fonte di problemi... sei tu che non vuoi parlare con me."
Eccolo il problema, il punto dolente di tutto: tutto da lì era cominciato e lì era tornato e si era concluso. Concluso in maniera antipatica e odiosa... in modo così triste. Quello che però, ancora non riusciva a capire, era il come, da un discorso del genere, fossero arrivati a quello: "Detto da uno che è stato rifiutato dalla sua di famiglia che lo considera meno di zero perché ha..."
Perché Rukawa gli aveva detto quelle cose? Era impossibile che anche lui, come i Sakuragi, le pensasse, allora perché? Perché l'aveva voluto ferire in quel modo e lui stesso, perché aveva infierito ancor di più, usando come arma affilata quella verità che sapeva fare più male, urlandogliela in faccia, facendolo sentire inutile e indesiderato?
"E dato che, ormai, tu mi hai detto cosa pensi di me, voglio dirti anche io la mia. Non sto scappando soltanto io, come tu dici: sappi che tua madre... tua madre ha preferito pensare a se stessa, piuttosto che a te! E se non l'avesse fatto, se fosse stata una donna degna di portare il nome di madre, forse tu non saresti venuto su così, arrabbiato con il mondo."
Abbassò il capo, consapevole del male che si erano fatti e tirò su con il naso, sentendo lacrime calde scivolare piano sulle sue guance arrossate. Si portò una mano al viso, passandosi il dorso sulle labbra e sentì su di esse qualcosa di fresco e ormai secco: si guardò la mano destra e vide che era sporca di sangue; fece scorrere la punta della lingua sul labbro inferiore sentendo il sapore metallico del ferro: il sangue di Rukawa.
Si portò entrambe le mani al viso, improvvisamente stanco e abbattuto, continuando a chiedersi il motivo di tale situazione e domandandosi, ancora una volta, che cosa avesse fatto di male per essersi meritato tutta quella sofferenza.

***

"Kaede, è tardi, io sto uscendo. Il bagno è libero! Kaede! Kaede! Ka..."
Ayako rimase ferma sulla soglia della porta, sbalordita nello scoprire che la camera del fratello era vuota: avvolta nella semioscurità, il letto perfettamente rifatto e di Rukawa non vi era traccia. Dove poteva essere andato? Si domandò la riccia, preoccupata.
"Se sta cercando suo fratello, è uscito di casa stamattina alle sette, senza fare colazione..." spiegò la cameriera, mentre le serviva del pane tostato con marmellata.
"Cosa? E per andare dove?" domandò.
"Presumo a scuola. Indossava la divisa scolastica..." spiegò, prima di aggiungere, "e anche suo cugino Hanamichi è uscito appena un quarto d'ora fa... mi sembravano entrambi particolarmente sconvolti" disse, inserendo quell'importantissimo dettaglio come se non avesse alcuna rilevanza.
Ayako guardò la cameriera perplessa e, dopo aver mangiato in tutta fretta quel che restava della sua colazione, si sbrigò ad andare a scuola. Ci capiva sempre meno e quei due ogni giorno le davano un'infinità di preoccupazioni.

***

"Rukawa?" una voce gentile, riempì il silenzio che avvolgeva la palestra.
Il moro, seduto in un angolo, accanto al cesto dei palloni da basket, alzò lo sguardo sulla nuova figura che si era fermata davanti a sé.
"Mister..." fu il solo sussurro, mentre l'uomo gli tendeva una mano paffuta, incentivandolo ad alzarsi in piedi.
"Mi dispiace... vado via subito..." disse il giocatore, accettando quel muto aiuto e sollevandosi in piedi.
"Non c'è fretta ragazzo, come mai sei qui?" chiese l'anziano allenatore, prima di ridere tra sé e poi aggiungere: "Voglio dire, come mai sei qui in palestra e non stai giocando... qualcosa ti preoccupa?" domandò ancora.
Rukawa rimase un momento in silenzio, guardando il signor Anzai negli occhi, prima di distogliere lo sguardo e rivolgerlo un momento a osservare i palloni intrappolati nella rete metallica bianca.
"Non lo so... volevo giocare per scaricare, ma poi mi sono seduto a pensare e credo che sia passato un bel po' da quando sono arrivato" spiegò. "Mister..." chiese, "… le sembra che io... sia ossessionato dal basket? E che non dia spazio agli altri?" domandò dubbioso. Non sapeva per quale motivo stesse reagendo a quel modo e, solo a distanza di ore, stesse ponendosi diversi interrogativi sul discorso affrontato con Hanamichi. Aveva bisogno di qualcuno che lo conoscesse abbastanza bene o che, per lo meno, capisse le sue motivazioni e gli dicesse che in lui non c'era nulla di sbagliato nell'essere quello che era e seguire i propri sogni. Era vero, era andato in palestra per giocare a basket e sfogarsi, ma, una volta raggiunta la cesta bianca, non era riuscito ad aprirla e cominciare a giocare. Le parole di Hanamichi gli rimbombavano ancora in testa, chiare e indelebili scolpite nel cervello, come se gliele stesse pronunciando in quell'esatto momento.
"Io voglio giocare a basket, indipendentemente dal fatto che questo sia per me uno sbocco futuro, non ne faccio il mio ideale di vita, non è il mio fine ultimo. Io non sono come te, Rukawa! A quando pare tu sei solo concentrato su te stesso per renderti conto di chi ti sta attorno."
Qual era il problema se lui voleva fare dello sport che amava e che lo faceva sentire vivo, la sua ragione di vita? Era forse una colpa dedicarsi così entusiasticamente a qualcosa, mettere tutto se stesso in ciò che piace per sentirsi, finalmente, realizzato? E venir apprezzato come persona per qualcosa che si riesce a fare meglio di qualcun altro? Non era per modestia o per vanagloria che lui si impegnava tanto in quello sport. Non era per avere tutti gli occhi puntati su di sé che faceva azioni spettacolari sul campo, non era per le urla estatiche e isteriche che venivano gridate al suo indirizzo che amava scendere in campo quando le luci si accendevano e l'arbitro fischiava l'inizio di una partita, non era quello che gli interessava. Quando Kaede giocava, annullava se stesso e annullava il mondo attorno a sé e non esisteva altro che lui. Per una volta era solo lui il protagonista indiscusso della scena, esisteva solo e unicamente Kaede Rukawa che dava il meglio di sé solo per Kaede Rukawa. E nient'altro contava!
"Ragazzo mio... perché mi poni questa domanda?" chiese dubbioso il coach, senza rispondere direttamente al suo quesito.
"Niente... lasci stare; non importa... devo andare in classe!" disse il giocatore, facendo un breve inchino e allontanandosi a recuperare le scarpe che aveva lasciato a bordo campo.
Quando stava per uscire dalla palestra, però, la voce del mister lo fermò: "Kaede, non è una colpa credere in se stessi e voler raggiungere con sforzi e sacrifici i propri obbiettivi, anzi, questa è una grande qualità. Tu ami il basket e sei bravo, molto bravo e sfonderai nel mondo dei grandi. Non è un'impresa nella quale molti possono riuscire, ma questo non deve, però, essere d'intralcio alla tua persona. I sogni vanno coltivati e ci si deve battere per essi, senza però lasciare indietro gli affetti e le persone a noi care, questo sarebbe un errore. La gioia più grande è poter condividere i nostri successi con qualcuno a cui teniamo e questa persona è importante tanto quanto lo è il sogno che rincorriamo, questo è quello che devi tenere a mente" concluse sorridendogli.
Rukawa annuì ancora, ringraziandolo mentalmente: credeva di aver capito cosa il mister gli volesse dire e sapeva che aveva ragione. In quel momento, Rukawa capì anche un'altra cosa che tempo addietro non era riuscito ad afferrare e cioè che cosa volesse significare tutto quell'attaccamento quasi infantile che Hanamichi aveva nei suoi confronti.
"La gioia più grande è poter condividere i nostri successi con qualcuno a cui teniamo."
Adesso gli era finalmente chiaro il motivo per cui Sakuragi, i primi tempi che aveva cominciato a giocare a basket, era quasi ossessionato dalla voglia di sfidarlo e giocare contro di lui: non era, come Kaede aveva inizialmente supposto, solo perché si credeva già capace e in grado di batterlo o soltanto per mostrare la sua presunta genialità. Sakuragi lo faceva solo perché voleva condividere quei momenti e i propri successi personali con lui, perché tra i due, Hanamichi era stato il primo a capire o, forse, neanche lui aveva ancora ben presente quale fosse il giusto nome da dare al loro rapporto.
E lui, da quell'episodio del bacio, gliene stava facendo ingiustamente una colpa. Tutto tornava adesso, tutto. Anche quel pomeriggio ormai lontano in cui, per la prima volta, lui, Sakuragi e Ayako erano usciti insieme e il rosso si era offeso e poi intristito, perché non gli aveva dato soddisfazione nell'ammirare i suoi acquisti. Era una cosa futile, lo sapeva allora, come lo pensava adesso, ma chissà perché, pensare di averlo ferito per una sciocchezza come quella, per essere stato sempre il solito testardo, lo faceva stare male.

***

"Sakuragi oggi è assente?" domandò dubbioso il professore di chimica che teneva lezione nella classe di Rukawa alle prime due ore.
Il docente scosse la testa e stava segnando sul registro un pallino sulla casellina recante il nome di Hanamichi, quando uno scorrere frettoloso della porta a soffietto, fece voltare l'intera classe in direzione del rumore.
"Scusi il ritardo, professore... non mi segni assente!" un trafelato Hanamichi aveva fatto il suo ingresso in classe dopo pochi minuti dal suono della seconda campanella.
Il professore lo osservò scuro in volto, ma, stranamente, decise di non infierire su di lui, liquidando il tutto con un cenno del capo, esortandolo a prendere posto.
Hanamichi ringraziò la sua buona stella per quel giorno muovendo un passo per dirigersi in fondo alla classe, al proprio banco: accanto a Rukawa. Istintivamente fermò i propri movimenti, esitando, il cuore ancora gli batteva forte per la corsa fatta e ancora di più, perché aveva paura di stare vicino a lui, nonostante sapesse che né lui, né il cugino si sarebbero detti alcun che.
"Ah, un momento Sakuragi... vieni qui! Da oggi, questo, sarà il tuo posto" e indicò al rosso un banco in terza fila, vicino alla finestra. Hanamichi fu tentato di volgersi per vedere la reazione di Rukawa, ma si trattenne. Si diresse al posto assegnatogli e si sedette composto, perdendosi un momento a guardare il cielo chiaro, mentre il professore finiva di fare l'appello.
Era stato tentato... tentato e molto combattuto se marinare o meno la scuola quel giorno.
Era stato malissimo tutta la notte, era rimasto sveglio fino a tardi e anche quando era riuscito a prendere sonno, questo non era stato tranquillo né ristoratore. Continuava a pensare al litigio furioso avuto in palestra, rivivendone ogni momento e quella mattina si era alzato presto, aveva preparato tutto per la scuola, indossando anche la divisa, convinto, comunque, che non ci sarebbe andato. Ma quando, seduto su di una vecchia altalena al parco, in lontananza aveva sentito la campanella suonare una prima volta, aspettando che il suo suono si disperdesse nel vento, non aveva potuto.
"Detto da uno che è stato rifiutato dalla sua di famiglia che lo considera meno di zero."
Le parole di Rukawa gli erano tornate prepotenti nella mente e, di seguito, quello che gli disse sua madre, una volta fatto ritorno a casa dopo il funerale.
"Non sei mai stato un peso per me, Hana e non voglio che butti all'aria il tuo futuro per questo. Neanche papà lo vorrebbe: lui era molto fiero di te, aveva in mente grandi progetti, voleva che tu ti realizzassi pienamente facendo quello che più ami... se lasciassi la scuola non faresti un favore a nessuno, né ai professori o agli altri studenti, né a me e men che meno lo faresti a te stesso."
Adesso, più che mai, capiva cosa volesse dirgli la madre con quelle parole e sapeva che, scappando, non avrebbe voluto dare ragione ai suoi parenti che non avevano alcun riguardo nei suoi confronti e lo consideravano un teppista e uno senza alcun futuro, né alle parole di Rukawa. Ed era per questo che si era velocemente alzato dall'altalena, lasciando che oscillasse a lungo prima di fermarsi, precipitandosi a scuola di corsa, arrivando giusto in tempo per beccarsi, nelle più rosee aspettative, una nota di ritardo, cosa che poi, non era neanche successa.
Aveva pensato di scappare di nuovo, da Rukawa, fuggire dai propri sentimenti e, per fortuna, si era ravveduto in tempo.
Quella mattina e per tutta la giornata sarebbe riuscito a evitarlo, aveva anche deciso che, per non intralciarlo ulteriormente, visto che gli aveva portato solo problemi rovinandogli la vita, avrebbe lasciato il basket. In fondo per lui non era altro che una attività extra scolastica come un'altra, avrebbe trovato qualcos'altro da fare, magari avrebbe provato con il judo, sarebbe stata un'idea più incline alla sua indole, di sicuro.
Rimaneva soltanto da risolvere il problema della punizione che ancora gli rimaneva da scontare, fino a fine mese, ma anche lì non voleva che si pensasse che era uno tipo che scansasse i propri doveri: lui era un genio e avrebbe trovato anche per quello o, per meglio dire, almeno per quello una soluzione.

***

"Hanamichi?! Sei tu?" la voce confusa della zia fece sobbalzare il rosso che, entrando in casa, non si aspettava proprio di trovare qualcuno.
"Zia Miya! Che ci fai in casa?" domandò a sua volta.
"Oggi è il mio giorno libero, ricordi? Tu, piuttosto... non dovresti essere al club a quest'ora?" domandò, guardando l'orologio della cucina: erano solo le 17, le attività del club si sarebbero dovute protrarre almeno per un'altra ora.
"Che è successo?" domandò preoccupata, vedendo come Hanamichi si sentisse a disagio per quella conversazione.
"Io..."
Che doveva dirle? Non poteva mentire. Presto, quando anche Ayako fosse tornata a casa, sarebbe sicuramente corsa da lui a chiedere spiegazioni e allora sarebbe stato tutto più difficile. Era andato a parlare con il coach all'ora di pranzo e gli aveva chiesto di cancellare la sua iscrizione al club per motivi personali. L'uomo l'aveva guardato comprensivo, ma non aveva accettato: gli aveva concesso una settimana per ripensarci, dopo così poco tempo, non poteva essersi accorto di non voler più giocare a basket. Gli aveva fatto presente che aveva del talento e che non poteva sprecarlo, gli aveva sottolineato con quanta gioia e allegria era riuscito a superare gli ostacoli iniziali e i suoi progressivi miglioramenti erano stati un vero atto di genio, una cosa non da tutti. Hanamichi sapeva che non stava parlando così solo per fare colpo sul suo ego e tenerlo in squadra, non aveva alcun motivo per trattenerlo se veramente credeva che non fosse portato. Sakuragi allora aveva annuito e, dopo aver svuotato il proprio armadietto, era tornato in classe per assistere alle ultime due ore di lezione. Per quando riguardava la punizione ancora da scontare, era stato stabilito dal coach che, senza bisogno di avvertire il rettore, Hanamichi, ogni mattina, prima dell'inizio delle lezioni, avrebbe dovuto sistemare l'attrezzatura per il pomeriggio e due volte a settimana, portare a lavare gli asciugamani e le spugne che usavano durante le attività e di proprietà della scuola.
"Hana?!" la voce calma e affettuosa della zia, in quel momento così simile a quella di sua madre, lo riscossero. Hanamichi le sorrise mesto e insieme a lei si sedette sul divano raccontandole della sua decisione.
"Hana, ma perché?" domandò la donna, non riusciva a capire. "È successo qualcosa con i compagni? Ti trovi male in classe? I professori?"
"No, no zia... è solo che... ti prego, non ti arrabbiare..." mise le mani avanti, "… e ascolta quello che voglio dirti fino alla fine, prima" fece una pausa, durante la quale la donna annuì e Hanamichi cercò di spiegare, ma senza scendere nei dettagli.
"Ho litigato con Kaede ieri sera, quando voi siete usciti e... non è stato il nostro solito scontro... ci siamo detti delle cose che, sicuramente, non pensavamo entrambi, ma che hanno fatto male a tutti e due" disse, guardandosi le mani che si intrecciavano nervosamente tra di loro. "Forse... forse non è stata una buona idea che io mi trasferissi qui... o meglio, non è stata buona l'idea di volermi interessare al basket. Io e Kaede, lo sai, non siamo mai andati d'accordo e, forse... ci siamo avvicinati troppo, troppo velocemente. Kaede ha bisogno dei suoi spazio che io ho invaso in maniera esagerata..." spiegò, alzando uno sguardo dolce sulla donna che lo osservava dispiaciuta.
"Per favore, non rimproverare Kaede per questo... lui non mi ha chiesto niente, non sa neanche che ho lasciato il club... è una cosa che devo fare da solo, mi serve un po' di tempo, come mi ha detto il signor Anzai, per capire cosa voglio e intendo farlo. Ma non voglio che tu prenda a priori le mie difese e sgridi tuo figlio... la colpa è di entrambi. Siamo due teste dure e prima o poi, uno scontro apocalittico era destino che avvenisse" tentò di scherzare un poco. "Siamo grandi e dobbiamo risolvere le nostre questioni da soli... dacci un po' di tempo" chiese infine, guardandola seriamente.
La zia, dopo quel lungo e sentito discorso, non poté fare altro che rimanere in silenzio e acconsentire alle sue richieste.
Hanamichi le sorrise grato e le diede un veloce bacio sulla guancia per tranquillizzarla, con la madre funzionava sempre o, per lo meno, era un modo per far capire loro che, nonostante tutto, lui stesse bene.

***

Uno sbattere improvviso della porta fece sobbalzare, ancora una volta, Miyako. La donna accorse all'ingresso vedendo una furente Ayako dirigersi a passo di marcia verso la dependance. Immediatamente la donna corse nella sua stessa direzione, frapponendosi tra la figlia e la porta che conduceva al cortile.
"Mamma!" disse lei indignata.
"Ayako! No, lascialo in pace!"
"Allora è qui! Non è venuto agli allenamenti! Ha lasciato il club!" disse sconvolta.
"Lo so..." disse lei, ma fu presto interrotta.
"Lo sai?! Mamma, ma cosa...?"
"Se ti calmi un attimo, te lo spiego" le disse, accompagnandola in cucina e servendole un bicchiere d'acqua per tranquillizzarla.
"Ho parlato con Hanamichi poche ore fa e mi ha detto tutto della sua decisione, di questa piccola pausa..."
"Allora non l'ha lasciato?"
"No! Cosa pensavi di fare andando da lui a riprenderlo se non sei a conoscenza di tutto l'accaduto?" la rimproverò con lo sguardo: la ragazza aveva preso molto da lei, questo suo carattere esuberante e a volte iperprotettivo poteva essere un'arma a doppio taglio.
"Il mister ha detto che Hanamichi sarebbe stato assente per diverso tempo, credevo che l'avessero sospeso per il suo ritardo di questa mattina! Quell'uomo ha davvero esagerato con tutte queste regole!" sbuffò la ragazza, prendendosela con il preside.
"No, Ayako, niente di tutto questo... e comunque la disciplina è importante!" sottolineò, guardandola da sotto in su.
"Oh, mamma!" si disperò un poco, mettendosi le mani nei capelli e sollevando i ciuffi più corti in una piccola coda sopra la testa. "E io che me la sono anche presa con Kaede!" disse dispiaciuta. "Adesso dovrò pure scusarmi!" sbuffò.
"Oh, figlia mia, ma che hai fatto?!" la guardò sconsolata. "Hanamichi non mi ha detto nulla nei dettagli, ma con tuo fratello hanno litigato ieri..." disse e Ayako la guardò, torturandosi il labbro inferiore con i denti.
"Ecco, perché..." disse più a se stessa, ricordando la conversazione avuta con il fratello, "… mi dispiace mamma... cosa facciamo? Pensi che..." ma Miyako l'interruppe.
"No, Ayako, stavolta non faremo niente... dobbiamo lasciare che sbrighino la questione da soli e noi non ci dobbiamo intromettere: meglio starne fuori, me l'ha esplicitamente chiesto Hanamichi. Se ci mettessimo in mezzo alle loro cose credo che complicheremo solo ulteriormente la questione" spiegò. "Aspettiamo e abbiamo fiducia in loro".
Ayako annuì e la donna le accarezzò i capelli: capiva perfettamente come si sentisse, entrambe volevano molto bene a quei due ragazzi e per loro si preoccupavano sempre, ma a volte ci sono cose che non si possono controllare e devono lasciare che la vita scorra secondo il suo ritmo e le sue regole.

***

"Ciao, Rukawa..." uno a uno, i ragazzi del club di basket, uscendo dalla palestra, salutarono il loro compagno intento a riordinare e prepararsi a pulire. Uno solo di loro si fermò a scambiare con il moro più di un semplice convenevole.
"Ehi, Ru!" Mitsui attirò la sua attenzione e il numero undici sollevò sul sempai uno sguardo quasi annoiato: non aveva proprio voglia di sentire le sue battutine. Il ragazzo capì e lo rassicurò: "Ehi, ehi, tranquillo! Non voglio infierire oltre, lo vedo da me che non è aria, volevo chiederti se ti andava di uscire stasera. Akira è da un po' che mi chiede di te... e forse ti farebbe bene..." non proseguì, perché Rukawa, tornando a chinarsi sul pavimento per raccogliere due palloni, rifiutò secco.
"Non mi va, grazie!" disse, poi, aggiunse. "Dì al tuo ragazzo di non preoccuparsi per me... sono ancora vivo e raccomandagli di allenarsi come si deve... non perdete tempo in uscite inutili" disse e Mitsui capì che, a modo suo, Rukawa stava cercando di rassicurare entrambi, mascherando quella battuta con il suo solito tono indifferente e menefreghista.
Mitsui sorrise e, salutandolo con un cenno del capo, se ne andò.
Rimasto finalmente solo, Rukawa si mise di buona lena a fare le pulizie: la palestra era grande e per colpa di quel doaho ci avrebbe messo il doppio del tempo per finire tutto. Si domandava a cosa diavolo pensasse quando si faceva venire certe idee geniali.
A inizio sessione l'allenatore li aveva radunati tutti per comunicare loro un'importante novità: "Ragazzi, ho da dirvi una cosa: per qualche tempo, Sakuragi, a causa di motivi personali, non parteciperà agli allenamenti."
Qualcuno aveva poi domandato: "Ma coach, ha lasciato il club? È questo che vuole dirci?"
"Non lo so, capitano... per il momento si è solo preso una piccola pausa, poi, la decisione finale spetta solo a lui" aveva detto il signor Anzai, prima di dare definitivamente inizio alle attività del club.
Mentre correva, poi, attorno al campo per il riscaldamento, Rukawa aveva notato Haruko avvicinarsi a sua sorella e chiederle qualcosa con un'espressione scura in volto. La riccia aveva fatto un cenno negativo con la testa e a Rukawa non era proprio piaciuta l'occhiata che aveva poi rivolto al suo indirizzo.
Per tutto il pomeriggio, Kaede aveva cercato di non pensarci, di distrarsi e scaricare finalmente i nervi, ma alla fine si sentiva stanco come mai gli era accaduto, neanche dopo ore e ore di esercizio ininterrotto. E sapeva, comunque, che il tipo di stanchezza che provava era più mentale che fisica e, proprio per questo, difficile da mandar via.
E come se non bastasse, Ayako, prima di andare via, l'aveva preso in disparte, approfittando del fatto che tutti erano in spogliatoio, e gli aveva fatto una ramanzina.
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"Cosa diavolo state combinando voi due?" aveva esordito, ma, senza lasciarlo parlare, aveva continuato. "Credevo che finalmente andaste d'accordo, ma vedo che mi costringi a ricredermi! Io davvero non so cosa passi per la tua mente e mi accorgo solo ora che non so neanche che diavolo passa nel cervello di Hanamichi! Ma una cosa la so! Sono sicura che la sua decisione di questo periodo di pausa sia strettamente collegata con te! Non è possibile che non riusciate ad andare d'accordo. Sarai soddisfatto: alla fine se n'è andato! Non lo hai mai voluto in squadra, eppure, di cosa hai paura? Sai che ce ne vorrà per arrivare ai tuoi livelli. Sai una cosa? Penso che Hanamichi ci tenesse davvero a stringere amicizia con te, ce l'ha messa tutta, ma tu, fin dal primo giorno, con le tue stupide manie e modi di fare da 'io sono Kaede Rukawa, faccio quello che voglio, non potete dirmi niente' hai fatto in modo che non avesse un inizio d'anno tranquillo... e dire che sai cosa ha passato, Kaede!" lo rimproverò anche con lo sguardo. "Allora? Non dici niente?" gli chiese, infine, vedendo che il moro si limitava a guardarla e pareva avere tutte le intenzioni di volersene andare al più presto lontano da lei. Rukawa aveva fissato la sorella e, con tono calmo e pacato, aveva risposto: "Cosa ti dovrei dire? Tanto... hai già deciso tutto da sola!"
E dopo lo sguardo confuso di un’Ayako rimasta senza parole, Rukawa le aveva rivolto le spalle, andandosene e cominciando a rimettere nella cesta i palloni sparsi.
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A cosa serviva difendersi o giustificarsi, quando lei aveva già deciso che fosse colpa sua? Tanto era sempre colpa sua. Per Ayako, e spesso anche per sua madre, l'umore di Hanamichi doveva essere sempre, solo e unicamente correlato a qualcosa che lui faceva o non faceva. In parte era vero, ma le due donne non avevano mai pensato che, forse, anche lui risentiva di tutta quella situazione, che non si divertisse a trattarlo male e litigarci in modo pesante. Loro non potevano certo sapere cosa stavano passando, anche lui soffriva come e tanto quanto Hanamichi, solo che riusciva a mascherarlo: era forse una colpa quella? Non lo faceva, come gli aveva detto Sakuragi, per non far preoccupare gli altri, forse, inconsciamente, anche per quello, ma più che altro lo faceva per se stesso, perché non voleva arrecare disturbi e creare malumori di sorta: perché doveva cavarsela da solo.
Quando ultimò di scontare la sua punizione, erano quasi le otto di sera, Rukawa stava tornando a casa a piedi, tirandosi dietro la bicicletta che aveva bucato, per sua sfortuna. Arrivato a un incrocio, a qualche isolato da casa, vide una figura esile, posata contro la facciata di un'abitazione, illuminata dal lampione al suo fianco.
Se era un'altra delle sue pazze fan, quella sera le avrebbe trattate come gli si conveniva, non aveva alcuna intenzione di sopportare anche loro quel giorno! Si avvicinò piano alla figura, preparando il suo migliore sguardo assassino, quando si rese conto di chi fosse la persona che sembrava aspettarlo e ne rimase colpito, perché la conosceva bene.
"Che ci fai qui?" scattò sulla difensiva e la sorella, scostandosi dal muro, sorrise.
"Hai ragione a essere arrabbiato con me, Kaede... scusami!" gli disse subito. "E prima che tu possa parlare, volevo dirti che mi dispiace per come ti ho trattato, hai ragione, io... non ho pensato, ma ero arrabbiata! Stanno succedendo troppe cose e io non riesco a stare dietro a tutto" confessò, incamminandosi con lui.
"Ma tu non devi pensare a tutto, non puoi essere onnipresente!"
"Ehi, ma io non lo faccio perché..." credette di aver capito cosa Rukawa volesse dire e voleva che non fraintendesse, ma il moro l'interruppe.
"Non voglio dire che sei impicciona... un po', forse, ma non lo fai per male..." dovette ammettere suo malgrado, era quello che pensava dopotutto.
"Io vorrei solo che Hanamichi fosse felice e si trovi bene con noi..."
"Allora lascialo in pace e non stargli addosso, lascialo... libero di fare le sue scelte" disse a lei e lo disse soprattutto a se stesso: era questo quello che anche lui avrebbe dovuto fare, doveva aspettare...
"Ma voglio che lo sia anche tu... sei mio fratello, Kaede e mi preoccupo anche per te... non pensare che mi interessi solo di Hanamichi!"
"Ah no?!" fece del sarcasmo, arcuando un sopracciglio scettico.
"Scemo!" disse lei, spintonandolo per un braccio. "Davvero, Kaede, mi dispiace per quello che ti ho detto in palestra... cercherò di lasciarvi tranquilli" disse, guardandolo con un sorriso e prendendolo a braccetto. Rukawa la guardò confuso e lei si limitò a ridere, mentre rincasavano insieme e la riccia annunciava entrambi.

***

Il telefono del rosso continuava a squillare silenzioso senza sosta. Hanamichi gettò uno sguardo sul letto, dove il sommesso e attutito rumore della vibrazione si espandeva sulle coperte leggere, sorridendo tristemente nel leggere a distanza il nome sul display che, a intermittenza, si illuminava a ogni squillo. Avrebbe potuto tenere il telefono spento, ma sarebbe stato controproducente: sapeva che si sarebbe preoccupato di più e non era quello che voleva.
Gli dispiaceva veramente tanto per il suo migliore amico: era giorni che non apriva la conversazione e, se rispondeva ai messaggi, rimaneva freddo e distaccato, falso. Non stava rispettando la promessa fattagli prima di partire, ma non aveva il coraggio di parlargli personalmente e raccontargli i fatti accaduti solo due giorni prima: era ancora troppo presto e sapeva che, se avesse sentito la sua voce, molto probabilmente le emozioni, a lungo trattenute, sarebbero venute a galla. Aveva bisogno di parlare con qualcuno, aveva un bisogno disperato di ricordare quella serata e lasciare che la rabbia, le parole cattive e tutto il dolore e la tristezza che provava nel cuore trovassero uno sfogo, ma non voleva essere da solo ad affrontare tutto quello. Aveva bisogno di lui, che lo guardasse e gli fosse vicino, ma, pur sapendolo, non aveva il coraggio di chiedergli di raggiungerlo. Tornò nuovamente a concentrarsi sui compiti, cercando di ignorare tutto quanto aveva intorno.

***

Una figura indefinita si muoveva silenziosa in cortile osservando i movimenti di colui che abitava nella piccola dependance. Lo osservò stiracchiarsi e sbadigliare: erano le dieci di sera e aveva appena finito di studiare per il compito del giorno dopo, si sentiva abbastanza pronto e forse, sarebbe anche riuscito a prendere un bel voto.
Con questa consapevolezza, Hanamichi si alzò dalla scrivania, andando al bagno per farsi una doccia rilassante, prima di andare a dormire.
L'ombra scura si avvicinò alla finestra socchiusa, in attesa di sentire lo scrosciare dell'acqua della doccia e, a quel punto, aprì piano la porta d'ingresso, entrando in punta di piedi senza essere udita. Non dovette guardarsi molto intorno per individuare quello che stava cercando. Sul marmo della piccola cucina stava, abbandonato e incustodito, il cellulare del rosso. Digitò qualche tasto, scorse la rubrica e cercò un nome: si portò il piccolo cellulare all'orecchio e rimase in attesa.
"Pronto, Hana?" dall'altra parte, una voce preoccupata rispose dopo il primo squillo, ma quella che udì, tesa e precipitosa, non era la voce del suo migliore amico.
"Yohei Mito, ho bisogno urgentemente che tu venga a Tokyo!"

genere: romantico, fanfiction: slam dunk, long fiction, genere: fluff, genere: epic, genere: erotico, pairing: ruhana, slam dunk, genere: au, warning: yaoi

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