Ti descrivi immaginandoti una linea tratteggiata che sbatte contro i bordi di un foglio, solitaria, una mosca malata che sbanda ad una musica fatta di note silenziose.
Quando piove le luci elettriche della metro somigliano a quelle degli ospedali. Ti ricordano il vento caldo dei pomeriggi d'Agosto e la pelle bruna delle persone che hai amato di più.
Intorno a te c'è una pozzanghera. Avevi i capelli lunghi e la bocca impastata dai singhiozzi trattenuti, e hai iniziato a dormire sempre più, trovandola una valida alternativa. Il tempo in cui puzzavi di solitudine, dentro di te, è vivido e pulsante, ed ogni tuo nervo è tirato. (Ti sembra di essere vivisezionata.)
La brace arde, piccola e lucida come l'occhio di un lupo nella notte. Aspetti che la città dorma e che la nebbia oscuri l'obiettivo della tua Nikon, sperando di catturare il fantasma delle foto più preziose.
Ancora una volta, preferisci la stanchezza.