[Fanfiction] I'll meet your eyes

Mar 11, 2012 23:55

Titolo: I'll meet your eyes
Fandom: Originale
Avvertimenti: angst, femslash, angstangstangst
Rating: PG-13
Wordcount: 1005
Note: io sogno queste robe, rendetevene conto. Anyway, non posso dire di essere contenta di 'sta roba. Nonononono. Ma la beesp vuole che la posti! Eh! *si nasconde*

Ripescò il cellulare che vibrava nella tasca e sorrise leggendo il messaggio. Quando sentì un rumore di gomme stridere alzò gli occhi e l’urlo che rimbombò nel suo cervello rimase là, senza avere il tempo di lasciare la sua gola, quando capì che quella che le stava arrivando addosso era un’auto.

L’unica cosa che riusciva a pensare era voglio vederla, ha bisogno di me, non sa, non sa dove sono, voglio vederla, ho bisogno di lei e le avevano sempre detto che non esistesse il dolore lì, dopo la morte, e perché allora non riusciva nemmeno a star dritta? Non era totalmente consapevole del suo corpo, sapeva solo che faceva male ovunque, solo male. Era all’inferno quindi.
Ai suoi piedi - giù da qualche parte, se quelli che sentiva erano i suoi piedi - c’era vuoto, era tutto vuoto, come un sogno che sembra così reale da lasciarti spiazzata al risveglio. Come guardare attraverso le palpebre sollevate appena nel buio.
Era sola, era sicura d’esser sola ma sentiva una- un- qualcosa, qualcuno che la avvolgeva, forse stava impazzendo.
Poi capì che non era all’inferno e nemmeno in paradiso perché non poteva ancora. Le mancava qualcosa e avrebbe avuto la possibilità di andare a prenderla. Quell’essere sorrideva, lo sentiva sulla pelle, lo sentiva attraversale i nervi quel sorriso, un calore infinito e dolce. Chiudi gli occhi.

Quando spalancò le palpebre era in un supermercato e la persona che amava era a due passi da lei, allungandosi per prendere qualcosa da uno scaffale. Inspirò senza sentire l’aria raggiungere i suoi polmoni e sorrise senza riuscire a fermare le lacrime; le asciugò in fretta quando l’altra si voltò e le corse incontro, ridendo della sua espressione sorpresa.
“Cosa ci fai qui? Come hai- non mi hai detto nulla!”
“Si chiama ‘sorpresa’” ridacchiò.
“Non prendermi in giro” borbottò l’altra, buttandole le braccia al collo e posandole le labbra sulla guancia.
“Ciao” sussurrò stringendola e affondando il volto fra i suoi capelli, irrigidendosi quando si accorse che non riusciva a sentire il suo odore; le prese il volto fra le mani e la baciò prima che l’altra potesse protestare e non poteva sentire il suo sapore.
Doveva concentrarsi con tutta se stessa per rimanere ancorata a lei, per sembrare reale. Le si strozzò la voce in gola quando cercò di dirle che era lì perché-
“Andiamo al parco?”
“E i tuoi?”
“Fa nulla, mando un messaggio. Voglio stare con te”.

“Ti ho preso una cosa…” sorrideva e si nascondeva dietro i capelli, frugando nella borsa “avrei dovuto dartelo fra due giorni, ma visto che sei qui…”
C’era il tramonto, c’era freddo e si erano avvolte in un’unica sciarpa, ridendo e nascondendo i baci a fior di labbra dietro la lana, c’era una panchina contro un albero e l’erba umida di pioggia.
La ragazza aprì il pacchettino minuscolo e strinse i denti mentre sfiorava - senza sentirlo sotto le dita - un ciondolo a forma di gufetto “Guarda, si apre”.
E dentro c’era la foto che avevano fatto l’estate precedente, loro due così, che si baciavano e sorridevano, le sembrava che quella foto si muovesse, che la portasse in acqua con lei, poi sulla spiaggia con una sola asciugamano e poi dormire insieme strette nonostante il caldo. E poi in giro quando iniziava a far freddo a stringersi a bere insieme una cioccolata a baciarsi di nascosto dietro le macchine a salutarsi in stazione.
Scosse la testa iniziando a piangere, le sembrava quasi di sentire di nuovo il cuore che le saliva in gola anche se non batteva affatto, a piangere cercando di sentire la pelle dell’altra sotto le dita, sulla sua, ma non sentiva nulla, eppure stringendo quel ciondolo le sembrava di star meglio, era la cosa che le mancava, la cosa che doveva avere prima di andare.
L’altra la cullava senza capire le sue lacrime, accarezzandola e cercando di calmarla.
“Mi aiuti a metterlo?” le dita che le chiudevano la catenina sul collo, quelle per un attimo le sentì; non come avrebbe dovuto, le sentì come in un sogno perché le spettavano.
Abbassò le palpebre. Doveva calmarsi, ché non le era più permesso rimanere lì.
Un altro momento. Solo un altro momento.
“Ascoltami, amore - le carezzava le guance guardandola dritta negli occhi - adesso devo andare. Capisci? Non posso restare. Ti amo - ma non riusciva a non piangere - ti amo ti amo ti amo. So che anche tu mi ami. Mi mancherai. Ti amerò sempre. Ma tu non puoi, okay?”
“Che significa?” la guardava senza capire. Non poteva capire, che significava? Cosa stava succedendo?
“Lo so che soffrirai, mi dispiace amore, è colpa mia. Ma poi ti passerà. Okay? Starai meglio, promesso. Ti amo”.
“Non-”
“Devi lasciarmi, ora” sussurrò, sorridendo, ed era tutto sfocato per le lacrime e perché stava andando via.
“No” l’altra scosse la testa, lasciando correre le prime lacrime fino al mento.
“Ci rivedremo, promesso. Te lo prometto, sì?”
“No”.
La baciò ancora, ma ormai la sua mente e il suo corpo erano per metà lontani.
L’altra singhiozzava senza riuscire a parlare o respirare, aggrappandosi alla prima con tutte le sue forze.
“Mi dispiace tanto. Mi… Devo andare. Ti amo”.
“Io- ti amo! non-! ti prego-” e continuò a gemere, le mani protese verso il vuoto.

Tolse i fiori che aveva lasciato la domenica precedente oramai quasi secchi e li buttò nel cestino lì vicino; lasciò scorrere l’acqua del vaso di ferro nel canale di scolo e lo riempì di nuovo al rubinetto alle sue spalle.
Stracciò la carta di giornale che avvolgeva il gambo del fiore e lo immerse in acqua, sorridendo appena.
“Ciao - si ravvivò i capelli e si inginocchiò in modo da avere la foto all’altezza dello sguardo - e buon compleanno”.
Rise, accarezzando i petali del giglio “Sei vecchia, eh! Vent’anni. Veeecchia! Ti ho portato il tuo fiore preferito, hai visto? E poi non dire che non ti penso!” ridendo parlò di cosa aveva fatto quella settimana, della scuola, dell’esame di stato che stava per arrivare, della sua famiglia.
“Lo so che mi hai chiesto di - deglutì, sospirò, scosse la testa - ma cosa faresti, tu, al posto mio?”
Ingoiò il magone e si alzò, sfiorando la lapide. “A presto” mormorò.
Mi manchi.

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