Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 8 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di
garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (
8 - In the bleak midwinter (a)) - acconsentito a farmi tradurre
qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida
Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Chiedo scusa per il ritardo, ma la vita universitaria mi sta rapendo di nuovo e sto avando anche una crisi sentimentale con il mio fandom. Non escludo che alla fine di questa traduzione io e il fandom potremmo prenderci una pausa di riflessione, mettiamola così. Non che io lo lasci per sempre, no. Ma per un bel po', questo sì.
Note: Grazie infinite a Callensensei, che ha ispirato questo capitolo :-)
Non puoi più prendere un treno per Cirencester, purtroppo, grazie a Beeching, ma all'epoca ci sei riuscita.
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In the bleak midwinter (a)
Holmes ed io non fummo particolarmente sorpresi nel vedere l'Ispettore Lestrade venire a farci visita il mezzogiorno del giorno successivo la nostra escursione a Hampstead.
«Questa piccola storiella dovrebbe essere esattamente quello che fa per lei, signor Holmes,» disse, dopo aver stretto la mano ad entrambi. «Voi sapete chi era Charles Augustus Milverton, certamente?»
«L'ho sentito nominare, sì,» rispose Holmes con calma. «Devo desumere dalle sue parole che adesso si tratta del fu Charles Augustus Milverton?»
«Esattamente, signor Holmes!» Lestrade si accomodò nella seggiola, e procedette nella descrizione della sanguinaria scena che aveva scoperto alle Appledore Towers nelle prime ore del mattino. Sembrava già aver condotto un'indagine dettagliata, e appariva particolarmente preso dal fatto che dalle orme tutte intorno l'abitazione avesse dedotto che ci fossero un gran numero di intrusi nella dimora di Milverton, quella notte, provenienti da tutte le direzioni.
«E tuttavia non ci è stato semplice stabilire cosa esattamente ognuno di questi volesse,» terminò. «Se potesse farmi l'immensa cortesia di fare un salto a Hampstead...»
Holmes scosse la testa. «Per quanto intrigante lei possa farla suonare, temo nondimeno di dover declinare l'offerta. In questo caso la mia compassione va ai criminali, piuttosto che alla vittima che ho considerato per lungo tempo l'uomo peggiore di Londra».
Lestrade non apparì sorpreso. «Detto tre me e lei, signor Holmes, sono perfettamente d'accordo. Ma un assassinio è un assassinio, e dobbiamo pur fare qualche tentativo di smascherarne il colpevole - per quanto possa non essere una cosa semplice. Non ha alcun senso esaminare i possibili moventi, dal momento che ci sono centinaia di persone in tutta Londra che avrebbero gioito della sua morte». Dopo qualche ulteriore commento circa il lavoro eccellente che avevano condotto nell'esame della scena, si congedò.
Io ed Holmes restammo soli. Vuoi per la nostra tarda levata, vuoi per la continua presenza della signora Hudson, non avevamo avuto modo di parlare in completa solitudine da Hampstead, la scorsa notte. Un'ondata di freddo era cominciata durante la notte, e ci trovavamo entrambi avvolti dal tepore - il fuoco già acceso a mezzogiorno. Holmes era arricciato sulla sua poltrona accanto al camino, un cappotto afgano rimboccato attorno alle ginocchia, la pipa in mano e un'espressione decisamente assorta dipinta sul volto. Presi posto fissandolo apertamente, domandandomi se stesse rievocando la nostra conversazione sui gelidi gradini della notte scorsa, e l'avesse già completamente rimossa dalla sua mente. Io stesso mi ero ritrovato scarsamente capace di pensare ad altro per tutto quel mattino.
Una volta cosciente del mio sguardo, mi sorrise.
«Credo che per oggi ci siamo guadagnati un giorno di vacanza, mio caro Watson. Cosa ne dici di un pomeriggio allo Science Museum, a Kensington?» Fece qualche passo nella direzione della finestra. «Sebbene il mio entusiasmo sia in qualche modo stemperato dalla neve che comincia a cadere. Perbacco! E quello cos'è? Qualcuno talmente impavido da sfidare il freddo nella nostra direzion... oh Cielo!»
«Qual è il problema?»
Holmes sembrava leggermente sbiancato, e mi affrettai a raggiungerlo alla finestra.
Feci appena in tempo ad osservare il volto di una signorina piuttosto massiccia che quella lanciò un'occhiata alla finestra. Quindi la signora Hudson la fece entrare ed ella sparì dalla nostra vista.
Holmes gemette. «Che Dio me la mandi buona».
«Holmes, che problema può mai essere?»
«È Agatha!»
Questo non era di minimo aiuto alla mia comprensione, il che fu esattamente quello che dissi.
«La mia fidanzata, ovviamente!» disse Holmes, spazientito.
«Ma...»
Ero piuttosto incerto sul come dare voce alla mia confusione. A conti fatti, mi ero figurato la fidanzata di Holmes in maniera piuttosto differente - una bellezza alta, dai capelli corvini, il cui fascino intrappolasse chiunque attorno a lei.
«Che problema hai, Watson?»
«La immaginavo... diversamente,» dissi, debolmente.
«Mi sembra un tipico esempio di domestica londinese, sai, Watson».
«Sì, ma...» e feci un piccolo gesto al mio labbro superiore.
«Sì,» disse Holmes in maniera del tutto seria, «è pur vero che i suoi baffi impallidiscono fino a scomparire posti a confronto della magnificenza della tua crescita».
Mi sarei messo a ridere, non fosse stato che lo fissai con manifesto stupore. Holmes raramente si complimetava sul mio aspetto, e senza dubbio alcuno mai così apertamente. Cominciai a sperare che qualcosa fosse effettivamente cambiato dalla notte scorsa, ma sebbene ardessi di discutere la faccenda, appariva decisamente arduo realizzare da dove poter cominciare.
«Watson...» disse Holmes, in un tono di voce del tutto peculiare che mi rese assolutamente certo della corrispondenza della linea dei nostri pensieri.
Udimmo la porta alla base delle scale aprirsi, e la voce della signora Hudson raggiungerci.
«Non c'è tempo per questo al momento!» esclamò Holmes. «Sono spacciato! Agatha ha scoperto la mia vera identità».
«È possibile che sia qui semplicemente per domandare aiuto nel rintracciare il suo fidanzato scomparso».
Holmes si illuminò a questo suggerimento. «Esatto, Watson. Buon Dio, come lo spero! Nondimeno, potrebbe ancora riconoscermi, nonostante il mio cambio d'abiti e di voce».
«E non puoi...» feci vagamente cenno al suo volto, riferendomi alle incredibili trasformazioni cui avevo assistito in passato.
«Non in trenta secondi,» disse, dal momento che si udivano già i passi dalle scale.
«Allora me la sbrigo io. Nasconditi finché non se ne va».
Sparì nella sua stanza, ed ebbi appena il tempo di sedermi e afferrare il giornale prima che la nostra visitatrice si presentasse.
Era una donna massiccia, vestita modestamente ma ordinatamente, in una rendigote di lana e stivali invernali, con spalle e capo imbacuccati contro il freddo. Era più bassa del sottoscritto di una testa quasi, e Holmes doveva essere stato costretto ad abbassarsi di molto per baciarla. Cacciai il pensiero spiacevole dalla mente e mi alzai in piedi per accoglierla.
«Temo che il signor Holmes non sia in casa».
«La padrona di casa mi ha detto che c'era».
«Ebbene, ho paura che si sbagliasse».
Mi guardò in maniera molto sospettosa. «E chi è lei, signore?»
«Sono il suo biografo».
Non sembrò impressionata come avrei sperato. «Bene, così ci può prendere appunti e riferire ogni cosa più tardi. Si tratta del mio fidanzato. Doveva incontrarmi come prima cosa in assoluto stamattina - oggi è il mio giorno libero - ma non si è mai presentato e nessuno ha mai sentito nominare l'indirizzo del luogo che mi ci aveva detto di vivere, pertanto...»
«Biografo non vuol dire segretario, sa!» protestai. «Davvero, temo che dovrà vedere il signor Holmes personalmente».
«Benissimo, dunque, tornerò domani».
«Temo che nemmeno domani sia possibile».
Fissò gli occhi su di me con grande sospetto. «E quando, allora?»
«Ehm...»
Mi indirizzò la breve occhiata solitamente riservata ai balbettanti idioti. «Dunque verrò ogni sera fino a che non riuscirò a vederlo».
Orripilai alla prospettiva, ma la mia emozione principale era una di crescente compassione per la ragazza. «Doveva essere molto innamorata del suo fidanzato».
Tirò su col naso e scosse il capo. «Non è mica che mi faccio scaricare in questo modo qua dal primo che passa, eh. Ce lo sa, alla signorina Constance Wilks ci sono andate duecento sterline che il Visconte Hartingwick ci ha infranto la promessa di matrimonio!»
«Davvero?» dissi, di gran lunga più sollevato dal suo atteggiamento. «Ebbene, desolato di non poterla aiutare, signorina Trent. Forse se aspetta qualche giorno il suo fidanzato potrebbe farsi vivo. Dopotutto, un appuntamento mancato non costituisce una sparizione».
Appariva tutto meno che persuasa da questo effettivamente debole suggerimento. «E l'indirizzo falso che mi ha dato?»
«Ah...»
«Ci vediamo domani,» ripeté, voltandosi per andarsene. «Buona giornata, signore».
«Il signor Holmes sta per partire,» dissi improvvisamente. «L'avevo scordato, ma a conti fatti... andrà via fuori dallo stato per qualche giorno - no, diverse settimane».
Mi guardò molto male, presumibilmente ritenendo che fossi pietosamente disorganizzato, per essere un segretario.
«Penso che c'è il caso di passare domani lo stesso,» disse. «Fino ad allora, addio».
Fu dopo cinque minuti buoni che se n'era andata che Holmes giudicò il rischio di un suo ritorno improvviso sufficientemente basso per fargli decidere di riemergere dalla sua stanza.
«Hai sentito?» domandai.
«Ogni parola! Dio m'aiuti! Non posso passare l'intera settimana nascosto in camera mia».
«Potremmo veramente andare via dallo stato,» suggerii con una certa timidezza. «Intendo dire, potresti - o anche tutti e due».
«Cosa stai cercando di dire?»
«Proprio prima che Lestrade arrivasse, ho ricevuto un telegramma da Wright. Ci informa che il suo piccolo problema adesso è sistemato, dice che intende venire a farci visita questo pomeriggio per ringraziarci dell'aiuto e ci invita a stare nella sua tenuta per Natale - a dire il vero, è Faulkner che ci invita, credo».
Con mio scorno, Holmes non sembrava particolarmente entusiasta.
«Davvero, Watson, non ho desiderio di spendere il Natale con un anarchico poeta aristocratico, neanche con il tuo amico nei dintorni a stemperare le sue inclinazioni lunatiche almeno di un poco».
«Non sarebbe nei dintorni».
«No?»
«No, sarà nella sua casa paterna, con la baronessa vedova e il resto della sua famiglia. E Wright con lui, presumo. Non che il telegramma sia molto dettagliato, ma se si tratta dello stesso posto di cui ha fatto cenno una volta, immagino ci stiano offrendo di usare una piccola riserva di caccia nei Cotswolds. Potremmo passare un Natale tranquillo insieme, se lo desideri...»
Parlai nel modo più esitante di cui fui capace, ma non v'era dubbio che Holmes avesse subodorato le mie implicazioni. A dire il vero, lui stesso sembrava meno ostile alla prospettiva adesso che gli era chiara la vera natura della situazione, e quando Wright ci venne a fare visita quel pomeriggio, Holmes accettò l'offerta graziosamente.
Wright non stette a lungo, dal momento che sembrava ansioso di tornare dal suo amico, che a quanto pareva era prostrato da uno sfinimento nervoso. Ringraziò nuovamente Holmes per tutti i suoi sforzi, girando delicatamente attorno ai dettagli di come esattamente si fosse risolta la piccola faccenda, e si congedò.
Più tardi, come Holmes accatastava montagne di libri e documenti in un baule, neanche stessimo partendo per un mese, scoppiò improvvisamente a ridere e si voltò nella mia direzione - i suoi occhi grigi accesi di divertimento.
«"Sono il suo biografo"! Davvero, Watson!»
«Un giorno o l'altro sarà vero,» dissi con fermezza.
«Per quanto l'idea corteggi il mio ego, non riesco veramente neanche a immaginare qualcuno che abbia desiderio di leggere racconti sulla mia vita o i miei casi. Il numero di persone a questo mondo davvero in grado di apprezzare la scienza della deduzione deve essere microscopico».
Non era di certo un asciutto resoconto dei metodi analitici di Holmes che io avessi in mente, ma non dissi nulla di tutto questo.
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Lasciammo Londra il giorno seguente, e intraprendemmo il nostro viaggio lungo il sud dell'Inghilterra, cambiando il treno a Swindon e nuovamente a Cirencester. Infine ci ritrovammo all'impiedi e tremanti fuori di una piccola linea secondaria della stazione, ritenendoci fortunati di aver anche solo trovato qualcuno in possesso di un cavallo e di una carrozza che fosse preparato a sfidare la neve che già cominciava a giacere profonda per le strade.
Il tragitto fu sconnesso e la carrozza non particolmarmente ben coibentata dagli elementi, ma mi ritrovai occasionalmente a sfidare l'aria gelida dal finestrino per poter meglio apprezzare la bellezza gentile delle colline, imbiancate di neve, e i dorati tetti a spiovente annidati tra quelle - giardini e frutteti seppelliti nella neve.
Quando raggiungemmo infine la tenuta, in pizzo a un piccolissimo villaggio immerso nella quiete, fummo deliziati nel trovare un fuoco ardente e un cordiale tè del pomeriggio - cortesia di una paffuta signora di mezza età che rispondeva al nome di Stroud.
«Tornerò domani per farvi un po' di zuppa,» disse. «E se doveste mai aver bisogno di qualcosa, abito a Church Lane, l'ultima se scendete dalla collina. Ma mai prima delle sette del mattino, mi raccomando».
La rassicurammo sul fatto che era piuttosto improbabile che ci rivolgessimo a lei prima, ed ella si congedò.
Era pomeriggio inoltrato quando finimmo di mangiare, ma era ancora illuminato, la neve aveva smesso di cadere e tutto intorno alla finestra sembrava fresco e luminoso. Holmes stava occhieggiando il suo baule di libri, ma suggerii una passeggiata fuori prima che facesse buio. Con mia grande sorpresa acconsentì prontamente e andò a recuperare i suoi stivali prima ancora che io finissi la mia tazza di tè.
Holmes prese il mio braccio senza esitazioni come scendevamo lungo la strada, regalandomi un piccolo sorriso che mi mostrò di come non potesse essere più consapevole del significato di quel gesto..
Ardevo dal bisogno di sapere che frutti avessero dato due notti di riflessione sulla nostra conversazione a Hampstead, ma per il desiderio di incominciare la conversazione in una maniera appropriata, feci un appunto sulla bellezza dei piccoli cottage seppelliti nella neve che si profilavano lungo la strada.
«E tuttavia sono certo che si potrebbero trovare cuori tanto neri che quelli di chiunque altro a Londra,» disse Holmes, sebbene il pensiero non sembrasse deprimerlo particolarmente.
Camminammo fino al parco del villaggio, anch'esso coperto da un profondo strato di neve spezzato soltanto dalle impronte di un cane e di un ragazzino che lo avevano attraversato da un angolo all'altro. Non si vedeva anima viva e la neve ovattava il minimo suono, dando all'intero posto una confortevole aria di pace e ristoro. Attraversammo tutto il parco, oltrepassando il piccolo ufficio postale, già chiuso per quel giorno e l'antica chiesa in pietra.
«Come deve essere piacevole vivere qui per tutto l'anno, e vedere le nuove immagini portate da ogni nuovo cambio di stagione,» considerai, come la luce cominciava ad affievolirsi e noi prendevamo la strada del ritorno.
«Non mi sorprende che tutto questo faccia appello alle tue tendenze romantiche, Watson, e tuttavia pensa soltanto ai contro! Quanto tempo ritieni che debba impiegarci un telegramma mandato da qui a Londra, per esempio? E quanto per procurarsi del cloruro d'argento o qualunque altra cosa del genere! Sono piuttosto certo che non vivrei mai in un posto del genere».
Sorrisi tra me, dal momento che questa appariva come una decisione definitiva solo per un uomo sulla ventina, ma non ritenni di dover commentare.
Soffici fiocchi di neve cominciarono a cadere e la nostra piacevole passeggiata divenne una turbolenta marcia.
Guardando nella direzione di Holmes, nel mentre che camminavamo, mi sovvennero le precedenti speculazioni circa le sue origini - se queste fossero urbane o rurali.
«Dove sei nato, Holmes?» chiesi improvvisamente.
«In nessun posto che tu possa aver mai sentito nominare. È un piccolo villaggio nei pressi di North Riding».
Lo fissai sconvolto. «Sei dello Yorkshire!»
Annuì, divertito dalla mia reazione.
«Non l'avrei mai creduto,» mormorai. «Avevo immaginato fossi un londinese fatto e finito».
«Seh, ma n'n d'resti f're assunzioni cohme quehsta s'nza prove, Watson. N'n c'era 'nte a suggerire che n'n fossi del t'Dales fatto e f'nito*».
Sentii il mio fiato mozzarsi in gola all'istante. Avevo sempre avuto un debole per il meraviglioso baritono di Holmes, e udirlo espresso in un dialetto talmente estraneo e grossolano mi fece sentire il più peculiare dei brividi.
Holmes tornò al proprio accento. «Oh povero, appari come se fosse qualcosa di doloroso, Watson».
«No, no, a conti fatti trovo la cosa piuttosto... ehm». Terminai in un colpo di tosse, sentendo le mie gote andare a fuoco.
Holmes sollevò un sopracciglio. «Davvero? Piuttosto ehm?»
Potevo sentire il mio volto imporporarsi ulteriormente, ma tutto ciò era accompagnato da un sentimento tiepido e non del tutto spiacevole alla bocca dello stomaco, perché certamente si trattava di una conversazione dai connotati tali da non essere mai stata presente tra di noi.
«Dal momento che siamo in tema di confessioni sulle nostre fascinazioni segrete,» disse Holmes, «è il caso di ammettere che ho sempre trovato il tuo accento decisamente attraente, mio caro Watson».
Non sapevo se rallegrarmi della scelta di Holmes dell'aggettivo o offendermi dell'orrenda calunnia.
«Io non ho un accento!» protestai.
«Ce l'hai spesso, veramente, amico mio. Specialmente quando sei in collera o entusiasta di qualcosa. Dopotutto, sono venuto a capo delle tue origini scozzesi in una questione di ore quando ti ho incontrato».
Non riuscii ad impedirmi di farfugliare a questa sfacciata falsità.
Holmes si sporse più vicino per mormorare nel mio orecchio: «Non fare quella faccia, Watson. È davvero piuttosto eccitante».
Smisi di camminare e mi voltai lentamente verso di lui, il mio cuore impazzito. C'erano due leggere chiazze rosate nelle sue gote, laddove normalmente dominava il bianco. Sollevai un sopracciglio e quello annuì deliberatamente.
D'improvviso la stradina deserta di campagna apparì decisamente troppo pubblica, e io enormemente grato che mancassero solo poche iarde dal viale alla casa. Lo trascinai dietro il largo stipite in pietra e non persi tempo nel reclamare la sua bocca con la mia, con la fierezza dovuta ai mesi di desiderio represso. Che la sua sofferenza era stata uguale alla mia questo era evidente dalla forza della sua stretta, come le sue mani guantate afferravano il mio collo e le mie spalle, pressandomi contro di lui.
Ci divorammo l'un l'altro, per metà accecati dai fiocchi di neve che ci cadevano sugli occhi, come respingevamo nei reami di un ricordo pallido l'idiozia che ci aveva separato per così tanti mesi.
V'erano moltissime cose che avrei desiderato discutere con Holmes, e un gran numero di punti che sarebbero dovuti andare chiariti, ma tutto questo poteva aspettare. Al momento, non avevo altro pensiero che il modo in cui avremmo speso le successive ore, e le parole non avevano nemmeno lontanamente nulla a che fare con questo.
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NdT:
*"Seh, ma n'n d'resti f're assunzioni cohme quehsta s'nza prove, Watson. N'n c'era 'nte a suggerire che n'n fossi del t'Dales fatto e f'nito": ebbene, questo passaggio mi fa piangere sangue pressappoco dal secondo o terzo capitolo, per intenderci. E quando dico piangere sangue, intendo proprio dirvi di figurarvi qualcuno che si strappi i bulbi oculari dagli occhi con le sue stesse mani. L'originale, che val la pena riportare per correttezza, così recita: "Aye, but thou mun't make assumptions lahk that wi'out proof, Watson. There in't owt to suggest I weren't born and bred in t'Dales", che per chi non ha familiarità con il maledettissimo e stramaledettissimo dialetto dello Yorkshire, significa esattamente ciò che ho scritto, e questo non è stato un mistero neanche per un secondo.
Ma come DIAMINE tradurre una cosa del genere?
Chi si occupa di traduzione sa che le scelte sono tutt'altro che infinite, al contrario, a conti fatti non sono che quattro:
1) Il dialetto si traduce con il dialetto --> da manuale, è la preferibile;
2) Italiano sgrammaticato --> qualcuno lo usa e non nego di averci pensato;
3) «frase in italiano» disse con forte accento dello Yorkshire --> una possibilità;
4) Traslitterazione fonetica --> quella che ho usato alla fine.
MA! Angolino delle obiezioni.
1) Ok, io capisco che dialetto con dialetto è l'opzione più usata, più giusta, più quello che vi pare, ma c'erano due cose con cui proprio non riuscivo a scendere a patti. La prima: le implicazioni. Un dialetto implica di necessità una provenienza geografica e di certo non si può implicare la provenienza geografica di Holmes da una qualunque regione italiana. La seconda: l'estrema ridicolaggine. Non mi si fraintenda, io adoro il siciliano come poco altro a questo mondo (il dialetto con cui avrei tradotto per due motivi: il primo, è l'unico che conosco abbastanza per esprimermici; il secondo, c'è qualcosa nel retroterra culturale italiano che porta il parlante a individuare il dialetto siciliano come un dialetto rozzo più di altri - pazzi! Amatelo come lo amo io! - è un dato di fatto scevro da qualsivoglia connotazione etico-sentimentale di sorta, che tra l'altro è la stessa implicazione culturale che dà il dialetto dello Yorkshire, tanto che Watson ne è straniato. Se così non fosse stato avrei chiesto a uno dei miei amici di là dello stretto di tradurre gentilmente la frase nel loro dialetto, LOL), è la lingua di Pirandello, di Martoglio, dei primi poeti, quello che vi pare. Lo amo, giuro. Come e più dell'italiano!
Ma fare dire a Holmes - a prescindere dal mio amore per il siciliano - "Ccettu, ma mancu pòi pinsari cosi accussì sanza 'na prova, Watson. Nun c'è nnenti ca suggeriva ca nun era 'ddo t'Dales fattu ie finitu" era qualcosa di così profondamente e intimamente ridicolo che mi sono rifiutata in tutti i modi e in tutti i laghi di prenderlo seriamente in considerazione quand'anche per un solo secondo. E non mi importa se storicamente le poesie in scozzese di Tizio sono tradotte in romano da Caio, io NON POTEVO.
2) Italiano sgrammaticato. Devo ammettere che mi ha tentato, questo prima che amici mi facessero rinsavire ricordandomi che era l'errore più grande che potessi fare. Un dialetto è una lingua fatta e finita. Come dice continuamente il mio prof di linguistica perché sia a prova di babbuino "Una lingua è un dialetto che ha fatto carriera". Quindi tradurre un dialetto in modo sgrammaticato non potrebbe essere più sbagliato, perché se stai parlando in dialetto stai parlando semplicemente in un'altra lingua, e l'essere sgrammaticati ha chiare implicazioni di ignoranza che un dialetto non ha. Quindi, VIA! SCIO'!
3) "«frase in italiano» disse con forte accento bla bla bla" anche questa ha indubitabilmente un suo perché, ma! Non andava bene, no no no no no (sono pazza, se ve ne siete accorti ora Holmes vi sfotterebbe sulle vostre capacità di osservazione). E questo perché avrebbe mandato anche stavolta a tre tubi la rete implicazionale. Mi spiego meglio. Quando garonne fa dire ad Holmes "Aye, but thou mun't make assumptions lahk that wi'out proof, Watson. There in't owt to suggest I weren't born and bred in t'Dales" a conti fatti, prima di scioccare Watson, sta scioccando noi. Siamo noi i primi a dire "che caz...". Mi spiego? Una frase in italiano invaliderebbe tutto l'estremo WTF che garonne vorrebbe che noi stessi provassimo, prima di Watson. Quindi anche questa opzione andava bocciata.
4)Traslitterazione fonetica. Non la soluzione migliore, tutt'altro, ma la sola che mi rimaneva. Dà l'idea di un accento, di un dialetto, ma non di sgrammaticatezza, ed è d'impatto per il lettore come non è l'opzione tre. Certo, resta che non ci sono le reti che ci dovrebbero essere. Non capiamo subito che è un accento poco apprezzato, ma dal momento in cui Watson dopo lo dice tutto sommato si piange (sangue) con un occhio. La scelta è ricaduta dunque su questa opzione perché:
-Non ha le implicazioni di provenienza geografica che avrebbe avuto un dialetto vero, né crea l'effetto ridicolo che avrebbe creato un Holmes parlante in siciliano, come in bergamasco, come in sardo - lungi da me scatenare polemiche;
-Non ha implicazioni di scarsa cultura come l'italiano sgrammaticato;
-Era d'impatto per il lettore prima che per Watson.
Come vedete più che il migliore è il meno peggio, but still, se passasse di qui qualcuno che dopo la lettura di questa mia traduzione - a cui io francamente darei decisamente più della mera sufficienza ma solo perché ci ho vomitato il sangue, per nient'altro x'D - sia mosso da odio nei miei confronti, sono interessata a ogni consiglio, SAPEVATELO u_u
E fu così che le note del traduttore vennero più lunghe del capitolo, amen u_u