[Sherlock Holmes] Casus Belli

May 25, 2012 03:30


Titolo: Casus Belli
Fandom: Sherlock Holmes
Parte: Shot autonoma, facente parte della raccolta Amare Magis
Personaggi: Holmes/Watson
Rating: NC-17
Riassunto: Holmes decide di punire Watson, e lo fa a modo suo. «Mi è dato se non altro sapere di che morte debbo morire?» «Ebbene. La scelta era talmente ardua che infine non ho scelto. Sarai destinatario di tutte le atrocità che ho pensato».

Il mese di Agosto è uno infingardo; innumerevoli, le ragioni. In primo luogo Londra non è luogo per vacanzieri: il caldo ne sfa le attrattive, e l'umidità ragguardevole.

In quel frangente, vessavo crudelmente il documento - un prospetto illustrativo dei miei movimenti bancari; tormento privo di risvolti pratici, per l'attenzione di cui era oggetto. Il caldo mi costringeva a rinunciare al decoro, prestigio cui avrei volentieri fatto a meno alla sola prospettiva di un po' di refrigerio.

Allora mi trovavo nello studio che dividevo col mio amico Holmes, in maniche di camicia, il colletto imperdonabilmente sfatto. Detestabile, perché la pelle pregna e accaldata non ne guadagnava in niente.

«Un giorno o l'altro vorrei sperimentare qualcosa di brutale, sarebbe appropriato».

«Holmes, di tutti i momenti questo è il peggiore. Non darò adito alla tua impudenza, non adesso».

«Curioso. Generalmente dare adito alla mia impudenza è l'attività che preferisci. Ad ogni modo, non si trattava di una provocazione».

«Sperimenteremo qualcosa di brutale, dunque. In Gennaio, possibilmente».

«Mio caro ragazzo. Trovo adorabili i tuoi sparsi tentativi di scansare il castigo che meriti. Ma la tua penitenza non aspetterà l'inverno, sebbene un così importante lasso di tempo non potrebbe che aumentarne il risvolto creativo».

«Non so di che parli. E se anche lo sapessi, avrei troppo caldo per darvi peso».

«Ebbene, ho molto pensato a quale sia la punizione più atta a punire la tua - come chiamarla, mi domando - piccola dimenticanza. Hai idea di che cosa sto parlando?»

«Se è una mia dimenticanza, non vedo come».

«Dovrei chiederti di accompagnarmi in estate solamente. Il caldo pare fare miracoli sulla tua dialettica».

«Ma non può nulla sulla tua. Dio del Cielo, Holmes. Dimmi ciò che devi, e cessa di tormentarmi. Ho del lavoro arretrato da portare a termine».

«Capisci bene, amico mio, che io abbia trovato adorabile - e per tutti i motivi più sbagliati - la tua risibile convinzione che non avrei scoperto in un modo o nell'altro che ier l'altro hai compiuto gli anni».

«Farmi gli auguri sarebbe stato sufficiente».

«Auguri? Oh, no. Gli auguri sarebbero stati opportuni, per l'appunto, ier l'altro. Se tu avessi ritenuto appropriato di informarmi dell'evento. Adesso, non è niente del genere. Di qui, i miei dubbi circa quale sia la maniera più appropriata di rifarmi».

«Holmes, non adesso, ti prego», sospirai, passandomi i palmi sul volto accaldato.

«Seguimi».

«Holmes...»

«Watson. Alla fine di questa conversazione tu mi avrai seguito. Lo sai tu, e lo so anch'io. Che senso ha prolungare questo circo, dunque».

Lo seguii, incapace di oppormi, pregando che qualunque cosa avesse in mente si esaurisse nel più breve tempo possibile e sospettando esattamente il contrario.

«Siediti».

Obbedii e poi lo guardai fisso in volto.

«Perché sono seduto sulla sedia della tua stanza, se posso chiederlo».

«Se preferisci la tua, non hai che da domandare».

«No, per carità. Prego».

«Stavo dicendo, Watson, e ti prego di ascoltarmi perché si tratta di un ragionamento della massima importanza - dicevo: come punire una tale scelleratezza. Farmela in barba sarebbe già stato sufficiente ma tu hai voluto esagerare. No, amico mio. Una punizione è basilare. E esemplare. Che si erga a monito».

Sollevai un sopracciglio: «A monito per chi».

Holmes si avvide bene di compiacersi della cosa, invece di trarne il giusto ammonimento, e aveva proseguito.

«Infine, si dà il caso che io abbia enumerato un catalogo, e non mi sia rimasto che l'onere della scelta. Gravoso».

«Almeno una di queste ripicche prevede un'attività che sia meno che illegale?»

«Illegale in quale stato?»

«Immaginavo».

Ghignò, e non disse nulla, ridacchiando di aspettativa.

«Mi è dato se non altro sapere di che morte debbo morire?»

«Ebbene. La scelta era talmente ardua che infine non ho scelto. Sarai destinatario di tutte le atrocità che ho pensato. Ma qualcosa del genere va fatta con una certa classe, se mi consenti. Permetti che io mi prenda il mio tempo, allora».

Nel dirlo, aveva inzuppato entrambe le mani nel catino, vicino la panca, e le aveva scrollate. Notevole, perché le movenze di Holmes sapevano avere la grazia di certi ballerini.

Poi, mi aveva passato la mano imbevuta sulla fronte, e l'altra dietro il collo, e oltrepassato il colletto, valicando le spalle. Chiusi gli occhi e fremetti; il piacere, a malapena definibile.

«Meglio?»

«Molto», sospirai, e mi ero leggermente sporto in avanti, sfiorando con le labbra il panciotto grigio. Che fosse dannato, adesso lo sapevo immune agli agenti atmosferici pure. Con grazia ma tutta la fermezza del mondo, mi aveva preso le spalle e rimesso al mio posto, sollevando entrambe le sopracciglia in un gesto di infinito scherno.

«Watson, Watson, Watson. Tu proprio non vuoi capire. Sono molto in collera con te, e non sono solito scambiare effusioni con gli oggetti della mia riprovazione. E ora, da bravo, cominciamo. La mia vendetta non avrebbe neanche la metà del suo credito se tu fossi in condizioni meno che ottimali. Permettimi».

Di nuovo aveva immerso le mani nell'acqua fresca, e poi inumidito la stoffa della mia camicia imponendo i palmi. Avevo chiuso gli occhi, perché la peculiare sensazione di frescura mi aveva dato alla testa. Poi aveva ritirato le mani, e le aveva cinte dietro la schiena, una mano ad afferrare il polso dell'altra, nel cattedratico atteggiamento del docente. Aveva quindi cominciato a misurare la stanza in fronte a me a passi larghi e teatrali, come chi stia simulando una tormentosa meditazione.

«Ma a questo punto da dove cominciare, che disdetta! Oh sì, ci sono».

Quindi si era avvicinato a me, tanto da potere sentirne il calore, ma senza sfiorarmi e mi aveva sussurrato all'orecchio.

«Pensa a tutto quello che avrei potuto fare se avessi saputo che una ricorrenza così lieta andava festeggiata».

«Con un caldo del genere, nulla che avrei gradito».

«Permettimi di suggerire il contrario. Per esempio. Avrei potuto spogliarti. Capo di vestiario dopo capo di vestiario. Saresti stato accaldato, e sudato, e tanto più sarebbero state di ristoro le mie labbra intente a soffiare con delicatezza su ogni centimetro della tua pelle. Ti avrei guardato negli occhi tutto il tempo, conosco bene il tuo apprezzamento per l'articolo. Naturalmente non sarebbe stato che un palliativo, in attesa che la vasca fosse stata piena d'acqua. Adori bagnarti, specie se d'estate. Non avrei visto di meglio che tenerti compagnia nell'attività - ma con originalità.

Innanzitutto, mi sarei svestito. In un'altra occasione avresti ottemperato tu all'onere, ma non quella volta. So fin troppo bene quanto ami che io mi spogli in fronte a te, specie se con lo zelo dell'artista. Non te ne avere a male, sappiamo entrambi chi è il creativo tra di noi». Lo sapevamo entrambi veramente, e l'immagine del suo corpo flettersi nell'atto di svestirsi accese i miei sensi all'improvviso.

«Dapprima non sarebbe intercorso nulla di sessuale, forse qualche bacio, uno scambio di tenerezze - per il tuo giorno, avrei potuto superare me stesso, indulgere in qualche gesto affettuoso, o qualcosa d'altrettanto incredibile. Io sarei entrato per primo, sono più alto di te - questo è un fatto - e mi sarei steso lungo la ceramica. È probabile che avrei acceso una sigaretta, ma non prima che tu mi avessi raggiunto, leggermente spossato, crollandomi di sopra, l'acqua ad attutire un peso tutt'affatto sgradevole. Debbo dirlo, Watson, adoro quando mi dormi addosso, ma sto divagando.

Saremmo rimasti nella posizione anche tutto il pomeriggio, ma non lo avrei permesso, perché le ossa zuppe ti causano ancora dei fastidi e io questo lo so bene; e mi prendo cura di te. Non che questo avrebbe potuto impedirmi di prendermi cura di te anche in altri modi. Mi sarei incaricato io stesso di insaponarti, per esempio, e l'attività avrebbe preso gran parte del mio tempo. Tu non ti saresti ribellato, perché assopirti alla mia mercé è a dir poco di tuo gradimento, e del resto non sarebbe stata la prima volta. Naturalmente, avrei dato del mio peggio sul tuo collo, nel mentre. Mi perdonerai, ma ne avrei avuto ogni diritto.

Saremmo usciti dalla vasca, perché io avrei insistito. Tu avresti protestato, ma scarsamente, dal momento che conosci bene anche tu i limiti del tuo fisico, sebbene tu non ne scenda a patti facilmente.

E a quel punto, forse ti avrei addirittura convinto a lasciarti prendere contro la ceramica della vasca». Mi irrigidii, sbattendo appena le palpebre di sorpresa. «Sarei stato persuasivo. So essere persuasivo quando lo desidero». E Dio del Cielo, sapeva esserlo per davvero.

«Avresti fatto ironia sulla richiesta, e avrei riso di questa ironia, ma senza desistere. Ti avrei cinto da dietro», e nel dirlo si era spostato alle mie spalle, e aveva posizionato la bocca di modo che fiatasse esattamente sulla mia nuca, ma senza sfiorarmi affatto, «proseguendo le mie attività sulla porzione del tuo collo precedentemente aggredita, avrei baciato sempre di più e sempre più lascivamente. Avrei lasciato vagare la lingua dal tuo collo alla giuntura del tuo orecchio e viceversa, e avrei profittato della nudità per lasciare intendere al tuo corpo quanto ardentemente io desiderassi che venisse avallata la mia richiesta. Avresti continuato a fare dell'ironia, ma senza convinzione, e una tua mano avrebbe afferrato la mia nuca, intrappolandola contro la tua. Avrei trovato il gesto profondamente comunicativo, e non per interrompermi. Curiosa, la tua espressione. Desideri intervenire nella discussione?»

A dire il vero l'unico genere di intervento che riuscissi a concepire prevedeva ogni cosa meno che della dotta conversazione, ma Holmes non sembrava intenzionato a nulla del genere: «Io me lo leverei dalla testa per oggi, Dottore, se fossi in te. Dunque, nulla per cui desideri avanzare qualche protesta? Generalmente protestare è un'elargizione di cui sei piuttosto prodigo».

«Si tratterebbe del mio giorno, e saresti tu a prendermi contro la ceramica. E dove starebbe il dono, a questo punto?»

«Non ti seguo, mio caro ragazzo. Stai insinuando, forse, che possederti ripetutamente e appassionatamente contro la vasca in questione non sia una proposta che vada tutta a tuo vantaggio?», e poi, ancora più vicino al mio orecchio, «ripetutamente e appassionatamente».

«Holmes...»

«Watson?»

«Voglio averti», confessai, l'esasperazione dei miei sensi impossibile.

«Tecnicamente, sarei io ad avere te. Ma parliamo al condizionale, ed esclusivamente per tuo operato».

«Holmes...»

«Sarei stato lento, molto lento. Ritengo, e presuntuosamente non a torto, di essere un ottimo giudice della questione, e che l'eccezionalità di un tale evento necessitasse a tutti i costi di estrema lentezza. Mi sarei premurato di fare sì che sentissi pienamente ogni spinta, pienamente ogni movimento, e me ne sarei goduto ogni secondo. Ti avrei baciato, di tanto in tanto, per rendere il tuo sforzo meno gravoso, mentre adagio ma inesorabilmente mi sarei fatto spazio nel tuo corpo. Quanti uomini ti hanno posseduto, Watson? Molti meno di quanti sono stati coinvolti con te nell'attività contraria. Sì, questo mi è stato chiaro fin da subito. È un leit motiv ricorrente nella categoria militare, non nego che ciò abbia rappresentato in principio una delle tue attrattive più interessanti».

«Un uomo è lieto di vedere apprezzata la propria compagnia».

«Oh, la tua compagnia è inestimabile. Ma questo l'ho scoperto soltanto dopo. Il tuo portamento militare, d'altra parte, è stato molto più immediato di così. Sai qual è la prima cosa che ho pensato, quando mi sei stato presentato?» Non aspettò una mia risposta. Si fece ancora più vicino e sussurrò, di fatto muto: «Dio, se quest'uomo ha nel suo letto la metà del rigore riscontrabile nell'abbottonarsi i polsini, potrei chiedergli di forzarmi contro un muro, Stamford presente».

Quella fu la goccia, e balzai in piedi dalla sedia, pronto a voltarmi nella direzione del mio aguzzino. Mi ero girato, però, solo per trovare il vuoto in fronte a me, e il mio tormentatore - Dio solo sa come - nuovamente alle mie spalle. Con un rapido gesto aveva voltato anche la sedia, spingendomi seduto ancora una volta, se nella direzione opposta.

«Non rifarlo». E stavolta il suo tono non ammetteva repliche. Poi, posto che non mi ero mosso di un millimetro, l'atteggiamento tornò quello pacato del cattedratico alle prese di una profonda riflessione.

«Ma vedi, amico mio, noi continuiamo a parlare di fatti ipotetici e ci ostiniamo a non occuparci invece di come sarebbe opportuno agire all'atto pratico. Come dovrei punire la tua manifesta provocazione. Ho pensato che forse qualcosa di fisico sarebbe potuto essere più diretto - e più simbolico».

Nel dirlo, aveva afferrato il manico del frustino agitandolo tre volte con dei rapidi movimenti di polso. Sentii distintamente una goccia di sudore percorrermi il collo da dietro il lobo destro, e il corpo accendersi di ignobile aspettativa.

«Questa è la mia arma preferita - e in più d'un senso - e dunque, cosa meglio che qualcosa del genere per castigare la tua insubordinazione?»

«Niente di meglio», deglutii e mi sorrise malevolo.

«Potrei», e nel dirlo, aveva poggiato la punta di cuoio sulla mia guancia, e aveva cominciato a trascinarla per il collo, «domandarti di spogliarti». Le mie mani erano già corse ai bottoni, ma fu l'arma stessa a impedirmi il movimento, con un gesto frettoloso e irritato. «Ho detto che potrei domandartelo. Non te l'ho domandato. L'ho fatto?»

«No», negai, ormai sopraffatto.

«Dunque. Potrei domandarti di spogliarti. Passare una mano sul tuo corpo nudo per individuare la pelle meno ispessita e più delicata. Soffermarmi, una volta raggiunto il mio obiettivo, in una carezza insistente, forse un bacio a fior di labbra. Poi, una volta stabilito il punto, lì colpire, con forza discreta ma non eccessiva. Ritieni che sia adeguato?»

Annuii.

«Cielo devo esser divenuto sordo o tu non hai parlato. Ritieni che sia un trattamento adeguato alla tua colpa?»

«Sì. Dio, sì».

Il frustino era sceso a valicarmi il petto - il cavallo dei miei pantaloni ormai rigonfio indecentemente - fino a poggiarsi con insistenza nel punto più vergognoso.

«Ah».

«Che sciocco. A inizio giornata m'era parso che il caldo inibisse le tue normali funzioni fisiologiche. E invece noto con mia delizia che il tuo apparato riproduttivo versa in ottima salute. I miei omaggi».

«Holmes...»

«Dimmi, amico mio. Cosa desideri che faccia».

«Puniscimi».

«Ogni tuo desiderio è un ordine, mio caro ragazzo. Ma lasciamo il frustino alla caccia, per oggi. In fondo non era che la terza o quarta, delle mie risorse». Quindi, s'era messo carponi in fronte a me, perfettamente nel mezzo delle mie ginocchia, le sue labbra precisamente a un palmo di naso dal mio scroto. Lo feci prima di pensarlo, la mia mano gli aveva afferrato la spalla e aveva stretto forte.

«Non toccarmi!», aveva sbottato, e subito avevo ritratto l'arto riportandolo nel bracciolo. La mia sorpresa durò un istante, dal momento che le mie dita erano corse subito alla patta dei miei calzoni, per disfarla con tutta l'urgenza del mondo. Curiosamente, Holmes non me lo aveva impedito. Sarei dovuto esserne più allarmato.

«Tu stesso mi domandi di punirti, e una punizione è senz'altro necessaria», aveva esordito, il fiato sul mio membro oscenamente eretto e arrossato, i miei occhi ormai chiusi dall'esasperazione più crudele. «Ma non mi è venuta in mente una sola maniera di punirti che appagasse la mia vanità senza accontentare la tua. Ci ho pensato talmente tanto... e infine!»

Aveva sporto la gota nella direzione della mia dolorosa erezione, e l'istinto mi aveva dettato di portargli una mano alla nuca. Il gesto fu spietatamente respinto, e la sua bocca si era andata a posizionare esattamente sopra la punta, soffiando piano e continuamente.

«Holmes per l'amor del Cielo! Non sono più nelle condizioni di poter sopportare oltre!»

E lì Holmes balzò in piedi, l'espressione trionfale sul volto che ben conoscevo, la pomposa e arrogante superbia del vincitore.

«Molto bene! Era ora, cominciavo a temere che non ci sarei più riuscito! Per l'amor del Cielo, Watson, hai decisamente fatto miracoli con la tua resistenza!» Nel dirlo si era riabbottonato i polsini e ricomposto con l'efficienza del mattino.

«Holmes, di che Diavolo stai parlando, non puoi veramente pensare di lasciarmi in questo stato!»

«Sono certo che le maniere di rimediare alle tue vergogne non ti manchino, entrambi abbiamo avuto sedici anni. Resterei volentieri a godermi lo spettacolo, ma a quel punto finirei senza scampo a intervenire - con mio certo piacere ma con imperdonabile vanificazione di tutta la mia vendetta. Buon proseguimento di giornata e buon compleanno. Perdonerai il ritardo».

fanfic, sherlock holmes, casus belli, amare magis

Previous post Next post
Up