Titolo: The Screaming Skull.
Beta:
namidayumePrompt:
screaming skull @
paranormal25Rating: PG.
Conteggio parole: 2551 (Works)
Note:
• prima fic ad essere pubblicata su questo journal! \o/
• potenzialmente horror. Sovrannaturale.
• il solito gentile grazie a tutte le persone che hanno sopportato i miei degeneri da fic, che sono sempre state piene di consigli, che si sono trattenute dal tirarmi una mazzata in testa durante i miei attacchi di autostima delirante, e che mi hanno tenuta con i piedi insolitamente attaccati al terreno durante il tutto. ♥
Disclaimer: tutto mio, tranne la leggenda (che è stata, comunque, adattata da me).
*
Nonostante fosse una persona tranquilla sotto tanti - troppi - aspetti, le piaceva distruggere quel velo di normalità durante la sera, per poi riprenderlo la mattina dopo, con più serenità e più gioia di portare il peso del segreto.
Era mentre preparava il caffè, quello che dopo avrebbe corretto con del latte, che arrivava la sensazione e si rattristava. Era quando si rendeva conto di essere una ragazza vuota, in una stanza vuota, in una casa vuota e di provare un sentimento vuoto.
Ed era un pensiero dettato dalla vile abitudine di compiangersi. Da mesi non poteva più dire di essere vuota, visto che il suo nuovo coinquilino amava riempirla con le sue raccapriccianti urla.
The Screaming Skull.
Questa non è la storia di un'infestazione o di una persona che, stupidamente, ha deciso di trasferirsi in una casa infestata. Non è l'allegoria di un fantasma o di una morte triste, non è il malsano racconto di un amore o di una guerra.
Si tratta semplicemente della storia di Lei, la protagonista vuota, persona né simpatica né antipatica, mai contenta di dividere i propri spazi con altri ma abbastanza generosa dal non negarli in caso di aperta richiesta.
Abituata a passare ogni sera da sola, ogni pomeriggio da sola ed ogni mattina nella consapevolezza di dover stare da sola, non si compativa nemmeno più e non badava troppo ai racconti degli amici che incontrava nelle varie chat. Amici che non aveva mai visto e che nemmeno sapeva se poter definire tali, ma adorabili perché disposti a dare una spiegazione logica per ogni fenomeno incredibile.
E questa era la sua vita vuota: solitudine, virtualità e dissapori sociali.
Si era trasferita per lo studio, perché voleva fare qualcosa di importante, ma non aveva concluso nulla; del resto, non è mai stato semplice lo studiare o il frequentare qualsiasi corso quando si ha la pretesa di non voler incontrare nessuno.
Le persone sono automaticamente attratte alle altre, per quanto insopportabile possa sembrare.
Così aveva rinunciato al sogno, ma non era tornata indietro. Rimanere in quella casa le dava comunque coraggio, la portava a pensare di poter risolvere qualcosa, anche senza impegnarsi troppo.
Manteneva i rapporti con la realtà: usciva per fare la spesa, per andare al bar, per comprare qualche rivista. Niente di particolarmente umano, niente che la potesse condurre davvero alla pura follia.
Si era costruita una vita semplice, modesta, patetica: le stava benissimo, la calzava a pennello. E sarebbe andata bene ancora per molto, se non fosse che un giorno - mesi e mesi dopo - qualcuno si mise in testa di svegliarla dalla sua apatia.
E non un qualcuno qualsiasi, ma uno strillo fortissimo. E dopo un altro. E dopo un altro. E dopo la porta sbattere. E poi il silenzio.
La storia inizia qui. Buona lettura.
Come ogni persona piena o priva di facoltà intellettive, dopo aver sentito quelle urla si spaventò. Non avendo nessuno da chiamare, doveva sbrigare il casino da sola e dunque armarsi di tutto il coraggio che aveva a disposizione - ci impiegò pochissimo per questo passaggio.
I rumori provenivano da quella che Lei chiamava - forse impropriamente - ripostiglio, unica stanza della casa a non avere finestre grandi, piena di robaccia presente nell'appartamento da prima del suo arrivo. Non ci entrava mai, non le serviva usarlo, non aveva nemmeno ben presente che cosa contesse.
Aprì la porta velocemente, dando una veloce occhiata all'interno. Una stanzetta non particolarmente grande, buia, disordinata - ma non così tanto da poter nascondere la presenza di un'altra persona. Era chiaro che non ci fosse nessuno, lì dentro.
Accese la luce e guardò meglio. Niente.
Si ritirò, pensando che magari si era sbagliata - non sul rumore, quello sicuramente c'era stato, lo aveva sentito - e iniziò a controllare le altre stanze. Come prevedibile non trovò nulla e dovette arrendersi.
Quello stato di ignoranza la irritava, era abituata ad una vita solitaria e decisa da Lei stessa, non a sottostare a regole dettata da ignoti.
Non era ancora caduta nel terrore, ma la Voce non aveva neppure iniziato.
Le ci vollero poche settimane per rendersi conto che qualcosa di paranormale stava accadendo. Nel suo inconscio, aveva capito tutto quanto fin dal primo minuto, ma accettarlo aveva richiesto più tempo del previsto e quindi - solo dopo giorni di urla sospette - si decise a controllare decentemente, cominciando da internet.
Il risultato la sorprese: non c'era nessun collegamento con ciò che stava vivendo e quello che si trovava nel web. La casa dove abitava era recente, di sicuro non antica, non aveva conosciuto morti né tragedie, non possedeva cantine - in pratica, niente di tradizionale.
E non c'era nulla, a parte le urla, di pericoloso; niente che riconducesse ad un fantasma. Una Voce è molto più umana di uno spettro, una Voce non è una presenza - ma un suono, che entra nella testa. E questo la rendeva ancora più inquietante.
La rendeva straziata ed irraggiungibile.
Si mise in contatto con qualche forum, lasciando messaggi non troppo espliciti, descrivendo il fatto non come reale o come in corso, ma raccontandolo come se fosse una storia. Aveva imparato che spesso la gente tende a credere più alle bugie che ai fatti reali, così sfruttò la sua capacità di narrare, impostando il tutto come una specie di indovinello.
Ebbe moltissime risposte, ma nessuna concorde con le altre e nessuna originale o calzante con il suo caso; poche persone sapevano veramente come trattare il paranormale e ancora meno riuscivano a giungere a conclusioni sensate - e non deliranti.
A spaesarli era la mancanza fisica della Voce. Li conduceva tutti fuori strada. Perché l'unica cosa che sembrava fare era quella di Strillare quando voleva, durante il corso della giornata (ma mai di notte, c'era da dire) senza dire assolutamente nulla. Non comunicava e, a parte quella porta sbattuta, non aveva mai più interagito con qualche oggetto.
Fu dopo un paio di ore che continuava attivamente a rispondere e spiegare, che le venne posta la domanda.
Che la Voce non si manifestasse più attivamente perché impossibilitata? Era magari imprigionata? La protagonista della storia - cioè Lei - doveva cercarla, trovarla, avere un faccia a faccia con la creatura a cui apparteneva.
Magari sarebbe rimasta senza parole nel vedere che qualcuno era andato in suo soccorso, forse era proprio quello che cercava.
Mentre leggeva le ultime righe del messaggio e formulava correttamente il pensiero nella sua testa, dovette sforzarsi per rimanere calma: le pareva sensato, anche se poco sicuro... trovarla significava anche liberarla e non aveva alcuna certezza che non l'avrebbe uccisa dopo.
Si stava mettendo in pericolo, sicuramente, ma non aveva altre possibilità. La Voce urlò di nuovo.
Per tutto quel periodo, le urla erano arrivate tutte dal ripostiglio. Ne era certa: l'unica cosa che poteva fare era quella; doveva svuotarlo, passare in rassegna ogni oggetto, aprire ogni scatola, fare qualsiasi controllo possibile; per la prima volta nella sua vita si pentiva di aver voluto la solitudine, di non avere nessuno di fidato da chiamare.
Con le amicizie virtuali non riusciva più a parlare. Finiva sempre ad un passo dal voler descrivere le sue angosce ed i suoi tormenti, e le notti insonni passate con il terrore di sentirla ancora, quella Voce, con le orecchie tese per captare movimenti che non c'erano.
Non poteva proprio dirlo, ai suoi amici virtuali: correva solo il rischio di perdere anche loro, con le sue incresciose agitazioni, e non voleva.
Dentro la stanzetta non c'era molto: pochi scatoloni - di quelli marroni, consumati, con la scritta 'fragile' oramai sbiadita - buttati per terra e un solo scaffale, in pessime condizioni, sistemato contro la parete. Non conteneva oggetti particolari e preferì iniziare da quello, intuendo che non vi avrebbe trovato nulla.
Nelle scatole il discorso non era molto diverso: riempite tutte per metà, dentro c'erano solo vestiti (taglia maschile, di mode passate da anni, un po' consunti) e qualche giocattolo. Questi la turbarono, non tanto per la potenziale presenza di una qualche anima, ma perché guardare un vecchio gioco senza il proprio bambino era come fissare l'Errore per eccellenza.
Quei giochi la rattristivano, erano dannatamente vuoti.
E la Voce tornò ad Urlare, per scandire i suoi malinconici pensieri.
Nella stessa stanza, per la prima volta, la voce stava strillando e si faceva sentire. Dopo parve accorgersi che qualcuno la stava ascoltando e si prodigò in una serie di lamenti.
Non aveva parole, quella Voce, non poteva dire nulla, nonostante pareva sforzarsi.
La Protagonista di questa storia, a questo punto, ebbe una serie di reazioni contrastanti: in un primo momento rimase completamente paralizzata, in un secondo fu colta dalla crescente nausea, e per ultima dal bisogno di scappare e abbandonare per sempre quel posto. Con tutte le sue maledizioni.
Il lamento non smise nemmeno per un attimo.
Alla fine, Lei tentò di comunicare, di dimostrare che poteva fare qualcosa (e tenere il controllo della propria vita, quella che aveva voluto, si era creata e mandava avanti con difficoltà) portando a termine la missione che si era imposta.
«Cosa vuoi!» Strepitò, non badando al fatto che la sua non sembrava affatto una domanda; esprimeva tutta la sua frustrazione, tutto quello che il suo coinquilino le stava dando in quei giorni.
Il lamento non rispose, continuò imperterrito.
«Dove ti nascondi?!» Chiedeva. Forse doveva comportarsi gentilmente con lui, ma non stava pensando alle conseguenze, a nessuna conseguenza, era guidata solo dalla propria paura - la stessa che le impediva di muoversi e continuava a blaterare tentando di capire l'effettiva provenienza - la giusta posizione.
Il lamento continuava, quasi copriva le sue esclamazioni.
«Posso aiutarti, darti ciò che vuoi,» tentava lei, presa dal panico e dal conseguente coraggio, «parlami, dimmi cosa ti serve!»
Il lamento smise. Per un attimo ci fu silenzio, seguito da un ultimo urlo. E questa volta sembrava ancora più angosciato del solito e Lei ebbe la sensazione che si trovasse dentro la parete.
Per un paio di giorni non sentì nulla. La casa era di nuovo tranquilla, vuota, senza nessun rumore sospetto... magari aveva trovato quello che la Voce cercava, forse era riuscita a renderla felice e non le serviva più infestare la sua casa.
Poteva tornare alla sua tranquillità.
Non ci credeva davvero. Aveva sentito l'ultimo grido e, se lì per lì aveva pensato che stava per accadere una catastrofe, la sensazione che le era rimasta era quella di aver distrutto la propria vita.
Quel silenzio non poteva essere altro il presagio di qualcosa di ben peggiore - lo sapeva bene.
Doveva godersi quei momenti - o andarsene al più presto.
Ringraziò i ragazzi del forum, spiegò loro che la Ragazza del Racconto aveva controllato e 'trovato' la Voce e che adesso quella stava zitta. Così era riuscita ad aiutarla.
Persino gli utenti le dissero che, come conclusione, era troppo scontata. Troppo frettolosa - una presenza non si arrende mai in una maniera simile.
Non sapeva che dire o fare; l'unico desiderio che aveva era, buffamente, quello di tornare vigliaccamente dalle persone di cui si fidava: la sua famiglia, per esempio. Non le importavano i dissapori avuti nel corso degli anni, sentiva di poter appianare ogni battibecco se ne aveva bisogno.
Stava dunque accarezzando l'idea, contenta, meditando su quando chiamare il proprio padre. In quel momento la Voce si accorse della sua gioia, del fatto che si tratteneva dal cominciare a ballare, e strillò.
Continuò imperterrito per interi minuti - non aveva fiato, del resto - e la chiamò a sé in quella maniera. Lei accettò mutamente e si incamminò tremando verso lo stanzino.
Quando entrò il rumore non era ancora cessato; le urla erano fortissime, come se qualcosa stesse straziando la Voce, o come se la stanza si fosse riempita di entità simili, o come se venissero direttamente dall'oltretomba. Ma non era niente di tutto ciò.
Cessarono non appena fece qualche passo. Per prima cosa guardò verso il muro, dove era certa si trovasse la presenza l'ultima volta - intrappolata. La sensazione di vuoto la colse subito: non c'era niente di strano, la parete era intatta e ancora parzialmente bianca, ma pareva inquietante e svuotata.
Capì dunque che si era spostata; non ebbe il tempo di iniziare a cercarla, perché l'Urlo si manifestò e segnalò da solo dove si trovava.
Lì, sullo scaffale, poggiato fra le poche cose già presenti. Ha la forma di un Teschio, l'odore di un Teschio, la consistenza della plastica.
Un giocattolo, lucido e senza occhi, forse un tempo bianco - ora di un giallino spento. Tragicamente finto, con l'aspetto non potrebbe mai spaventare nessuno, nemmeno anatomicamente corretto.
Ma ha quell'odore. Ha quella Voce. E la tiene in scacco con quella.
Dai suoi denti di plastica un altro lamento, disperato. La Protagonista sa indistintamente che si è spostato da solo dalla sua prigione, che forse ci era capitato per caso, sa benissimo che si è liberato perché lei aveva promesso di dargli una mano - gliel'ha strillato, e dopo è stata contenta di andarsene.
Il Teschio è il cadavere di un ricordo, di un gioco che non serve più, il Teschio puzza della morte dell'infanzia. E lei non potrà mai aiutarlo, oramai lo sa. La Voce è sempre stata finta, sempre priva di mani o arti, sempre senza corpo - per questo non aveva mai tentato di toccare qualcosa.
La Voce vuole che lei si diverti a giocare con lui, o che se ne vada per lasciare spazio a qualcuno che potrebbe farlo. Qualcuno che potrebbe volere quell'odore infernale intrappolato fra i capelli, fra i vestiti, e quella voce terribile a condire ogni istante della propria vita.
La nostra Protagonista ama la solitudine, davvero, la ama e vorrebbe stare da sola per sempre; la Voce, il Teschio, la detesta.
«Siamo incompatibili,» si spiega, fissandolo, «me ne andrò al più presto così verrà qui qualcun'altro.»
E sacrificare così della gente a caso. Un bambino, una mamma, un padre, una famiglia, sacrificarla per la sua solitudine? Per la sua vita così vuota e per la sua presenza così leggera? Non era certa di fare la scelta giusta, anzi, sapeva di star sbagliando.
Così come il Teschio, che si limitò a strillare.
Si avvicinò ancora di più, combattendo contro la nausea, ripetendo senza speranze che, davvero, lei non sapeva essere di buona compagnia. Che non conosceva il modo adatto per dividere i propri spazi.
Che quella puzza l'avrebbe condotta alla follia.
Ma un giocattolo abbandonato non ha compassione, ha solo una voce, solo la potenza del proprio strillo. Un giocattolo non accetta un secondo abbandono, doveva capirlo, la Nostra Protagonista.
E lo fece, in una maniera contorta. Si avvicinò, lo fissò da vicino, tentò di non respirare mentre lo prendeva e se lo stringeva fra le braccia.
La storia della Protagonista non finisce qui, veramente. Ha resistito ancora per qualche mese, insieme al Teschio, accarezzandolo ogni tanto, lavandolo, tentando di levare per sempre ciò che lo rendeva mostruoso - ma continuando a fallire.
La storia della Protagonista finisce una notte quando, stremata, prese la sua borsetta e le poche cose che conteneva, per uscire per sempre da quella casa e scappare nella notte.
Non finisce bene, non finisce male, ma si conclude perché il Teschio era un'entità troppo differente da lei e perché, scappando, ha la sicurezza di poter rimanere da sola ancora per qualche mese.
O anni, o semplicemente giorni.
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