Il motto di oggi è: non pensare, non pensare, non pensare. O meglio, pensare sì, ma ad altro! Per esempio a Shunnino tesoro dolce, che è sempre un pensiero in grado di coccolarmi l'anima. ♥
Questa fanfic ha qualche annetto, e pur essendo una delle mie rarissime fic non slash (anzi, non è semplicemente "una", è proprio l'unica al momento :P), le ho voluto bene. Perché Shun è amore, puro amore!
Giusto perché c'è ancora bisogno di ribadire quanto l'amore tra fratellini (anche casto com'è qui) mi mandi in estasi... ecco, e il "non pensare" va a ragazze allegre. T_T
Titolo: Sotto lo stesso cielo
Fandom: Saint Seiya
Personaggi: Shun, Redha, June, Dedalus di Cepheus, presenza accennata di Ikki
Rating: G
Genere: introspettivo, lievemente angst
Parte: 1/1
Note: Ambientata alla fine dell'addestramento di Shun, subito prima della prova del sacrificio. Scritta come fanfic a tema per Stardust Way. Il titolo è tratto dalla canzone di Billie Myers "Kiss The Rain".
Dedica: A tutto Stardust Way, che resta sempre un mondo a parte, con persone speciali. <3 E a Chiara che mi ha pazientemente supportata (e sopportata) quando i ghiri mi stressavano. XD (So che leggerai, cara la mia bertuccia! :*)
Disclaimer: I personaggi appartengono a loro stessi a Masami Kurumada che dovrebbe decisamente rispettarli di più. Non detengo alcun diritto e quest'opera non ha scopo di lucro.
Riassunto: Sei terribili anni trascorsi uno lontano dall'altro, e un'ultima difficile presa di coscienza perché Shun possa tornare a riabbracciare il suo amato fratello...
Keep in mind
We're under the same sky
And the night's as empty for me as for you
(Kiss The Rain - B. Myers)
PROLOGO
"Tra sei anni ci ritroveremo, e non ci separeremo mai più. Non dimenticare mai questa promessa, Shun."
La tenera voce infantile era riuscita a sussurrare un flebile "Sì...", che un solo soffio di vento sarebbe bastato ad inghiottire. Ci stava provando, intensamente, con tutto se stesso, a tenere duro... ma avvertiva distintamente ogni piccolo progressivo cedimento del suo cuore di bimbo, come si segue con lo sguardo il percorso di sottili spaccature su una superficie di vetro, e ad un improvviso tremito, si indovina l'istante dell'imminente crollo. Quel sussurro aveva appena fatto in tempo a spegnersi nell'aria, che già Shun aveva afferrato convulsamente le mani del fratellino più grande, stringendole tra le piccola dita delicate, e sollevando verso di lui, due occhi scintillanti di lacrime.
"Io... non voglio andare, Ikki... voglio venire insieme a te..." singhiozzava disperatamente.
"Shun..." sospirò Ikki, non riuscendo per un attimo a nascondere la voce incrinata. Si era tramutata in disperata frustrazione, ora, la rabbia di sentirsi improvvisamente tanto impotente, dopo aver protetto Shun da tutto e da tutti fin da quando questi era in fasce. Anche in quel momento, fissando i due profondi laghi verdi, riusciva a vedere il modo in cui la propria immagine si rifletteva negli occhi e nel cuore di Shun. L'immagine di un eroe, di una colonna indistruttibile, che aveva il potere di allontanare da lui qualsiasi cosa volesse minacciarlo. Sembrava avergli rivolto quella supplica con la convinzione che Ikki avrebbe davvero potuto esaudirla...
"Shun, coraggio... devi essere forte, piccolo, me l'hai promesso," mormorò, imponendosi di non stringere a sé quel corpicino scosso dai singhiozzi. Gli rivolse uno sguardo severo ma incoraggiante. "Non temere per me... Io me la caverò e tornerò da te sicuramente. Ce la faremo, vedrai... ci siamo promessi di non arrenderci per poter stare di nuovo insieme, e niente al mondo potrà impedirci di mantenere questo giuramento."
"Non... non capisco, perché... dobbiamo fare questo??..." gemette Shun, serrando disperatamente gli occhi brucianti di pianto. Stava per imboccare una strada di cui non comprendeva lo scopo, su cui era stato sospinto con violenza, e riusciva solo a vedere quanto lo allontanasse dal suo amato Niisan, con un terrore insopprimibile di non vederlo tornare dall'inferno che aveva risparmiato a lui. "Perché?..." ripeté in un singhiozzo soffocato, stringendosi nelle piccole spalle esili, con una tristezza che faceva male al cuore.
"Io... io non lo so, Shun..." ammise il ragazzino bruno. "Però noi dobbiamo dimostrarci più forti anche del destino crudele che ci è stato riservato... quando saremo tornati come cavalieri, non permetteremo più a nulla di separarci," mormorò con convinzione, e Shun si sentì avvinto dalla determinazione magnetica del suo sguardo, che aveva ormai così poco di infantile, nonostante la tenera età. Annuì, cercando di fermare le lacrime. Avrebbe voluto essere più forte, non costringere Ikki ad avere coraggio e fiducia per entrambi... Trattenendo i singhiozzi, gli rivolse un ultimo lucido sguardo, consapevole che di lì a pochi istanti, avrebbe dovuto voltarsi e salire su quel pullman che non riusciva neppure a guardare. Ikki si sforzò di sorridergli, zazzerandogli con affetto la frangia castana.
"Coraggio, fratellino... saremo lontani soltanto fisicamente... ognuno di noi avrà sempre l'altro, e andrà avanti per lui," mormorò con maggiore dolcezza, rendendosi conto che Shun non aveva bisogno di altri toni duri che lo spronassero, ma di un po' di calore per dare al proprio cuore la forza di resistere.
Il piccolo gli rivolse un debole cenno con il capo, ma neanche lo sforzo più immane gli permise di accennare anche il più sottile dei sorrisi.
"Ma non potrò... vederti... parlarti... per così tanto tempo..." sussurrò in soffio, abbassando il visetto con un moto di amara rassegnazione. Posando le mani sulle sue spalle in una stretta che voleva mostrarsi fiduciosa, ma che tradiva un tremito sottile, Ikki richiamò l'attenzione del fratellino.
"Shun, noi due saremo insieme ugualmente, in qualche modo," mormorò fissandolo intensamente, come per trasmettere quelle parole con lo sguardo prima che con la voce. "Saremo sotto lo stesso cielo... e lotteremo per lo stesso desiderio... E quando penserai a questo, saprai che ci starò pensando anch'io, e che sono con te."
Negli anni che seguirono, l'ultimo vero ricordo che Shun conservò, di quel giorno straziante, furono quelle parole. Dopo averle udite, gli fu intimato di sbrigarsi a salire sul pullman, e per lui ebbe inizio un viaggio che non avrebbe rammentato se non come un incessante ripetersi di quelle parole nella sua mente.
PARTE I
La dolcezza di un nome di donna, un nome antico che significava amore e sacrificio, non riusciva a nascondere a lungo una ferocia che strideva duramente con quel leggiadro titolo. Chi metteva piede sull'isola di Andromeda, conosceva immediatamente il segreto inferno che essa racchiudeva: il calore bruciante di un sole che sembrava tanto vicino da sentirsene incendiare il respiro, ed il gelo immobilizzante di una notte che gli si opponeva con altrettanta, spietata e silenziosa violenza.
Sul terreno reso incandescente dall'aria infuocata, ricadde il corpo atletico ed armonioso di un giovane, la cui notevole agilità gli permise di mantenersi in equilibrio nonostante il colpo ricevuto. Si rimise eretto, in posizione di difesa, fissando il ragazzo che lo fronteggiava. L'espressione dei suoi occhi, immensi e resi vividi dal riflesso smeraldino, sembrava scontrarsi con l'intero desolato quadro che gli era attorno, con lo sguardo aggressivo dell'altro ragazzo e con il duello cui stavano dando vita. Era un'espressione mite, gentile e quasi sofferente...
"Shun, mi sono stancato!" esclamò l'altro giovane, avvicinandosi con lo sguardo sprezzante di chi sta guardando sciuparsi il proprio tempo in qualcosa di inutile. "Se non ti decidi a reagire, metterò fine a questa battaglia io stesso. Come al solito, del resto." Gli rivolse un'occhiata di scherno, ed il suo tono si fece sarcastico.
"Redha..." mormorò Shun di rimando, con tono lieve ed amareggiato. Schiuse le labbra per dire qualcos'altro, ma si fermò con un sospiro, sentendo la sottile risatina pungente che scuoteva piano le spalle di Redha, facendo danzare su di esse, i ciuffi scarlatti.
"Sei davvero senza speranza, Shun... dopo quasi sei anni, non hai ancora imparato come ci si comporta in combattimento! Mi domando cosa ci fai ancora qui; non è evidente a te per primo, l'inutilità di ciò che stai tentando di fare?" Redha puntò su di lui due occhi gelidi e aggressivi. "Stai rischiando la vita per niente, non potrà mai esistere un Saint debole come te!" esclamò, lanciandosi all'attacco con agile velocità, e sferrando un fendente micidiale verso Shun. La punta lucente della catena di Redha si abbatté implacabile sul ragazzino, superando senza troppa difficoltà la sua difesa stentata. Il colpo arrivò deciso e quasi rabbioso, mentre Redha non toglieva gli occhi di dosso al viso delicato del compagno di addestramento, cercandovi un'espressione di dolore, o meglio ancora, un'ombra anche vaga di aggressività. Quello sguardo gentile lo mandava in bestia... alimentava come olio su una fiamma, la sua animosità verso quel ragazzino tanto fragile quanto tenace, che non era mai riuscito a sconfiggerlo in battaglia, ma che si ostinava a non arrendersi, e dal cui volto, non scompariva mai quella dolcezza capace di trasmettergli una sgradevole sensazione senza nome né volto... sapeva di essere più forte, eppure si scopriva, ogni volta, incapace di affrontare Shun con il distacco proprio di chi è consapevole della propria superiorità. Qualcosa in lui, gli provocava un'inspiegabile rabbia.
Shun ricadde al suolo senza un lamento, ansimando appena, mentre cercava di rimettersi in piedi. Redha gli si avvicinò nuovamente, tornando a stringere le dita attorno ai robusti anelli della sua catena, quando una sagoma massiccia si frappose tra i due ragazzi.
"Basta così, Redha, questa battaglia è conclusa."
"Maestro..." Redha esitò per un attimo, ma lo sguardo autoritario di Dedalus troncò sul nascere ogni usa possibile protesta. Lanciando a Shun uno sguardo tagliente, Redha si allontanò per tornare tra gli altri compagni, che avevano assistito allo scontro in silenzio; non in attesa di un risultato scontato, semplicemente sperando che Redha non facesse troppo male a Shun. Dal gruppo, si staccò una ragazza bionda, il volto coperto dall’immobile fissità della maschera che il suo ruolo di aspirante Saint le imponeva. Rimase per un attimo in disparte, con ansia, mentre osservava il maestro Dedalus avvicinarsi a Shun, che nel frattempo si era rialzato.
"Mi dispiace, maestro Dedalus..." mormorò il ragazzino, avvertendo il rimprovero nello sguardo dell'uomo. "Non sono riuscito ad attaccare Redha, ti chiedo scusa." La sua voce era docile e mite, rammaricata ma calma, alla maniera che ormai, Dedalus di Cepheus conosceva bene. La limpidezza dello sguardo di Shun ne lasciava intravedere tutta la profonda sincerità, il suo maestro era certo che Shun fosse realmente dispiaciuto, di non avergli offerto eclatanti progressi dopo tanto tempo. Eppure, continuava a porgergli le sue scuse ad ogni sconfitta, senza però riuscire a sviluppare ancora, quella forza che Dedalus era certo fosse nascosta in quel corpo efebico, da qualche parte, nell'animo sensibile di quel ragazzino così diverso dagli altri. Se così non fosse stato, non sarebbe potuto sopravvivere per tanti anni, animato da una volontà che non recava ombra alcuna di prepotenza o smania di potere, ma il calore nostalgico di qualcosa di caro da raggiungere.
Sospirò profondamente, distogliendo lo sguardo dal volto contrito del suo allievo.
"Shun, ti ho già detto che scusarti con me non ha alcuna utilità. E' la tua vita, ad essere messa in gioco, nell'istante in cui non riesci a respingere un avversario. So che non hai intenzione di arrenderti e rinunciare a diventare un Saint, ma devi renderti conto che non potrai mai farcela, se continui in questo modo." Tornò a voltarsi verso di lui, quasi per essere certo che avesse compreso ciò che tentava di dirgli. Lo sguardo di Shun era rivolto al basso, ma in quel momento, Dedalus non avrebbe saputo dire se quello del ragazzino fosse un atteggiamento di rispettosa accettazione del rimprovero, o un moto pensieroso e quasi distante, come se i profondi occhi verdi stessero seguendo il percorso lontano di una meditazione a lui sconosciuta.
"Basta così, per oggi..." sentenziò alla fine, ma il suo sguardo non lasciò per un lungo momento il volto di Shun. Neppure lui avrebbe saputo dire con esattezza cosa vi stesse cercando, avvertiva solamente l'insistente sensazione che vi fosse qualcosa da trovare, e che avrebbe riconosciuto quel "qualcosa" solo nell'attimo in cui l'avrebbe visto nitidamente.
Non appena l'uomo fece per allontanarsi, June si mosse in direzione di Shun, rimasto silenziosamente in piedi, dopo il rimprovero del loro comune Maestro. La ragazza gli si fece accanto, chiamandolo per nome e sfiorandogli la spalla che aveva ricevuto il colpo vibrante della catena di Redha. Shun sussultò per un attimo, strappato ai suoi pensieri dall'improvviso dolore. Sollevò il viso verso la ragazza, accennandole un lieve sorriso desolato, e affrettandosi a rassicurarla.
"Sto bene, June, non è una ferita grave." In quegli anni, il suo fisico si era fatto più resistente, anche se l'apparenza mostrava un ragazzino di tredici anni con sembianze tanto angeliche da ricordare una creatura fatata. Persino il suo aspetto sembrava quanto di più lontano potesse esserci dall'idea di un guerriero.
June sospirò con ansia. Shun non poteva vedere il suo volto, ma riusciva perfettamente ad indovinare l'espressione corrucciata che doveva aver assunto.
"Shun, tutto questo è assurdo! Prima o poi, Redha o qualcun altro finirà per ucciderti sul serio!" Fece qualche passo esasperato, superando Shun e fermandosi con lo sguardo rivolto ad un orizzonte che iniziava a prendere le tinte rosate di un sole prossimo al tramonto. Shun la seguì con lo sguardo, voltandosi poi lentamente verso i raggi ancora caldissimi, che delinearono con una carezza accesa di rosso, il profilo delicato del suo viso. Conosceva quel tono, e sapeva cosa June stesse per dirgli... Socchiuse gli occhi in silenzio.
"Ti dissi di rinunciare anni fa, e non hai voluto ascoltarmi..." mormorò lei. "Dicevi... di dover mantenere la promessa che facesti a tuo fratello... Ma dimmi, sei davvero convinto che tuo fratello preferirebbe saperti morto nel tentativo, piuttosto che vederti tornare senza il cloth di Andromeda, ma vivo?! Rispondimi, Shun!" esclamò infine, tornando a voltarsi di scatto verso di lui, quasi con insofferenza. Shun rimase per un attimo in un silenzio gentile e comprensivo. June non era mai riuscita a capirlo davvero, su quel versante... probabilmente era per questo, che reagiva con tanta rabbia, verso una situazione che le sembrava illogica e che sapeva di non poter cambiare. Anche in quel momento, la ragazza era consapevole che non avrebbe fatto cambiare idea a Shun... e forse, aveva toccato quel discorso con la speranza di trovare in lui una motivazione che potesse convincerla ad accettare la caparbietà del suo giovane amico, piuttosto che con il proposito di farlo ritornare sui suoi passi.
Shun abbassò per un attimo il viso, con un sospiro lieve e gentile. Poi avanzò lentamente, spostando lo sguardo verso l’alto. Sembrò improvvisamente assorto, mentre fissava intensamente il mantello celeste che iniziava dolcemente a scurire.
"June... io non morirò... Penso questo, ogni volta che guardo il cielo," mormorò, socchiudendo gli occhi come chi sta accarezzando un pensiero ricorrente e caro. "L'ultima volta che vidi mio fratello Ikki... lui mi disse che avremmo continuato a combattere insieme per poterci rivedere da cavalieri... che avremmo guardato lo stesso cielo, per sentirci uniti in questo scopo e in questa promessa..."
La ragazza avanzò di un passo, restando per un attimo in silenzio, e sollevando automaticamente il volto verso l'alto. La fissità imperturbabile della sua maschera, nascondeva in quell'istante, un'espressione affascinata dall'amore sconfinato che Shun sembrava emanare quando nominava suo fratello.
"Lui... dove si trova? Dov'è esattamente, l'isola Death Queen?..." domandò quasi senza riflettere. Avvertì Shun trattenere un sospiro doloroso, e si voltò verso di lui, guardandolo chiudere gli occhi con amarezza.
"E' molto lontana da qui... dall'altra parte del mondo... Si trova nel mezzo dell'Oceano Pacifico..." rispose lui in un sussurro. Poi riaprì gli occhi lentamente, e nel loro mare colore di giada, June vide infuocarsi la luce liquida del tramonto.
"Perciò..." continuò Shun, con un'improvvisa dolcezza nella voce. "Ikki vedrà presto sorgere lo stesso sole che sta tramontando davanti a noi... Magari, in questo stesso momento..."
June gli si fece più vicina, una presenza resa impersonale dalla fissità dell'espressione scolpita, eppure affettuosa nel gesto con cui posò la mano sulla spalla di Shun, percependo tutto il bisogno che il ragazzino nutriva, di sentirsi vicino a suo fratello. Le aveva raccontato, molto tempo prima, di come Ikki avesse scelto di prendere il suo posto nel più terribile dei luoghi d'addestramento. Non aveva mai detto apertamente a Shun, quanto si sentisse grata verso quel ragazzo che non aveva mai visto ma di cui aveva sentito parlare tante volte, con un amore, da parte del fratellino, che probabilmente June, a volte, gli aveva invidiato. Aveva continuato per anni a nascondere quei pensieri dietro la silenziosa immobilità della sua maschera, ed anche allora, non disse nulla per lunghi attimi, consapevole che Shun si stava aggrappando con tutte le sue forze e le sue speranze, alla fiducia nella promessa che lui e suo fratello condividevano, per scacciare il tormento che ancora, dopo anni, non lo aveva abbandonato: sapere che Ikki si era sacrificato per lui...
Un sospiro profondo da parte della ragazza, spezzò d'un tratto l'assorto silenzio che stava accompagnando il tramonto. June si mosse piano, fino a porsi di fronte a Shun. Lo fissava immobile, riuscendo a trasmettergli l'intensità di uno sguardo che non gli mostrava.
"Shun, io posso capire le tue ragioni... e ti ammiro, per la risolutezza nel voler mantenere la parola data... Ma non penso sinceramente che tu potresti mai essere un vero Saint. Te lo dissi già una volta... un Saint trasforma il proprio corpo in un'arma, e consacra la sua vita a combattere per la giustizia. Capisci? Un'intera vita volta a quei combattimenti che tu odi, che non riesci ad affrontare neppure in un semplice allenamento. Non sei ancora in grado di batterti dopo quasi sei anni, come pensi di potercela fare?!"
Quando infine la ragazza tacque, il silenzio tornò ad avvolgerli, denso come mai June lo aveva avvertito. Shun sosteneva il suo volto fisso ed immobile, e d'improvviso, la ragazza si trovò a scrutare il giovane amico con una sensazione di sorpresa. I lineamenti erano gli stessi di sempre, delicati, fanciulleschi, e non sarebbe stato azzardato definirli persino femminei. Eppure, June si scoprì a domandarsi quand'era stato, che lo sguardo di Shun si era fatto così profondo e consapevole...
"Una vita consacrata a combattere per la giustizia..." ripeté lui, quasi parlando a se stesso. "Sì... lo capisco bene..." mormorò soltanto, lasciando che la sua voce si sciogliesse nell'aria immobile. Dopo un istante, sembrò riscuotersi, e tornò a rivolgersi a June con la consueta gentilezza.
"Mi dispiace, sai che non cambierò idea, June. Ma ti ringrazio... ti preoccupi sempre per me..." Le rivolse un cenno affettuoso con il capo, sorridendole con sincera gratitudine. Eppure, alla fanciulla parve di notare una sfumatura diversa, nello sguardo di Shun, come un'ombra di turbamento. La sensazione si fece più forte, quasi opprimente, quando questi accennò a voltarsi, rivolgendole un'occhiata velata di malinconia.
"Scusami, se ti faccio stare in pensiero," mormorò soltanto, allontanandosi senza darle il tempo di rispondere.
Era un'alba pallida, quella che stava sorgendo al di là dei fumi soffocanti emanati dai vulcani dell'isola Death Queen. La pioggia di fuoco che torturava perennemente le poche creature viventi che dimoravano in quell'inferno terreno, rendeva il sole un'ombra vacua, neppure paragonabile all'accecante luce vermiglia di quelle fiamme. Eppure, Ikki lo guardava nascere all'orizzonte con un calore nel cuore, come se la sua luce tornasse ogni giorno a rassicurarlo che il suo fratellino era ancora vivo, e che stava ancora lottando per rivederlo. Quello era il pensiero che l'aveva portato, attraverso sei anni di atroce sofferenza, fino a quel giorno, che Ikki sapeva sarebbe stato diverso da tutti gli altri.
"Shun..." mormorò tra sé "Presto tornerò da te, Otooto-chan!"
Le parole pronunciate la sera precedente, dall'uomo che gli aveva fatto da maestro, risuonarono per l'ennesima volta nella sua mente…
"Sono passati quasi sei anni, da quando sei arrivato qui, Ikki. Domani sarà l'ultimo giorno del tuo addestramento. Sei ancora trattenuto da troppe barriere. Se domani non riuscirai a liberartene una volta per tutte, e a sconfiggermi, allora morirai!"
PARTE II
La notte ad Andromeda era forse la più silenziosa e immobile che potesse esistere. Shun si era trovato a pensarlo spesso, fin dai suoi primi mesi sulla leggendaria isola rocciosa. Il gelo scendeva come una carezza feroce e inarrestabile, sembrava prendere la vita stessa tra lunghe dita invisibili, immobilizzandola nella sua stretta atroce. Quando era ancora un bambino all'alba del suo addestramento, quelle notti spietate gli sussurravano incubi di sofferenza senza tregua, e solo la morsa gelida gli impediva di versare lacrime avvilite che premevano dietro le morbide palpebre serrate.
Ora, quasi sei anni dopo, in quella notte immobile e muta, Shun camminava lentamente, allontanandosi dall'interno dell'isola fino a raggiungere la spiaggia desolata che ne segnava i contorni. A nulla erano valsi i tentativi di riposare almeno il proprio corpo; si era reso conto che il turbamento agitato che da giorni manteneva in tensione la sua mente, si era trasmesso infine alle membra. La sensazione di inquietudine si era fatta pressante, divenendo una sorta di smania che gli aveva impedito di restare fermo, spingendolo ad iniziare quella bizzarra passeggiata che, Shun lo capiva bene, aveva una meta...
Si avvide d'aver raggiunto la spiaggia, ed improvvisamente la sua attenzione venne catturata dal mugghiare delle onde, prepotente squarcio nel silenzio perfetto. Sulla pelle diafana del suo viso, Shun sentiva arrivare il tocco della salsedine e del profumo del mare, un richiamo d'infinito che aveva imparato ad amare negli anni. Lo fissò con una profondità tanto sconfinata, nei grandi occhi verdi, che nulla avrebbe invidiato ai più lontani abissi di quell'oceano tinto del nero della notte. Rimase immobile per lunghi secondi, come se dal mare dovesse giungere di lì a un attimo, una risposta che il suo animo stava cercando ormai da settimane. I giorni si erano avvicendati in una quotidianità che nulla aveva mostrato di diverso dal solito; ma ad ogni nuova alba, Shun aveva avvertito un battito più forte nel proprio petto, e sentito crescere quella sensazione impossibile da decifrare, come una sorta d'impazienza che faceva correre il suo sangue più velocemente. Aveva iniziato a dormire di meno, senza avvertire stanchezza accumulata. Sempre di più, si sentiva preso da una sorta di attesa, quasi fosse all'erta, i sensi indirizzati a carpire qualcosa che non riusciva ancora a cogliere, ma che avvertiva aleggiare attorno a sé. Eppure, ancora non riusciva a raggiungerla... ancora non riusciva a raggiungere quella risposta...
Sollevò lo sguardo verso l'alto. Il cielo era limpido come poche volte Shun l'aveva guardato, e scendeva su di lui, morbida, la luce di miliardi di stelle, rese ancor più vivide dal buio quasi spettrale che si diramava tutt'intorno. Scintillavano silenziose, lontane, neppure loro davano risposte. Ancora una volta, Shun le stava guardando, come faceva ormai ogni notte, la mente e l'animo richiamati verso quei mondi luminosi, che il ragazzino interrogava con sguardo perduto eppure penetrante.
Lo scintillio degli astri danzò splendente nei suoi occhi di giada, mentre la calma della notte, attorno all'esile figura di Shun, veniva lentamente, inesorabilmente squassata da un soffio di vento che sembrava farsi più intenso ad ogni istante. Avvolse il corpo di Shun come un guanto di luce, ed il buio immobile si vide rischiarato da un sole silenzioso, tenue, color amaranto, il cui alone non si espandeva che per un paio di metri appena, attorno alle membra del giovane, ma il cui splendore quasi feriva gli occhi, con totale, incontrastabile vigore. Il volto di Shun, incorniciato da morbidi ciuffi scomposti dal vento silenzioso che spirava dal suo stesso corpo, restava rivolto alle stelle, richiamando il loro potere, implorando la loro voce di raggiungerlo...
Con una dolcezza quasi malinconica, il fulgore incendiatosi attorno al corpo del giovane, si spense in un soffio, lasciando un'aria più immobile e muta di prima. Il petto di Shun si sollevò in un profondo e stanco sospiro. Il suo cosmo era lì, dentro di lui, nel suo sangue, lo sentiva vibrare, poteva richiamarlo a sé, farlo bruciare attorno e dentro il proprio corpo, sentirne il calore persino nel gelo della notte di Andromeda... Si era svegliato pian piano, durante i lunghi anni di addestramento, fino a diventare potente ad un punto tale che Shun stesso ne era rimasto impressionato. Non ne aveva parlato con nessuno, neppure con il suo maestro... aveva continuato a sottoporsi agli allenamenti ogni giorno, trattenendo quell'universo che si era risvegliato dentro di lui, affrontando i compagni di addestramento con il solo impiego della difesa, senza cercare l'offensiva in nessuna battaglia, finendo per essere sconfitto e spesso deriso da coloro che non voleva ferire. Se fosse stato risoluto a farlo, avrebbe potuto portare finalmente a termine il suo addestramento, e tornare a Tokyo, mantenendo quella promessa fatta sei anni prima...
"Niisan..." la parola amata si formò sulle sue labbra senza quasi che Shun se ne accorgesse, come un istintivo richiamo.
Il suono giunse ovattato, ancora distante, ma Shun lo avvertì e si voltò sorpreso verso il limitare della spiaggia. Una lunga catena rocciosa di massi irregolari, copriva la visuale di quella parte della costa. Da dietro di essa, Shun vide avvicinarsi, con passo tremante d'ira, la figura di un giovane, i lunghi capelli scarlatti che sembravano farsi beffe del buio, continuando a mostrare con arroganza il loro elettrico riflesso.
Il volto di Redha era seminascosto dal manto notturno che avvolgeva l'isola, ma la limpidezza delle stelle creava una sottile e tenue penombra in quell'angolo della spiaggia. Quando il ragazzo si avvicinò abbastanza perché Shun potesse distinguere i suoi lineamenti, il tocco gentile degli astri si posò su un volto contratto da una collera trattenuta solo grazie ad uno stupore ancor più intenso. Redha si fermò a pochi passi da Shun, scrutandolo con rabbia, mentre il ragazzino lo fissava interdetto, riuscendo a malapena a scandire piano il nome del compagno d'addestramento, senza sapere cosa dirgli per poterlo placare.
Ciò che udì pochi istanti dopo, dipinse sul suo volto un'espressione di meraviglia... Redha stava ridendo. Aveva abbassato il volto, lasciandone intravedere un solo sottile scorcio, e la sua voce si levava amara nell'aria notturna, in una risata nervosa, rabbiosa, ma che andava facendosi via via più bassa e sforzata, fino a che Shun non poté evitarsi di provare rammarico nei suoi confronti, fissandolo con un velo di tristezza, nei profondi occhi verdi. A quello sguardo, Redha raddrizzò la testa di scatto, come punto sul vivo. Shun riusciva a vedere la fiamma furiosa dei suoi occhi nonostante la penombra.
"Non provarci, Shun... non provare ad aver compassione di me!" sibilò infuriato. Subito dopo, distolse lo sguardo con un sorriso amaro e sarcastico, lasciandolo vagare verso lo sciabordio delle onde, seguendo i fantasmi di spuma che si dissolvevano sul bagnasciuga. Pur temendo di offenderlo, Shun non riusciva a smettere di sentirsi il cuore stretto di malinconia e rammarico, verso quello che considerava un compagno, e di fronte alla sua evidente frustrazione.
"Redha..."
"Spiegami, Shun," lo interruppe Redha, senza guardarlo in viso. "Spiegami, perché a questo punto, io non riesco a capire. Cosa... cosa ci fai, ancora qui?..." Pronunciò quelle parole con esitazione. Ricordava di aver posto la stessa domanda solo poche ore prima... con un tono diverso, di scherno, di superiorità... "Cosa fai ancora, su quest'isola maledetta? Ti prendi gioco di noi? Ti sei preso gioco di me, Shun?!" La sua voce si fece incrinata, tremante di rabbia, mentre riportava lo sguardo verso il giovane, trafiggendolo con occhi di fuoco.
"No, non è così, te l’assicuro!" fece Shun, in profondo disagio, di fronte a quell'inatteso confronto.
"Hai sviluppato un cosmo! Hai sviluppato un cosmo potente, potresti atterrarmi come e quando vuoi! Mi hai lasciato vincere?!" esclamò irato, afferrando Shun per il bavero e strattonandolo con forza. "E' questo che hai fatto finora, Shun?! Mi hai preso in giro?!"
Per qualche attimo, Shun non reagì, lasciandosi investire dalla rabbia del compagno come se sentisse di doverglielo. Poi cercò di parlargli con quanta più calma possibile…
"Redha, ti prego... lascia che ti spieghi..."
"Tsk!" Redha lasciò la presa con un gesto di stizza, voltando il capo nuovamente verso le onde. "Vuoi sapere cosa facevo in piedi, Shun?" mormorò amaramente "Stavo continuando ad allenarmi. Già, anche a notte fonda. Perché volevo raggiungere la padronanza del cosmo, risvegliarlo in me." La sua voce si fece più bassa e profonda, Shun avvertì chiaramente il suo serrare i denti con rabbia, mentre proseguiva. "Una volta ottenuto questo, avrei sconfitto in combattimento tutti voi... ed avrei conquistato il cloth di Andromeda. Ne ero convinto, fino a pochi minuti fa..."
Redha strinse i pugni con forza, voltando lentamente la testa verso l'alto. In cima ad un'alta scogliera, maestoso, intoccabile, nascosto tra le ombre notturne, stava lo scrigno del cloth di Andromeda. Redha rimase a fissare intensamente in quella direzione, per lunghi secondi.
"Shun, perché?" domandò infine. "Perché, se sei in grado di richiamare un cosmo tanto potente, non hai tentato di conquistare definitivamente il cloth? Non è a questo scopo, che hai continuato a seguire l'addestramento per tutti questi anni, nonostante detestassi la lotta?" La sfumatura della sua voce era diversa, sembrava aver definitivamente ceduto alla meraviglia di quanto appena scoperto, dimenticando per un attimo la rabbia, in cerca di una spiegazione.
Shun lo fissò per un lungo momento, incerto su cosa rispondergli. Ma bastarono pochi secondi, perché avvertisse nel proprio animo il bisogno di essere completamente sincero, di fronte a quella domanda. Trattenendo lo stupore che quella decisione provocava dentro di lui, il ragazzino si lasciò andare ad un sospiro amaro, muovendo alcuni passi in direzione di un basso scoglio. Vi si sedette, appoggiandosi con le braccia sulle proprie gambe aperte, e fissando la sabbia scura. A Redha, proprio a Redha, che l'aveva sempre avuto in avversione, stava per confidare ciò che non aveva condiviso neppure con il maestro Dedalus, neanche con June...
"Vedi, Redha..." cominciò. "La prima volta che ho sentito il cosmo completamente risvegliato in me... e ho capito di essere in grado di richiamarlo, di controllarlo... pensai istintivamente, che finalmente era finita. Che ce l'avevo fatta, e che sarei potuto tornare da mio fratello, dopo tanti anni..." Redha ascoltava in silenzio, senza staccare gli occhi dalla sagoma massiccia dello scrigno, che da lassù, reso quasi sfocato dai contorni che si sfaldavano nelle ombre, gli sembrava più irraggiungibile che mai. Shun continuò. "Ma poco dopo, ho capito che sbagliavo... che non era finito nulla, che stava invece, per iniziare..." Lo sguardo di Shun, attraverso le palpebre socchiuse, scintillava malinconico nella penombra, mentre il ragazzino parlava. "Il cloth di Andromeda... il titolo di Saint... Io sono andato avanti fino ad oggi, perché ho promesso di raggiungere queste mete... Ma non ho mai pensato veramente, a cosa sarebbe accaduto dopo. Quella vita, quella strada... è davvero la mia strada? Io... io non lo so..." sospirò angosciosamente, portandosi una mano alla fronte e perdendola tra i ciuffi castani della morbida frangia, in un moto tormentato. "Non mi piace lottare... non mi piace ferire le persone e scontrarmi con esse, non vorrei fare del male a nessuno... Ogni volta che June mi ha spronato a lasciar stare l'addestramento, dicendomi che non sono adatto ad essere un Saint, le ho risposto che sarei andato avanti, che dovevo mantenere il giuramento fatto a mio fratello... ma posso davvero essere certo che, in fondo, lei non mi abbia detto cose in parte vere?... Continuo a chiedermelo... Continuo a chiedermi se diventare un Saint sia davvero la cosa giusta, da parte mia... se quel cloth non potrebbe invece andare a qualcuno più utile di me, nella lotta per la giustizia... qualcuno che non abbia le mie remore alla battaglia... che possa servire la causa meglio di come farei io... che possa salvare più vite di quante ne salverei io..." La sua voce divenne un sospiro appena mormorato, mentre Shun si rannicchiava sullo scoglio come un bambino, portandosi le ginocchia al petto, avvolgendole con le braccia in una posa tanto fanciullesca ed aggraziata, che neanche la più sfrenata fantasia avrebbe potuto proiettare quella figuretta nell'immagine di un sacro guerriero.
Passarono lunghi istanti, densi di un silenzio che sembrava avere mille cose da dire. Infine, Redha si mosse, fissò su Shun i suoi sottili occhi magnetici, e si avvicinò lentamente al ragazzino, senza staccare lo sguardo da lui. Si fermò quando gli fu di fronte, fissando il volto infantile del compagno, levato in alto verso di lui, come in attesa di un verdetto che non sapeva più dove cercare. Con voce atona, Redha infine parlò.
"Shun... prendi quello che sto per dirti come un tentativo di liberarmi in fretta di te, d'accordo? Non mi va che pensi ti voglia aiutare," redarguì il ragazzo, sollevando lo stupore di Shun. Redha lasciò andare un sospiro seccato, poi continuò. "June dice delle stupidaggini," sentenziò d'un fiato. "So bene che è spinta da buone intenzioni, ma non ha ancora capito che sta parlando dell'essere Saint nella maniera sbagliata. Non è un 'mestiere'... è quello che si è. Quello per cui si è nati. Tutti noi che siamo giunti su quest'isola di Andromeda, l'abbiamo fatto per un altro scopo, oltre ad apprendere le tecniche di lotta. E cioè, scoprire qual è il nostro destino. Io non so..." distolse lo sguardo con un moto quasi insofferente. "Non so come diavolo tu possa cavartela, nella vita e nelle battaglie che attendono chi viene insignito del titolo di Saint. Non ho idea di come sopravvivrai anche solo al primo degli scontri che dovrai affrontare, se davvero vestirai quel cloth. Ma quello che so, è che se a combattere con le vestigia di Andromeda, ci sarai tu e non ci sarò io... non sarà per caso..."
"Redha..." Shun mormorò il suo nome con una luce di meraviglia negli occhi, restando a fissarlo come se lo vedesse per la prima volta. Redha gli restituì uno sguardo sottile, in tralice, amareggiato.
"Con il cosmo potente che ho sentito poco fa... riusciresti probabilmente a conquistare il titolo di Saint, se affrontassi la prova ultima. Hai idea del tempo che ho trascorso ad attendere di trovarmi, infine, a dover compiere quell'ultimo passo?" fece a voce bassa, incapace di nascondere il rancore. "E invece, scopro che ci sei tu, a quel punto del percorso... che ci sei da tempo, probabilmente. Ma questo non sta accadendo per caso. Ho dato tutto me stesso, all'addestramento di questi anni, senza risparmiarmi, e senza risparmiare gli altri. Se dovessi ucciderti per conquistare il cloth di Andromeda, probabilmente lo farei..." distolse lo sguardo, nel pronunciare quelle parole. "Perciò, non ho demeriti di alcun genere, che mi pongano al di sotto di te. Eppure..."
Le parole di Redha vennero inghiottite dalla notte immobile, che avvolse i due ragazzi in un istante di silenzio perfetto, prima che Redha, con un gesto sprezzante, desse le spalle a Shun, muovendo qualche passo sulla sabbia.
"Redha!..." Shun si alzò costernato. Percepiva tutta la disillusione che era di colpo piombata sul suo compagno, e ne soffriva per lui... Nonostante Redha non lo avesse mai avuto in simpatia, Shun gli voleva bene, come voleva bene a tutti gli allievi di Dedalus che insieme a lui erano cresciuti.
Redha si fermò, ma non si voltò, e le sue parole giunsero a Shun fredde come l'aria gelida che li circondava.
"Shun... ti consiglio di fare in fretta, a prendere una decisione, perché voglio che tu te ne vada. Forse avrei potuto sopportare di perdere il cloth e il titolo di Saint, con il tempo... ma non tollero che tu mi abbia lasciato vincere in combattimento. Non ti perdonerò, per questo, e non voglio rivederti dopo stanotte." Shun ristette, colpito dal profondo orgoglio che Redha dimostrava. "Non hai altro da fare, in questo luogo... sia che tu scelga di arrivare fino in fondo che di rinunciare, vattene da qui," concluse il giovane, facendo per allontanarsi definitivamente.
"Aspetta, Redha, io..." Con un gesto imperioso, Redha sollevò una mano, intimando a Shun di tacere.
"No, Shun, non farlo..." mormorò, la voce intrisa di un improvvisa malinconia che non riuscì a celare. Aveva conosciuto Shun abbastanza da poter indovinare cosa stesse per dire... "Non ringraziarmi," aggiunse. "Non lo sopporterei."
Shun rimase solo. La figura di Redha era scomparsa tra le ombre notturne in pochi attimi. Il silenzio attorno a lui, era tornato lo stesso di prima, con il solo ipnotizzante rumore delle onde a scalfirlo. Ma Shun, in piedi in mezzo alla spiaggia deserta, lo avvertì diverso. Era denso come una cortina divenuta troppo sottile per celare ancora ciò che aveva fino ad allora nascosto... Le parole di Redha turbinavano come mulinelli nella mente del ragazzino, che le riascoltava sillaba dopo sillaba, come scoprendone continuamente nuovi significati. Scoprire il proprio destino... non era forse questo, che aveva voluto fin da quel lontano giorno in cui era stato strappato via dal suo Ikki-niisan? Allora, si era domandato il perché, il senso di ciò che veniva costretto a fare... Adesso, nel silenzio teso di una notte immobile, stava cercando quella stessa risposta, ma ora la sentiva vicina, come una presenza tangibile, gli sarebbe bastato allungare la mano per afferrarla... Chiuse gli occhi come seguendo un istinto irrefrenabile, ed il silenzio si riempì di voci infantili, la sua, e quella appena più profonda di un ragazzino più grande. Il ricordo venne richiamato alla sua mente da mani invisibili, come una muta indicazione di dove andare a cercare quella risposta tanto vicina... così tanto, che forse non era altrove se non dentro il suo stesso cuore...
"Quella è una foto della terra vista dallo spazio, Shun..." diceva una delle voci. Suonava onirica eppure perfettamente limpida.
"Com'è bella, Niisan..." rispondeva l'altra voce. "Perché gli uomini non riescono a vivere in pace, nonostante non esista nessuna linea che divide i paesi e i popoli?..."
Shun restava immobile, gli occhi chiusi, il petto che si sollevava in respiri profondi. La candida voce infantile ancora mormorava nei suoi ricordi...
"Un giorno, vorrei impegnarmi per proteggere la pace..." diceva. "Vorrei tanto... che in futuro non ci siano più bambini orfani come noi..."
Vorrei proteggere la pace...
Una gemma lucente e preziosa, si accese dolcemente sul volto di Shun. Ornava l'angolo delle sue ciglia con silenziosa grazia, e scese morbida lungo la guancia liscia, mentre Shun riapriva gli occhi. L'emozione aveva avvinto il suo cuore, inarrestabile, ed egli neppure si era accorto delle lacrime commosse che avevano riempito e reso scintillanti i suoi occhi. Il respiro gli scuoteva il petto con meraviglioso rapimento, e lentamente, quasi fosse consapevole che avrebbe visto un cielo diverso, Shun sollevò lo sguardo alle stelle...
Fu come il risveglio da un lungo sonno di nebbia. Il sottile velo si squarciò dolcemente. Shun la vide, lassù, splendente, bellissima, disegnata da contorni di luce. Andromeda. Conosceva la costellazione, l'aveva guardata altre, infinite volte. Ma ora, per la prima volta, non la stava semplicemente guardando. Ora si stavano guardando a vicenda, il fanciullo ed il potere destinato a guidarlo. Ed ora, per la prima volta, si vedevano davvero. Lei gli parlava attraverso il luminoso silenzio delle stelle, la sua voce arrivava dritta al cuore del ragazzino, gli sussurrava nell'anima, e d'improvviso, Shun comprese... comprese ogni cosa... rivide Ikki porsi davanti a lui, offrirsi di prendere il suo posto, e comprese che quello era stato il primo passo di una strada inesorabilmente giusta, inevitabilmente decisa... riascoltò ancora se stesso, i suoi desideri di bambino, la speranza d'amore, di pace, che portava dentro... Ed ogni cosa sembrò ruotare attorno a lui per prendere una diversa prospettiva. Shun la guardò nuovamente, la vita che aveva davanti, e la scoprì diversa. Una vita consacrata non alla battaglia, ma alla pace, e ad un mondo migliore in cui la giustizia non avrebbe avuto bisogno di vittime nel proprio nome...
"Niisan..." sussurrò Shun tra sé. "Ora ho capito... ora so perché sono qui, e quello che devo fare. Manterrò la promessa, Ikki... e potrò riabbracciarti!"
L'orizzonte aveva appena iniziato a tingersi di un tenue colore rosato, non ancora percettibile nel largo arco della volta, immersa negli ultimi minuti della notte. Dedalus, come ogni giorno, si era destato prima dell'alba. Amava guardarla sorgere, in quell'aria non ancora infuocata dal torrido sole, e non più raggelata dall'atroce gelo notturno. Camminava con lo sguardo assorto, preda di una strana adrenalinica sensazione d'aspettativa. Fu quasi un riflesso meccanico, l'assumere un'espressione meravigliata, quando si vide davanti la figura magra ed atletica del suo giovane allievo. In realtà, scoprì di non esserne sorpreso.
"Shun, cosa ci fa..." non terminò la frase, improvvisamente catturato dallo sguardo e dall'espressione di quel volto delicato di fanciullo. Vi lesse una calma determinazione, consapevole, decisa. Lo fissò senza riuscire a parlare per lunghi secondi, scoprendo, in quello sguardo sempre mite e gentile, una profondità nuova, una luce diversa.
"Qualcosa si è destato in lui..." pensò solennemente. "Qualcosa che da tempo era assopito in fondo al suo cuore, ora si è risvegliato."
Shun abbassò rispettosamente il capo, salutando il suo maestro. Questi continuò a sondare il suo viso, e ciò che vide, finalmente con chiarezza, gli fece mancare un battito. Lo seppe ancora prima di udirlo dalle sue labbra...
"Maestro..." mormorò Shun, sollevando piano lo sguardo. La dolcezza dei suoi immensi occhi verdi, nulla celava della determinazione che li animava. "Chiedo di essere sottoposto alla prova del sacrificio." Scandì le parole con calma, non un solo tremito le attraversò.
Il cielo si tingeva lentamente di rosa, e già i primi raggi rossastri di un sole neonato, sbirciavano all'orizzonte quello che sarebbe stato l'ultimo giorno d'addestramento per Shun, comunque si fosse concluso. Nel suo cuore, il giovane non smetteva di chiamare il nome di Ikki, quasi con il desiderio di poter volare da lui e dirgli che presto si sarebbero rivisti...
Il sole nasceva, si svegliava su Andromeda, sfavillante. Dall'altra parte del mondo, un terreno macchiato di rosso, veniva lambito dagli ultimi raggi sanguigni di un sole ferito, che si lasciava morire, immergendosi in una notte senza stelle.
~Fine