Dopo tanto tempo, eccoci tornate con un nuovo post di Centocelle... vintage! In questa edizione, potrete leggere le avventure dei nostri eroi da giovani, dalle prime lettere a Babbo Natale fino ai loro problemi adolescenziali. Divertitevi a trovare i dettagli di realismo che sicuramente vi riporteranno alla vostra infanzia e gioventù. Buona lettura!
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un_sanzo Wataru si fece finalmente coraggio e compose il numero che tante volte aveva visto in sovraimpressione. Tutto il suo entusiasmo scivolò via quando il numero diede segnale di occupato, probabilmente a causa delle troppe richieste che il centralino stava ricevendo. Wataru si sentì improvvisamente come un palloncino sgonfio.
“Wataru, è normale, chiama tanta gente! Dai, prova ancora!” gli disse la mamma. E Wataru si disse che lui non era uno di quelli che si davano subito per vinti, sua mamma aveva ragione: doveva insistere!
E infatti qualche tentativo più tardi la fortuna gli bussò alla porta... o meglio, alla cornetta. “Redazione di Solletico, lasciare nome e cognome...”
Wataru sorrise soddisfatto.
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“Ah Ta’, Taaa’! So riuscito a chiama’ Solletico pe’ gioca’ ar gioco de oggi, quello che devi risponne alle domande!” gridò entusiasta Wataru alla cornetta.
“Ma che davero? Te sei fatto coraggio, bravo! Ma che tieni er telefono occupato quanno te potrebbero richiama’?”
“Oddio c’hai raggione!”
“Attacca’ Wata’ che sto a venì a casa tua, non me posso perde sta cosa”
“Vabbè ciao, a frappoco”
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“Wataru dicci: qual’è la risposta? E’ assolto o sciolto??”
“E’ assholto!”
“Non ho capito, puoi ripetere?”
“ASSHOLTO!”
“Sciolto?! Nooo, mi spiace Wataru! Grazie per aver giocato con noi, ciao!”
Wataru non riuscì a staccare immediatamente la cornetta del telefono dall’orecchio, anche se il tu-tu-tu si cominciava a fare insistente.
Taisuke, che all’inizio della telefonata aveva ridacchiato senza premurarsi di nascondersi, andò vicino a Wataru e gli mise una mano sulla schiena, muovendola con fare consolatorio. “Dai Wata’, annamo a compilà e spedì i concorsi delle pubblicità de Topolino.”
Wataru annuì, attaccò il telefono e cercando di non piangere andò a prendere l’ultimo numero di Topolino e due penne.
Il giorno dopo a scuola, quando la situazione si era un po’ calmata, Taisuke lo prese di nuovo in giro del suo fallimento televisivo. Wataru non gli parlò per tutta la ricreazione.
Tornando a casa, Taisuke gli regalò un po’ dei suoi Combattini.
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noella84 Wataru aveva nove anni ed aveva un sogno. Un sogno che era diventato un' ossessione per lui. Non faceva che pensarci, non faceva che parlare dell'argomento con chiunque gli capitasse davanti. Osservava con invidia tutti i suoi amici più fortunati di lui, già possessori dell'oggetto del suo desiderio. Eh sì, Wataru avrebbe proprio voluto un cane. Spesso prendeva le matite colorate e disegnava cani di tutte le razze, immaginando un giorno di averne uno vero con cui giocare e di cui accarezzare il pelo. Guardava sempre Lessie in tv, inventando scenari in cui un giorno, sarebbe stato il suo cane a salvare lui.
Il Natale, ovvero il giorno in cui tutti i desideri dei bambini si fanno realtà, si stava avvicinando. Wataru prese coraggio e decise finalmente di chiedere se poteva avere un cane ai suoi genitori.
Non credeva più a babbo Natale da un bel pezzo, ma per formalità scrisse una letterina, la adornó di disegni e colori, e la riempì di promesse di essere buono. Sapeva che quelle funzionavano sempre con i genitori.
Lasció la lettera al solito posto sulla mensola della cucina. Ormai era l'unico a casa a scriverne perché i fratelli erano tutti troppo grandi ormai per cose come questa. La sera stessa, la lettera era già sparita. Segno che era stata letta e accettata senza troppe discussioni.
Dopo qualche giorno Wataru si decise a chiedere conferma alla madre riguardo al cane, perché non necessariamente riceveva sempre quello che chiedeva nelle sue letterine. Non era avvenuto quando invece del robot Emiglio aveva ricevuto solo vestiti e l’allegro chirurgo. Ricordava anche la delusione del momento in cui aveva intuito che nessun pacco sotto l'albero era grande abbastanza da contenere una moto elettrica. Erano stati due Natali più mesti del solito e non voleva fare lo stesso errore e fidarsi dell’inattendibile e inesistente babbo Natale, quando poteva chiedere direttamente ai suoi.
La madre stava lavando i piatti in cucina e Wataru entrò e si sedette al tavolo, non prima di aver messo una mano nella scatola dei biscotti.
"Tra poco si cena...ah Wataru sei te." disse la madre girandosi.
"Posso?" Wataru domandò il permesso prima di addentare il biscotto.
"Vabbé tanto non è che non magni dopo..." se c’era una cosa di cui la signora Yokoo non poteva lamentarsi era l’appetito del suo figlio più giovane.
Tutto contento Wataru addentò il biscotto e dopo averlo finito, raccolse le briciole dal tavolo con la mano per gettarle via.
"Mamma senti... a proposito della lettera..."
"Che lettera?"
"Quella di babbo Natale."
"Ah. Eh l'avrà già presa..."
"Quindi me lo comprate? Eh Ma’? Davero?" Wataru saltò in piedi mentre i suoi occhi brillavano di speranza.
"Wata' senti, perché non vai a parlá co' papà? Sta in sala, vai mo prima che comincia il teleggiornale che poi se lo vole vedè e nun vole esse disturbato."
Wataru non fu per nulla rassicurato dalla risposta di sua madre. Non era una cosa positiva quando era suo padre a prendere le decisioni, ma corse subito in sala a parlare con lui. Lo trovò che stava seduto sulla sua poltrona davanti alla tv, girando i canali alla ricerca di qualcosa da vedere.
“Papà?”
“Wata’, che c’è? Hai fatto i compiti?”
“L’ho finiti dopo scuola. Senti, te volevo di’ una cosa...”
“Vie’ qua, dimme.”
Wataru trotterellò di fronte al padre e poi decise di sedersi sul bracciolo della poltrona. Il padre girò lo sguardo verso di lui e attese che il figlio parlasse.
“Hai presente la lettera mia a babbo Natale?”
“Che mo ce ricredi?”
“No papà, ‘o so che sete voi. Appunto.”
“Appunto che?”
“Ho chiesto ‘na cosa.”
“Er cane.”
“Sì.”
“Wata’ nun lo so, avè ‘na bestia dentro casa... già stamo stretti. Comunque mo vedemo vabbè? Tu intanto perché nun pensi a n’antra cosa pe’ Natale, in caso...”
“Nun la vojo n’antra cosa, voglio er cane! Te prego papà! Ho fatto er bravo tutto l’anno!”
Il signor Yokoo vide lo sguardo determinato del figlio e sospirò.
“Vabbè, domani annamo ar negozio de animali e vedemo n’attimo, vabbene?”
Un sorriso illuminò il volto di Wataru come i raggi del sole che squarciano le tenebre della notte all’alba.
Tutto contento corse al telefono e compose un numero che sapeva a memoria.
“Pronto?”
“Pronto, casa Fujigaya?”
“Sì, Wata’? So io.” Taisuke rispose riconoscendo la voce dell’amico.
“Ta’ nun ce crederai mai!”
“T’hanno chiamato n’antra vorta a Solletico?”
“No no Ta’ che stai a dì! Me comprano un cane!”
“Ma che stai a di te! Uno vero? Oddio!” Taisuke strillò nel telefono entusiasta.
“Davero sì! Sarebbe pe’ Natale, ma domani annamo a vedè ar negozio d’animali.”
“So contento pe’ te Wata’. Oddio, lo vorrei pur’io er cane, pensa quanti bei vestitini je poi mette.”
“Ah Ta’ è ‘n cane mica ‘na barbie!” Ma Wataru aveva già imparato a non criticare troppo gli strani gusti del suo amico.
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L’indomani Wataru attese con impazienza il ritorno del padre dal lavoro e non appena questi varcò la soglia di casa lo braccò con già indosso cappotto e scarpe, pronto ad andare al negozio di animali. Wataru era pieno d’aspettativa che si tramutava in euforica impazienza. Addirittura presero la macchina per andare in un negozio più grande, fuori da Centocelle.
Wataru entrò nel negozio e prese ad esplorare la sezione con le gabbie, guardando tutti quei cuccioli bellissimi senza saper scegliere. Li avrebbe voluti tutti, si immaginava già circondato da cani, ma sapeva che non gli era permesso, quindi era alla ricerca di quello speciale, il cane il cui sguardo lo avrebbe convinto che sì, era proprio lui il suo cane.
Non l’aveva ancora trovato, preso come era a giocare con i cuccioli e farsi mordicchiare le dita tra la rete della gabbia, quando suo padre si avvicinò a lui.
“Ho trovato quello che ce serve Wata’.”
Wataru si girò verso il padre speranzoso e lo trovò che teneva le braccia tese verso di lui, stringendo un libro tra le mani. Era una copia di “Il capobranco sei tu; come educare il tuo cane” come Wataru lesse sulla copertina prima di guardare il padre con perplessità.
“Visto che voi tanto un cane, prima me devi fa vedè che lo sai tene’. Io non te compro de certo un cane se poi ce dovemo badà io e tu madre.”
“Quinni me compri pure er libro?”
“Te compro solo er libro. Anzi sai che? Quanno l’hai letto, me fai un bel riassunto come quelli che fai a scola e si è fatto bene allora poi avè er cane.”
Wataru prese in mano il libro con faccia delusa. Tutte le sue speranze si erano sciolte come ghiaccio al sole, o meglio, come ghiaccio in forno, visto che ci avevano messo così poco. Sapeva che era inutile promettere al padre che si sarebbe preso cura lui del cane, non lo avrebbe convinto. Questa del libro gli sembrava solo una scusa per non fargli avere ciò che più desiderava.
In macchina Wataru non disse una parola per tutta la strada del ritorno. Qualcosa gli si stringeva nel petto. Delusione forse, tristezza. Ma non voleva piangere, non voleva darsi per vinto.
Il tempo, nonostante quando si è bambini passi lentamente, gli fece dimenticare ogni cosa del libro, ma non dei cani. Ogni volta era sempre pronto ad accarezzarne uno per strada e ogni volta continuava a desiderarne uno.
Taisuke lo prese in giro quando scoprì che per Natale non aveva ricevuto un cane, bensì dei walkie talkie e il Canta Tu che Taisuke stava già monopolizzando. Però quando vide lo sguardo triste dell’amico decise di lasciar cadere l’argomento e non parlarne più.
Alla fine, un altro anno passò e Wataru si rese conto che era di nuovo Natale. Le strade erano illuminate dalle luci nelle vetrine e ovunque si sentivano canzoni natalizie. Era tempo di fare nuovamente richiesta per i doni.
Wataru sapeva già cosa voleva. Nulla era cambiato rispetto ad un anno prima e la cosa che Wataru desiderava di più al mondo era sempre un cane. Quindi ci riprovò, sperando che il padre avesse dimenticato tutto dell’anno prima e del suo libro.
“Ancora co’ ‘sto cane?!” fu la risposta di suo padre, il che non lasciò Wataru con molte speranze di ricevere il prezioso regalo di Natale.
Il giorno di Natale, Wataru cominciò a scartare i suoi regali. Un puzzle, dei lego, un maglione... fin quando non aprì la carta argentata di un pacco rettangolare ed estrasse un libro dall’aria familiare. Era proprio una copia di “Il capobranco sei tu; come educare il tuo cane” nuova di zecca.
Wataru aggrottò le sopracciglia perplesso, e si girò a guardare il padre che stava mescolando le cartelle per la tombola al tavolo con zii e parenti. Questi vide lo sguardo perplesso del figlio, si alzò e andandogli a mettere una mano sulla spalla disse:
“Sai quello che devi fa.”
Wataru ci pensò qualche minuto. Non era sicuro del perché suo padre ci tenesse così tanto a torturarlo, ma di certo non avrebbe vinto in nessun altro modo, visto che la memoria del padre non falliva e lui si rammentava benissimo dell’anno precendente. O forse no, pensò Wataru, visto che aveva comprato lo stesso libro due volte. Ma poi ci ripensò. E se lo avesse fatto apposta?
Ad ogni modo non aveva scelta. Sospirando e aggrottando le sopracciglia con determinazione, aprì il libro e si mise a leggere.
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Wataru ricevette il suo cane subito dopo l’Epifania. Un collega del padre aveva un cane e questi aveva fatto dei cuccioli. Il signor Yokoo si era offerto di prenderne uno, visto che il figlio lo desiderava tanto. E soprattutto perché aveva visto che il figlio dopo aver letto il libro, aveva consegnato un bel riassunto conl e regole basilari per educare un cane con tanto di disegnini. Dopotutto si sapeva che Wataru era un bravo bambino e se invece di fare il testardo si fosse messo a piangere, forse il signor Yokoo avrebbe ceduto molto prima.
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un_sanzo “Miya’ l’hai acceso er Gheimchiub? L’hai attaccato er seconno controlle’?” esclamò Kitayama spalancando la porta della camera di Miyata.
Come spesso accadeva, essendo dirimpettai, i due si erano dati appuntamento a casa di Miyata. Inizialmente la scusa ufficiale era che Kitayama l’avrebbe aiutato a fare i compiti, ma per fortuna di Miyata non aveva mai assistito all’incontro tra Kitayama e i libri scolastici.
La mamma di Miyata ovviamente non ci aveva mai creduto, ma visto che suo figlio andava comunque decentemente a scuola e il figlio della signora Kitayama gli sembrava un bravo ragazzo nonostante tutto, non aveva mai avuto obiezioni. La madre di Kitayama invece, figurarsi, era grata del fatto che il figlio se ne stesse a casa ogni tanto invece di girare chissadove per finire con chissaquali compagnie.
Quel pomeriggio però Miyata sembrava di umore particolarmente mogio...
“Aho ma che è sta faccia triste mo?” chiese Kitayama.
“No è che è quasi Settembre...” rispose subito Miyata, che evidentemente non stava aspettando altro che l’amico arrivasse per esporre il suo problema.
“Mortacci è vero! A scola riinizia tra du’ settimane e io nun ho finito i compiti dee vacanze”
“Ce credo Kitaya’, manco l’hai iniziati! Comunque nun è quello, è che stavo a pensa’ che fa pe er compleanno e me so ricordato che st’anno nun potemo fa a festa ‘nzieme che te fai diciottanni e m’hai sempre detto che pe i diciottanni volevi fatte a festa in discoteca, de quelle serie”
Il volto di Kitayama si illuminò, come se si fosse appena reso conto di un fatto meraviglioso. “Oddio è vero! Devo ancora prenota’, ma già ho scerto er posto... aho finarmente me faccio sta festa in discoteca! Deve esse na cosa memorabbile, de quelle che bevemo e ballamo fino aa mattina dopo! Sai che, me vado pure a compra’ na camicia bianca nova pell’occasione.”
Miyata sorrise amaramente.
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I giorni seguenti Kitayama non li passò a iniziare i suoi compiti delle vacanze, bensì a organizzare il suo compleanno e a distribuire inviti a tutti i suoi amici... o meglio, a tutte le sue conoscenze.
Kitayama intendeva fare le cose in grande. I 18 anni segnavano per lui l’inizio di una nuova era: finalmente avrebbe potuto prendere la patente e usare la macchina della madre per uscire la sera o andare allo stadio... e fare sicuramente tante altre cose che la minore età finora gli aveva precluso (“si t’arrestano mo te mannano a regina cieli direttamente, mica a quello minorile!” aveva detto Nikaido)
“Miya’ allora? Manca ‘na settimana ar compleanno mio. Che te metti? No perché devo controllà che vieni vestito bene, io faccio diciottanni ‘na vorta sola... sai che, un pomeriggio de questi annamo all’Energi a via der Corso, te faccio sto regalo pe er compleanno tuo.”
Miyata sembrò sorpreso “Come che me metto? Ma perché so invitato?!”
“Ma che stai a dì Miya’, sei rincojonito? Che nun voi venì aa festa mia?”
“Ma... a festa figa? Che se beve fino aa mattina?”
“Non me dì Miya’...?!” Kitayama fece una pausa, durante la quale fissò Miyata seriamente. “... SEI ASTEMIO?! Me sconvorgi npochetto co sta notizia... comunque nun te preoccupa’, potemo esse amici uguale...”
“Ma che astemio Kitaya’, ma che ne so, avrò bevuto sì e no un Bacardi briizard na vita mia! E’ che c’ho 15 anni, pensavo volessi fa a festa coi coetanei tua... poi che ne so se ce posso entrà ai locali?”
“Me stai a cojona’? Ce poi entrà eccome ai locali, sei arto come me che so er festeggiato, mica te faranno domande! Mortacci tua Miya’, si nun vieni a festa mia e me fai pure un bel regalo me offenno pure! M’aa lego ar dito!”
Miyata non era esattamente il tipo da discoteca, ma la sua prima festa dei diciottanni fu speciale quasi quanto per il festeggiato.
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noella84 2004
Ad un tavolino del solito baretto, Fujigaya teneva un libro in mano mentre Yokoo si strofinava compulsivamente la testa tra le mani.
“'nzomma Wata' che vor dì 'sto segnale nummero 98?” chiese Fujigaya spazientito.
“Aspé fammece pensà che lo sapevo!” rispose Yokoo alquanto disperato.
“Mortacci tua Wata’, è il segnale che poi svortà sia a destra che a sinistra! Ma che te lo devo dì io il giorno prima dell'esame? Che poi me sto a imparà più cose io che te. Meno male così quanno l'anno prossimo la pijo io la patente nun me serve de studià.”
“Oddio, cioo sapevo che era quello guarda! Senti, ma perché non lo famo scritto 'sto test che a parlà me confonno...”
“Meno male che l'esame è scritto guarda.” osservò Fujigaya lieto della cosa.
“Mortacci tua Ta' ce lo sai come so fatto no? Quanno devo parlà pe' le interogazzioni me metto a pensà a come dì le cose bene e me scordo l'argomenti!”
“Eh ho capito, ma cerca de trova er modo, nun volevi fa l'univerzità d'avvocato?”
“No, voglio fa architettura. Era mi madre e più o meno tutto er quartiere che dicono che devo fa l'avvocato.”
Il padre di Fumito si avvicinò con due bicchieri di Coca Cola.
“Daje regazzì, questi l'offre la casa, e in bocca ar lupo pe' 'st'esame Wata'”
“Crepi Robbè, sei un grande ahò, grazie!” disse Yokoo mentre Taisuke già sorseggiava la Coca Cola. Avendo notato questo, Wataru gli diede una gomitata e gli fece cenno verso l'uomo invitandolo con il suo sguardo quantomeno a ringraziare.
“Grazie Robbé.” disse Taisuke educatamente.
“Prego. E' che state sempre qui dopo scuola, me mettete gioia e me fate ricordà che ai tempi miei...”
“Ah papà, mortacci tua, sempre a da le cose aggratis a tutti? Ma che semo un bare o a Caritas?” disse il giovane Fumito entrando nel bar.
“Mortacci tua Fumì, prevedo tempi duri quanno che 'sto bare sarà tuo.” esclamò Fujigaya.
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Il pomeriggio dopo al baretto di buon'ora, come si era soliti il sabato pomeriggio prima di andare a passeggiare, Yokoo entrò e salutò cordialmente il padre di Fumito ordinando una Sprite, poi andò a sedersi vicino Kitayama che al solito leggeva il corriere dello sport al tavolino.
“Ahò Yokoo! Com'è annato l'esame? Nun te preoccupà te capisco si nun l'hai passato, i scritti so difficili.” disse Kitayama piegando in due il giornale e ponendolo da parte.
“Pe' te che l'hai fatto tre volte e ancora nun ce riesci forse, io l'ho passato.” rispose Yokoo sorridente.
“A prima botta? Mortacci sei proprio n'avvocato secchione ahò!”
“Lo vedi che studià serve a quarcosa? Mica nun faccio un cazzo tutto er giorno come te eh!”
“Ma vaffanculo, noi vippe c'avemo ‘na vita sociale troppo intensa pe’ sta a casa a studià!” rispose Kitayama offeso.
“Stai solo a rosicà Kitaya'.” aggiunse Fujigaya venendo loro incontro dall'angolo in cui stava confabulando con Fumito, per congratularsi con l'amico.
“M'è arivato er messaggio, bravo Wata'! Mo te resta solo la pratica!” aggiunse dando una pacca sulla schiena dell'amico.
“Grazie Ta' e grazie davero, de tutto er supporto.”
“Ma che stai a dì? Figurate sei n'amico, e poi si nessuno del gruppo c'ha la macchina chi ce porta a ballà la sera?”
“E te pareva che n'era pe' quello!” rise Kitayama.
“Te zitto che io ce contavo e invece è n'anno che fallisci. Mortacci tua.”
“Ah Fujigà, rimagnate quello c'hai detto o nun te farò mai salì su la machina mia!”
“Te credo, nun ce l'avrai fino a 30 anni visto che sarà quanno finarmente deciderai de comprattelo st'esame.”
“Te sto a ignorà Fujigà, manco meriti risposta. Comunque Yokoo, nun te sentì troppo sicuro che mo c'hai la pratica. Me pari uno che fa schifo a guidà.”
“Ma che stai a dì che a 10 anni mettevo er furgone de zi' Maurizio dentro ar garage?! Poi so annato con mi fratello a fa le guide, pure i parcheggi me vengono precisi! Nun te preoccupà Ta', la pijo 'sta patente e te ce porto pure a te nella machina mia Kitaya' basta che nun rompete li cojoni a litigà.”
“Sei n'angelo Wata'. M'ero proprio rotto er cazzo de annà cor motorino tuo in giro.” disse Fujigaya sorridendo.
“Come, io te scarrozzo dappertutto e te lamenti pure?!” rispose oltraggiato Wataru.
“E c'ha raggione Wata', va a du' all'ora quel catorcio.” aggiunse Kitayama.
“Meglio der tuo che ce stai sempre pe' tera ed è tutto incidentato!” rispose Yokoo guardando con astio Kitayama.
“Vabbé comunque n'era pe' quello. E' perché nun me piace portà er casco.” disse Fujigaya.
“Chi cazzo se lo mette mai er casco?!” rise Kitayama.
“Wataru vole sempre che se lo mettemo sinnò ce fanno la murta che già stamo in due. Ma a me me se schiacceno i capelli... poi tutto quer vento en faccia me secca la pelle...”
“Che frocio che sei! Te e quaa scuola de parucchiera tua! Ma poi quale vento che vai più veloce a piedi che co' quer motorino?!” commento Kitayama con il solito fare gentile.
“A proposito, ma j'hai chiesto più ar biutiful eir si poi fa er tirocinio da loro?” domandò Wataru ignorando i commenti al suo amato motorino per amore della pace.
“Essì, comincio tra un po'. Goro, er padrone me dice che c'ho un talento naturale!” disse Fujigaya con un tono fiero.
“Sarà solo uno più frocio de te che se lamenta de portà er casco pure lui...” concluse Kitayama, per nulla impressionato.
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Fujigaya stava provandosi vari accessori per vedere quale stava meglio con la sua maglietta smanicata, quando sentì un clacson fuori dalla finestra. Subito corse ad affacciarsi e vide lì sulla strada davanti al suo palazzo, la macchina del fratello di Wataru. Immediatamente si lanciò sul suo cellulare che stava vibrando da almeno dieci minuti, ma che non aveva sentito per via della musica a tutto volume. Appena poggiò il suo Nokia 3310 all'orecchio una voce ringhiante gli parlò.
"Ta' e che cazzo, so' du' ore che te squillo! Daje scenni che sto in doppia fila."
Taisuke non ebbe neanche tempo di controbattere che Wataru aveva già riattaccato. Probabilmente non aveva tanto credito sul cellulare, si disse Taisuke. Alla fine si risolse ad indossare qualche semplice bracciale e una catenina pacchiana e corse di volata fuori casa e giù per le scale.
"Mortacci tua Ta' e sentelo er telefono no? Nun potevo scenne e ho dovuto suonà er clacson così tanto che avrò rotto e palle a tutto er vicinato." sbottò Wataru appena Taisuke mise piede in macchina.
"Ma figurate Wata' quelli qua sotto ce fanno i reiv, sai che me frega si je rompi le palle? Anzi bravo che me vendichi."
"A me me frega vabbé? Che poi li tedeschi c'hanno pure er pupo!" continuò Wataru ancora arrabbiato.
"Daje su, pensa a e cose belle! C'hai la patente ahò! Bravo bello de casa!" disse Taisuke pizzicandogli una guancia.
"Taaa e levame 'ste mano da la faccia, daje che me devo spostà."
Yokoo fece manovra e cominciò a guidare, Taisuke osservava tutto sorridente.
"Ebbravo che ancora nun te s'é spenta manco 'na vorta!"
"Sto un po' nervoso, ma me pare okkei. Sei pure la prima persona che porto poi."
"Ammazza so onorato so!"
"Me stai a pijà pe'r culo?"
"No Wata' davero, so contento."
"Tanto o so che finisce come cor motorino che me te devo scarrozzà ovunque!"
"Ebbé allora? Che te la sei pijata a fa 'sta patente? Si fosse pe'tte staresti sempre a casa, armeno grazzie a me c'hai una scusa pe' guidalla 'sta machina."
"Mortacci tua e de chi nun too dice de notte Ta'" disse ridendo Yokoo.
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"Daje Kitaya' mortacci tua, sbrigate a scenne! Sete tutti puntuali eh? Mo perché questa é a prima vorta, ma daa prossima ve lascio a piedi si nun scennete subbito!" si lamentò Wataru affacciandosi al finestrino per controllare la finestra della stanza di Kitayama e indovinare se l’amico stesse scendendo o meno.
"E sciallate su, io so sceso subbito."
Un ragazzino tutto naso, in evidente età dello sviluppo, si avvicinò alla macchina.
"Ah Wata' ma che c'hai a machina?!" esclamò stupito.
"Oh ciao Miya' che se dice? Si ho pijato a patente stammatina!"
"Bella oh! 'ndo annate? Posso vení pur'io?"
"Ah Miya' sempre a accollatte stai! Vai a giocà co li Pokemon tua va! Che noi dovemo annà a fa cose da grossi che semo tutti maggiorenni e vaccinati" intervenne Taisuke.
"Ma che stai a dì, te nun sei maggiorenne." disse Miyata.
"Beh ma nun c'ho manco quindicianni e i denti da latte come te!"
"Daje Miya' te porto in giro n'artra volta te lo prometto! Oggi c'avemo da fa!" intervenne Wataru.
"Solo perché volete annà a fa i grossi in giro a rimorchià co la machina..." disse Miyata imbronciato.
In quel momento Kitayama li raggiunse, più in ritardo del solito, ma indossando i suoi preziosi occhiali da sole e gli immancabili accessori da coatto in spiaggia.
"Ahò Miya' ciao. Che stai a fa? Voi vení pure te co’ nnoi?"
"Kitaya mortacci tua, so du’ ore che je stamo a dì che n'é 'na serata pe' regazzini e arivi tu e l'inviti!" lo riprese Fujigaya senza vergogna.
"Aho mamma mia, che je fa si viene pure lui." rispose Kitayama con sguardo deluso.
"Grazie Hiromì!" disse Miyata con un sorriso da un orecchio all'altro mentre Fujigaya e Yokoo si guardarono scuotendo la testa nello stesso momento.