Perchè in verità vi dico: delirare con la senpai è ispirante. Questa ormai è una certezza.

Dec 12, 2008 19:47

Ok, forse per questo sarò uccisa o forse venerata. Non so.
Amo i Child!Gemelli nella versione Yakuza. La seconda parte è da ampliare.
Pur essendo due prompt diversi sono consecutivi anzi sono parte delle stesso capitolo.
Edit successivo: il capitolo è stato corretto dal Pollo, se trovate errori prendetevela con lui... >_>

Titolo: Stralci
Fandom: Originale (Universe!Yakuza)
Personaggi: Nahema, Henma.
Parte: 1/1
Rating:verde
Prompt: 027# Genitori&042# Triangolo
Riassunto: Solo frammenti di ciò che erano.
Note: ambientata nello stesso universo di Pettirosso, anche se quella si pone decisamente dopo ed è leggibile separatamente.


La loro madre era giovane, anzi giovanissima, dai capelli biondi tagliati corti sopra le spalle e gli occhi castani come i loro. La trovavano stupenda, come il primo raggio di sole estivo sulla pelle, ma non erano gli unici a considerarla bella.
Faceva la cameriera - una delle tante donne che per qualche spicciolo di paga e ancor meno di mancia servivano ai tavoli sopportando le mani troppo lunghe dei clienti con un sorriso - lavorava in un bar poco distante da casa loro, qualche minuto di strada o poco più, eppure loro riuscivano a vederla raramente, impegnata com’era tra straordinari e mance per tentare di guadagnare quanto bastava per sopravvivere . Quando furono abbastanza grandi, o almeno quando Henma lo fu, compresero che probabilmente non si limitava a portare le ordinazioni, ma faceva lei stessa parte del menù.
“ Cameriera! Due caffè, una brioche e un pompino.”
Del loro padre, invece, non sapevano niente, neppure il nome. In realtà né lei quando era rimasta incinta, né loro successivamente avevano mai indagato: per quel che ne sapevano poteva essere uno qualunque dei tanti frequentatori del bar e scoprire di essere figli del vecchio inquilino del secondo piano non era decisamente tra i loro desideri futuri.
Meglio non sapere niente e continuare a sognare, almeno chi ne era ancora capace.

Nahema, passava intere ore davanti alla finestra con lo sguardo puntato verso un punto qualunque del mondo esterno. Ormai per lui non faceva più differenza se il suo occhio era puntato sul rosso accesso delle tegole o sul grigio sporco dei vecchi palazzi, non ora che era immerso in quella infinita distesa di nero senza fine che era la sua cecità. Henma, talvolta, infastidito dal suo dover rimanere in casa - se la madre non c’era, e questo accadeva spesso visti i suoi orari di lavoro interminabili, non potevano uscire - iniziava a chiedergli con tono fastidioso e lamentoso cosa stava facendo lì immobile e l’unica risposta che riceveva ogni volta era: “ sto pensando”.
Henma non aveva mai capito a cosa si potesse pensare così a lungo senza mai stancarsi, eppure il fratello sembrava aver trovato la risposta. Ogni tanto senza che vi fosse nulla ad annunciarlo, Nahema usciva da quel limbo di sogni e di parole voltandosi verso di lui - allora non aveva ancora preso l’odiosa abitudine di studiare ogni suo gesto in modo da far notare il meno possibile che fosse ceco - e gli sorrideva senza un motivo per poi raggiungerlo, non sempre molto accorto anzi inciampando spesso. Gli si sedeva accanto e gli chiedeva cosa stesse facendo, se Henma aveva la noncuranza di dire niente ecco che veniva trascinato in qualche gioco assurdo oppure, se Nahema quel pomeriggio era particolarmente ispirato, gli iniziava a raccontare una delle tante storie che in quei momenti di silenzio, passati a fissare il nulla, aveva creato.
Erano storie allegre e caotiche, dai complessi intrecci che finivano per ingarbugliarsi senza scopo se non quello di divertirsi, popolate da personaggi strampalati e assurdi, e solo raramente, ma queste erano forse le più belle, vi erano coraggiosi eroi. Le sue storie erano ricche di suoni, quasi inondate da una cacofonia di rumori che tentava qualche volta addirittura di imitare. I colori invece erano quasi sempre assenti, oppure appena abbozzati: i capelli dorati della principessa e i suoi occhi blu, tinte false che erano state usate soltanto per abitudine.
L’unica volta in cui Henma aveva avuto il coraggio di chiedere al fratello se si ricordava come fossero i colori, lui aveva risposto che per lui erano triangoli di suoni graffianti e opachi e che non gli piacevano.
Henma non aveva mai più osato chiedere niente.

Mi aspetto un tuo commento. Ora vado al circolo a domani..

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